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Ma quanti governi contiene il governo Renzi?
nique la police
Come si sa, a meno di non essere in preda ad una delle tante forme esistenti di complottismo, non esistono governi organici. Ogni governo è, dal punto di vista politico, un incrocio di complessità e di instabilità, di imprevisti che ritroviamo, in sottofondo, anche nelle dittature. Il governo Renzi sembra proprio, nonostante il marketing, essere fin troppo attraversato da complessità e instabilità, per non parlare degli imprevisti.
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Gli smemorati: Riflessioni (amare) sulla crisi italiana
di Sergio Bologna
La memoria corta è un tipico difetto italico. Pronti a entusiasmarci per il nuovo arrivato sulla scena politica che promette quello che tutti, prima di lui, hanno promesso e nessuno ha realizzato, ci dimentichiamo allegramente le vicende, di cui tutti siamo corresponsabili, che ci hanno portato a questo punto: a una crisi che, al di là di quello che ci raccontano e ci raccontiamo, è crisi di sistema, che richiede, appunto, un cambiamento di sistema. Davvero viviamo in tempi oscuri, come scriveva tanti anni fa un grande poeta tedesco dimenticato, e l’umore non può essere che nero, come quello di Sergio Bologna. Ma ricordare fa sempre bene.
Ricevo le newsletter che vanno per la maggiore, lavoce.info, sbilanciamoci, nel merito.com ed altre, leggo ogni tanto Huffington Post, mi capita anche eccezionalmente di buttare l’occhio sui quotidiani, navigo su Reuters, Bloomberg, l’Economist, FT e chissà perché alla fine ho sempre la sensazione che manchi qualcosa nei ragionamenti sulla crisi italiana, qualcosa di grosso, non un dettaglio. Ed allora provo a ricominciare daccapo, mettendo in fila gli avvenimenti, per vedere se sono i miei occhiali che non funzionano più oppure quelli dei validissimi esperti, 95% dei quali economisti, docenti universitari, che redigono con abnegazione le suddette fonti con il nobile intento di far capire alla gente dove andremo a finire. Un vero servizio sociale fornito gratuitamente, un esempio di encomiabile volontariato. Ma che rischia di essere inutile.
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“La lezione del caso Electrolux”
di Guido Viale
Che fare quando il padrone di un’azienda decide di chiuderla, o di trasferirla all’estero per pagare meno tasse, o per pagare meno gli operai, o per poter inquinare l’ambiente senza tante storie? A lume di naso, la prima cosa da fare è requisire l’azienda (i sindaci hanno il potere di farlo, se non altro per motivi di ordine pubblico) e impedirgli di portar via i macchinari. Poi bisognerebbe bloccargli i conti e farsi restituire i fondi che, 90 probabilità su 100, ha già ricevuto dallo Stato sotto forma di contributi a fondo perduto, credito agevolato, sconti fiscali e contributivi (ma qui dovrebbero intervenire anche altre istituzioni: Governo e magistratura). A maggior ragione questo vale se l’imprenditore in questione pone delle condizioni inaccettabili per “restare”: per esempio dimezzare i salari, come all’Electrolux.
Ma quello che non bisognerebbe assolutamente fare è cercare un nuovo padrone, che è invece il modo in cui il Governo italiano finge di affrontare le situazioni di crisi (sul tema sono aperti al ministero dello Sviluppo economico più di 160 “tavoli”). Se ci fosse un “imprenditore” o un gruppo disposto a rilevare l’impresa alle condizioni esistenti si sarebbe già fatto avanti per conto suo.
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Tsipras? L’Europa e la Nazione
di Luca Michelini
Luca Michelini interviene nel dibattito dopo l’incontro con Guido Viale di venerdì 21 febbraio alla Cascina Massée. Leggi nel seguito il testo integrale dell’intervento diffuso con la mailing list Democrazia economica
1. Sono tra i firmatari per la lista Tsipras e, se le condizioni lo permetteranno, rimarrò nel comitato organizzativo provinciale della lista. Ho ascoltato all’assemblea di presentazione di Como la conferenza programmatica che ha tenuto Guido Viale, tra i promotori di questa nuova aggregazione. Ma di che cosa si tratta, esattamente? E come valutarla?
Le riflessioni che propongo vorrebbero costituire una focalizzazione di problematiche, piuttosto che un grido di battaglia propagandisco, a cui non sono aduso e che ritengo del tutto controproducente.
Del resto, sono osservazioni problematiche per un motivo preciso: perché sarà solo il corso degli avvenimenti futuri a determinare le scelte di voto e di militanza. Gli scenari sono in così rapida evoluzione che sarà anche solo il mero istinto di sopravvivenza a dettare l’agenda di ciascuno. A questo, purtroppo, ci ha ridotti la politica italiana e coloro i quali, da posizioni dominanti sul piano economico e sociale e istituzionale, la dirigono.
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Potere, sinistra e media
La “shock disinformation” che sdogana il peggiorismo
Stefano Santachiara
Coloro i quali, per formazione culturale o predispozione, non appartengono alla categoria degli economisti che primeggiano nei media generalisti, nelle università e nei consessi esclusivi – talvolta contemporaneamente – potranno rilevare la particolare natura dei progetti di Matteo Renzi e le sofisticate tecniche di comunicazione di massa con cui si stanno dispiegando. Non possedendo il completo ventaglio di elementi per una valutazione approfondita delle infinite variabili insite nelle politiche economiche e monetarie, consiglio la lettura di studiosi di ogni orientamento per accrescere la propria consapevolezza. Credo però che ognuno debba infischiarsene della conditio sine qua non degli addetti ai lavori e possa contribuire al dibattito condividendo il proprio patrimonio di competenze, siano essere storiche, giuridiche, scientifiche o umanistiche. Sotto l’aspetto dell’informazione il veteroblairismo del giovine premier, terzo esemplare della tecnocrazia priva di legittimazione elettorale, è abilmente occultato sotto una miscela pirotecnica di annunci, finte provocazioni, specchietti per le allodole. Soltanto analizzando questa sfera fondamentale è possibile sviluppare un ragionamento compiuto sul vero obbiettivo di questa nuova generazione della politica con la p minuscola, la cui debolezza rispetto al potere economico affonda le radici nella mutazione antropologica e culturale, oltrechè di etica civile, della sinistra italiana.
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Muos… Non è solo colpa dell’imperialismo yankee
di Antonio Mazzeo
Le megaparabole del MUOS sono lì, nel cuore della “Sughereta” di Niscemi, erette a emblema di morte, distruzione, olocausto. Nulla hanno potuto contro l’arroganza dei Signori di tutte le Guerre, i cento - mille volti, sguardi e corpi che hanno sfidato il senso comune e le leggi per impedire l’ennesimo scempio nell’Isola portaerei-fortezza Usa e Nato. Il suo ruolo a livello mondiale? Servirà principalmente per dare ordini bellici. È una struttura nociva per la salute delle persone e dell’ambiente. Per parecchi mesi intricate trattative, complicato e segreto carteggio… Lotte ad oltranza del movimento. Balletti delle istituzioni, decisioni dei Tribunali, il 24 luglio 2013 la giunta Crocetta revocò la sua revoca, consentendo l’installazione finale delle antenne del MUOS. La sua era stata tutta propaganda elettorale… il nostro un sogno…
Stavolta, però, non è solo colpa dell’imperialismo yankee o di una borghesia nazionale affarista, vile e mafiosa. Se un giorno i siciliani riusciranno a liberarsi del MUOStro per le guerre globali del XXI secolo, come fecero già vent’anni fa con i missili nucleari di Comiso, ricorderanno certo ancora il nome di chi avrebbe potuto e dovuto ostacolarne, e non l’ha fatto, i lavori di costruzione, violando la Costituzione e le normative urbanistiche, ambientali e antimafia.
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Sierra Charriba
di Sandro Moiso
“Soldato, io sono Sierra Charriba. CHI MANDERETE CONTRO DI ME, ADESSO?!” (Sam Peckinpah, 1964)
Più la crisi istituzionale, economica, sociale e politica italiana tende ad avvitarsi su se stessa, più tornano a risuonare nella memoria le parole dette con ferocia da un capo apache ad un ufficiale dell’esercito americano, appeso a testa in giù su un fuoco acceso, nelle prime scene di un classico del cinema western dei primi anni Sessanta. “Sierra Charriba” appunto.
E’ chiaro che nei panni del capo guerriero non è individuabile una particolare forza politica o sociale, ma è possibile confondere la sua figura con quella della crisi attuale e nei panni del disgraziato ufficiale si può cogliere l’infelice destino degli uomini di governo che si sono succeduti, inizialmente in grande spolvero e con grandi squilli di trombe, sulla poltrona della presidenza del consiglio italiana nell’arco degli ultimi ventisette mesi. Monti, Letta e, ora, Renzi. Tutti finiti o destinati semplicemente a mordere la polvere del fallimento personale e politico.
Gli stessi tre governi succedutisi nel tempo sembrano, infatti, ripercorrere il destino di quel film.
Nato per durare 278 minuti, fu ridotto, prima ancora di andare nelle sale, a 156. Poi, viste le critiche negative a 136 e, infine, si attestò su una durata di 123 minuti. Come dire: il governo dei tecnici salvatori della Patria durò circa quindici mesi.
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Renzi: sotto il vestito niente
di Leonardo Mazzei
Dicono che Renzi abbia tenuto un "discorso programmatico". Lo dicono, ma nessuno sa dire cos'abbia detto. Neppure quelli che al Senato c'erano. Dunque: sotto il vestito niente. Stupore? No, dopo il discorsetto del siluramento di Letta tenuto al cospetto della direzione piddina niente può più stupire.
La sensazione è quella di una banda assetata di potere, che giunta al traguardo ancor prima del previsto adesso non sa bene cosa fare. Se questa è l'ultima carta del regime oligarchico che incatena l'Italia alla gabbia europea, allora questo regime è veramente alla frutta.
Ma cos'è davvero il renzismo? A giudicare dal discorso di ieri è il nulla circondato dal niente. Un fritto misto di frasi fatte, luoghi comuni, retorica di basso livello. Il tutto nella solita cornice iper-liberista, ma un liberismo scopiazzato, di seconda mano, logorato dal tempo e dall'esperienza della crisi. Sulla quale nulla si sa dire. Anzi, ad ascoltarlo sembra quasi che la crisi sia arrivata per caso, al massimo per responsabilità della burocrazia e di una politica troppo vecchia. Una lettura da scuola elementare, verrebbe da dire, visto che Renzi ha voluto farsi bello con qualche frase innocua sull'istruzione.
Se è ancora presto per dire cosa sia esattamente, assai più facile è capire da dove arriva il renzismo.
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Renzismo in arrivo
1. L’economia politica del Renzismo
di Mario Pianta
Meno attenzione per Parigi e le periferie europee e più legami con la City di Londra. Il sostegno dall'alto di un blocco di interessi che va dalla rendita finanziaria e immobiliare alla Confindustria fino alle piccole imprese con l'acqua alla gola. Cosa si intravede all'orizzonte del nuovo governo
Per capire la politica economica del nuovo governo di Matteo Renzi si è tentati di partire dalla sua intervista al “Foglio” dell’8 giugno 2012: “Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore” (www.ilfoglio.it/soloqui/13721). L’economista della Chicago School Luigi Zingales è ora vicino agli ultrà liberisti di “Fermare il declino”, Pietro Ichino è senatore di Scelta Civica e Tony Blair consiglia i governi di Albania, Kazakistan, Colombia.
Il quadro, tuttavia, è molto più complicato. L’orizzonte economico del Renzismo ha quattro punti cardinali. Il primo è l’ancoraggio internazionale. Matteo Renzi è il primo leader politico italiano con un rapporto prioritario con la finanza internazionale, attraverso il finanziere di Algebris Davide Serra, suo stretto consigliere. La capitale della finanza che ci riguarda è la City di Londra, che si avvia a contare più di Berlino, dove Merkel già rimpiange Enrico Letta. Bruxelles resta un passaggio obbligato, ma possiamo aspettarci un Matteo Renzi meno integrato nella faticosa costruzione istituzionale dell’Unione, pronto a smontarne qualche pezzo e a muoversi con le mani più libere, come spiega qui sotto l’articolo di Anna Maria Merlo.
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Capitalismo predatore
Il paradosso del calabrone
Bruno Amoroso, Nico Perrone
Nella sua seconda lezione di Roskilde, in Danimarca, Federico Caffè ricordava agli studenti che quando si parla dell’economia italiana è necessario fare riferimento al calabrone, un particolare animale che secondo le leggi della dinamica non potrebbe volare, ma che nei fatti continua a volare. E di questo paradosso Caffè fornì alcune indicazioni centrate sull’attenzione eccessiva data, a suo avviso, agli aspetti congiunturali utilizzati come strumento di «allarmismo economico», con fini economici e politici manipolatori, mettendo così in ombra aspetti strutturali come la distribuzione dei redditi, le politiche industriali, energetiche, dell’edilizia popolare, del problema giovanile, dell’evasione fiscale, dell’agricoltura e dell’occupazione. Una manipolazione alla quale, osservava stizzito, si sono piegati anche i sindacati e le forze politiche progressiste che di questi aspetti dovrebbero essere i maggiori custodi.
In un recente articolo dal titolo Qual è il problema dell’Italia?, l’economista statunitense Paul Krugman rivela di essere al lavoro a un progetto di ricerca che lo appassiona da tempo e che riguarda l’interrogativo su cosa sta succedendo in Italia. Un interrogativo da sciogliere, a suo avviso, perché il confronto che viene spesso fatto con la situazione di Spagna e Grecia all’interno dell’eurozona non è affatto convincente.
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Fast and Furious
L’ultimo atto della politica istituzionale italiana andato in scena in questi giorni ha offerto al grande pubblico uno spettacolo da cinema hollywoodiano, c’è chi l’ha chiamato Italian jobs , chi Gangs of Pd mentre assisteva ad una guerra per bande fatta esclusivamente per il potere nel più cieco disinteresse verso un paese stracotto e sfinito. Nel nostro piccolo ne proponiamo un terzo: Fast and furious.
Fin dall’infanzia ci è stato insegnato che ci sono due categorie dalle quali non possiamo prescindere: lo spazio ed il tempo.
La prima è facilmente archiviabile, con tutte le banalizzazioni del caso, nella fortezza Europa che se al suo esterno si presenta così (a lato) al suo interno si traduce nella famigerata Troika che non è organismo esclusivo riservato ai soli greci! Osservare il proliferare di colori nazionali (verde, bianco, rosso) che maculano immancabilmente simboli e cartelloni elettorali è chiaro sintomo dell’inconsapevole finzione alla quale partecipiamo. Apparteniamo a un’altra scala e sarebbe ora di cominciare a ricordarlo senza troppe nostalgie o rigurgiti nazionalisti.
Il tempo, al contrario, è ciò che ci interessa maggiormente e che sarebbe bene analizzare perché tirato in ballo da più parti e forse, perché protagonista principale di questa fase.
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Rossobruni maior e rossobruni minor
Perché, perché sì e perché no
di Piero Pagliani
1. Per capire che cos’è il cosiddetto “rossobrunismo” attuale occorre innanzitutto mettere a fuoco l’approdo ideologico e politico della sinistra storica in Occidente.
Questo approdo è stato sintetizzato dall’economista statunitense Michael Hudson in una semplice domanda che si trova ad un punto di snodo del suo libro “Super Imperialism -The Origin and Fundamentals of U.S. World Dominance”. La domanda è così formulata: «Quale altro compito hanno oggi i partiti di sinistra se non quello di tradire i propri patti costitutivi?».
E’ una domanda molto pertinente.
Diverse volte ho dovuto sottolineato un fatto che spesso sfugge: i partiti storici della sinistra europea hanno assunto, a volte in modo quasi estatico come in Italia, un’ideologia politico-economica che nata negli anni Cinquanta a Chicago fu per la prima volta sperimentata in corpore vili in Cile su richiesta del dittatore Pinochet e sotto la protezione delle sue armi fasciste. Si tratta del neoliberismo-monetarismo.
Basta questo dato di fatto storico per comprendere che siamo di fronte a una potente forma di commistione tra destra e sinistra che possiamo battezzare “rossobrunismo maior”.
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Marx a Casa Pound?
Scritto da Diego Fusaro
Diego Fusaro risponde alle dure critiche a lui rivolte da Contropiano e Antiper per la partecipazione, poi ritirata, al convegno di CasaPound su Marx[n.d.r.]
Sul “Corriere della Sera” di sabato (15 febbraio, p. 29) ho spiegato che l’aver accettato da parte mia l’invito di “Casa Pound” a discutere a Roma il 21 febbraio del pensiero di Marx ha suscitato un moto d’indignazione in alcuni ambienti antifascisti. Purtroppo, le mie intenzioni di filosofo sono state fraintese in senso politico e sono stato addirittura tacciato di avere simpatie fasciste e quindi, in quanto “nemico del popolo”, condannato all’ostracismo. Ho perfino ricevuto insulti e minacce contro la mia persona e la mia incolumità. Rimbomba una caccia alle streghe di marca staliniana che pensavo fosse stata superata da un pezzo. La buona fede mi faceva sperare in un dialogo serio e pacifico, tra posizioni diverse ma animate dalla volontà di confrontarsi. Questo era lo spirito con cui avevo aderito all’iniziativa. Ma evidentemente non è la situazione opportuna per dialogare con chi la pensa diversamente. Speravo e spero sempre nel dialogo, perché rifiutarsi di dialogare significa perdere in partenza: le idee si sconfiggono con le idee.
Non sono mai stato fascista, né mai lo sarò. Socrate mi ha, però, insegnato a dialogare con tutti.
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Di seguito due interventi di Stefano G. Azzarà e del collettivo Antiper sul "dialogo socratico" tra Diego Fusaro e CasaPound
Sul "dialogo socratico" con CasaPound
di Stefano G. Azzarà
Sono stato invitato a partecipare assieme a Diego Fusaro a un dibattito su Marx a CasaPound. Ecco la mia risposta.
... Come forse sapete, ho tradotto e commentato Das Recht der juengen Voelker di Arthur Moeller van den Bruck. Sto per pubblicare un libro su Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla rivoluzione conservatrice che traduce 4 saggi di Moeller su Nietzsche. Ho scritto su Juenger e il socialismo nazionale. Sto lavorando a un libro su Heidegger e la "rivoluzione" nazista. Ho frequenti contatti con Marco Tarchi, che ho difeso pubblicamente piu volte, attirandomi in passato la reazione di molti miei compagni idioti. Anche sul piano biografico, nel 1991 io e i miei compagni occupammo la facoltà di lettere dell'università di Messina assieme a un gruppo di filiazione ordinovista - assumendocene i rischi e mettendo in conto che ci saremmo presto scannati, come puntualmente avvenne -, perche' altrimenti nessuno ne avrebbe avuto la forza. Inoltre sono allievo di Domenico Losurdo, che più volte ha parlato insieme a Ernst Nolte, ha difeso Garaudy, ha criticato tutte le proposte di legge contro il cosiddetto negazionismo.
Insomma non mi scandalizza affatto parlare con i fascisti.
E però conosco molto bene la storia di questi confronti e di tutti i tentativi di elaborare una "terza posizione" andando oltre destra e sinistra. Proprio la rivoluzione conservatrice weimariana, che e' tra i miei principali oggetti di studio, ne è il prototipo.
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La "mandrakata"
di Leonardo Mazzei
Verso il "governissimo Renzi"? Macché! L'ennesimo "governicchio" di una classe dirigente che non sa che pesci prendere e che alla fine dovrà ubbidire ai diktat delle tecno-oligarchie europee e applicare politiche antipopolari.
Chissà perché lo chiamano Renzi 1, come se il "2" fosse cosa scontata. In realtà la confusione sotto il cielo è grande, e per ora siamo semmai al Renzi zero, un oggetto per adesso senza forma, con una maggioranza pittoresca, ed un programma certo immaginabile ma che ancora non c'è.
Molte cose si chiariranno nei prossimi giorni, limitiamoci perciò ad alcune note su questo ennesimo Colpo di Palazzo, dopo i due precedenti del novembre 2011 (arrivo di Monti) e dell'aprile 2013 (governo Napo-Letta).
1. Disegno sistemico o guerra per bande?
Per prima cosa bisogna domandarsi da cosa nasca questa accelerazione, questa spinta fortissima verso un governo Renzi. Si tratta di un vero e proprio disegno sistemico, con il coinvolgimento ed il sostegno attivo dei principali poteri in gioco, od è semplicemente un episodio della guerra per bande che, frutto della crisi della politica secondo-repubblichina, imperversa ormai da anni?
Probabilmente entrambi i fattori giocano la loro parte ma, per quel che è possibile dire oggi, il secondo (la guerra per bande) ha un ruolo prevalente.
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