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Facchini e libri

Scrittori, editori e istinto di classe

Cristiano Armati

Pubblichiamo un contributo alla discussione di Cristiano Armati che interviene e prende spunto dalle lettere aperte pubblicate su carmilla e sul blog di wuming a proposito della lotta dei facchini contro Granarolo e alle dichiarazioni di Carlo Lucarelli. Il dibattito è aperto!

   Dopo giorni di pioggia e nuvole nere, ma mai nere come le anime dei benpensanti della nostra politica e della connessa loro industria (non solo) editoriale, cercavo giusto un'occasione per cimentarmi con un argomento con cui sarà facile rendersi impopolare.

Questo argomento riguarda i libri, la loro presunta sacralità e quell'aura di "garanti della democrazia e della libertà" da cui vengono artatamente circondati.

"I libri," sostengono facendo la faccia da cerbiatto stuprato orde di cittadini-buonidemocratici-mediamenteacculturati, "non dovrebbero mai essere toccati..."; e, immancabilmente, proseguono il loro noioso discorso ricordando a chiunque metta in discussione questo assunto che erano stati i nazisti a permettersi il più grave dei peccati: bruciare i libri.

Singolari paragoni. Perché in casi come questi chi ha tanto a cuore il destino dei libri, facilmente si dimentica dell'unico destino per il quale valga davvero la pena di lottare: quello degli uomini e delle donne; persone in carne e ossa, non cellulosa sporcata d'inchiostro.

Il nazismo ha fatto naturalmente ben altro rispetto al bruciare i libri.

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Caso Bankitalia: il regalo alle banche è il meno

Aldo Giannuli

laura boldrini pubblicità donne 1 770x513Il decreto relativo a Bankitalia è passato nella disinformazione generale. Cerchiamo prima di tutto di capire cosa prevede, partendo da un brevissimo excursus storico (ci scusi il lettore già informato, che può saltare a piè pari queste righe). La Banca d’Italia è una banca di diritto pubblico che, per tutto il periodo repubblicano, ha avuto un consiglio di amministrazione espressione delle banche del paese, ma questo aveva molti contrappesi: il consiglio aveva (ed ha ancora) poteri molto limitati, Bankitalia aveva un rapporto di dipendenza dal Ministero del Tesoro, le quote non erano commerciabili e le tre principali banche (Credit, Bancoroma e Comit) erano di proprietà dell’Iri. Di fatto, il potere reale dell’Istituto si concentrava nelle mani del Governatore nominato a vita dal Capo dello Stato (sino alla riforma del 2005, che ha definito la durata temporale dell’incarico) ed assistito dall’apparato tecnocratico della banca, mentre al consiglio di amministrazione, sia prima che dopo la riforma del 2005, restavano poteri abbastanza marginali.

A partire dal 1981 le cose sono iniziate a cambiare, mentre si facevano velocemente strada gli indirizzi monetaristi della scuola di Chicago, l’allora Ministro del Tesoro Andreatta, con un colpo di mano, avviò il “divorzio” fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia che acquisiva una sua marcata autonomia definitivamente sancita nel 1992 quando il ministro Guido Carli stabilì che la decisione sul tasso di sconto diventava competenza esclusiva del Governatore.

Negli anni novanta, le tre banche Iri vennero privatizzate.  E questo iniziò a produrre una serie di effetti a catena.

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Attacco alla democrazia

Velvet Secret

Prima di tutto, a vedersi scorrere davanti l’ennesima rissa farlocca tra parlamentari, la prima cosa di cui viene voglia è, almeno, una rissa vera. Cosa sono quei buffetti, quelle carezze, quelle cravatte che svolazzano, quelle signore e quei signori che si puntano il dito sul naso e poi dicono: “Che fai, mi tocchi”?

Ma lasciamo perdere.

In queste ore possiamo ammirare la compattezza (quella sì, marziale) con cui i mezzi d’informazione e i partiti politici si rincorrono nello sport preferito di queste ore, la caccia/lapidazione del “Grillino”. Colpevoli di aver interrotto la seduta della camera prima, e della commissione affari costituzionali poi, infine responsabili di aver formalmente ipotizzato un prolungato attentato alla costituzione da parte del capo dello stato (e averne quindi chiesto la messa in stato d’accusa), i parlamentari M5S sono sotto il fuoco di fila: “antidemocratici” (Sel), “fascisti” (Pd), “squadristi” (Forza Italia), “utili idioti” (Fratelli d’Italia), “irrispettosi” (Lega Nord). Per non parlare delle voci di scandalo che si sono levate dai quotidiani Corriere, Repubblica, Stampa, Messaggero, Unità, Manifesto, Secolo d’Italia, e persino un po’ dal Fatto Quotidiano.

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sinistra aniticap

Vent'anni di Silvio Berlusconi

di Diego Giachetti

 Ma tu chi sei?. Sono il tuo incubo peggiore!. (Sylvester Stallone in Rambo 3)

Vent’anni or sono, il 26 gennaio del 1994, Silvio Berlusconi annunciò la sua discesa nell’arena politica con Forza Italia, partito costruito repentinamente davanti a un notaio a Milano il 29 giugno 1993. L’uomo che stava per scendere nella politica era presidente della Fininvest un grosso gruppo imprenditoriale, composto da circa 300 aziende organizzate in sette comparti, poteva contare su 40 mila collaboratori sparsi su tutto il territorio nazionale nelle sedi regionali di Pubblitalia, disponeva di 530 punti vendita Standa, di 300 aziende di Programma Italia, più gli uffici di Mediolanum assicurazioni e di Edilnord. Le risorse finanziarie, umane, organizzative, tutte necessarie alla costruzione del movimento politico, vennero dalle aziende Fininvest, ad iniziare dalla gruppo dirigente, quello aziendale, che si trasferì in politica.


Un partito costruito dall’alto quindi, governato e organizzato dallo staff aziendale con a capo il suo presidente in una fusione diretta tra rappresentanza politica e rappresentanza di interessi economici che non aveva precedenti nella storia italiana e che poteva trovare un suo spazio e una sua collocazione approfittando di due coincidenze: il disorientamento in cui versava un’Italia conservatrice, numerosa ma disomogenea, accomunata da una forte avversione per la sinistra; la riforma elettorale (il Mattarellum) che nel 1993 aveva abolito il sistema proporzionale, in vigore dal 1946, introducendo il maggioritario-bipolare.

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E' arrivato l'asfaltatore, senza piume sul cappello

Giorgio Salerno

«La guerra è finita» titolava trionfalmente su nove colonne il Giornale di Alessandro Sallusti domenica 19 gennaio e gli occhielli sottolineavano «La svolta della sinistra. Renzi riceve Berlusconi e lo riconosce come primo e legittimo interlocutore». 

Non ritornerò sulle considerazioni già svolte, e con molta più autorevolezza dello scrivente, da emeriti giuristi, eminenti politologi, opinionisti di fama sul senso politico dell'incontro tra Berlusconi e Renzi nella sede del PD e sul merito della legge elettorale su cui i due si sono accordati. Basti dire che essa, prontamente battezzata da Sartori come 'Bastardellum', non risolve i problemi di incostituzionalità segnalati dalla Corte Costituzionale sul Porcellum in merito all'entità del premio di maggioranza ed all'impossibilità per gli elettori di scegliere il proprio rappresentante. Inoltre il pastrocchio berlusconian-renziano, aggrava, volutamente, con le alte soglie di accesso al Parlamento, i limiti di rappresentatività delle Camere.

Il segretario democratico, a chi gli chiedeva di abbassare la soglia di sbarramento (5% per i partiti in coalizione, 8% per i partiti da soli e 12% per le coalizioni), ha risposto in modo sprezzante ed arrogante: «Si mette la soglia di sbarramento proprio per evitare il ricatto dei partitini. I partitini si arrabbiano? Si arrangino. Basta al potere di ricatto».

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Umiliati e offesi

I dolori del popolo antiberlusconiano

Sebastiano Isaia

1. Pregiudicato!

I manettari del Fascio Quotidiano e i “comunisti” del Manifesto hanno voluto dare voce al «grave disagio», allo smarrimento e alla vera e propria indignazione che in queste tragiche ore attraversano il Popolo di Sinistra. «Si può fare una riunione del consiglio scolastico con il professore pedofilo per discutere di programmi educativi dell’anno 2013/2014?», chiedeva retoricamente ieri Marco Politi dal quotidiano che rappresenta forse l’ultima trincea dell’antiberlusconismo duro e puro. La risposta non poteva essere che questa: «Non si può. Non c’è da spiegare molto. Non si può. In Italia sta accadendo di peggio. Tra poche ore saremo informati che un aspirante premier, leader del maggiore partito politico italiano, ha incontrato un pregiudicato per discutere di affari di stato: una legge elettorale, l’abolizione del Senato elettivo. Stiamo parlando di elementi cardine del sistema costituzionale».  La parola chiave, qui, è pregiudicato. Notare anche l’accostamento, che la dice lunga sulla natura violenta e rancorosa dei manettari, tra il «professore pedofilo» e il «puttaniere» di Arcore – e nessuno si azzardi a paragonarlo al socialista Hollande!

Ora, e al di là delle tante considerazioni politiche – e psicoanalitiche – che si possono fare sulle opposte tifoserie di Miserabilandia, ditemi se uno che, come il sottoscritto, è da sempre un avversario irriducibile della legalità borghese (scusate l’arcaismo), e quindi del «sistema costituzionale» (scusate il sovversivismo delle classi subalterne), può “vivere” con disagio e insofferenza il “famigerato” incontro tra Renzi e Berlusconi. Renzi e Berlusconi hanno raggiunto un accordo? E chi se ne frega! Non lo hanno raggiunto? Idem!

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Gli asfaltori (della Costituzione)

Leonardo Mazzei

Il duo Renzusconi se ne infischia della sentenza della Consulta e confeziona un ri-porcellum peggiorato. Una legge elettorale mostruosa, antidemocratica e castale. E, per giunta (il bamboccione Renzi se ne sarà accorto?), tagliata su misura sulle esigenze del blocco berlusconiano

L'Italia ha scoperto, di recente, di avere una Corte Costituzionale. Una rivelazione non da poco, dato che la Consulta è sempre apparsa come un organismo in "sonno".  Ora, però, c'è il rischio che la scoperta passi presto nel dimenticatoio.

Accade infatti che colui che doveva "asfaltare" Berlusconi abbia deciso invece di elevarlo al rango di legislatore, proprio per procedere di comune accordo ad incatramare la sentenza della Corte Costituzionale.

La proposta di modifica della legge elettorale Pd-Forza Italia non è ancora nota nei dettagli, ma quel che è trapelato basta ed avanza. Certo, siccome quella in corso è un'autentica guerra per bande, non sono impossibili cambiamenti anche sostanziali, se non addirittura rovesciamenti di fronte ad oggi impensabili. La convulsa stagione politica aperta dal terremoto elettorale del febbraio 2013 ci ha già regalato la grottesca vicenda che ha riportato Napolitano al Quirinale, le confuse gesta del governicchio Letta, la spaccatura del Pdl, la rinascita di Forza Italia, l'arrivo di Renzi alla guida del Pd.

Dunque, ne vedremo di certo ancora delle belle. Ma intanto concentriamoci su quello che (stando alla stampa) sarebbe l'accordo siglato ieri nella sede del Pd. A proposito, alcuni militanti di quel partito hanno considerato l'ospitalità data al noto truffatore una specie di profanazione del "Nazareno".

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“Ciao democrazia!”

Renzi e Berlusconi: una “profonda sintonia”

di Luca Michelini

1. La politica ha leggi proprie, anche se pensare di isolarle dal contesto socio-economico sarebbe errore gravissimo. Tra le leggi della politica vi è quella che impone di svolgere una lettura per quanto possibile realistica della situazione di fatto, delle forze in campo. Si valutano gli eserciti schierati, indipendentemente dal fatto che si parteggi per l’uno o per l’altro di essi.


2. Ebbene, per quanto il governo Letta si possa e si debba criticare (personalmente sono stato per “la soluzione Rodotà”, con tutte le conseguenze possibili sul piano del Governo), come si può e si deve criticare il governo Napolitano, ché siamo ormai in una Repubblica presidenziale, non si può negare che sul piano strettamente politico Napolitano-Letta abbiano ottenuto un risultato importante: hanno cioè spaccato il PDL, mandando Forza Italia all’opposizione e non hanno interferito con le decisioni della magistratura sul caso Berlusconi, che è dovuto uscire dal Parlamento. Di fatto sta nascendo, pur tra mille contraddizioni, una destra non dico liberale, ma comunque emancipata dal “partito-padrone”.

Naturalmente, in molti, Renzi compreso (lo ha detto in direzione PD) considerano l’avvenuta scissione del PDL come una mera farsa, finendo per considerare l’attuale dialettica parlamentare un vero e proprio teatro, dietro il quale si nasconde un unico interesse, facente capo al lungo dialogo avvenuto tra PD e PDL.

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Elezioni Europee. Che aria tira a sinistra?

Salvatore Romeo

Mentre l’attenzione delle forze politiche nostrane appare tutta concentrata su questioni interne (dalla legge elettorale alle presunte riforme del mercato del lavoro), la data delle elezioni europee (fissata per il 25 maggio) si avvicina. La limitatezza del dibattito su quell’appuntamento è sconcertante se si pensa a quanto incidano gli equilibri interni all’Unione Europea e le decisioni assunte dalle sue autorità sulla vita quotidiana di tutti gli Italiani. L’indifferenza dei partiti “maggiori” si associa alla superficialità che la discussione ha assunto nello spazio politico collocato alla sinistra del PD renziano. Qui il dibattito verte principalmente sul leader da sostenere come candidato alla Presidenza della Commissione – il socialdemocratico tedesco Martin Schulz (espressione delle forze della “sinistra riformista” raccolte nel Partito Socialista Europeo) o il greco Alexis Tsipras (sostenuto dal Partito della Sinistra Europea, il contenitore della “sinistra radicale”) – e sulla forma che un’eventuale lista unitaria dovrà assumere – “lista di cittadinanza” o coalizione di forze politiche e sociali. Ancora una volta si preferisce eludere questioni di merito, forse per non dover ammettere che i problemi sono molto più complessi di come appaiano – e richiederebbero dunque un lavoro ben più articolato di quello che si è disposti a fare.

La fondamentale questione che aleggia nel dibattito sull’Europa – come uno spettro che ci si guarda bene dal nominare – è riassumibile nella domanda “l’Unione Europea è riformabile?”.

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Il disegno schizoide della rottamazione*

di AOMAME

Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. John Maynard Keynes

“Se quel che è successo dal 2011 doveva impedire l’arrivo di Renzi, ebbene Renzi è arrivato. Bisogna vedere se non si eècapito nulla allora e se oggi ci si è dovuti arrendere”. Cesare Geronzi

Ci siamo. A due anni dai bombardamenti a colpi di spread che hanno fatto cadere Silvio Berlusconi e portato Mario Monti a Palazzo Chigi e a otto mesi dalla nascita di un secondo esecutivo non determinato dalle elezioni, ecco che con il 2014 entra nel vivo la lotta tra poteri del capitalismo italiano per superare la perdurante crisi, ricomporsi e salvarsi. Da una parte il premier Enrico Letta e il suo governo con Angelino Alfano: esecutivo con solide radici nell’esperienza dei predecessori tecnici, nato per la stabilità e vocato a quello scopo, come ripete fino all’ossessione il padre politico, Giorgio Napolitano. Dall’altra parte, Matteo Renzi, neo-segretario del Pd che arriva alla guida del partito nonché dell’opposizione politica (di fatto è così) al governo delle larghe intese carico di tutti gli agganci finanziari che è riuscito a raggranellare finora e delle promesse di chi arriverà alla sua corte: ce ne sono ogni giorno di più. E proprio per via della ‘novità Renzi’, in Italia, più che in altri paesi dell’Ue, è visibile – anche a occhio nudo – quella ‘guerra dei Roses’ attraverso la quale il sistema neoliberale tenta di riassestarsi, eliminando gli attori vecchi cui viene imputata la crisi e rimpiazzandoli con i nuovi. È la rottamazione tradotta in economia, ma i suoi meccanismi sono ben diversi da quella che in politica ha spedito al confino Massimo D’Alema. Perché in economia molto spesso si tratta di conquistare gli agganci finanziari altrui, piuttosto che rottamarli.

Da una parte Letta-Napolitano e la stabilità, sorretta anche dalle ricette della Bce di Mario Draghi che tanto fanno arrabbiare la Germania di Angela Merkel.

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Il mistero della sinistra scomparsa*

Guido Ortona

1. Il mistero. Nessuna componente del PD sta mettendo al centro del suo programma  politico delle proposte per uscire dalla crisi. La cosa è tanto più strana, almeno a prima vista, perché nella cultura economica della sinistra queste proposte invece non solo esistono, ma sono ovvie; e non solo sono ovvie, ma sono ancorate molto solidamente alla teoria e alla storia economica. Questa clamorosa assenza deve essere spiegata. Non è sufficiente invocare la stupidità, la corruzione e l'ignoranza dei politici del PD, che sono peraltro sotto gli occhi di tutti.  Perchè come vedremo essere ignoranti e stupidi può essere non tanto un caso quanto una scelta, come lo è ovviamente essere corrotti.   Cominciamo però dalle ovvietà storiche ed economiche. Eccole:

 1. Non credo si sia mai dato il caso di una economia capitalista non minuscola che si sia sviluppata puntando solo sull'efficienza dei mercati. È sempre (o forse quasi sempre) stato necessario un massiccio intervento dello stato.  Questo vale, a fortiori sul piano teorico e con tutta evidenza su quello storico, per l'uscita da situazioni di gravi crisi[1].

 2. L'intervento dello stato a fini espansivi richiede l'uso della politica monetaria (espandere l'offerta di moneta e/o operare sui tassi di cambio) oppure della politica fiscale (espandere il debito pubblico e/o trasferire redditi mediante politiche redistributive); oppure, naturalmente, di entrambe.

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Le bugie sulla Val di Susa

di Luca Rastello

Si va in piazza, a Susa, “contro la criminalizzazione e la demonizzazione”, e speriamo sia stata una protesta riuscita e pacifica (al momento di scrivere la manifestazione di metà novembre non è ancora avvenuta). C’è una parte minuscola della grande galassia di soggetti contrari alla realizzazione del Tav che soffre di una sovraesposizione mediatica: quella che da tv e giornali è presentata come leadership e che, a parte qualche ricusazione formale del ruolo, pare ben contenta di mostrarsi come tale. Perino e dintorni, tanto per essere espliciti. A questa sorta di “ufficio relazioni” dei movimenti ha fatto, mi pare, difetto finora la capacità di prendere una posizione chiara e comprensibile (nel senso del rifiuto o in quello della rivendicazione) nei confronti delle strane derive “notturne” della situazione in valle. Non credo sia un problema secondario, una questione di dettagli o di nominalismo (come spesso viene presentata con fastidio davanti ai microfoni), perché ciò che accade e che ai media piace gonfiare assomiglia dannatamente e grottescamente a qualcosa di già visto e troppo presto dimenticato: non preoccuparsene, sorvolare o minimizzare, magari per non irritare troppo alcune componenti che potrei definire esuberantemente autoreferenziali di ciò che resta del grande movimento contro il Tav è una leggerezza pericolosa.

E scivolose sono le scelte lessicali: anche concetti giusti e legittimi, come quelli espressi di recente dallo scrittore Erri De Luca, se presentati con vocabolario ambiguo e difesi con prese di posizione nebulose (come è accaduto anche sui siti di movimento) finiscono per andare a vantaggio di chi ha interesse a rinchiudere la discussione sull’Alta Velocità in valle di Susa nel recinto delle questioni di ordine pubblico:

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Da un paese sfiduciato un messaggio per l'Europa

di Alfonso Gianni

L’indagine di Demos sul rapporto fra gli italiani e lo Stato, commentata da Ilvo Diamanti su Repubblica, sta giustamente monopolizzando i dibattiti e i commenti non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche i colloqui tra amici e gli scambi di messaggi tra i frequentatori del web. Ne emerge in modo molto netto un quadro di pesante demoralizzazione. Specialmente tra coloro che, come chi scrive, hanno fatto dell’impegno politico uno degli assi principali su cui fare scorrere la propria vita.

A guardare bene però i dati che l’indagine ci fornisce, un simile pessimismo non mi pare del tutto giustificato. Anche perché alcuni di questi si prestano a più interpretazioni, anche rispetto a quelle molto autorevoli dello stesso Diamanti. Certo, se si guarda il riassunto delle risposte fornite, emerge un quadro di una società che sembra alla vigilia di correre, addirittura con consenso, avventure di tipo marcatamente autoritario. Cosa peraltro non nuova nel nostro paese e la storia, come si sa, non insegna altro che a riconoscere ex post che si sono fatti gli stessi errori di un tempo, ma non a evitarli. Spinge verso un’interpretazione di questa natura la crescita di consensi verso le forze dell’ordine che balzano con il 70,1% dei gradimenti di gran lunga in testa alla classifica dei preferiti.

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Identità e affabulazione. Vendola a fine corsa

Giorgio Salerno

Alla fine del prossimo mese di gennaio si svolgerà a Riccione il II° Congresso Nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. Dopo quello del PD e di Rifondazione, svoltisi di recente, (quello del PdCI si è tenuto a luglio), anche quello del partito di Niki Vendola dovrà definire linea politica, programma ed organizzazione (dove sono finite le 'fabbriche' di Niki?). 

In sostanza tutto l'arco dei partiti della sinistra è alle prese con la definizione di una linea adeguata alla nuova fase ed ai cambiamenti in atto. Soprattutto di fronte alla novità costituita dalla schiacciante vittoria, imprevista nelle dimensioni, di Matteo Renzi alla guida del Partito Democratico.

Ricordiamo che Sel, presentatasi alle elezioni politiche di febbraio nella coalizione Italia Bene Comune, cioè con il PD di Bersani, riusciva ad eleggere, grazie a questa alleanza, una cospicua pattuglia di parlamentari con solo il 3,2 % dei voti. Nato il governo delle larghe intese Sel però passava all'opposizione e si poneva al di fuori della suddetta alleanza.

Dopo le oscillazioni, anzi il capovolgimento di linea di questi ultimi mesi, cosa deciderà il prossimo congresso di gennaio del partito del governatore della Puglia?

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il conformista

Renzinomics: The Times They Are Not A-changin’

Federico Stoppa

“Non abbiamo bisogno di manovre o aggiustamenti, quello che ci serve è un cambio di orizzonte mentale, un nuovo paradigma economico, sociale e politico che rompa con gli schemi del passato”. Yoram Gutgeld, israeliano, ex McKinsey,   presenta così il programma economico del nuovo PD targato Matteo Renzi.  Il titolo del lavoro promette bene: ”Più uguali, più ricchi” (Rizzoli, 2013).

Il lettore potrebbe dedurre che la questione della disuguaglianza sia stata di nuovo messa in cima alle priorità della politica – e in particolare del principale partito della Sinistra. Si tratterebbe, questa si, di una rivoluzione copernicana, di un’abiura del paradigma neoliberista e del suo principale assioma : la disuguaglianza genera crescita, e la crescita economica diffonde benessere, anche nelle classi più povere (“effetto sgocciolamento“). Un teorema molto alla moda nella letteratura economica della “nuova” sinistra: da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (Il liberismo è di sinistra, Il Saggiatore, 2007) fino a Pietro Reichlin e Aldo Rustichini (Pensare la Sinistra. tra Equità e Libertà, Laterza, 2012).  Un teorema – come sappiamo – abbondantemente falsificato dall’evidenza empirica.

L’Italia, secondo due rapporti dell’ Ocse (2008,2011), è il terzo paese più diseguale d’Europa, dopo Regno Unito e Portogallo, e anche quello che cresce di meno.