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Grillo e quella casta di 25 milioni di italiani

È perfettamente vero che nel nostro paese esiste una quota di “pensioni d’oro” e “stipendi d’oro” che assorbono una quantità ingente e ingiustificata di risorse: oltre ad essere un problema di finanza pubblica sono un inaccettabile insulto all’equità. È perfettamente vero che il posto di lavoro pubblico è diventato, soprattutto in alcune regioni,  un sostituto di strumenti che in altri paesi sono in carico al welfare, mentre il nostro è uno stato sociale male organizzato e incapace di allocare efficacemente ed equamente le risorse. Ancora, è perfettamente vero che nel nostro paese le tasse, sul lavoro come sulle imprese (sebbene in diminuzione per queste ultime), sono troppo alte e che i servizi corrispondenti sono spesso (ma non sempre) tutt’altro che all’altezza.

Ma quanto ieri affermato da Beppe Grillo sul suo blog , a commento delle elezioni amministrative e come giustificazione del crollo del M5S, è un’aperta (e potenzialmente pericolosa) distorsione della realtà.

 Secondo Grillo:

“Esistono due Italie, la prima, che chiameremo Italia A, è composta da chi vive di politica, 500.000 persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone (da cui vanno dedotte le pensioni minime che sono una vergogna). La seconda, Italia B, di lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccole e media imprese, studenti. La prima è interessata giustamente allo status quo. Si vota per sé stessi e poi per il Paese.

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M5S: una lezione salutare?

Leonardo Mazzei

Cosa ci dicono le elezioni amministrative di domenica

Non perdiamoci in troppi fronzoli: pur con tutte le attenuanti del caso il M5S ha registrato un clamoroso flop. E' questo il dato principale del voto amministrativo di domenica scorsa. Gli altri elementi da considerare sono invece rappresentati dall'evidente insuccesso della destra (Pdl e Lega), dall'insperato recupero del centrosinistra (Pd in primis), da un astensionismo montante che promette vette stratosferiche ai ballottaggi.

Partiamo da questi ultimi aspetti, prima di concentrarci sulle ragioni della sconfitta del movimento di Grillo che è la questione che più ci interessa.

La fortissima crescita dell'astensionismo è spiegabile, a mio avviso, con tre ragioni: la prima consiste nel fatto che i temi amministrativi riscuotono oggi assai meno interesse che nel passato, dato il prevalere dell'attenzione sui temi politici ed in particolare sulle grandi questioni della politica economica, nazionale ed europea.

La seconda ragione, che rafforza evidentemente la prima, risiede nella penosa condizione delle amministrazioni locali, le cui scelte sempre più dipendono dai vincoli nazionali ed europei (Patto di stabilità interno, tagli alla spesa, eccetera).

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ist onorato damen

Accade in Italia

Il decisionismo autoritario di un presidente–sovrano    

Scritto da Gianfranco Greco

 
“Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare”
(Mark Twain)

re napo aenne blog rip viet Trovarsi nei panni degli elettori PD deve durare una certa fatica laddove si pensi che una sapiente e risoluta  operazione di restaurazione li ha fatti precipitare dalle mitiche  “primarie” - condite dai precisi impegni, presi dai maggiorenti del partito, di non fare accordi con Berlusconi - ad una situazione per tanti versi surreale in cui, alla fine, i loro voti vanno a fare mucchio con quelli degli elettori PDL per dar vita - tanto per rinverdire i fasti tipici del trasformismo italiano – ad un governo delle larghe intese, voluto e realizzato da chi, da sempre, ha svolto un indefesso lavorìo a favore di questa soluzione.

Dolersi, indignarsi per la piega presa dai recenti accadimenti rientra nel più classico dei dejà vu, tuttavia nello stigmatizzare talune prese di posizione, certi giri di valzer, specificatamente a livello parlamentare, non ci si dovrebbe mai dimenticare che gli stessi sono legittimati e quindi consentiti da quella che viene, con spreco di enfasi, definita “la più bella Costituzione del mondo” che, all’art. 67, recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato” significando in tal modo che il singolo parlamentare non ha vincolo né verso il proprio partito, né verso il suo programma elettorale, né, tantomeno, verso gli elettori che lo hanno votato, ai quali viene riconosciuta la sola libertà di non eleggerlo alla successiva tornata elettorale.

Ciò avrebbe garantito, secondo i “padri fondatori”, la libertà di espressione più assoluta ai membri del Parlamento.

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La politica si illude, in attesa dell'incendio

di Alberto Burgio

Le illusioni e le latenti possibilità di uscire da una crisi della sinistra, iniziata vent'anni fa con l'accettazione del Caimano da parte del PD

Quanto a lungo reggerà il nuovo governo non lo sa nessuno, ma di certo siamo comodamente seduti su una polveriera Il congelamento della crisi del Pd, non ancora matura, ha effetti che coinvolgono l'intero spazio alla sua sinistra La sensazione è che ogni giorno, inesorabilmente, l'ingranaggio si muova verso l'impatto fatale. Qualsiasi cosa accada, qualunque cosa facciano o dicano gli attori principali. Come nel più classico dei thriller o alla vigilia della prima guerra mondiale, quando i capi di Stato di tutta Europa contribuirono all'incendio convinti di impedirlo. Si vive come sospesi, in trepidante attesa. Consapevoli dell'instabilità e dell'incertezza generale, forse anche dell'incapacità di governare il momento. 


Perché ci si ritrovi in queste condizioni l'abbiamo detto tante volte, ma di mese in mese il quadro si chiarisce sempre più. Senza andare troppo in là, basta tornare indietro di un paio d'anni.Già la grande crisi imperversava. La destra governava, secondo i suoi criteri, per conto del grande capitale privato. A suon di regalie e scudi fiscali, giri di tangenti e privatizzazioni più o meno legali. Ma - tenendo al consenso - il governo non riduceva la spesa pubblica e soprattutto esitava a inferire al lavoro la mazzata finale. I mercati quindi scalpitavano. La Germania ringraziava ma temeva di dovere, presto o tardi, intervenire a proprie spese. I giornali evocavano ad arte lo spettro della bancarotta. Finché, alla fine del 2011, qualcosa accadde. Qualcosa che avrebbe potuto sconvolgere il quadro e aprire una fase nuova.

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marx xxi

Confindustria chiede una banca pubblica

di Pasquale Cicalese

Il 20 maggio scopri che in Italia ci sono i sovietici; di ritorno dalla sede della Regione Calabria dove rendiconti spese comunitarie, accendi il pc, Vlad Ilic, come al solito, ti ha mandato la rassegna stampa finanziaria, non c'è granché, lasci perdere, vediamo cosa dice Confindustria. Molti documenti non li puoi leggere, sono riservati alle sedi territoriali, che ovviamente manco calcolano, non hai rapporti con la sede di Crotone, non ne vuoi avere, hai il ricordo dei miliardi truffati degli incentivi a fondo perduto donati a partire dal 1992, mille miliardi di lire in dieci anni solo a Crotone mangiati da commercialisti, professionisti e da quel che il proletariato crotonese ha definito "i prenditori". Chissà perché da queste parti sbattono in galera manovalanza della 'ndrangheta e gente che per campare vende e coltiva marjuana, mentre per gli altri vige l'impunità più assoluta. Ah, la maria! Se la legalizzassero...i terreni da queste parti li fittano a poche lire, sono abbandonati, i paesani sono emigrati in Germania, se fosse legalizzata in culo al lavoro salariato, alla disoccupazione, alla miseria e all'emigrazione.

Vuoi mettere la sensimiglia di Amsterdam con la "rossa" calabrese? Per non parlare di quella albanese, robaccia da schifo totale venduta a tonnellate negli anni novanta al nord a gente che si bruciava il cervello. Noi terroni calabresi abbiamo il "Brunello di Montalcino" della canapa indiana, ma se la coltiviamo ci schiaffano 8 anni di galera, l'alternativa è fornire braccia ai sanfedisti brianzoli, veronesi o bolognesi. Pensi a questo dopo aver letto domenica 19 maggio un autentico manifesto antiproibizionista del principe degli economisti di Confindustria, Fabrizio Galimberti.

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Benvenuti alle Termopili

Wu Ming

E così il 26 maggio la cittadinanza bolognese andrà a votare. Referendum consultivo sui finanziamenti comunali alle scuole d’infanzia paritarie private. Alla cittadinanza viene chiesto di esprimere un parere su quale sia la forma “più idonea” di utilizzo dei finanziamenti comunali per garantire “il diritto costituzionale all’istruzione dei bambini e delle bambine”: dare oltre un milione di euro alle scuole pubbliche comunali e statali (A) o continuare a darlo alle scuole paritarie private (B). Un piccolo caso locale che ha attirato l’attenzione da tutta Italia per il forte valore simbolico (qui la prima e la seconda puntata) e che, comunque andrà a finire, ha già messo in evidenza un dato innegabile: un comitato di poche decine di volontari è riuscito a far tremare i colossi dai piedi d’argilla che saturano lo spazio politico italiano, ritrovandoseli tutti contro, dal Pd alla Cei.

Con il passare delle settimane, il clima in città è andato surriscaldandosi a causa dei toni assunti dall’amministrazione comunale e dal sindaco Merola, a ogni uscita pubblica sempre più nervoso e offensivo nei confronti dei referendari. Il refrain dura da mesi, ma ultimamente è diventato un disco rotto: ideologici, strumentalizzati, estremisti, nemici della scuola, nemici dei bambini, discriminatori, e chi più ne ha più ne metta.

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Berlusconiani Vs Antiberlusconiani: solito spettacolo penoso

di Diego Fusaro

In questi giorni si è per l’ennesima volta riproposto l’osceno spettacolo che tiene da vent’anni prigioniera la politica italiana: quel penoso conflitto tra berlusconiani e antiberlusconiani che continua a ottundere le menti, illudendole che il solo vero problema del nostro Paese sia l’incarcerazione del Cavaliere o, alternativamente, la sua santificazione in terra. Uno spettacolo patetico e, insieme, disgustoso. Se mai è possibile, per i motivi che subito dirò, l’antiberlusconismo è più spregevole dello stesso berlusconismo.

Il berlusconismo non è un fenomeno politico. È, semplicemente, l’economia che aspira a neutralizzare la politica, riconfigurandola – avrebbe detto von Clausewitz– come la continuazione stessa dell’economia con altri mezzi. Non ha nulla a che vedere con il fascismo, con buona pace della sinistra perennemente antifascista in assenza integrale di fascismo.  

Il berlusconismo è osceno, perché è di per sé oscena la dinamica, oggi dilagante, della reductio ad unum operata dalla teologia economica, ossia di quell’integralismo economico che aspira a ridurre tutto all’economia, alla produzione e allo scambio delle merci. Il berlusconismo ne rappresenta l’apice, aggiungendo a questa oscenità pittoreschi elementi da commedia all’italiana su cui è pleonastico insistere in questa sede. Ma l’antiberlusconismo è ancora più osceno.

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Da Monti a Letta

di Luca Michelini

Abbiamo chiesto a Luca Michelini, professore di Storia del pensiero economico (Dipartimento di Scienze politiche, Università di Pisa), un commento sull’attuale crisi politica italiana.  Nell’articolato intervento che trovate nel seguito del post Michelini invita a «sporcarsi le mani direttamente, vincendo ogni snobismo» e a prendere atto che «almeno per ora» il M5S è  «un’unica forza politica che nei fatti si sta dimostrando all’opposizione di questo sistema economico-politico»

«1. Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente. La maggioranza parlamentare che lo ha eletto è la stessa del governo Monti, voluto, a suo tempo, fortemente da Napolitano. L’operazione Monti avrebbe potuto avere un senso, forse, se, e soltanto se, fosse riuscita a cambiare radicalmente la destra italiana, a farla maturare: l’avesse cioè indotta a liberarsi, politicamente, di Berlusconi, nonché delle proprie indelebili tradizioni reazionarie. Una politica economica di destra quale quella di Monti, inoltre, avrebbe dovuto ricadere interamente sulle spalle parlamentari della destra. D’altra parte, è difficile prevedere e valutare che tipo di “regime” sortirebbe nel caso in cui lo Stato italiano, come durante il fascismo, fosse costretto a salvare l’intero sistema economico, stante la perdurante presenza di Berlusconi[1], che non è difficile immaginare potrebbe vincere le prossime elezioni[2].

Napolitano, invece, ha preferito percorre tutt’altra strada, coinvolgendo il Pd nel sostegno al governo Monti.
2. E’ necessario chiedersi per quale motivo il Pd si è fatto coinvolgere in questa operazione e per quale motivo oggi abbia rinnovato l’alleanza con il Pdl. La risposta è semplice, per quanto sgradevole a molti militanti democratici: perché l’ideologia montiana costituisce, al fondo, l’indelebile ragione sociale del Pd; perché il Pd è fortemente compromesso con la destra italiana, avendola legittimata prima e salvata più volte in seguito.

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La sinistra non ha bisogno di un leader ma di un popolo

Uno spettro non si aggira per l’Europa

Christian Raimo

Il buon senso è stato spacciato per ideologia. E a forza di autocensurarsi il Pd è diventato afono

E così si terranno a Roma, in pratica in contemporanea, due incontri annunciati come decisivi – almeno a breve termine – per la politica di sinistra in Italia. Da una parte l’assemblea nazionale del Pd che dovrebbe trovare un bandolo nella matassa di fili elettrici con quale ha rischiato di rimanere fulminata negli ultimi due mesi (un percorso di seppuku composto da elezioni nonvinte – débâcle Marini-Prodi – governo di larghe intese) e la prima uscita di quel cantiere di cui un Vendola, orfano dell’alleanza col Pd, ha invocato la necessità, battezzandolo “La cosa giusta”.

C’è per fortuna un certo strano fermento a sinistra, soprattutto tra quei milioni di persone che hanno pensato, come dire, di votare per un programma di cambiamento e si ritrovano con Capezzone e La Russa alleati di governo: c’era quasi da sperare in una sconfitta. È vero che questo fermento alle volte sembra un tremolio di un agonizzante tenuto in vita dai farmaci, ma per altri versi è vero che non si può non rendere merito a quel minimo ottimismo della volontà che porta persone quali Stefano Rodotà, per esempio, o Fabrizio Barca, o Pippo Civati o Walter Tocci o Laura Puppato o varie teste pensanti di Sel, in queste settimane, a tenere il punto sulla possibilità di uno schieramento alternativo a questo Pd diventato senza colpo ferire quell’idea di partito dove all’improvviso un Francesco Boccia è un portavoce rappresentativo. 

Vari di questi ottimisti li ho incontrati qualche giorno fa alla sede della casa editrice Laterza, che aveva organizzato (come spesso e meritoriamente fa) un seminario a partire dal famoso documento di Barca, Un partito nuovo per il buon governo, e dal libro di Pietro Ignazi, Forza senza legittimità, ispiratore ideale a detta di Barca di quello stesso documento.

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C'è un movimento da costruire, astenersi perditempo

Intervento all’assemblea di Ross@ a Bologna

di  Francesco Piccioni *

Bella vista da quassù, tanta gente, si capisce che c’è il potenziale…

Poi però guardo i volti e riconosco le storie; vedo cinquanta sfumature di rosso e devo prendere atto che l’unico ambito in cui – in Italia – viene applicato il principio della concorrenza, è proprio la sinistra.

Sul piano economico la concorrenza è un vantaggio per il consumatore, ma uno spreco per i produttori: troppe aziende, troppi presidenti-segretari, consigli di amministrazione, uffici stampa, pubblicitari, funzionari, impiegati… Uno spreco infinito… E proprio pochi a “fare lavoro di massa”

Alla fine se ne esce consumati. Vi suona familiare?

Ma non è mia intenzione fare alcun appello all’unità delle organizzazioni esistenti; sarebbe inutile.

E altrettanto vale per i “cartelli elettorali”, assemblaggi ormai rifiutati dal corpo sociale ed elettorale.

Questo nostro tentativo parte da una constatazione: la scomparsa della sinistra non è avvenuta per caso. lo dico come constatazione non come recriminazione.

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walter tocci

Sinistra senza popolo

di Walter Tocci

Vi propongo qui di seguito un lungo (lunghissimo) saggio che ho scritto in forma di relazione all'assemblea del CRS. Prendendo spunto dalle riflessioni di questi giorni, alcune delle quali già espresse nei post precedenti, ho cercato di leggere la crisi della sinistra italiana, e le possibili soluzioni, attraverso la rielaborazione del concetto di popolo

Ho vissuto in diretta il collasso della classe dirigente del Pd. Una delle esperienze più amare della mia vita da militante. Se ne può discutere su quattro piani diversi:

1. Sul piano personale è una sofferenza parlare e agire contro la propria parte a causa di un grave dissenso. Non si fa a cuor leggero. Nel mondo antico da cui provengo la disciplina non era un vincolo regolamentare ma un atto spirituale: il senso nobile di sacrificare il proprio punto di vista a favore di un pensiero collettivo che si fa azione; anzi di più, una terapia antinarcisistica che regala la forza di trovarsi spalla a spalla coi compagni di lotta. Tutto ciò è irripetibile nel mondo banale di oggi.

2. Sul piano più distaccato dell’analisi forse l’evento diventerà un case-study della teoria politica su come si suicida lo stato maggiore di un partito. Jared Diamond1 ha classificato le forme di Collasso dei popoli nei diversi continenti ed epoche, soffermandosi in particolare sull’analisi della civiltà dell’isola di Pasqua, caratterizzata dallo splendore delle sue grandi sculture, che scomparve improvvisamente dalla storia.

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Contro l'austerity. Sovvertire il presente

di Guido Viale

«Per invertire quel processo occorre far saltare i vincoli che inchiodano le politiche economiche e sociali dei governi europei agli interessi dell'alta finanza: i patti di stabilità esterno e interno; il fiscal compact; il pareggio di bilancio; il taglio di spesa pubblica e pensioni; la privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici; la diffusione del lavoro precario». Ma è sufficiente una democrazia ridotta alla sola dimensione orizzontale?

Assistiamo da decenni, impotenti, a una continua espropriazione del Parlamento, peraltro consenziente, e per suo tramite del «popolo sovrano». Le principali tappe di questo processo sono state: 1. La separazione della Banca centrale dal controllo del governo (anni '80) per contrastare le rivendicazioni salariali, che ha dato a un organo non elettivo il potere (poi trasferito alla Bce) di decidere le politiche economiche e sociali; ma soprattutto ha fatto schizzare il debito pubblico mettendolo in mano della finanza. 2. Le molte riforme del sistema elettorale, dall'abrogazione del sistema proporzionale («una testa un voto», principio basilare della democrazia rappresentativa) al cosiddetto porcellum, che trasferisce dagli elettori alle segreterie dei partiti la scelta dei propri rappresentanti; 3. La cancellazione della volontà di 27 milioni di elettori al referendum contro la privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici con ben quattro leggi controfirmate da Napolitano (l'ultima anche dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittime le prime tre), come anni prima, con il referendum per l'abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti; 4. L'imposizione di un «governo tecnico» con un programma (l'«Agenda Monti») imposto dalla Bce, e attraverso questa, dall'alta finanza sotto «l'incalzare» dello spread: una sudditanza che non avrà più fine, perché da allora la finanza che controlla il debito pubblico potrà imporre a qualsiasi governo le misure che vuole; 5. il governo Letta, conclusione logica di questo processo, che azzera la volontà di tre quarti degli elettori italiani (un quarto astenuti; un quarto cinque stelle; un quarto «centro-sinistra») tutti determinati, con il voto o il non voto, a cancellare le politiche di Monti e Berlusconi); 6. Il progetto, non nuovo, di cambiare in senso presidenziale la Costituzione.

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marx xxi

Voto di classe e sopravvalutazione del voto utile nelle ultime elezioni

Domenico Moro

1. Crisi della forma bipolare del sistema politico

Qui di seguito cercheremo di evidenziare le principali risultanze delle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento, che testimoniano di importanti novità politiche, a loro volta frutto di modificazioni nella struttura socio-economica del nostro Paese. Soprattutto, cercheremo di evidenziare come il <<voto utile>> abbia avuto un peso marginale e come si affermi la tendenza dei salariati ad indirizzarsi al di fuori della sinistra e verso l’M5S e l’astensione.

Il primo dato è costituito dalla crisi del bipolarismo, ovvero della modalità di governo che le élites capitalistiche sono riuscite ad imporre all’Italia dagli inizi degli anni ’90, sul modello anglosassone. In realtà in Italia, come in molti altri Paesi, l’affermazione del bipolarismo è stato frutto più di sistemi elettorali creati ad hoc (maggioritario, quote di sbarramento, elezione diretta di sindaci e presidenti di regioni, eccetera), che di uno spontaneo raggruppamento dell’elettorato in due poli. Ne è la prova l’alto tasso di astensionismo che caratterizza da sempre i sistemi maggiormente bipolari, come gli Usa, e l’emergere in tutta Europa, dinanzi alla crisi, di terze e quarte forze di varia coloritura politica.

Come possiamo vedere nel Graf.1, le elezioni del 2013, rispetto a quelle del 2008, hanno registrato un vero tracollo delle due principali coalizioni, di centrodestra e centrosinistra. Il centrosinistra ha perso circa 3,64 milioni di voti, pari al -26,6%. Il centrodestra ha perso addirittura oltre 7 milioni di voti, pari al -41,9%. Al sistema a due poli si è sostituito, almeno per il momento, un sistema a tre poli o a tre poli e mezzo.

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Roma, così si è scelto di uccidere la città

Lettera aperta ai candidati sindaco Medici, Marino e Marchini

Christian Raimo*

La capitale è fatta di ghetti e di enclave di lusso. Colpa dei politici ma anche degli intellettuali

Vivo a Roma da quando sono nato, non ho mai vissuto in un’altra città che non fosse Roma, anzi, a dirla tutta, non ho mai stazionato più di due o tre settimane di seguito in un altro posto che non fosse Roma, per cui – come dire – le elezioni del sindaco mi riguardano. In tutti questi anni ho votato una volta sola con un senso di sfrontata convinzione: il mio primo voto, a diciott’anni da poco compiuti, per Renato Nicolini. Il resto delle volte: Rutelli (ballottaggio), Rutelli, Veltroni, Veltroni, Rutelli mi sono sempre turato un po’ il naso (per tapparmelo quasi del tutto e farmi mancare l’ossigeno per Rutelli 2008): questa cautela era dovuta all’impressione che la proposta dei sindaci di sinistra e centrosinistra andasse in una direzione di troppo timida trasformazione della città.

Roma dal 1993 è diventata una città indubbiamente più vivibile, ma sarebbe potuta diventare una città molto più vivibile, più giusta dal punto di vista sociale, meno ingovernabile; dall’altra parte avrebbe potuto essere – con i suoi quasi tre milioni di abitanti e i suoi 1300 km quadrati di estensione – ripensata completamente e trasformata in una metropoli. Non è accaduto, per motivazioni molteplici e complesse. Prima proverei a riassumerne alcune e poi ne vorrei sottolinearne una cruciale che voglio porre all’attenzione dei candidati sindaci – quelli presentabili.

Parto dalla mia ultima esperienza di campagna elettorale: per le elezioni a presidente della Regione, mi sono speso insieme a molte altre persone per Nicola Zingaretti.

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L’ultimo bunker della destra

di Marco Bascetta

Non basta il presente a spiegare il presente. Soprattutto in Italia, dove la “non contemporaneità del contemporaneo” è sempre alacremente all’opera. E di certo vi è solo che non c’è alcuna rivoluzione in corso né in prospettiva, tanto meno quando abbondano i tribuni che la evocano. Il percorso tortuoso conduce a una fine nota: quelle larghe intese che nel nome della “responsabilità” ignorano, quando non reprimono irresponsabilmente tutto ciò che di vivo e di non definitivamente rassegnato esiste ancora in questo paese. Non è la prima volta, ma è la prima volta che una classe dirigente screditata come non mai e nel suo insieme perdente quanto ai numeri e alla capacità di leggere il contesto in cui agisce, si blinda senza offrire alcun compromesso a una società stremata. È qui che i paragoni storiografici di Giorgio Napolitano con gli anni ’70 mostrano come la memoria possa volgere in sclerosi e come il pio desiderio di interpretare una nuova situazione con un vecchio paradigma partorisca più mostri del sonno della ragione, fino a confondere le “convergenze parallele” di un tempo con le marcescenze parallele di oggi.  Lo schema è pressappoco quello, collaudatissimo, della vecchia destra comunista da cui il presidente della repubblica proviene.  Consiste, certo semplificando all’estremo, nello stabilire, in accordo con i poteri forti del momento e con i “mercati”, una serie di “compatibilità”, garantire che le forze sociali rappresentate dalla sinistra le rispettino senza fiatare, nel condannare, reprimere e accusare di fascismo (rosso o a 5 stelle poco importa) ogni forma spontanea di mobilitazione e di dissenso, nell’impedire ogni pretesa di esercizio della democrazia che anche garbatamente si discosti dai canali istituzionali e dagli equilibri politici tra i partiti maggiori.