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sinistra

Draghistan: “la libertà non è un spazio libero, la libertà è partecipazione”*

di Luca Busca

 

Analisi del voto

Il giorno dopo le elezioni ogni partito celebra la propria vittoria. Risulta, infatti, difficile trovare un dirigente di partito che riconosca la propria sconfitta, i propri errori e soprattutto che chieda scusa al popolo che ha tradito con le proprie azioni politiche. Se andiamo a guardare, però, i risultati effettivi ci si rende conto che la realtà è completamente diversa e, ad ogni tornata elettorale, diventa sempre più evidente. Qui sotto vengono riportati i dati numerici degli elettori dei singoli partiti con le percentuali calcolate sul totale degli aventi diritto invece che sui votanti.

risultati voto 

Da questo quadro emerge più chiaramente il risultato effettivo di questa tornata elettorale ed è possibile analizzare l’andamento dei singoli partiti e delle coalizioni nel corso degli anni: per primi vengono i vincitori, il Centrodestra

a) Il grande vincitore di questa tornata elettorale sembra proprio essere Fratelli d’Italia, partito di matrice fascista che potrà, grazie all’idiozia della sedicente sinistra italiana, fregiarsi anche del titolo di primo partito a piazzare una donna come Presidente del Consiglio, alla faccia di tutte le battaglie per la parità di genere e la tutela della comunità Lgbtq+. È indubbio che FdI sia l’unico partito che guadagna numericamente voti rispetto alle elezioni del 2018 (da 1,4 milioni addirittura a quasi 7,3). Se però si osserva il risultato complessivo della coalizione appare evidente che la crescita è stata praticamente nulla (poco più di 100 mila voti). In sostanza la Meloni ha beneficiato del travaso di voti dalla Lega e da Forza Italia.

b) La Lega è tracollata perdendo oltre la metà dei voti presi nel 2018. Questo non ha impedito a Salvini di dichiararsi soddisfatto per la grande vittoria del Centrodestra.

c) Berlusconi è un miracolato in quanto, pur dimezzando i voti dal 2018, è l’unico dinosauro sopravvissuto al meteorite, nonostante la perdita dei cagnolini più fidi: Brunetta, Gelmini e Carfagna.

d) I poveri Lupi e Toti scompaiono sotto la soglia dell’1% ma nessuno se ne accorgerà.

Seguono i grandi sconfitti della commedia degli equivoci elettorale, il Centrosinistra:

a) Considerare una sconfitta quella del PD è falso e pretestuoso. Il PD, infatti, è il partito che più di ogni altro ha tradito il proprio elettorato annientando i diritti umani, civili e sociali per i quali la sinistra ha combattuto per mezzo secolo, in primis quello al lavoro, già precedentemente massacrato dal Job Act. Ha rinnegato la matrice antimilitarista della sinistra entrando in guerra contro la Russia. Ha massacrato la Sanità e la Scuola pubblica, ha privatizzato ogni bene comune possibile. Ha scodinzolato tutto il tempo alla corte dell’Impero Americano togliendo ogni sovranità al popolo italiano. Bene, nonostante tutto ciò dal 2018 ha perso solo 800 mila voti, circa il 13% del proprio elettorato, che si è dimostrato tanto fedele quanto cieco. Fatto questo che assicura al Partito un sereno futuro carico di inciuci e governi di larghe intese in cui continuare a fare danni. La non sconfitta del PD appare ancor più manifesta se si considera che il programma del Partito era e resta inesistente, totalmente privo di contenuti e fondato solo sul Grande Nulla del lobbismo più sfrenato promosso con l’Agenda Draghi. La campagna elettorale è stata impostata esclusivamente sulla paura del fascismo della Meloni. Cosa palesemente suonata un po’ fuori luogo ai più, dopo tre anni di tirannia imposta con la peggiore gestione pandemica del mondo, l’entrata in guerra e la dismissione dei beni comuni.

b) A dir poco esaltante la vittoria dell’Alleanza Sinistra e Verdi che hanno barattato la propria identità per qualche seggio in Parlamento. Sorti dalle ceneri di due cadaveri politici, quello dei Verdi e quello di Liberi e Uguali, quest’ultimo in gran parte riconfluito nella casa madre PD, sono riusciti a superare la soglia del 3%. Traguardo questo sfuggito ai Radicali di +Europa, il cui senso, dopo gli infiniti balletti tra pseudo sinistra e Berlusconi, sfugge ormai al comune senso del pudore. Su di Maio non servono commenti, quello che dice e fa è più che sufficiente a spiegare la sua debacle totale. Alla conta finale, in ogni caso, la coalizione di Centrosinistra perde meno di 200 mila voti, indubbiamente una vittoria!

c) L’ennesimo tentativo di ricostruire il Grande centro è fallito miseramente. D’altra parte il duo più antipatico della politica italiana Renzi/Calenda può giustamente considerare una vittoria l’aver scovato ben oltre 2 milioni di nostalgici della Democrazia Cristiana.

d) Il Movimento 5 Stelle grida vittoria e a ragione. Nato come forza antisistema fondata sulla democrazia diretta e partecipata, ha governato con la Lega (e già questo sarebbe sufficiente a estinguerlo), poi con il PD e infine ha partecipato alla distruzione dell’Italia con il governo Draghi. Ha fatto finta di opporvisi solo quando, presumibilmente in accordo per con lo stesso Draghi e con Mattarella, il sistema ha promosso il “golpe bianco” di luglio. In campagna elettorale, infine, è riuscito a recitare la parte dell’innocente pentito, mentendo spudoratamente in merito a green pass e guerra. Nonostante abbia realizzato la più radicale trasformazione mai avvenuta in Italia, divenendo il partito più funzionale al sistema dopo il PD, il M5S ha perso “solo” 6,4 milioni di voti, quasi tutti confluiti nell’area dell’astensione.

In coda i veri grandi sconfitti di questa tornata elettorale: i mancati ambasciatori delle istanze del dissenso. Nessuna forza di opposizione è riuscita ad entrare in parlamento, lasciando completamente privo di opposizione il PUM (Partito Unico Mercatista). Nel dettaglio i debuttanti allo sbaraglio, costretti alla raccolta firme balneare:

a) Unione Popolare il più moderato tra i partiti extraparlamentari, tanto da essere l’unico privo dell’etichetta “antisistema”, si è dichiarato contrario alla guerra ma solo in parte al green pass. Ha cercato di diventare espressione di una politica realmente popolare senza però riuscire a convincere né l’anima autenticamente sinistrorsa degli elettori di PD e Sinistra Italiana né gli antisistema. Si è fermato così all’1,4% nettamente al di sotto della soglia.

b) Le tre forze antisistema, ISP, Italexit e Vita si sono presentate divise e tutte hanno chiuso ben al di sotto del 3%. Unite hanno raccolto 1 milione e 84 mila voti e, con il 3,8%, avrebbero mandato, tra Camera e Senato, una quindicina di parlamentari a fare opposizione e a raccontare al popolo le beghe di palazzo. La divisione non è però l’unica ragione della disfatta. A parziale giustificazione è intervenuto sicuramente il golpe bianco, che non ha dato il tempo necessario alle forze antisistema di farsi conoscere. Ma il motivo principale è stata l’incapacità di convogliare il non voto generato dal dissenso. Già nel 2018 questa componente era sicuramente di ampie dimensione, anche se non quantificabile per via delle normative elettorali che non offrono alcuna possibilità di conteggio. Nel 2022 si sono aggiunti quasi 5 milioni di nuovi disillusi, in gran parte provenienti dal M5S. Ora pensare di attrarre l’astensionismo dissidente con strutture di partito verticistiche, infarcite di personalismi e di velleità “tronistiche”, caratteristiche comuni a tutte e tre le forze prese in esame, si è rilevata fallimentare.

La dimensione della sconfitta generalizzata viene evidenziata dal calcolo delle percentuali sul totale degli aventi diritto. Quando una maggioranza netta, come quella scaturita da questa tornata elettorale, dà vita ad un governo si usa dire che questo è di tutti gli italiani. Triste metafora della post-democrazia, schiava del principio maggioritario dettato dal culto della governabilità, dietro il quale si nasconde l’esigenza di vessare le minoranze del dissenso. Grazie all’abilità illusionistica propria della post-democrazia, si fa passare per maggioritaria la vittoria di una parte politica che, in realtà, è l’espressione di una piccola minoranza di italiani, per l’esattezza del 26,7%, poco più di un cittadino su quattro. Mentre la finta opposizione del PD, con i suoi vassalli, e del M5S è la rappresentanza rispettivamente del 15,9% e del 9,4%. Infine, meno di 1 italiano su venti ha votato per il Terzo Polo (4,7%), anche se risulta difficile comprendere perché.

Questa analisi sembrerebbe dimostrare che tutti hanno perso e solo il Centrodestra abbia pareggiato, ma questo e tutt’altro che vero. In questa tornata elettorale ci sono stati due grandi vincitori: il PUM (Partito Unico Mercatista) e il Partito degli Astensionisti.

Il PUM, infatti, ha alacremente lavorato per aumentare la disaffezione al voto e alla Politica con la P maiuscola. Meno cittadini votano e più la falsa dicotomia destra/sinistra agisce in modo efficiente al fine di mantenere lo status quo. E il PUM ha ottenuto esattamente quello che si era prefissato, ha cancellato il dissenso senza muovere un dito, come ha espresso chiaramente, con tutta l’arroganza del potere, Enrico Mentana all’inizio della sua maratona elettorale, commentando i dati dell’affluenza alle urne: “d’altra parte chi non partecipa al gioco, non può vincere”. Anno dopo anno l’astensione dal voto aumenta progressivamente grazie al lavorio ai fianchi della socializzazione, efficacemente svolto da tutti i partiti di sistema. Sul campo da gioco elettorale rimangono solo i complici e i tifosi dei due fittizi schieramenti, formazioni che finiscono spesso per regnare insieme in governi tecnici presieduti dal Messia di turno. I complici votano per convenienza, i tifosi per cecità, non riuscendo a vedere le macroscopiche cointeressenze che regolano i rapporti tra i due, tre o, come in questo caso, quattro poli. Gli altri, i dissidenti, è meglio che non votino e, qualora non bastassero le azioni di distrazione di massa organizzate dalla propaganda, è sufficiente ricorrere a leggi elettorali incostituzionali ma di rara efficienza nel cancellare ogni forma di dissenso, come il Rosatellum.

Il PUM unito, dalla Meloni vincente sino ai Cocomeri rossoverdi e al M5S, ha manipolato la politica al fine di delegittimare le istituzioni democratiche appoggiando governi tecnici, delegando all’Europa la governance del paese e imponendo la tecnocrazia con le favole delle competenze e della scienza dogmatica. La post-democrazia, fenomeno in atto da ormai quasi quarant’anni allontana la gente dal voto rendendolo inutile, incapace di offrire alcuna possibilità di cambiare realmente le cose. Parafrasando Rousseau: “i cittadini di una democrazia sono liberi di decidere un giorno ogni cinque anni, ma a quel punto i giochi sono già fatti.”

Il secondo vincitore è il PdA (Partito degli Astensionisti). Anche se le proporzioni del trionfo sono nettamente superiori a quelle della Meloni (37/39% contro il 26,7%), in questo caso si tratta più che altro di una vittoria di Pirro, con un rapporto costi/benefici nettamente a sfavore dei secondi. Infatti, non c’è modo di distinguere quanti di questi quasi 18 milioni di cittadini abbiano rinunciato al proprio diritto di votare per dissenso da quelli che lo hanno fatto per bieco qualunquismo. Il regime non offre alcun mezzo per quantificare il dissenso perché tende a sopprimerlo. Per farlo non c’è niente di meglio che confondere la cittadinanza con etichette in cui rinchiudere ogni forma di espressione del pensiero critico. Così il non voto, nell’immaginario collettivo, diventa il regno dei Qualunquisti, Novax, Filoputin, Terrapiattisti, Complottisti, Antiscientifici, etc., gente che non merita di essere rappresentata. Il dissenso viene disperso nei meandri di istanze che, senza alcuna rappresentanza parlamentare, non hanno alcuna possibilità di strutturarsi in lotta contro il sistema.

Le elezioni, con tutti i limiti delle forze antisistema in campo, erano un’occasione unica per dire NO e contarsi per avviare una lotta sul campo. L’occasione è andata persa, e ora sono proprio coloro che si sono astenuti dal voto ad avere il “boccino” in mano. Sono loro a dover trovare il modo di strutturare la lotta contro il regime nei prossimi anni. Tante sono le istanze da presentare: la Pace; il superamento delle disuguaglianze; il rispetto dei diritti umani, civili e sociali (già massacrati dal PD e sicuramente non promossi dalla Meloni); le misure contro la crisi energetica ed economica, che investirà l’Italia questo inverno; una tutela ambientale reale, non manipolata da Sviluppo sostenibile, Grandi reset o transizioni ecologiche prive di senso; riappropriazione dei beni comuni a cominciare dalla Sanità e dall’Istruzione; la risoluzione del processo di precarizzazione del lavoro; l’uscita dallo stato coloniale del paese; etc.

Sarà sufficiente scendere in piazza per vedere accolte anche solo una di queste richieste?

 

Cosa succederà nel prossimo futuro

Le elezioni sono andate esattamente come aveva previsto e stabilito il PUM, in accordo con la Nato e gli organi direttivi della CE (Colonia Europea). Il golpe ha centrato l’obiettivo di salvare Draghi dalle responsabilità dei risultati che il suo governo paleserà nella stagione autunno/inverno. Per far questo, il Messia ha delegato Giorgia Meloni ad assumersele. A compensazione del “cetriolo” le ha regalato l’endorsement di Hillary Clinton e la pubblica dichiarazione di avvallo: “rispetterà i patti (sostegno all’Ucraina, fedeltà alla Nato e non far esplodere il debito)”. Anche l’irascibile Ursula von der Leyen si è tranquillizzata e ha potuto riporre i suoi “strumenti”, precedentemente predisposti in caso le elezioni fossero andate male.

Seguendo questo cliché, ormai consueto, della post-democrazia e del neoliberismo è facile prevedere il corso dei prossimi eventi politici. Il 13 ottobre si insedia il nuovo parlamento a capienza ridotta e finalmente privo di opposizione. Con i tempi di rito il “poro” Mattarella, ormai spossato dal doppio mandato, conferirà l’incarico a Giorgia Meloni che, forte della maggioranza assoluta in Senato (112 su 200) e alla Camera (235 su 400), formerà rapidamente il nuovo Governo. Giusto il tempo di festeggiare per poi trovarsi ad affrontare l’inasprimento della guerra, che sarà prontamente risolto con nuove sanzioni e l’invio di altre armi e mezzi, se non addirittura con la spedizione di truppe in caso di intervento Nato, a cui ha già promesso eterna fedeltà. La crisi energetica raggiungerà il suo massimo splendore, molte aziende chiuderanno e tanti lavoratori entreranno in cassa integrazione e in disoccupazione.

La bolla speculativa del gas esploderà e l’economia italiana vacillerà sotto il peso della minaccia recessiva e dello spread a 500 punti. Se non dovesse bastare lo stato attuale della guerra si potrà indurre la Russia, invece che a chiudere i rubinetti, ad auto-bombardarsi i gasdotti Nord Stream 1 e 2, infliggendo enormi danni alle proprie strutture, così tanto per far dispetto agli Stati Uniti che ne avevano l’intenzione ma sono arrivati in ritardo. Tanto ormai il popolo italiano, dopo la pandemia, riesce a “bersi” qualsiasi fandonia venga raccontata dai media mainstream.

La sospensione dei diritti civili proseguirà, magari con qualche leggero scostamento passando, al grido di “prima gli italiani”, dalla persecuzione dei Novax a quella nei confronti di migranti, zingari, terroni, comunità Lgbtq+, disabili, senza tetto e “poracci” in genere. L’inquinamento aumenterà progressivamente in maniera identica a quella tracciata dalla “transizione ecologica” fondata sul boicottaggio delle rinnovabile e l’utilizzo di rigassificatori e centrali a carbone. Le privatizzazioni di beni comuni procederanno come previsto dall’Agenda Draghi, almeno per quel poco che è rimasto. Sanità, istruzione e ricerca pubblica saranno ulteriormente dequalificate come da protocollo.

La libertà non corre alcun rischio con la Meloni, perché è già stata compromessa in modo definitivo dal Governo dei Peggiori. La libertà di espressione, in particolare, è miseramente caduta sotto i colpi del pensiero unico quando il PD, insieme agli amici di FdI, ha votato contro una mozione a favore di Assange, mentre M5S e Leu si astenevano. Non avendo raggiunto i due terzi del Parlamento la Meloni non potrà cambiare la Costituzione senza referendum. Sicuramente, però, troverà qualche adepto del presidenzialismo anche presso gli amici del Centrosinistra e, male che vada può continuare tranquillamente con lo stato di eccezione infinito e praticarlo a forza di Dpcm e fiducie alle camere.

L’Europa eserciterà le sue consuete pressioni sul governo italiano con i dovuti “strumenti”, i soliti noti (procedure di infrazione, blocco dei fondi del Pnrr, etc.) o quelli di Ursula Von der Leyen. La Meloni reagirà prontamente da par suo, addossando giustamente la colpa al precedente governo Draghi, senza accorgersi, né lei né i suoi tifosi, che quasi metà del suo governo faceva parte anche di quello appena passato. La fedeltà all’Europa e all’Impero Americano non verrà messa in discussione nonostante la matrice autarchica della “Tigre della Garbatella”. La finta opposizione del PD e del M5S inscenerà blande proteste, magari anche con qualche manifestazione in collaborazione con la Cgil e qualche associazione ambientalista definanziata dal negazionismo di destra, così tanto per far contenti i propri greggi.

Il PD, per soddisfare le richieste del proprio elettorato, indirà il solito congresso, il segretario Letta si dimetterà e al suo posto verrà eletto un altro democristiano 2.0. Nulla cambierà e il Partito manterrà salda la sua posizione all’estrema destra dello schieramento politico. Un cammino simile farà anche la Lega alla ricerca della propria identità, riscoprendo la propria vocazione nordica, l’autonomia e la caccia al migrante, che l’hanno portata ai fasti precedenti.

In considerazione delle difficoltà che il governo dovrà affrontare, partirà in Parlamento la solita campagna acquisti con gli abituali cambi di fronte previsti dal protocollo. Berlusconi perderà qualche altro pezzo forte, dopo la Gelmini, Brunetta e Carfagna, verso il Terzo Polo che nel frattempo avrà patteggiato con il PD o proprio con Forza Italia qualche lucrosa poltrona. Parte della Lega protesterà fortemente perché nulla è stato fatto per l’autonomia dei propri feudi e tenterà di scambiarla con l’appoggio a qualche altra fazione. Anche qualche fedelissimo di FdI sarà ceduto al nemico per mantenere in piedi l’attuale formazione parlamentare e poter affrontare uniti, per il bene del paese, l’ennesima tornata di sacrifici imposti, ma solo al popolo, dall’impellenza di risolvere la crisi. La tempistica potrà variare anche di diversi mesi ma il risultato sarà un governo di larghe intese guidato dal Messia di turno, magari sotto l’egida di Mario Draghi in qualità di Presidente della Repubblica, al posto dell’esausto Mattarella, o come reggente della Nato o della Colonia Europea.

Anche l’elettorato slitterà tra una forma e l’altra di moderazione, pronto a salire sul carro del prossimo vincitore in modo che nulla si modifichi nel corso dei secoli. Come disse Tancredi ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.

In questo contesto drammatico, che non lascia alcuno “spazio libero” al dissenso, il pensiero critico deve riuscire a strutturare una “libera partecipazione”. Le forze antisistema hanno cinque anni di tempo per comprendere un principio estremamente semplice, che comporta però qualche sacrificio personale. L’area del dissenso è formata, in parte anche se abbondante, di delusi del M5S la cui esperienza dovrebbe essere di insegnamento. Il grande successo ottenuto alle elezioni del 2018 è stato frutto di un lungo lavoro svolto come movimento e non come partito: i Meet up nacquero nel 2005, quando il Blog di Beppe Grillo era già uno dei più seguiti al mondo. I V-day sono del 2007 e fino al 2012, anno della prima piattaforma nata sul sito di Grillo, il Movimento è stato realmente tale, di base e partecipato. Poi, prendendo parte direttamente alle elezioni, si è venuta a creare una presunta esigenza verticistica, tradottasi nell’utilizzo della poco trasparente piattaforma Rousseau. Con il nuovo mezzo tecnocratico si è praticata la “svolta a destra” per allargare ulteriormente l’area di consensi. Il movimento nasce di sinistra, con la candidatura di Grillo alle primarie del PD in polemica con una dirigenza palesemente di destra. Solo dopo la svolta nasce la farsa né di destra né di sinistra con il progressivo abbandono dei dieci punti programmatici, a cominciare dalla democrazia diretta e partecipata. Il rovesciamento ideologico verticistico si è accentuato sempre più portando alla leadership, prima di Giggino Di Maio e poi a quella di Giuseppe Conte, sotto il quale il M5S si è trasformato definitivamente in partito, perdendo la propria identità.

Ora pensare che chi è rimasto deluso dal tradimento di un movimento di base, fondato sui principi della democrazia diretta e partecipata, possa cadere di nuovo nella trappola di una struttura politica verticistica è un’insulsa aspettativa. Motivo per cui il futuro del grande movimento di dissenso creato dalla pandemia, dalla guerra e dalle nefandezze neoliberiste degli ultimi anni è appeso a un doppio ed esile filo. Senza l’apporto di entrambi i sostegni il dissenso è destinato ad estinguersi rapidamente. Il vasto popolo dell’astensione è il primo dei due fili, le forze antisistema il secondo.

Il primo supporto è difficilmente quantificabile, ma almeno il livello minimo è determinabile: i nuovi 5 milioni di astenuti si vanno a sommare a non meno di altri 2,5 milioni di radicali praticanti pregressi del dissenso astensionistico. Oltre 1 milione ha votato per le forze antisistema e circa mezzo per Unione Popolare. Il dissenso radicale all’attuale regime conta quindi almeno 9 milioni di “disobbedienti”, una “risorsa” umana di inestimabile valore, che sarebbe valsa la prima posizione in Parlamento. Certo questo bacino è formato da tante anime differenti che esprimono dissensi disomogenei. Chi è per la pace non è necessariamente Novax, non tutti i contrari al green pass lo sono anche nei confronti del neoliberismo. Sarebbe compito delle forze politiche raccogliere le diverse istanze e individuare i punti comuni fondamentali, ma questo può accadere solo conquistando la fiducia di un popolo disilluso. Per ottenerla occorre rinunciare a qualsiasi personalismo e forma verticistica, lasciando ogni forma di “potere” nelle mani delle assemblee dei cittadini. Occorre radicare queste “sezioni” sul territorio facendo in modo che ognuna di esse nomini un rappresentante, removibile in ogni momento dall’incarico, cui delegare il recapito delle istanze alle altre anime territoriali del dissenso.

La struttura politica a “piramide inversa”, in cui il vertice segue le disposizioni della base, è già stata sperimentata in occasione dei Social Forum e di Occupy Wall Street, con l’unica differenza che ora è giunto il momento di partecipare alla farsa elettorale. Questa volta però niente piattaforme digitali o tecnologie che lasciano al vertice troppe possibilità di manipolare le decisioni della base. Le piazze saranno il luogo ideale in cui le diverse anime del dissenso potranno tornare ad incontrarsi per cercare i punti in comune intorno ai quali strutturare la lotta. Il più comune di questi è rappresentato dalla Pace e in suo nome bisognerebbe scendere in strada e cercare di rimanerci in pianta stabile, come fece il movimento Occupy. Per evitare, però, che la durata del dissenso sia la stessa di allora, le diverse istanze del movimento dovranno assumere le caratteristiche di una o più proposte politiche alternative, che dovranno essere anche infiltrate nelle istituzioni in cui alberga il potere reale.

Perché questo accada non ci si può limitare a non votare, perché l’astensione finisce per favorire proprio quel sistema verso il quale si è espresso il proprio rifiuto. Rinchiudersi nella propria bolla di dissenso non libera dalla condizione di schiavitù e lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. La libertà può essere conquistata solo con la lotta.(Thomas Sankara, rivoluzionario e politico del Burkina Faso). Occorre impegnarsi su entrambi i fronti, sostenere ambedue i “fili” a cui è appesa la libertà, l’autonomia e la sovranità di chi dissente, perché la libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere unopinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.


*Giorgio Gaber https://www.youtube.com/watch?v=j3vowbyQBiQ

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