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liberazione

Il Paese messo davanti allo specchio. Ma chi ha voglia di fare autocritica?

di Alberto Burgio

berlusca2Siamo alla fine politica di Silvio Berlusconi? Molti sono pronti a scommetterci, e in effetti la fortuna sembra davvero voltargli le spalle. Come mai? Che cosa c’è di nuovo in quest’ultima storia, squallida e patetica, di donne «utilizzate» da un vecchio che non sa invecchiare (un «malato», per chi lo conosce), che l’ironia delle cose ha proiettato alla guida di questo Paese?

Non è la prima volta che Berlusconi inciampa in una grave disavventura, dopo lo “storico” avviso di garanzia recapitatogli – sublime coincidenza – mentre coordina a Napoli la Conferenza mondiale dell’Onu sulla criminalità organizzata. La sua intera vicenda è costellata di seri infortuni, solo in parte dovuti ai problemi giudiziari, alle leggi create per risolverli e all’enorme conflitto di interessi (il politico che opera a vantaggio delle proprie imprese che gli servono a consolidare il potere politico, in un circolo vizioso degno di una repubblica delle banane). L’insulto rivolto a Martin Schulz nell’aula di Strasburgo («La proporrò nel ruolo di un kapò») è rimasto emblematico, ma non basterebbe una pagina intera a ricordare tutti gli episodi incresciosi – o soltanto ridicoli – che l’hanno visto protagonista.

Nemmeno quest’ultima storia di baccanali è, a ben guardare, del tutto inedita. Si è appena consumata l’affaire Noemi.

Ed è ancora in progress la vicenda – a nostro parere ben più grave – delle amiche personali trasformate in parlamentari e ministre della Repubblica. Addirittura una semianalfabeta, presa di peso dalle retrovie di Forza Italia e spedita alla pubblica (e soprattutto privata) istruzione, a far danni all’università e alla scuola italiana, già stremate da decenni di pessime “riforme”.

Berlusconi non è solo un padrone prepotente e autoritario, mosso da un progetto politico arcaico. Non è soltanto un animale senza scrupoli, determinato ad accumulare fortune e poteri e a far fruttare relazioni con persone e ambienti al di sotto di ogni sospetto. È anche un personaggio da avanspettacolo tra il ridicolo e il feroce, un inconfondibile misto di cattivo gusto e di banalità. Ma tutto ciò è evidente e noto già da tempo. Perché questa volta la sua parabola sembra precipitare verso la disgrazia e l’ignominia?

Una prima ragione chiama in causa la fredda logica della politica. Molti suoi alleati cominciano a temere che Berlusconi sia ormai indifendibile. Gode ancora di consenso, ma i suoi «vizi privati» rappresentano per la destra una minaccia mortale. Il confine tra acclamazione e ripudio, si sa, è sottilissimo. Ieri sull’altare, domani nella polvere. Perché rischiare di perdere posizioni restando legati a un personaggio squalificato e per di più indisponibile a moderare i propri appetiti?

Una seconda ragione coinvolge il paradosso della popolarità. Berlusconi è in disgrazia per la stessa grottesca trivialità che sino a ieri è stata la sua principale arma di seduzione. Se ci dessimo il tempo di riflettere su questo paradosso, ne trarremmo una lezione preziosa. Questa storia ci mette davanti allo specchio, ci dice che cosa è diventato il nostro Paese. Va bene tutto. Circondarsi di mafiosi e di incapaci. Gestire la cosa pubblica come proprio patrimonio. Controllare l’informazione come un’agenzia di propaganda. Tutto va bene finché il gioco prosegue. Quando si inceppa, ci si tira fuori senza fare una piega.

Vent’anni di “seconda Repubblica”, senza partiti di massa capaci di costruire relazioni sociali e di trasmettere principi e conoscenze, senza altra fonte di orientamento al di fuori della televisione e dello spettacolo della merce, hanno distrutto l’opinione pubblica e trasformato questo Paese in una prateria disponibile a tutti i populismi. Riflettere su questa vicenda sarebbe il solo modo di mettere a valore l’esperienza di questi anni, i peggiori della storia repubblicana. Ma c’è forse qualcuno davvero interessato a tale riflessione, e disposto all’autocritica che essa comporta?

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