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orizzonte48

Dopo "la resa" (della democrazia costituzionale) i litigi "in piazzetta Elysium"?

Quarantotto

cggcabxwoaeqtpf.jpg large1. Questa immagine riporta le recenti parole di Monti pronunciate in un noto talk di stretta ortodossia ordoliberista (all'incirca, "a propria insaputa",- pp.1-6- ma ferreo nella coincidenza dei "rationalia" ordoliberisti su cui si fondano, senza arretramenti, le "insidiose" domande dell'intervistatrice).

Un'affermazione, quella di Monti, che in realtà sviluppa, in sintesi, il clou della consolidata ideologia che guida l'inarrestabile restaurazione dettata dall'€uropa.

Il terreno su cui s'inoltra, ormai, l'invariabilità delle politiche perseguite, a prescindere da qualunque esito elettorale (che risulti consentito e comunque presidiato dai media), conduce, come dovrebbe ormai essere evidente, a..."La Resa".  

 

2. Vale a dire, volenti o nolenti, si realizza la seguente situazione:

"Partiamo da un presupposto che potremmo definire di Kalecky-von Hayek.

Il primo attribuisce al liberismo come dottrina economica (non a caso ammantata da pretesa scientificità oggettiva) un obiettivo essenzialmente politico: quello del controllo delle istituzioni di governo per definire l'indirizzo generale in modo da stabilizzare la potestà decisionale esclusiva della oligarchia capitalistico-finanziaria. Il secondo ritiene ideale una società (ri)gerarchizzata, in base alla "naturale" predominanza dei "proprietari-operatori economici", gli unici dotati di sufficiente "razionalità" per risultare utili alla società umana, essendo più facilmente ancorabili a "tradizioni", ritenute sane e funzionali alla efficiente allocazione delle risorse.

Questa ri-gerarchizzazione istituzionalizzata darebbe ovviamente luogo ad una nuova Costituzione: di fatto o di diritto (la distinzione, dato lo stato pietoso in cui versa la stessa sovranità costituzionale intesa come tutela dei diritti fondamentali "sociali", appare ormai oziosa). Ma almeno avrebbe il pregio della chiarezza: cioè sarebbe definito un quadro non ambiguo ed ipocrita di nuovi valori dotati di effettività e finalmente conformi alla (neo)legalità.

Attualmente la fissazione di questa effettività sui neo-valori è affidata alla costruzione €uropea, che, attraverso la sua elaborazione teorica, continuamente compiuta all'oscuro dei nostri procedimenti di legittimazione democratica, fornisce il quadro concettuale e para-razionale che partorisce le politiche europee.

L'enorme vantaggio (sempre paradossale: stiamo parlando di un'ipotesi di "resa" ragionata) di questa esplicitazione "costituzionalizzata" sarebbe quello di rispostare in sede nazionale la responsabilità sulla enunciazione e l'attuazione dei neo-valori. Che, chiariamo subito, "neo" non sono affatto, come pare sfuggire ai "nuovisti" dell'attuale classe politica che, impegnata oggi a governare, contrabbanda il superamento della democrazia sostanziale come equazione nuovo= "de sinistra", operando invece un'ipocrita restaurazione di tipo reazionario (rispetto ai valori in cui affermano di identificarsi ma che, tra l'altro, non paiono neppure conoscere ad un livello storico-economico minimamente decente).

Diciamo che, affidata alle persone titolari effettive degli interessi perseguiti, la restaurazione avrebbe il pregio della trasparenza, che è certamente termine abusato, e strumento ordoliberista, allorchè applicato astutamente alla liquidazione dell'interesse generale gestito da strutture pubbliche, ma che, una volta ceduta la titolarità del potere istituzionale di governo agli stakeholders effettivi, fa venir meno la stucchevole ipocrisia degli intermediari politici, - e mediatici-, che devono continuamente rinnovare la impossibile conciliazione tra le contraffazioni verbali vendute sul mercato elettorale e la sostanza della loro azione.

Insomma, la "resa" con la devoluzione formale e costituzionalizzata del potere istituzionale di governo alla oligarchia, avrebbe almeno questi pregi immediati (di cui potremmo poi immaginare le ulteriori ricadute):

a) ricondurre le comunità nazionali al ruolo di centro di riferimento, (inevitabilmente "attenzionato" ma in modo inequivoco), delle politiche e degli obiettivi che si vogliono perseguire (per quanto programmaticamente questi siano "degradanti" della stessa comunità), abbandonando la truffa del perseguimento simulato della "pace" per il tramite delle organizzazioni sovranazionali; ciò depotenzierebbe la stessa necessità strumentale, (tra l'altro sempre più insostenibile nei fatti), di enunciare la superiorità etica del "vincolo esterno", con una chiara riaffermazione dei rapporti di forza che esso sottointende;

b) reintrodurre come conseguenza di ciò - in particolare della investitura diretta delle oligarchie (non necessariamente elettorale o quantomeno "idraulica", data la forza persuasiva del tecnicismo pop) in base alla negoziazione della "resa"- la visibilità e la accountability delle politiche perseguite

Infatti, laddove queste si rivelassero frutto di visioni sballate - e in effetti sono tanto sballate!- esporrebbero con immediatezza i nuovi governanti, e senza intermediari dediti alla sopravvivenza personale e dei propri vantaggi (cioè la famosa"casta di 2° livello e relativi costi, correttamente assunti come compenso agli intermediari da parte dell'oligarchia stessa), al rischio della "non effettività", cioè dello scollamento tra investitura e conformazione dei "sudditi" alle regole da essi imposte;

c) come ulteriore conseguenza, praticamente inevitabile, oligarchie oggi incuranti del benessere minimo delle comunità dei governati, - venuta meno la necessità del metodo, tipico del controllo indiretto esercitato mediante una classe politica intermediaria, della shock economy e della "colpevolizzazione"-, dovrebbero rendere"in qualche modo" conto della efficacia rispetto agli obiettivi enunciati e della efficienza rispetto alle capacità di gestione di cui si sarebbero investiti. 

Le loro decisioni dovrebbero comunque garantire almeno la sopravvivenza (fisica) del sub-strato sociale, anche nello schema hayekiano più puro. In alternativa, almeno, dovrebbero fronteggiare l'onere di un notevole apparato poliziesco, per reprimere lo scontento da disperazione, nonchè gli enormi "costi di transazione" che si incontrano nel mantenere tale apparato e nell'assicurarsi la fedeltà dei "repressori" (che, altrimenti, assumerebbero il pericoloso peso dei pretoriani nelle lotte politiche dell'Impero Romano).

L'insieme di questi corollari, che ci illustrano una serie di trade-off e costi/benefici tra degenerazione del modello attuale e devoluzione immediata del potere agli esponenti della Grande Società, porrebbe poi un'ulteriore e fondamentale esigenza, piuttosto vantaggiosa per i governati: quella della selezione concreta della classe dirigente all'intero della oligarchia, al fine di designare i titolari delle cariche (in fondo, brevemente, rammentiano che in una società a maggioranza di schiavi come l'antica Atene, ciò portò a formule istituzionali tutt'ora additate come ideali...purchè si dimentichi la composizione del sub-strato sociale).

Per meglio comprendere quest'ultimo aspetto basti ricordare quanto detto sulla vera "casta", e sulla sua attuale composizione, per così dire, "sociologica", frutto com'è della burocratizzazione, evidenziata sia dalla teoria Schumpeteriana che dai neo-istituzionalisti (tutti pensatori comunque impegnati, in un modo o nell'altro, alla rilegittimazione dell'economia neo-classica), dei centri di potere economico dominanti.

In qualche modo si arriverebbe al dover fissare criteri di selezione al loro stesso interno: e poichè i conflitti di interesse, cioè l'alternanza dei vantaggi personali derivanti dal "piegare" politiche formalmente pubbliche e cioè nell'interesse generale,  emergono maggiormente quando non siano perseguiti collettivamente per via di intermediari (come insegna la parabola di B.), all'interno della vera casta oligarchica si attiverebbero inevitabili meccanismi di controllo reciproco.

E questi sarebbero risolvibili solo se i governanti fossero effettivamente collocati in posizione di "arbitro" e non di parte in causa: certo la partita la giocherebbero solo ESSI, ma si tratta pur sempre di una competizione tra interessi che non possono essere costantemente convergenti (persino i "cartelli" tra oligopoli perderebbero in gran parte la propria ragion d'essere e, talora, si ripristinerebbe una concorrenza mortale, proprio allorchè fosse data per scontata l'acquisizione della supremazia dell'elite oligarchica. La storia dell'Europa feudale ci fornisce un esempio eloquente, senza bisogno di particolari dimostrazioni).

Ed allora, (sempre ribadendo che siamo all'interno di un paradosso) è probabile che si arriverebbe, in assenza di interferenze con queste dinamiche, a una sorta di Repubblica di Platone: si dovrebbe (almeno) proclamare la facciata della Città ideale ed individuare i "Guardiani" (rammentiamo: "guide perfette ed impeccabili che - ed è questo il punto che sconvolse, secoli più tardi, i borghesi saliti al potere nell'ubriacatura liberista di matrice teorico-filosofica anglosassone- dovevano condurre una vita di ascetica rinuncia.

A tali guardiani, ma solo ad essi, badate bene!, era preclusa la proprietà individuale ed ogni forma di arricchimento, potendo possedere solo ciò che fosse strettamente necessario per soddisfare i bisogni essenziali.

Ne "La Repubblica"(417 a-b, Laterza, pag 138), Platone giustifica così tale assetto: "Quando però s'acquisteranno personalmente la terra, case e monete, invece di essere guardiani, saranno amministratori e agricoltori; e diventeranno padroni odiosi anzichè alleati degli altri cittadini".)

Insomma, gli spunti di divertimento, per il popolo reso mero "spettatore", non mancherebbero. Certo neppure la miseria e l'umiliazione, l'alta disoccupazione necessitata e la repressione poliziesca.

Tuttavia, come suggerisce l'ipotesi paradossale qui avanzata, anche questi inconvenienti potrebbero essere mitigati se si cercasse una trattativa preventiva e si arrivasse alla "resa" negoziando finchè si ha qualcosa da scambiare, cioè finchè, attraverso €urocrati e classi politiche di intermediari, ESSI non avessero esautorato ogni tutela e garanzia di benessere minimo.

E poi da un "punto zero" della democrazia si può sempre risalire e magari, finalmente, con la dovuta irrinunciabile consapevolezza di quanto sia incombente e ci riguardi Elysium."

 

3. La conferma empirico-politica di questa situazione, sempre più in fase attuativa conclamata - altrimenti l'affermazione di Monti sarebbe parsa gravissima a tutte le massime istituzioni di garanzia dello Stato costituzionale democratico!-, si manifesta già ora in vari aspetti prodromici.

Il problema che si pone alle oligarchie vincitrici, infatti, è quello, abbiamo visto:

a) della non perfetta coincidenza di interessi, all'interno della stessa classe industrial-finanziaria pro-€uropea (che è poi un pro-mercato del lavoro-merce e un pro-smantellamento di ogni effettiva funzione di intervento dello Stato a sostegno del livello di reddito e di occupazione dei lavoratori): esistono diversi gradi di internazionalizzazione della produzione, all'interno della "offerta" industriale italiana "sopravvissuta", e quindi diversi gradi di convenienza a privilegiare una ripresa dei consumi interni (cosa che, per quanto larvatamente, una parte consistente delle imprese di Confindustria non può negare essere legata al potere d'acquisto delle famiglie, quand'anche integrato dal credito al consumo e dalla sua auspicata...solvibilità);

b)  del fatto che, assunta in prima persona e senza intermediari (cioè senza più politici aventi un ruolo effettivo di bilanciamento con qualche pur esile interesse diverso da quello "supply side") la gestione oligarchica delle istituzioni, ne consegue il rapido dissolvimento di ogni ruolo residuale del sindacato

Ma poi, la gestione di governo si indirizza sul livello episodico delle singole unità produttive e sulla capacità dei relativi datori di imporre la c.d. contrattazione aziendale. Per il resto, esiste il "pilota automatico" del mercato del lavoro e della destrutturazione e deresponsabilizzazione di ogni politica economico-fiscale nazionale.

Ma se quest'ultima diviene il segno visibile del successo, la Confindustria stessa perde di "rappresentatività", in quanto non tutti possono affidarsi alla stessa identica spinta alla internazionalizzazione e qualcuno, anzi molti, hanno perdurante bisogno del mercato interno e di un legame stabile della produzione col territorio: ergo con la domanda interna.

 

4. Da qui il potenziale conflitto tra due tendenze inconciliabili interne alla oligarchia, almeno per la parte di essa che ancora, forse per poco, si voglia identificare come legata al territorio nazionale: 

- o la definitiva collocazione nella "competizione sui mercati globali";

ovvero resistere alla deriva di smantellamento di tutto il testo dell'industria a controllo nazionale, ad opera degli IDE e delle acquisizioni da parte dei competitor globalizzati esteri;

col risultato che, all'interno della classe imprenditoriale italiana, c'è chi vorrebbe politiche per poter sopravvivere - anche se non le sa indicare per l'incapacità culturale più volte evidenziata- e chi, invece, ha mollato ogni identità legata alla "nazionalità" e al territorio.

 

5. Questo è lo schema generale del conflitto post-"resa" che consente di leggere questo criptico articolo, laddove si parla di questo:

"La Confindustria è letteralmente fuori di sé per Renzi che ormai abitualmente la snobba per fare comunella con il disertore Marchionne. Chissà che ieri a Milano- Expo non abbia timidamente cominciato a palesarsi un nuovo nemico, con Squinzi fin qui aulico zelatore, che — potenza del lessico — ha accennato a una “manina antimpresa” del governo...".

A leggere tutto l'articolo, paiono ripicche e personalismi persino un po' bizzarri: ma questo solo perchè si descrivono acriticamente frizioni tra personalità, e solo sul piano di apparenti geometrie e alleanze interne ad una classe (ormai solo formalmente) omogenea

Insomma, nella ennesima vulgata mediatica, si "narra" di qualcosa che, al lettore, può apparire come il comporsi delle simpatie e antipatie personali all'interno di una grande comitiva, di amici e meno amici, con il consueto formarsi di gruppi più ristretti che si aggregano per ragioni di affinità puramente psicologiche e caratteriali. 

E  questo accade quando, in una fase di assestamento per l'affermarsi di un nuovo ordin€ ("...internazionale dei mercati", ideologicamente Hayek allo stato puro) si fa cronaca senza saper più inquadrare il paradigma sociale ed economico che, pure, si va costantemente supportando: cioè si riportano i fatti della "comitiva" come se fossimo osservatori in "piazzetta", ma senza spiegare dove risieda la sostanza materiale degli interessi in conflitto

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