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Risposta alla risposta del Prof. Umberto Galimberti

Marco Riformetti

Umberto Galimberti ha risposto, dalle pagine della Repubblica delle Donne, ad una domanda sul suo appoggio all'appello per il sì al referendum costituzionale. In appendice, ci sono la domanda e la risposta di Galimberti. Il "botta e risposta" precede l'esito referendario che ha sancito la sconfitta del sì ma l'argomentazione di Galimberti merita di essere segnalata per la sua inconsistenza

Matteo Renzi dimissioni 20Professor Galimberti,

la ringrazio per aver risposto alla mia piccola “provocazione” 1 . Mi dispiace tuttavia dover ammettere che le sue parole hanno suscitato in me una certa delusione. Le sue argomentazioni mi sembrano infatti un semplice riassunto della retorica renzista che tante volte abbiamo ascoltato nei salotti televisivi in questi mesi di interminabile campagna elettorale.

Mi pare che il primo difetto di tali argomentazioni consista nel fatto di dare per scontate cose che scontate non sono affatto. Sebbene le sue siano solo verità per Umberto Galimberti, il modo in cui le pone le fa apparire come verità per tutti. Ad un certo punto parla addirittura di fatti che, come si pensa generalmente, dovrebbero essere incontestabili. Ma lei sa meglio di me che fatti e valori sono sempre strettamente correlati e dunque ciò che a lei appare come un fatto positivo (l’approvazione da parte di questo Governo di una serie di misure) a molti italiani può apparire, e in effetti appare, come un fatto negativo. Ed è lecito supporre che ciò possa dipendere dalla differente prospettiva che c’è tra la friggitrice di un McDonald’s e lo scranno baronale.

Comincerei con il dire che è stato proprio il fatto che Renzi abbia caricato sul referendum il peso del proprio destino politico a far venir voglia a molti di cogliere l’ottima occasione per rimandarlo a Rignano sull’Arno.

Non vedo come questo possa avere a che fare con il comportamento di bambini dispettosi e irrazionali che si esprimono solo in base a sentimenti di amore e odio. Votare no per far sloggiare Renzi mi sembra una valutazione pienamente politica e razionale aldilà del fatto che essa venga o meno condivisa; e del resto il fatto che essa venga compiuta dalla maggior parte degli italiani dovrebbe già dirle qualcosa in merito a quale sia il giudizio che viene espresso sulle misure che lei tanto mostra di apprezzare.

E tengo a precisare che io non tifo affatto per la “dipartita” di Renzi in quanto sonoi convinto che chi lo sostituirà sarà, se non lui, uguale a lui, o anche peggio di lui (sebbene in questo momento mi sia arduo visualizzare cosa ci possa essere di peggio di quello che c’è). La caduta politica di Renzi sarebbe solo una soddisfazione effimera (sebbene riconosca che è meglio una soddisfazione effimera che nessuna soddisfazione).

Detto questo, permetta anche a me di tentare una ricostruzione degli eventi così alla fine potremo verificare quali sono, se esistono, i fatti che condividiamo.

 

1. La sua prima tesi suona più o meno in questo modo: nel 2013 il Buon Bersani non vinse le elezioni e quando propose al M5S di trovare un’intesa fu mandato al diavolo (in modo irrispettoso per una personcina perbene quale lui è). Mi permetto di ricordare en passant che il Capace e Onesto Bersani fu importante ministro nel Governo (D’Alema) che nella primavera del 1999 bombardò la ex-Jugoslavia sotto il comando della NATO, spargendo in quel paese morte, distruzione e uranio impoverito; dico questo affinché la figura del Nostro si completi oltre la parodia amichevole di Maurizio Crozza e per ricordare che non si diventa segretari del PD se non si hanno crimini nel proprio curriculum. Mi pare lei dimentichi, professor Galimberti, che la “trovata” del Capace per risolvere la situazione di impasse non fu altro che quella di chiedere al M5S di appoggiare un governo PD; questo, dovrebbe convenirne, era alquanto improbabile che potesse verificarsi. Io la vedo così: se ti faccio un’offerta che non puoi che rifiutare e poi ti do la colpa per averla rifiutata mi sono aperto la strada per passare al piano B (che poi è il vero e unico piano) ovvero formare un nuovo governone bi-partizan PD-PDL, provando a scaricare la responsabilità della sua formazione proprio sul M5S (cosa che per un periodo era persino riuscita visto il tonfo grillino alle Europee del 2014 e il successo di Renzi con la storia degli 80 denari). E sa cosa penso? Che se anche il M5S, in un eccesso di temerario iper-politicismo, avesse deciso di accettare la proposta indecente del Buon Bersani poi il Buon Bersani avrebbe chiesto al M5S di approvare misure inapprovabili e i grillini sarebbero rimasti con due possibilità: suicidarsi accettandole o suicidarsi buttando giù il governo che avevano concorso a far nascere. Il fatto che i grillini non siano caduti nel tranello dell’Onest’uomo dimostra che sono meno scemi di quello che in genere si pensa.

Ciò che lei vede come necessità – il “patto del Nazzareno” – io lo vedo invece come liber, ovvero come scelta. Le faccio infatti rispettosamente osservare che PD e PDL governavano assieme già prima delle elezioni del 2013, quelle perse dal Brav’uomo; in particolare, appoggiando il governo “tecnico” di Mario Monti sin dal 2011. Voglio dire: il governone bi-pa di Renzi non è stato affatto un’estrema ratio derivante dalla sconfitta del Buono e Onesto bla, bla… visto che c’era anche prima. Ed oso persino avventurarmi nel pronostico che altri governoni bi-pa potrebbero formarsi dopo il referendum (comunque vada a finire) e anche dopo le prossime elezioni perché il tentativo di legge super-truffa potrebbe non andare in porto per una serie di fattori (il principale: la disponibilità dell’elettorato di destra a votare in massa per i grillini al ballottaggio, come si è visto alle recenti elezioni amministrative). Ma qui ci si inoltra nell’ambito del chiaro e confuso.

Ovviamente, un’alternativa al governone bi-pa c’è e consiste nel votare sì al referendum, conferendo a Renzi il mandato politico per concludere l’operazione del “partito della nazione” neo-democristiano. A quel punto un singolo partitone bi-pa prenderebbe il posto del governone bi-pa e delle faticose trattative tra Verdini, Alfano, Renzi, Napolitano e sodali per fare, ça va sans dire, il bene degli italiani. Non è una semplificazione giornalistica alla quale abboccano gli studenti sprovveduti che studiano filosofia a Pisa. È un progetto reale che nasce dal superamento di Forza Italia e che potrebbe “stabilizzare” il quadro politico per molti anni. È, diciamo così, il post-berlusconismo. Potrebbe non andare in porto? Potrebbe, certo, ma solo chi vive su Urano può dichiarare che una tale opzione non esista neppure.

 

2. Lei mi richiama a riconoscere la differenza tra la parte e il tutto. Concesso; ma mi pare che la sua osservazione sia sostanzialmente ininfluente e nominalistica. Le pare forse che siano tutti fratelli gli elettori di “Fratelli d’Italia”? No, ovviamente. Altrettanto ovviamente il “partito della nazione” viene definito in questo modo perché si propone di coprire un arco politico trasversale che va da destra a “sinistra”, mostrando così di non essere di parte, ma animato da uno spirito unitario, nazionale, generale (come dice lei); diciamo, il modo neo-democristiano di superare destra e sinistra. Tutto questo, in termini di elettorato, perché in termini di programma si tratta solo un partito di destra tecnocratico e oligarchico. Tra l’altro, le ho chiesto perché ha aderito all’appello per il sì proprio per la perplessità suscitata in me nel vedere un filosofo che da anni denuncia l’influenza della Tecnica (del Capitale, direi io) nei sistemi politici contemporanei e poi aderisce acriticamente alla propaganda di posizioni che sono appoggiate da tutto l’establishment finanziario, bancario, industriale, intellettuale, mediatico, giornalistico... italiano e internazionale; da Juncker ad Obama, passando per Angela Merkel, l’OCSE, le agenzie di rating, il FMI, JP Morgan, Goldman Sachs, Marchionne, Confindustria… Se vogliamo chiamare il “partito della nazione” più semplicemente “partito di Renzi” si faccia pure ma che differenza farebbe? Nessuna, mi pare. Sarebbe solo un diverso modo di presentarsi del partito che governa da sempre l’Italia: il partito del capitale.

Detto questo, lei avrebbe forse dovuto essere più conseguente con la sua osservazione sulla “parte che è diversa dal tutto”; invece parla di “interessi generali” che dovrebbero prevalere su quelli “particolari” (cosa che a suo dire non sarebbe avvenuta per colpa del ping pong tra Camera e Senato). Qui si potrebbe aprire una lunghissima riflessione, ma mi limito a far osservare che in una società classista e iper-indivualista come quella in cui viviamo non esiste alcun interesse generale (ad eccezione forse della sopravvivenza della specie di cui però le installazioni nucleari e i disastri ambientali denunciano la scarsa considerazione come lei ben sa essendo un cultore del pensiero del filosofo Günther Anders) e che gli interessi sono sempre e solo particolari e spesso anche conflittuali (ad esempio, l’interesse dei lavoratori è quello di essere pagati il più possibile mentre quello dei padroni -pardon, degli imprenditori -è di pagarli il meno possibile). Persino nella hegeliana (e poi marxiana) dialettica servo-padrone, in cui la liberazione del servo è condizione per la liberazione anche del padrone, lo sviluppo delle cose avviene per effetto della lotta del servo contro il padrone: ovvero, il servo deve fare l’interesse del pa-drone contro la sua volontà, diciamo, a sua insaputa. Dire che l’interesse “generale” – che non esiste – non si è potuto fare a causa del bicameralismo perfetto sa cosa significa? Significa dire che Calamandrei, Pertini, Terracini… avevano meno a cuore l’interesse generale di quanto non ne abbiano Renzi, Verdini, Alfano, la Boschi, Rondolino e ovviamente Umberto Galimberti… Si rende conto dove la conduce la sua verve ultra-renziana?

Se lei non ha capito il legame tra referendum, governo e “partito della nazione” non credo che sia per difetto cognitivo, ma forse perché si affida troppo fiduciosamente ai luoghi comuni del renzismo e lascia che a giudicare Renzi sia Renzi stesso. Come avviene quando Renzi afferma che lui non è lì per il potere, ci mancherebbe, ma solo per fare il bene dell’Italia e che se gli italiani non lo capiscono e gli votano contro allora peggio per loro, lui smette di fare politica e così imparano (poi gli infantili e i dispettosi sono gli altri).

A differenza di quello che il discorso ideologico renzista afferma il referendum non è un fine, ma un mezzo. Un mezzo di cosa? Dirà lei. Ma di potere ovviamente, di cos’altro? Il punto è che non si è formato il Governo per fare le “riforme” (come racconta la narrazione dei ri-costituenti Renzi, Alfano, Verdini, Gualmini, Migliore, Napolitano...), ma si è, proprio all’inverso, evocata la scusa delle “riforme” per giustificare la nascita di un Governo (e non solo) che avrebbe dovuto unire Berlusconi e quelli che per 20 anni gli si erano contrapposti (o per lo meno avevano fatto finta di farlo). L’unico terreno su cui giustificare questo matrimonio era quello delle cosiddette “riforme” da fare bi-pa. Quando, come lei ricorda, il Buon Samaritano non riuscì ad impiccare il M5S, nacque la maggioranza Letta-Letta -un Letta a sinistra (Enrico) e uno a destra (Gianni) -che successivamente cadde proprio per mano renzista (ricorda la storia dei 100 “franchi tiratori” PD che impallinarono l’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica? Ricorda, professor Galimberti, il titolo de Il sole 24 ore, house organ di quell’accolita di disinteressati riformatori della Costituzione chiamata Confindustria, “Fate presto!”?). Si erano artificialmente create le condizioni del caos per poi gridare all’emergenza e far così nascere non solo un Governo, ma un vero e proprio progetto costituente. Una congiura di Palazzo ha portato Renzi al potere e lei vorrebbe farci credere che il Palazzo lo ha fatto per farsi rottamare e per essere costretto a cessare i propri intrallazzi? Mi pare che ci sia un limite anche alla credulità popolare (e professorale).

D’altra parte, se rifai decine di articoli della Costituzione, se spacchi il paese così in profondità, se getti tutto il tuo peso istituzionale, se mobiliti la casta giornalistica, universitaria, intellettuale, dello spettacolo, della finanza, se chiedi e ottieni l’endorsement di tutta l’oligarchia italiana, europea, USA… è perché vuoi fare qualcosa di più che vincere un referendum. O no? Se lo fai solo per ridurre il numero dei senatori o abolire il CNEL probabilmente hai bisogno di un controllo psichiatrico. Del resto un recente sondaggio ha registrato che solo l’8% degli italiani considera urgenti le riforme costituzionali e questo Renzi lo sa benissimo e allora perché ha trasformato l’appuntamento del 4 dicembre in vita o morte? Renzi è il frontman di un’operazione che ha, nelle intenzioni e salvo imprevisti, un respiro che va ben oltre l’appuntamento referendario. O lei è davvero convinto del sincero afflato costituzionale del massone Dennis Verdini o dell’erede di Dell’Utri, il Beato Angelino Alfano, o di Miss Etruria? Anche senza spingerci fino alle valutazioni di analisti come Aldo Giannuli (cfr. Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi) è del tutto evidente che ci si è potuti buttare a peso così morto nella competizione solo perché si ipotizzava che, comunque vadano le cose, si possa cadere in piedi. La valutazione che fanno Renzi e le forze politiche e sociali che sostengono Renzi è, a mio avviso, di questo tipo: vince il sì, facciamo pulito, come si dice a Firenze. Vince il no ma noi prendiamo il 47%? Ebbene siamo una coalizione che elettoralmente varrebbe il 30% (Renzi meno sinistra PD più Alfano-Verdini) e che nello scontro “tra Monarchia e Repubblica” vola al 45. Siamo compatti (mentre gli altri sono solo un’accozzaglia che non può né governare, né essere governata). Siamo l’unico perno di qualsiasi governo. Solo con noi si può governare e se servirà arriverà anche l’appoggio di Berlusconi (che infatti ha già dato la sua disponibilità e che ha lasciato che Mediaset tifasse e lavorasse per Renzi in tutta la campagna), magari tramite un Parisi o qualcun altro, e via con altri governoni bi-pa formati da un grosso partitone bi-pa, più quel che resta di Forza Italia, più esuli grillini che non mancheranno in futuro, come non sono mancati in passato, dato che il movimento colabrodo grillino è pieno di infiltrati di altri partiti). Dopo il 4 dicembre Renzi può anche momentaneamente “andare a casa”, ma solo per far crescere il caos e mostrare agli italiani che forse a votare no hanno fatto un errore e che senza Renzi non si va da nessuna parte. È questo che spiega la veemenza con cui si va alla battaglia referendaria, non certo l’importanza di riforme che mi pare non cambino per nulla la struttura fondamentale del paese. Del resto che ci siano 100 o 300 senatori a fare gli interessi del padronato, per i lavoratori, cosa cambia?

Non entro nel merito delle sue valutazioni specifiche sulla riforma e sulla legge elettorale perché mi pare che lei si attesti su posizioni ormai già superate (sono infatti convinto che il premio diventerà di coalizione, visto che bisogna pur far sopravvivere Alfano-Verdini se il partito della nazione non viene varato, e il ballottaggio attuale deve scomparire per evitare la vittoria dei grillini).

 

3. Mi ha molto stupito il suo appello a “sottometterci alla globalizzazione del mercato” e penso che quello della sottomissione sia in ogni caso un pessimo messaggio da parte di qualcuno che ricopre posizioni di potere culturale. Ho ricevuto diverse email di lettori che la seguono su D e che hanno letto la sua risposta (tra l’altro è solo così che ho scoperto che mi aveva scritto); uno mi ha “accusato” di essere marxista e utopista. Non so come abbia dedotto in modo così brillante dalle poche righe che le ho inviato queste mie caratteristiche, ma ci ha preso (forse la Rete aiuta ad identificare gli sconosciuti). In effetti ho l’ambizione di diventare/considerarmi marxista e penso blochianamente che utopia e speranza siano due dimensioni importanti della vita e della politica. Del resto utopico è qualcosa che non è in nessun luogo (del presente). Ma chi dice che ciò che non esiste non può esistere? L’utopia può essere anche pensare il mondo che ancora non esiste come proiezione e sviluppo del mondo che esiste, dunque realisticamente, non in modo fantastico. So che lei non ama molto Ernst Bloch e le ho letto scrivere una volta che la parola speranza dovrebbe essere abolita. Io non la penso così. Anzi, penso che la speranza concreta che si dipana a partire dal mondo esistente e lo supera, guarda oltre, immagina… è una capacità fondamentale senza la quale non resta, appunto, che sottomettersi al Principe di Rignano e farsi suo cortigiano.

Il paradosso, tuttavia, è che la sua realpolitik è ormai completamente irrealistica; perché se è vero che la globalizzazione è una dinamica oggettiva del mondo di produzione capitalistico è altrettanto vero che tende a produrre feedback sempre più evidenti come il populismo neo-nazionalistico, il voto a Trump, la Brexit… Tutti fenomeni certamente assai deprecabili e da combattere, ma non certo per difendere l’establishment finanziario e industriale del capitale, come fa lei, bensì per distruggerlo da un altro punto di vista, diciamo, rivoluzionario. A lei parrà certamente un proposito velleitario, “utopistico”, non realistico, ecc… A tutti coloro che non vogliono il cambiamento ogni idea di cambiamento appare sempre insensata. In questi giorni è morto Fidel Castro. La sua impresa cominciò dopo uno sbarco drammatico e la fuga di 17 persone sulla Sierra; finì con la liberazione di Cuba, uno degli eventi più importanti del ‘900. Mi sembra un insegnamento più interessante del suo sottomettiamoci alla globalizzazione e a Renzi.

 

4. Nel suo ultimo punto lei fa una serie di valutazioni positive sulle misure condotte dal Governo in materia di diritti civili, scuola, lavoro… Io non sono solo uno studente; sono anche e soprattutto un lavoratore e le posso assicurare che grazie al Jobs Act nessuno ha abbandonato il precariato. Al contrario, il precariato è aumentato. I posti di lavoro di cui lei parla sono semplici trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tutele crescenti per intascare i lauti incentivi statali. Travisare la realtà non le fa onore. E comunque, a difendere l’efficacia reale del Jobs Act (senza incentivi) come creatore di posti di lavoro ormai sono rimasti solo i renzisti ad oltranza come lei, Fabrizio Rondolino, Maria Teresa Meli, Matteo Renzi, Agnese Renzi… ma se lei conoscesse minimamente il mondo del lavoro e non solo il mondo ovattato della baronia universitaria saprebbe che il Jobs Act prevede la possibilità di licenziare i lavoratori in ogni momento: questa non è la fine della precarietà, ma il massimo possibile di precarietà. Pro-vi a farsi questa domanda: chi ha sostenuto il Jobs Act con più forza? Confindustria. Le pare che Confindustria passi il tempo a studiare i sistemi per migliorare la condizione dei lavoratori e per ridurre la loro precarietà? Pensa questo, professor Galimberti?

Voglio farle un semplice esempio di cosa produce questa riforma che a lei piace tanto (al punto di liquidare l’abolizione dell’articolo 18 come qualcosa che “non riguardava così tante persone”). Ma prima le faccio capire con un piccolo dato quanto lei sia impregnato di ideologia padronale, quanto la sua conoscenza del mondo sia inversamente proporzionale alla sua arroganza. La CGIA di Mestre ha fatto uno studio dal quale emerge questo: “Articolo 18: interessa solo il 3% delle imprese, ma tutela il 65% dei dipendenti italiani”2. A lei il 65% dei lavoratori italiani possono sembrare nulla, ma il 65% dei lavoratori italiani pensano che essere tutelati è giusto e lo pensano anche il 35% restante che confida, prima o poi, di accedere a quelle tutele (mentre adesso nessuno le raggiungerà più grazie al suo “Governo del fare alla svelta”). E veniamo all’esempio: un padrone – pardon, un imprenditore – palpeggia una lavoratrice. Lei lo denuncia. Vanno in tribunale e viene fuori una testimonianza o un video o una registrazione… che da ragione alla lavoratrice. Il giudice condanna il “datore” per molestia, ma la lavoratrice perde comunque il lavoro. È questo il mondo del lavoro che lei -che si definisce un “greco” nei suoi spettacoli filosofici – auspica? Lei vuole lavoratori ridotti al silenzio sottomessi a padroni che possono disporre della loro vita in ogni modo? Vuole governi che non devono cercare nessuna mediazione, ma poter decidere in quattro e quattr’otto ogni ciò che il padronato – pardon, l’impresa – ordina loro di “decidere”? Vuole cittadini che non decidano nulla perché la globalizzazione ordina e noi possiamo solo sottometterci? Direi di sì, è proprio questo che lei vuole.

Visto che intendo concludere non presenterò tutti gli argomenti che dimostrano come le sue affermazioni sulla “velocità decisionale” siano solo chiacchiere propagandistiche (come ad esempio quello che l’Italia è seconda solo alla Germania in quanto a leggi approvate o quello che le leggi che interessano al potere vengono approvate in un lampo o quello che, se si voleva aumentare la produttività dei parlamentari, bastava imporre una presenza minima in Parlamento del 70-80% invece di permettere a certi parlamentari di raggiungere vette del 99% di assenze...). Le domando solo un’ultima cosa. In che senso è “greco” un filosofo che non ama la convocazione del popolo nel processo decisionale, un filosofo che pensa che le decisioni debbano poter essere prese dal potere rapidamente, senza ostacoli, senza mediazioni?

Cordialmente Marco Riformetti


Note
1 In appendice la mia email e la risposta di Umberto Galimberti su D di Repubblica.
2 http://www.cgiamestre.com/articoli/9465

* * * *

Appendice

D di Repubblica, n. 186, 26 novembre 2016

Sono uno studente di filosofia di Pisa e mi sono imbattuto per caso nella lista dei 250 intellettuali che appoggiano la “riforma” della Costituzione di Renzi. Mi ha molto sorpreso constatare che lei ha sottoscritto l’appello dando una mano, di fatto, al progetto del partito della nazione che nella vittoria referendaria (se vi sarà) poggerà le basi del suo sviluppo. Lei è favorevole al partito diretto da Renzi, Alfano, Verdini? Cosa l’ha spinta addirittura a firmare l’appello? So che non si fanno domande politiche dirette, ma sono dispiaciuto che anche il suo nome possa essere annoverato nella lista dei fiancheggiatori di uno dei governi peggiori della Repubblica, che massacra i lavoratori e omaggia Marchionne.

Marco Riformetti
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Umberto Galimberti risponde a Marco Riformetti
SÌ O NO AL REFERENDUM?

Chi le fa fare quel cortocircuito per cui dire sì al referendum significa appoggiare il partito della nazione? Glielo fanno fare gli slogan politici e le semplificazioni giornalistiche da cui uno studente di filosofia dell’Università di Pisa dovrebbe guardarsi.

Ricostruiamo la situazione:

  1. Il Pd a guida Bersani non ha vinto le elezioni perché al Senato non ha ottenuto la maggioranza che gli avrebbe consentito di governare. Ha cercato un’intesa col Movimento 5 stelle, ma ha ricevuto un secco no, e neppure in maniera elegante e con il rispetto che si deve a un politico che ha sempre dimostrato capacità e onestà. A questo punto non restava che il governo delle larghe intese con il centrodestra di Berlusconi, Alfano e Verdini. In occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica Mattarella, Berlusconi si sfilò e ad appoggiare il governo restarono Alfano e Verdini. Senza il loro appoggio e voto in Senato non si sarebbe potuto governare e prendere alcuna decisione in un periodo di crisi economica dove le decisioni sono urgenti. Il partito della nazione non è mai esistito e mai esisterà perché è un non senso. Lei da filosofo sa che la parte (il partito) non è in nessun modo in grado di abbracciare il tutto (la nazione).Sono 30 anni che si invoca la riforma della seconda parte della Costituzione per evitare che le leggi rimbalzino da Camera a Senato e viceversa, ritardandone la promulgazione, annacquandole in questo andirivieni e rendendole pieghevoli ai desiderata di interessi particolari che non coincidono con quelli generali. Con questa riforma, che non è perfetta (avrei preferito l’abolizione secca del Senato), almeno c’è una riduzione di parlamentari e una sola Camera che decide. C’è poi la legge elettorale che dà il premio di maggioranza al partito (e non alla coalizione) che vince. E anche questo lo trovo positivo perché: a) escono leggi che non sono frutto d’interminabili mediazioni tra partiti coalizzati che rappresentano interessi diversi; b) il partito che governa si prende le sue responsabilità senza scaricarle sugli alleati coalizzati, e ha un tempo congruo (cinque anni) per governare, ponendo fine a quella girandola di governi di breve durata che hanno caratterizzato la politica dal dopoguerra a oggi, con conseguente inefficacia escarsissima credibilità all’estero, dove i nostri interlocutori devono incontrare ogni anno un premier. Lascio immaginare l’effetto, la nostra credibilità e soprattutto la nostra possibilità di aver parola in Europa.
  2. Un mondo regolato da un mercato globale colloca imprenditori e dipendenti non più l’uno contro l’altro, ma entrambi dalla stessa parte, e come controparte le leggi del mercato. Leggi crudeli (siamo comunque stati noi occidentali a ergere il mercato e il denaro che lo esprime a unico generatore simbolico di tutti i valori), che nessun individuo, nessuna società, nessuno Stato può pensare da solo di cambiare. E allora se non vogliamo solo sognare, a questa globalizzazione del mercato dovremo adeguarci, soprattutto oggi in cui si assiste al passaggio del potere decisionale dalla politica all’economia.
  3. Se questo è il contesto, la politica, anche se il suo margine di decisionalità è stato ridotto, deve essere rapida nel decidere, senza paralizzarsi in un eccesso di mediazioni, com’è avvenuto con la riforma del lavoro bloccata sull’Articolo 18, che non riguardava così tante persone e non riguardava i giovani che in 450mila, grazie a questa riforma, hanno potuto abbandonare il precariato, così come 100mila professori, nonostante si siano sentiti “deportati” dalla riforma che li ha messi in ruolo. Non parliamo delle unioni civili approvate senza mediazione con gli organi ecclesiastici, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, la riduzione dell’Irap agli imprenditori. Questi sono fatti. E chi vota no al referendum perché ha le sue buone e argomentate ragioni, fa benissimo. Ma chi vota no per fare un dispetto a Renzi non è un buon cittadino, ma un bambino che non sa ragionare se non in termini di amore e odio.

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