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ilponte

Democrazia procedurale

di Giancarlo Scarpari

RENZI AGF kquC 835x437IlSole24Ore WebAlcuni deputati all’Assemblea costituente avevano coltivato ed elaborato un progetto ambizioso, quello di dar vita non a un semplice Stato di diritto (tripartizione di poteri, pesi e contrappesi istituzionali, rappresentanza tramite elezioni, diritti di libertà, ecc.), bensì a uno Stato sociale di diritto, una repubblica, cioè, che non si limitava ad assicurare a tutti l’eguaglianza formale davanti alla legge, ma che assumeva su di sé il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitavano, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.

Questa proposta, elaborata da Lelio Basso e formalizzata nel capoverso dell’art. 3, costituiva dunque un impegno rivolto al presente e soprattutto al futuro; introduceva, nell’architettura liberale delle istituzioni del nuovo Stato, un vincolo per governo e parlamento diretto a rimuovere, progressivamente, storiche ineguaglianze e rendere così finalmente concreti quei principi di una democrazia formale destinati altrimenti a rimanere sulla carta. Ma questo impegno, come fu approvato, fu subito disatteso.

Nettamente contrari a questa norma si dichiararono i giuristi del “partito romano”, allora egemone in Vaticano, che, chiedendosi allarmati con padre Messineo «quali fossero gli ostacoli di ordine economico e sociale che la Repubblica ha il compito di rimuovere», paventavano che alcune forze politiche potessero individuare tra questi ostacoli la proprietà e la religione, sì da spalancare, con questa norma così interpretata, le porte a un vero e proprio «totalitarismo di Stato».

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marx xxi

La battaglia attorno al PCI

di Lamberto Lombardi*

Riceviamo da Lamberto Lombardi

lavoro cccp manifestoTrent'anni fa, poco prima del suo settantesimo compleanno, finiva il PCI, per scelta quasi unanime dei suoi dirigenti e con plauso unanime e spesso ironico dei suoi avversari. Fu seguito, in pochi anni, dalla scomparsa di tutti gli altri Partiti della Prima Repubblica.

Trent'anni è un lasso di tempo ampio che ha consentito di sistemare, magari immeritatamente, i La Malfa, gli Zanone, i De Martino, Nenni, e perfino Andreotti, nell'indisturbato album dei ricordi, quello da riaprire solo nelle ricorrenze comandate. Non così è per il PCI.

Sorprendentemente gli sforzi imponenti di collocarlo su di un binario morto della Storia sembrano fallire ripetutamente e lo riscontriamo nell'opinionistica borghese, e non solo in quella espressasi intorno al centenario della sua nascita, lo ritroviamo in quel suo atteggiamento di attenzione non placata, tra il livoroso e lo sprezzante, ma anche in una sua curiosità mai attenuata, volta ad indagare una storia che in nessun modo si è riusciti a ridurre a inerte stereotipo.

Sarà per l'insostenibile leggerezza della politica italiana di oggi, sarà per la dimenticabile teoria dei suoi personaggi e delle sue vicende dimenticate in poche settimane, sarà per l'inveterata abitudine e necessità degli opinionisti nostrani a fare settimanalmente professione di anticomunismo, sarà per un oscuro e non confessabile rimorso, sarà che di quella storia siano in pochi ad averci davvero capito qualcosa, sarà, infine, che quel vuoto non è mai più stato davvero politicamente riempito, ma ci pare che attorno al PCI sia ancora in atto un'aspra battaglia nonostante nulla sembra esistere che la imponga all'ordine del giorno.

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contropiano2

Cina. Il nodo del socialismo, dalla conquista del potere alla costruzione della società

di Francesco Piccioni

cina conquista potereUn pianeta poco conosciuto, molto favoleggiato. Siamo stati tutti maoisti, almeno per giorno, ma non è che sapessimo molto di più di quanto scritto da Mao nei suoi libri (o anche solo nel “libretto rosso”). Qualcuno ha approfondito, certo, ma “la massa” dei militanti si fermava alle parole d’ordine generali.

Il movimento comunista in Occidente d’allora, e soprattutto il movimento del ‘68, si accontentava di trovare un’alternativa appassionante, stante l’insofferenza per il “socialismo reale” brezneviano.

Ovvero, le “guardie rosse”, “bombardare il quartier generale”, “potere alle masse” e non alla burocrazia.

Una ricezione molto ideologica, per forza di cose. Non del tutto sbagliata, ma indubbiamente parziale.

Poi la rottura dell’incanto: la morte di Mao, il ritorno di Deng, “arricchitevi”. La delusione che produce disinteresse. Di lì uno sguardo sempre più distratto su quel pianeta, considerato ad un certo punto “acquisito al capitalismo”.

Il lento ritorno all’analisi è parallelo alla crescita di rilevanza economica e tecnologica.

La pandemia e la crescita dei consumi hanno costretto tutti a riflettere nuovamente. A porsi domande, prima di sparare risposte piene di nulla.

La prima cosa su cui bisognerebbe riflettere seriamente è la differenza essenziale tra la lotta per la conquista del potere politico e la successiva costruzione della società. Quanto a tipo di partito, tipologia dei quadri, competenze utilizzabili, pianificazione dell’azione, priorità nel rapporto avanguardia-masse. Fare i guastatori del sistema dominante e gestirne/costruirne un altro, anche intuitivamente, sono mestieri differenti.

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blackblog

Adorno, la destra radicale e la democrazia totalitaria

di Thomas Meyer

210122 adornoL'ascesa del populismo di destra in questi ultimi anni, richiede una spiegazione. Più volte, in diversi momenti, è stato sottolineato che i movimenti di destra degli ultimi anni non cadono semplicemente dal cielo, ma devono essere visti nel contesto del neoliberismo e delle sue convulsioni sociali di questi ultimi decenni. Secondo Wilhelm Heitmeyer [*1], l'autoritarismo, così come viene espresso e rivendicato dai populisti o dai radicali di destra, si trova già racchiuso e contenuto nel neoliberismo, il quale si presenta sempre come senza alternativa. L'erosione dei processi democratici, la liquidazione della rete sociale, il potenziamento dello Stato di polizia, la fondamentale insicurezza sociale e la resa immediata dell'individuo agli imperativi della valorizzazione del capitale rendono evidente l'autoritarismo del regime neoliberista [*2]. Infine, ma non meno importante, la quota percentuale verificata della popolazione che ha una visione razzista del mondo, è aumentata costantemente nel corso degli anni. Di conseguenza, oggi abbiamo un alto potenziale di «misantropia centrata sul gruppo» che non è affatto una novità degli ultimi anni. [*3]

Le strategie di destra puntano a «spostare i confini di ciò che può essere detto». Indubbiamente, anche la «borghesia volgare» (Heitmeyer) ha contribuito a questo, come appare chiaramente nelle opere di Sloterdijk [*4] e di Sarrazin [*5]. Come scrive Heitmeyer, è «un fatto che, sotto un sottile strato di maniere civili e gentili ("borghesi") si nascondono atteggiamenti autoritari che diventano sempre più visibili, generalmente nella forma di una retorica sempre più rabbiosa» [*6].

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cumpanis

Per un nuovo protagonismo dei comunisti in Italia

di Ascanio Bernardeschi

bernardeschi fotocavallorosso per un nuovo protagoismoLo scopo di questo contributo non è una ricostruzione storiografica delle vicissitudini attraversate dal Pci nel corso della sua esistenza ma quello di partire da alcuni snodi di questa storia per trarne alcune lezioni utili per il presente. Tuttavia, ai fini di questa riflessione mi pare utile un sommario richiamo a tali snodi, consapevole del rischio di tediare i tantissimi compagni per i quali un tale sunto appare superfluo.

A seguito del grande evento della rivoluzione di Ottobre, ma anche della sconfitta dell’occupazione delle fabbriche, favorita sia dalla linea opportunista dei riformisti che dall’incapacità di direzione politica dei massimalisti, Antonio Gramsci e il gruppo dirigente che lo circondò intesero a costruire un partito in cui la solida impostazione teorica e l’internazionalismo proletario si sposassero con la presenza attiva all’interno delle classi lavoratrici, con un’organizzazione ferrea e con l’iniziativa politica. La pratica del centralismo democratico, l’idea della costruzione del partito prioritariamente nei luoghi di lavoro all’interno dei quali introdurre forme di democrazia consiliare, l’approntamento di strumenti di comunicazione e propaganda idonei – considerate l’epoca e la situazione – erano funzionali a questo molteplice compito.

Perfino negli anni bui della clandestinità sotto il regime fascista, in quelle durissime condizioni, non venne meno tale impegno e il Partito riuscì ad aderire, nei limiti consentiti dalla situazione, alle pieghe della società e a costruire un reticolo di cellule in cui l’iniziativa politica, quale per esempio la diffusione della stampa clandestina, si abbinava alla formazione dei quadri. Lo stesso carcere fu per molti l’“università” che permise di far crescere quadri dirigenti di grande valore.

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lordinenuovo

Il vaccino chi salverà?

di Luca De Crescenzo

I. L’economia politica dei vaccini

LON 20210127 190941 505761 908x600Il mondo ha festeggiato il nuovo anno all’insegna del vaccino, nella speranza di potersi mettere alle spalle quello appena trascorso, guarendo definitivamente dalla pandemia che l’ha colpito. Con il taglio delle scorte e i ritardi nelle consegne delle dosi di Pfizer e AstraZeneca, l’entusiasmo ha cominciato a lasciar spazio alla preoccupazione. Il punto è che non basta un farmaco a fare la cura. Vale per l’individuo ma vale anche per la popolazione. Per la fisiologia dell’organismo le condizioni di vita incidono sul decorso di una malattia quanto la medicina pensata per curarla. Per quella dell’intera umanità, la modalità e la velocità con cui la medicina viene distribuita e prodotta incidono quanto il suo profilo farmacologico. L’economia politica è la farmacocinetica delle masse. Nel caso della pandemia da Covid, più spazio e tempo di diffusione si concede al virus, più strade gli si offrono per mutare, per diventare non solo più virulento o infettivo ma anche eventualmente capace di aggirare le protezioni immunitarie suscitate dai vaccini, vanificandone l’efficacia e ricominciando il ciclo. L’epidemiologo evoluzionista Robert Wallace ha chiamato “molteplicità di gregge”1 questa possibilità di esplorazione concessa al virus, in contrapposizione a chi riteneva che lasciargli libertà fosse la strada per raggiungere “l’immunità di gregge”. Un illusione svanita con i brividi suscitati dall’emergere delle varianti prima inglese, poi sudafricana e ora brasiliana. Come ha detto Philip Kraus, che coordina il gruppo di esperti sui vaccini dell’OMS, “la rapida evoluzione di queste varianti suggerisce che se è possibile che il virus evolva un fenotipo resistente ai vaccini, questo può accadere prima di quanto sperassimo”2. In questa corsa alle armi contro il virus, il sistema immunitario della nostra società soffre di pericolose patologie.

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iltascabile

La guerra a Big Tech

di Francesco Del Vecchio*

Amazon, Apple, Google e Facebook sono sotto indagine negli Stati Uniti, dopo anni di mosse controverse

Schermata 2021 01 27 alle 09.29.15 1440x708Nei giorni dell’attacco a Capitol Hill, Facebook, Twitter e altri social network hanno preso decisioni senza precedenti nei confronti di Trump, rimuovendo post e profili legati all’ex presidente. C’è chi ha accusato le piattaforme di censura e chi invece ha rinfacciato loro di essere intervenute troppo tardi e in maniera puramente simbolica dopo anni in cui hanno hanno avuto un ruolo fondamentale proprio nel normalizzare e diffondere messaggi violenti. Una contraddizione e un conflitto che hanno comunque ricordato a tutti la centralità che i social occupano oggi nel dibattito pubblico. Le conseguenze dell’assalto al Congresso, tuttavia, rischiano di nascondere quella che fino a qualche mese fa era stata la storia centrale nel confronto tra la politica statunitense e Big Tech (Facebook, appunto, e Amazon, Apple, Google) e che riguarda la lotta al monopolio dei colossi tecnologici, contro cui la politica americana sembra (o almeno sembrava) aver trovato un accordo pressoché totale.

Lo scontro è esploso nello scorso ottobre, giungendo all’avvio di un processo contro Google da parte del Dipartimento di Giustizia statunitense. “Per molti anni, Google ha usato tattiche anticoncorrenziali per mantenere ed estendere il suo monopolio sul mercato dei servizi di ricerca generale e sulla pubblicità di ricerca, ovvero i pilastri del suo impero”, si legge nelle 57 pagine dell’accusa. Il Dipartimento di Giustizia ha evidenziato anche le differenze tra la Google di vent’anni fa, nata come una promettente start-up con un metodo di ricerca innovativo, e quella di oggi, ovvero “un monopolio che detiene il controllo totale di internet”.

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marx xxi

Alle origini della Bolognina e della «mutazione genetica» del Pci

Un contributo per tenere aperta la riflessione storica

di Fausto Sorini e Salvatore Tiné

In occasione dei 100 anni della nascita del Partito Comunista d'Italia riproponiamo questo articolo

conclusioni politicheNell’analisi delle cause piú profonde del processo di «mutazione genetica» del Pci, destinato a sfociare nella svolta della Bolognina e quindi nella sua tragica auto-dissoluzione, è necessario riprendere la riflessione sulla storia dei comunisti italiani dal 1945 al 1989. Si è trattato infatti di un processo storico profondo, ma tutt’altro che lineare e fino alla fine sempre aperto a sviluppi e a esiti diversi e perfino contrapposti tra loro: la «mutazione genetica» che gradualmente e nelle forme di una trasformazione tanto profonda quanto «molecolare» ha investito una parte importante dei gruppi dirigenti a tutti i livelli del partito, la loro prassi concreta come la loro ideologia e cultura politiche, nel corso dei drammatici e travagliatissimi anni Settanta e Ottanta, ha incontrato ostacoli e resistenze tenaci, generando sempre contraddizioni e conflitti anche aspri, non solo tra i quadri del partito, ma anche nel suo corpo, ovvero nella massa degli iscritti e dei militanti. Sappiamo che il tema delle cause della «mutazione genetica» del Pci è destinato a rimanere ancora per molto tempo oggetto di una riflessione aperta e problematica. Ma sarebbe assai negativo non discuterne, non affrontare nemmeno o rimuovere il tema di enorme rilievo storico e politico, o riducendo tutto ad un colpo di testa dell’ultima ora della gestione occhettiana.

Non c’è dubbio che con la segreteria di Achille Occhetto la mutazione giunge a compimento. Serve un pretesto, un’occasione propizia per giustificare una svolta drastica, in un partito in cui forte è ancora il legame degli iscritti e dei militanti con il suo nome e i suoi simboli legati alla tradizione della III Internazionale.

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lafionda

Le radici social-liberiste del PCI

di Thomas Fazi

neoliberismIn un recente articolo ho ripercorso l’importante dibattitto economico che ebbe luogo nel 1976 nelle file del PCI, che portò il partito, nonostante il suo miglior successo elettorale di sempre – nelle elezioni politiche di quell’anno il Partito Comunista ottenne il 34 per cento dei voti, poco meno della DC –, ad offrire la sua adesione incondizionata alle politiche di austerità e di moderazione salariale promosse dal governo monocolore DC, sostenuto dal PCI nella forma dell’appoggio esterno al governo di solidarietà nazionale, e come quella svolta “economica” abbia rappresentano il primo passo verso la svolta “politica” che quindici anni dopo avrebbe portato alla morte del partito.

In quella sede, però, per ragioni di spazio, non ho approfondito le ragioni che portarono il PCI a prendere quella decisione, così determinante per il futuro del partito. È opinione diffusa secondo gli esponenti della sinistra contemporanea che esse vadano rintracciate unicamente nella difficilissima congiuntura storica in cui si trovava il nostro paese – e in particolare il PCI – e che la “disputa accademica” tra gli economisti vicini al partito, oggetto del mio articolo succitato, abbia avuto un ruolo del tutto marginale.

Come ha scritto l’amico Mario Monaco in un commento a margine di quell’articolo,

«l’azione politica del Partito Comunista va calata nella realtà difficilissima dell’epoca, nella quale il PCI dovette fare fronte a tentativi stragisti e golpisti, a movimenti alla sua sinistra che non vedevano l’ora di fare la festa a Botteghe Oscure, a forze reazionarie di ogni risma all’interno di un paese cattolico, socialmente conservatore e con un fortissimo tessuto imprenditoriale nel centro-nord del paese, il tutto in presenza di una scelta di campo politica, strategica, economica e oserei dire ideologica, fatta dall’Italia nel 1948».

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cumpanis

Il PCI contro l’Europeismo

Riflessioni sul volume di Luca Cangemi

di Salvatore Tinè

Il cambiamento progressivo della linea del PCI sull’Unione europea (linea che passa, nei decenni, da una netta contrarietà ai processi di unificazione sovranazionali di stampo capitalista ad una totale accettazione dello spirito e della pratica di quei processi) è sicuramente un segno tra i più significativi della mutazione della natura del PCI. In questo “Speciale” ripubblichiamo la densa recensione di Salvatore Tinè dell’importante libro di Luca Cangemi “Il PCI contro l’europeismo” (1941-1957), nel quale libro si evidenziano le involuzioni del Partito Comunista Italiano in relazione alle questioni dell’unità europea

Brigata Garibaldi 01 2Il libro di Luca Cangemi, Altri confini. Il PCI contro l’Europeismo (1941-1957), è un libro importante. Importante in una duplice prospettiva, ovvero sia per la ricostruzione e riflessione storiche sulla genesi e la prima fase del processo di integrazione europea che ci propone e che costituisce lo sfondo del tema specificatamente trattato nel libro, ossia l’evoluzione della posizione dei comunisti italiani sui progetti e i processi di unificazione dell’Europa occidentale negli anni tra il 1941 e il 1957, sia per la profonda riconsiderazione critica di un periodo della storia del comunismo italiano.

Si tratta del periodo compreso tra il ’47 e la crisi del ’56, ovvero tra la fine dell’unità antifascista e l’inizio della cosiddetta “destalinizzazione”, solitamente considerato dalla storiografia, anche di orientamento “comunista” in una prospettiva sostanzialmente negativa, quando non puramente liquidatoria e che invece nella rigorosa e documentata ricostruzione di Cangemi ci appare come un periodo di importanza addirittura decisiva nella definizione di alcuni dei tratti essenziali più originali dell’identità culturale e politica del PCI di Togliatti.

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lacausadellecose

Post scriptum

all’articolo Usa gennaio 2021: il dito indica la luna

di Michele Castaldo

Il dito e la luna conta piu il consumatore o il venditore e1605861677947In riferimento al mio articolo «Usa gennaio 2021: il dito indica la luna», alcuni compagni mi hanno scritto sollevando osservazioni critiche che qui riassumo, e che mi forniscono l’opportunità per ritornare su questioni molto complicate.

Scrive il compagno Gerardo:

« Ho letto il tuo articolo, mi è sembrato, comunque, un po' equivoca la tua posizione riducendo tutto al fattore economico quel che è successo lì, fattore che è fondamentale ma non sufficiente. Mi è sembrato, ad un certo punto che sostenessi, quasi, essere di fronte ad una situazione pre-rivoluzionaria, mentre per me era semplicemente un fenomeno di rivoltosi-razzisti (non c'era un solo nero) sostenuti da un miliardario delinquente che vedono in pericolo il loro stile di vita di bianchi privilegiati (Marx li chiamava Lumpenproletariat). Io mi sento più vicino a quel che sostiene Franco Berardi- Bifo (già esponente del movimento del '77 vicino ad Avanguardia Operaia) in un articolo ».

Dunque il compagno Gerardo muove una prima critica che si potrebbe definire di economicismo, cioè farei risalire tutto quanto accaduto a fattori economici; e aggiunge che « è fondamentale ma non sufficiente ». Ma il compagno pur ammettendo che i fattori economici sono fondamentali, sostiene che non sono sufficienti. Dunque ci sarebbero anche antri fattori, e certamente ci sono, ma il punto in questione non è negare o affermare l’esistenza di altri fattori, ma di definire se le cause scatenanti – dunque fondamentali - che hanno portato prima decine di milioni di persone a votare per un personaggio come Trump e poi addirittura a scendere in piazza e tentare di dare l’assalto al Campidoglio, ritenuto il luogo sacro della democrazia nel paese più “democratico” del mondo, sono o no di natura economica, altrimenti si rischia di non riuscire a focalizzare la questione di fondo di questa fase.

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tempofertile

Incroci, corrispondenze, potere, tecnologia: social e censura

di Alessandro Visalli

Olivetti Programma 101 Museo scienza e tecnologia MilanoMeryle Secrest, in una biografia del 2019[1], tratteggia da consumata professionista quale è lo straordinario cespuglio di coincidenze, intrighi, interessi e casi che fermarono, tra il 1959 ed il 1963 la possibilità che il significativo vantaggio acquisito nello sviluppo dell’information technology di massa da un’innovativa e influente azienda italiana, ed il suo creativo management tecnico, producesse effetti imprevedibili e mettesse in prospettiva a rischio la stessa egemonia americana. Si tratta di una nuova biografia di Adriano Olivetti che descrive la parabola della fabbrica, dalla fondazione da parte del socialista Camillo, padre di Adriano, fino alla gestione de Benedetti, dal 1978. L’azienda cresce nel settore apparentemente marginale delle piccole macchine per ufficio e si fa strada grazie ad un mix straordinario di innovazione tecnica, sagacia imprenditoriale, cura per la qualità e il design, amore per il territorio e attenzione al fattore umano. Non è la sede di richiamare questi aspetti, per i quali rimando ai post[2] scritti sul tema.

L’azienda cresce, sotto la guida di un sognatore pratico e non esente da capacità di adattamento anche nelle relazioni politiche e internazionali. Negli anni del fascismo Adriano, che accompagnerà personalmente l’amico Turati fuori del paese, riesce infatti, pur essendo di origini ebraiche, a conservare un rapporto con il regime mentre lavora segretamente alla sua caduta. Triangolando con i servizi angloamericani dell’Oss, in particolare con una figura chiave come Angleton, con lo pseudonimo di mr Brown, si impegna negli ultimi anni della guerra a tessere una rete di contatti trasversale, tra i partiti antifascisti in Italia e all’estero, e rapporti con rami della famiglia reale, per cercare di favorire la caduta del regime.

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contropiano2

Scene di un declino, in diretta tv

di Dante Barontini

A seguire un articolo di Guido Salerno Aletta

congresso soldati usa 6Gli Stati Uniti sono oltre l’orlo della crisi di nervi. E si apprestano ad assistere al giuramento del nuovo Presidente in un clima da stadio d’assedio.

Il declino è evidente per tutti, tranne che per “gli amici dell’Amerika” installati nei governi o nelle direzioni del media (Repubblica e Corriere su tutti). O meglio: se ne accorgono anche loro, ma subito gli parte la “narrazione” secondo cui ora cambia tutto. Va via Trump il cazzaro, arriva Biden il solido vecchio attrezzo, e si ricomincia come prima.ome sempre in politica, e anche in geopolitica, tocca guardare ai dati materiali – ricchezza, interessi, commerci, ecc – molto più che alle dichiarazioni politiche.

E i dati dell’Amerika sono impietosi.

Spiega su Teleborsa l’ottimo Guido Salerno Aletta che gli Usa sono diventati il più grande debitore al mondo.

alla fine del terzo trimestre dello scorso anno, la posizione debitoria finanziaria netta degli USA verso l’estero (IIP) ha raggiunto il record negativo di 13.950 miliardi di dollari: a fronte di attività detenute per 29.410 miliardi ha passività per 43.360 miliardi. Rapportata al PIL, è arrivata al 66%.

Per fare un paragone, stanno messi peggio solo i Paesi colpiti dai default bancari e del debito pubblico a seguito della crisi finanziaria del 2008: l’Irlanda ha un debito estero pari al 172% del PIL, la Grecia al 151%, la Spagna al 74%.”

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perunsocialismodelXXI

Dopo l'uomo nero, la Roccia Nera

di Piero Pagliani (Piotr)

blackrock 678x381Trump non era un rivoluzionario e quindi non poteva fare nessuna rivoluzione. Ha fatto finta di promuoverne una, tutta interna al grande schema capitalistico e imperiale, creando aspettative e raggiungendo alcuni successi, pochi di tipo materiale, molti di più di tipo ideologico in quanto si è fatto interprete del trumpismo, un fenomeno sociale preesistente alla sua corsa alla Casa Bianca: in sintesi, ha fatto smaltire i sentimenti di rivalsa dei deplorables (mai altro termine fu più rivelatore dei sentimenti politici e morali di chi lo utilizzò) che non ne potevano più dell'ipocrisia dei buoni sentimenti di chi li licenziava, gli portava via la casa, li impoveriva, toglieva il futuro a loro e ai loro figli, mentre si arricchiva a dismisura. Di conseguenza, in varia misura i cattivi sentimenti hanno iniziato o ricominciato a diventar popolari.

Trump ha costruito poco e prodotto molti pasticci inconcludenti, tuttavia ha creato apprensione nei suoi avversari che sapendo che tutto il sistema è in bilico precario, hanno tremato al pensiero che un falso profeta, senza spina dorsale e casinaro, facente parte della loro stessa risma, come Trump, mettesse a repentaglio quell'equilibrio anche solo facendo “Bù!”.

Così Trump è diventato l'Uomo Nero, che difatti fa “Bù!”.

Come succede dopo le rivoluzioni fallite (o mai tentate) emerge qualche forma di bonapartismo. In questo caso ri-emerge e si rinvigorisce il bonapartismo dei Dem, o più precisamente del partito trasversale neo-liberal-con, che sotto la bandiera arcobaleno di “diritti” che non intralciano di una virgola il sistema, hanno immediatamente inzeppato il governo di donne di destra ma politicamente corrette.

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lacausadellecose

Usa gennaio 2021: il dito indica la luna

di Michele Castaldo

02 capitol insurgencyChi pensava ad un passaggio tranquillo da Trump a Biden, nella cosiddetta più vecchia democrazia del mondo moderno, è servito. Si tratta di una ulteriore dimostrazione della illusione di chi osserva i fatti del mondo partendo dai propri desideri. Poveri sciocchi che in Occidente, in modo particolare, abbondano; un modo per esorcizzare la paura per il terreno che si muove sotto i piedi, per il bradisismo del modo di produzione capitalistico ormai in crisi irreversibile.

Ora, che Trump fosse un fenomeno da baraccone, lo si sapeva, ma non si facevano i conti con gli strati sociali di decine di milioni di americani che lo avevano eletto e che lui ben rappresentava sul piano storico, un popolo che credeva che una certa storia potesse durare all’infinito, che si potesse bivaccare comunque e sempre sfruttando e opprimendo milioni di propri simili.

Arriva il giorno che dovrà finalmente sancire sul piano democratico, nel tempio della democrazia rappresentativa, la vittoria del nuovo presidente, e dunque il passaggio dei poteri da Trump a Biden, e che succede? Che il popolo sconfitto alle elezioni, dunque per via democratica, scende in piazza e istigato dal proprio leader dà l’assalto al Campidoglio, non riconoscendo né il voto nè a maggior ragione la sconfitta del proprio presidente. Lo stupore e lo sgomento in tutto l’Occidente, di personaggi che allevati nell’attuale modo di produzione rappresentano la pochezza di quanto si diceva in apertura. Ora di fronte a una rivoluzione i cosiddetti intellettuali e analisti d’alto bordo, rimangono sgomenti proprio perché immaginano il mondo secondo i propri desideri e non riescono perciò a capire e a spiegare i fatti, che invece vanno spiegati partendo dalle cause che li stanno generando.