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italiaeilmondo

Covid-19 e politica: lo stato delle cose

di Vincenzo Cucinotta

Continuiamo il dibattito non tanto sull’aspetto sanitario, quanto sulla gestione politica della crisi pandemica e sulle enormi implicazioni che stanno entrambe comportando. Di queste non vi è ancora una chiara percezione anche se una profonda inquietudine sta percorrendo l’intero paese [Giuseppe Germinario]

Ictus cerebrale 020 766x280I fatti dovrebbero ormai essere noti a tutti, visto dall’Italia, osserviamo verso la metà di gennaio una straordinaria campagna mediatica che vede quelli che almeno allora c’apparivano come casi sporadici in Cina conquistare i titoli di prima pagina. Nel giro di due settimane, senza apparentemente che succedesse qualcosa che riguardasse direttamente il nostro paese, ma soprattutto nel silenzio assoluto dei media, il governo dichiara lo stato di emergenza, cosa che veniamo a conoscere due settimane circa più tardi, quando, siamo ormai a metà febbraio, si comincia a creare un clima di panico che la stampa coltiva abilmente.

Quindi, proprio all’inizio della vicenda COVID-19, siamo in presenza di eventi incomprensibili, da una parte la stampa fa esattamente l’opposto di quanto ha fatto in tutte le altre occasioni, invece di minimizzare l’effetto di epidemie per contrastare ogni forma di allarmismo, fa l’esatto contrario, lo alimenta ad arte, dall’altra una decisione così delicata, rara e grave come la dichiarazione dello stato d’emergenza non solo non viene comunicata dal governo, ma viene oscurata dai giornali che non potevano ignorare quanto accaduto, visto che fa parte del loro mestiere controllare dettagliatamente l’operato del governo e nel contempo seguire ciò che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Quindi, sanno, ma tacciono, e nessuno si è preso la briga di spiegarci perché.

Fatto sta che nelle settimane che ci separano da allora, si viene ad attuare un gigantesco piano di sospensione della costituzione con un governo che decide in assenza di qualsiasi controllo parlamentare, visto che addirittura nelle prime settimane il parlamento è rimasto chiuso ermeticamente, di operare attraverso il meccanismo del DPCM che ha la forma del provvedimento amministrativo, ma che è stato in questa occasione ripetutamente utilizzato per adottare decisioni politiche su temi tra l’altro della massima delicatezza.

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lafionda

La necessaria ambizione. Osservazioni su Stato, egemonia e organizzazione

di Rolando Vitali

Foto 2“…quando tutto sembra perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio.” Antonio Gramsci

“La Germania […] non potrà abbattere le proprie barriere senza abbattere le barriere generali del presente politico. Non la rivoluzione radicale è per la Germania un sogno utopistico, non la universale emancipazione umana, ma piuttosto la rivoluzione parziale, la rivoluzione soltanto politica, la rivoluzione che lascia in piedi i pilastri della casa.” Karl Marx

Per affrontare la difficile costruzione di una prospettiva socialista e democratica davanti al disastro ambientale, sociale e politico del capitalismo contemporaneo è necessario intraprendere un serio e lungo lavoro di chiarificazione, iniziando da alcuni snodi fondamentali: in questa situazione di crisi e di confusione, la mancanza di chiarezza sui punti di partenza può infatti facilmente portare all’impotenza e alla subalternità. Ma questa fase può anche permetterci di chiarire meglio quali siano i punti necessari da cui partire.

La crisi iniziata nel 2008 e l’attuale epidemia da Covid-19 hanno reso definitivamente evidente l’inadeguatezza del concetto di “globalizzazione” proprio dalle ipotesi altermondialiste e liberali : l’ideale di uno spazio globale di integrazione tra diritti, democrazia e sviluppo economico si scontra con la realtà di un campo instabile e conflittuale, dominato dai capitali internazionali e reso geopoliticamente coeso anzitutto dall’egemonia militare statunitense[1]. In questo contesto, ogni ipotesi di piegare le vigenti istituzioni internazionali in senso democratico e solidale appare del tutto velleitaria e subalterna: queste istituzioni, infatti, dimostrano tanta capacità di indirizzo quanta è quella delle nazioni che se ne servono per portare avanti la propria agenda. Né è di più né di meno.

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lafionda

Tagliare la democrazia?

di Geminello Preterossi

democrazia2655Dopo più di due mesi di quarantena, si può dire che il timore che avevo manifestato all’inizio – cioè che un’emergenza reale, dalle cause e implicazioni innanzitutto politiche e sociali (la destrutturazione del Welfare e del sistema sanitario, perché “ce lo chiedeva l’Europa”) potesse scivolare, come su una sorta di piano inclinato, verso una qualche forma di stato di eccezione – si è rivelata purtroppo abbastanza fondata. Dopo il primo impatto, traumatico, con il virus, sono emersi progressivamente errori, omissioni, inspiegabili falle, e anche qualche scivolata (probabilmente dovuti, almeno in parte, a confusione, spiazzamento, cattivi consiglieri, più che a intenzioni sbagliate). E soprattutto si intravedono, oggi, i possibili effetti a lungo termine, dal punto di vista democratico. Prima di ragionare sul futuro, però, è bene fare con franchezza un elenco delle cose che non possono passare in cavalleria: la stigmatizzazione di Andrea Crisanti, che ha salvato il Veneto, seguita da imbarazzati silenzi e mezze ammissioni, troppo tardive ed evasive, da parte dei “tecnici di governo”. La non trasparenza dell’OMS, oggetto di molti condizionamenti e pressioni, che si è riflessa anche sulle direttive ondivaghe e opache dei consulenti cui il governo si è affidato. Le cure snobbate o addirittura osteggiate e poi rivelatesi importanti e comunque utili (plasma, eparina ecc.). La demonizzazione di persone serie (spesso medici in prima linea), semplicemente perché non allineati a una presunta “verità” ufficiale (salvo poi ammettere a denti stretti che avevano ragione: si veda il caso di De Donno a Mantova). L’operazione di drammatizzazione mediatica (dopo una maldestra rassicurazione iniziale), per coprire una grave sottovalutazione all’inizio, che ha imposto una soluzione estrema e generalizzata dopo, la quale ha di fatto scaricato quasi integralmente sui cittadini il peso della risposta alla crisi.

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militant

A maggio fioriscon le rose

di Militant

mappa covid 5 maggioA maggio fioriscon le rose… e l’Occidente esce dall’ibernazione iniziata fuori stagione, quando già l’inverno era alle spalle. Nel farlo, non risponde tanto al richiamo di Madre Natura, ma a quello più prosaico del Profitto. Andiamo a vedere, però, se la quarantena del vicino è sempre più verde. Nel frattempo sono verdi le zone della Francia dove, dall’11 maggio in poi, si ritornerà alla libertà di movimento: l’intero Paese è stato diviso in zone colorate. Quelle rosse, come l’Île-de-France (la regione parigina, che da sola “pesa” dodici milioni di abitanti e che una volta era rossa anche per colore politico), dovranno attendere un altro po’. Le scuole riapriranno proprio l’11 maggio (anche nella zona rossa, per quanto domenica 3 maggio oltre trecento sindaci dell’hinterland parigino abbiano manifestato la loro contrarietà), mentre le università saranno ferme fino a settembre. I famosi “assembramenti” saranno consentiti non prima di metà luglio, mentre ancora non c’è un’indicazione precisa per i ristoranti, i cinema e quant’altro. Il confinement per gli anziani e i soggetti a rischio non era tecnicamente obbligato, ma “consigliato”. In tutto ciò, passa quasi in secondo piano – tanto da essere sottolineato solo dalla stampa di sinistra (che Oltralpe ancora esiste, a differenza dell’Italia), che il governo abbia prolungato fino al 24 luglio lo stato di emergenza sanitaria, che gli conferisce, di fatto, i pieni poteri, facendo saltare gli equilibri tra gli organi dello Stato, già piuttosto sbilanciati, tra l’altro, in un regime semipresidenzialista. In vista della riapertura del Paese, il ministro dell’Interno, ad esempio, ha elencato le numerose categorie di “agenti” che potranno erogare multe a chi non rispetterà le regole del déconfinement: riservisti (della polizia e della gendarmeria), agenti aggiunti di sicurezza, gendarmi volontari, addirittura “agents de sécurité assermentés”, che sarebbero una specie di guardie giurate. Facile passare, quindi, dall’emergenza sanitaria a quella sanzionatoria.

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lordinenuovo

Lenin e la lotta all'opportunismo

di Tiziano Censi

dick durrance ii murale delle torri di lenin in una piazza di s pietroburgoI primi moti spontanei della classe operaia sorsero agli inizi del XIX secolo in maniera disorganica e priva di prospettiva dalle contraddizioni economiche generate dal nuovo sistema produttivo capitalistico. Era il tempo del Luddismo che portava i lavoratori alla distruzione dei macchinari percepiti come la causa più prossima del loro impoverimento. Al movimento operaio mancava, ancora, una teoria generale che riuscisse a spiegare i cambiamenti in atto e disvelasse i rapporti di proprietà che si celavano tra le maglie del progresso tecnologico, capace di dare una prospettiva rivoluzionaria alla lotta dei lavoratori. La formulazione di questa teoria la dobbiamo in gran parte al genio di Karl Marx, ma la scoperta delle leggi dialettiche dello sviluppo storico in quanto tali non aiutano il progredire della storia più di quanto la conoscenza della temperatura di ebollizione dell’acqua non aiuti a farla evaporare. Gli operai avevano una causa e un fine ultimo per cui lottare, era il tempo di elaborare la strategia che li avrebbe condotti a questi risultati.

Materia di dibattito nella storia del movimento operaio, da allora fino ad oggi, è stata la ricerca delle corrette pratiche, dei giusti principi sui quali organizzare i lavoratori e condurre la battaglia per il socialismo. Differenti valutazioni sulla strada da percorrere hanno più volte, nel corso degli anni, modificato le politiche, le parole d’ordine, gli indirizzi e i modelli organizzativi dei partiti comunisti in giro per il mondo, e non si può dire che questa discussione sia terminata, anzi, si ripresenta con maggior vigore di fronte alle difficoltà che lo squilibrio dei rapporti di forza odierni e le nuove sfide dello sviluppo capitalistico ci pongono innanzi. Tutt’oggi esistono nel movimento comunista internazionale visioni differenti sul ruolo che i comunisti dovrebbero interpretare nel teatro della politica.

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nuovadirezione

Italia, le difficili strade della necessaria indipendenza

di Mimmo Porcaro

italia dallo spazioRien ne va plus

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: la crisi pandemica sarà utilizzata dall’Unione europea, come e più delle crisi precedenti, per approfondire la subordinazione delle nazioni e delle classi più deboli. Di fronte alla gravità dei problemi attuali l’unica soluzione è data da vasti programmi di investimento pubblico. E di fronte alla vastità della spesa necessaria e del conseguente debito è difficile sfuggire alla scelta della monetizzazione del debito stesso, se non si vuole ammazzare il medico (lo stato) proprio mentre cura il paziente[1]. Questa è la scelta degli Stati uniti, questa è la scelta della Cina, questa è da tempo, almeno de facto, la scelta di gran parte del mondo, ma questa non è la scelta dell’Unione europea. E non lo è proprio perché la crescita del debito dei paesi periferici dell’“Unione”, in un contesto istituzionalmente contrario alla mutualizzazione,  è il miglior sistema per intensificare la presa su quegli stessi paesi e costringerli alla svendita del patrimonio e a tagli di bilancio che inevitabilmente ricadono sulle classi subalterne[2]. È vero che in questo momento la Bce si comporta quasi come prestatore di ultima istanza acquistando notevoli quantità di debito italiano. Ma, come hanno spiegato Blanchard e Pisani-Ferry[3], questa da un lato non è una vera e propria monetizzazione e dall’altro potrebbe cessare in ogni momento (così come potrebbero peraltro cessare  o ridursi – a insindacabile giudizio di lorsignori – tutte le altre politiche di monetizzazione dell’occidente, che sono però assai meno istituzionalmente limitate di quanto non sia l’azione dell’Eurotower), costringendo così l’Italia, incapace di pensarsi fuori dall’eurozona, a scelte che farebbero sembrar moderate quelle del mai abbastanza vituperato governo Monti.

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sinistra

Politica-struttura del Ventunesimo secolo: Amazon, Google, Palantir e la CIA

di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli

Pubblichiamo una parte del nuovo libro intitolato “Servizi segreti, guerre economiche e politica-struttura”, scritto da Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli e che verrà integralmente pubblicato online a maggio

google897kA volte si tende a separare l’attività di spionaggio dall’economia, dai profitti e dall’azione delle multinazionali: un errore che non era certo stato commesso da Norman Mailer nel suo geniale libro “Il fantasma di Harlot”, opera nella quale lo scrittore statunitense ventilava a livello narrativo (e forse non solo narrativo…) che nella CIA di Langley si fosse formato un nucleo e un gruppo interno supersegreto il quale, attraverso l’uso selettivo delle informazioni via via ottenute dall’agenzia, operava da decenni in campo finanziario acquisendo ingenti profitti equivalenti a miliardi di dollari.

Passando dalla letteratura alla realtà storica, il tandem “economia-spionaggio” è emerso più volte nel corso degli ultimi due millenni: si parte dal trafugamento delle preziose uova di seta cinesi da parte dei monaci cristiani per conto dello stato bizantino, sotto il regno di Giustiniano e durante il sesto secolo, per arrivare mano a mano alla sottrazione ai cinesi dei loro segreti tecnologici nel processo di produzione della porcellana, furto avvenuto agli inizi del diciottesimo secolo, giungendo poi senza soluzione di continuità al nostro terzo millennio. Proprio negli ultimi decenni è venuta alla luce, con tutta evidenza, l’importanza e la diffusione di quella particolare e specifica regione del grande continente della politica-struttura, inteso come “espressione concentrata dell’economia” (Lenin, 1921) e che comprende al suo interno anche tutte le interazioni tra le attività statali di intelligence e la praxis multiforme dei processi produttivi, specialmente di natura tecnologica.1

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lafionda

Costruire il proprio destino

Giulio Gisondi intervista Vladimiro Giacché

destinoMeno di un mese fa Giuseppe Conte affermava “faremo da soli”, qualora la scelta per l’Italia fosse stata quella di ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità. La decisione del Consiglio europeo del 23 aprile è stata, invece, proprio quella di ricorrere al MES, alla BEI, al fondo per la disoccupazione SURE, con l’ipotesi, ancora poco chiara, d’istituire un Recovery Fund temporaneo, finanziato dai singoli Stati e che dia, non si sa bene se prestiti o trasferimenti ai paesi che ne necessitano. Ne abbiamo discusso con Vladimiro Giacchè, Presidente del Centro Europa Ricerche, dalla metà degli anni Novanta nel settore bancario e finanziario, nonché storico della filosofia e autore di saggi e monografie tra cui La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (2008), Anschluss. L’annessione: l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (2013, nuova ed. 2019).

* * * *

Dott. Giacchè, come valuta le misure adottate dall’ultimo Consiglio Europeo? Perché non liberare la BCE dal divieto di monetizzare gli Stati, come stanno facendo le maggiori banche centrali del mondo?

Si è passati dal proclamato rifiuto di utilizzare uno strumento come il MES che non ha senso in questo contesto, perché basato sul debito e perché a noi porterebbe molto poco denaro rispetto al fabbisogno che si è creato a seguito di quest’emergenza (stiamo parlando di qualcosa come 37 miliardi di euro al massimo), all’accettazione di un pacchetto di strumenti che include il MES e in cui l’aspetto comune è che tutti comportano un aumento del debito. Questo vale per il MES, per la BEI e anche per il fondo di assicurazione SURE, che è sostanzialmente diverso da quello che fu proposto dall’Italia qualche anno fa.

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tempofertile

Paura, governo, sovranità e coronavirus

di Alessandro Visalli

f8d03ed85a3d2882da4e715ef6a9b11f ktfF U317014819010133DG 656x492Corriere Web SezioniQuello che segue è un intervento pubblicato sul sito di Nuova Direzione sulla crisi da coronavirus e la dinamica conseguente.

In sintesi:

La crisi in corso comporta l'effettivo rischio che, se non è controllata e ridotta, produca un cambio nella forma politica, da quella che chiamo "sovranità neoliberale", e post-democratica, nella quale viviamo, ad una "sovranità iperliberista", direttamente anti-democratica.

Questa paura diffusa, però se mal indirizzata rischia di usare inconsapevolmente strutture neoliberali per inibire l'autodifesa sociale e farci cadere in uno 'stato di eccezione' reale, per disperazione e stanchezza. Se tra le tecniche dello "stop and go", del "massive boming" di tamponi, e del "rintraccia ed isola" tradizionale, scegliamo di fatto il primo per paura del "rintraccia" del terzo, nella pratica impossibilità di dare adeguata massa al secondo (che comporterebbe una militarizzazione della vita), allora avremo continui "Stop", sempre più duri, e finiremo per disgregare società ed economia. Alla fine il modello "Elysium" al quale tendiamo si compirà completamente.

Ma il "go", allora va calibrato con saggezza, e combinato con il "rintraccia ed isola" al giusto livello di ampiezza e solidità tecnica (che non è solo tecnologica, ma soprattutto organizzativa ed umana), perché sia sostenibile nel medio e lungo periodo senza ricadere. Questa è la posta dalla quale dipende anche l'arresto delle conseguenze anti-democratiche della paura.

La paura non si combatte facendo "lo struzzo", ma ponendo in essere quelle difese efficaci, sapendone sopportare il prezzo, al fine di non dover pagare quello maggiore.

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lafionda

L’ossimoro che sfugge al governo italiano: la forza della sua debolezza

di Alberto Bradanini

2335572 41852724Rahm Emanuel, capo dello staff di Barak Obama, affermava nel 2008 che “occorre evitare che una grave crisi vada sprecata. Essa offre l’opportunità per fare cose che prima non si potevano fare”. Non è un’immagine originale, va detto. Alcuni anni prima l’illustre monetarista della scuola di Chicago, Milton Friedman, aveva rilevato che “le alternative alle politiche esistenti vanno conservate, perché a un certo punto il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”.

Davanti a una scena nebulosa, sia per la futura convivenza con il virus sia per il destino della nostra economia, ecco prendere corpo un catalogo di scelte fino a ieri politicamente o tecnicamente impraticabili e affrontare i guai dell’economia e della politica.

Il luogo dove il Paese reputa di trovare un’illusoria soluzione alle sue pene non è situato sul nostro territorio tuttavia, ma nella cosiddetta Unione Europea (il termine Unione merita la sottolineatura), poiché a tale tecnostruttura il ceto politico-finanziario italiano ha incautamente consegnato nei decenni scorsi una preziosa quantità di democrazia istituzionale e di autonomia monetaria. Non solo, poiché sin dagli anni ’50 del secolo scorso, sedotta dalla fiaba infantile degli Stati Uniti d’Europa, un’Italia dimessa ha devoluto l’iniziativa politica ai paesi europei dominanti, Germania e Francia, nella rinuncia a disegnare una progettualità centrata su legittimi interessi nazionali.

Il primo gigantesco deficit che investe la cosiddetta Unione Europea (Ue) è il deficit di democrazia. Gli organismi europei che anche oggi decidono del nostro futuro non rispondono a sufficienza al principio democratico.

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carmilla

Classe, nazione e crisi

di Giovanni Iozzoli

Mimmo Porcaro, I senza patria, Meltemi, Milano, 2020, p. 217, € 18,00

porcaro senza patria COVERLe parole “sovranità/sovranismo”, sono tra le più utilizzate nel dibattito politico contemporaneo. Pur godendo di solidi agganci dentro l’impianto costituzionale del 1948, questi termini sono diventate bandiere – peraltro fasulle – nelle mani delle ignobili destre italiane. Sul terreno delle parole, delle categorie, del linguaggio, si combattono da sempre battaglie cruciali per l’egemonia o la vittoria ideologica. Fino ad arrivare a perversi rovesciamenti di senso – basti pensare al termine “riformismo”, diventato negli anni ’90 bandiera neo-liberista, e definitivamente acquisito a quel campo.

Esiste in Italia una rete di soggettività ascrivibili al cosidetto “sovranismo costituzionale”: un’area composita che sostiene la tesi secondo cui la crisi sistemica della globalizzazione e degli assetti post-’89, apre larghi spazi ad un recupero delle categorie di Nazione e Sovranità, nella prospettiva di un’inveramento radicale della Costituzione o addirittura di una ripresa della lotta anticapitalistica. Senza entrare nel labirintico dibattito sulla “questione nazionale” dentro la moderna storia d’Italia – che ci condurrebbe in una giungla storiografica e filosofica che da Machiavelli porta a Mazzini, Gramsci, Togliatti, Bobbio, passando per gli snodi cruciali dell’Unità d’Italia, del fascismo, dell’8 settembre, della Resistenza -, queste tesi vanno comunque vagliate con attenzione, specie in uno scenario mondiale fortemente destabilizzato. A cominciare dalla crisi di egemonia degli USA e dalla caduta di legittimità degli organismi globali e delle nuove statualità sovranazionali, Unione Europea in testa. Persino la pandemia in atto acuisce le criticità del globalismo e rimette in discussione tutte le tessere del complicato mosaico internazionale. Mimmo Porcaro, nel suo libro, affronta senza timidezze questi aggrovigliati nodi, provando a definire l’agenda e le ragioni di un discorso sovranista e costituzionale.

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ilpungolorosso

Eurobonds e MES. Cosa bolle in pentola per i lavoratori

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

5e8062fc230000e9360c6f4eImpazza da giorni sulla stampa, in tv, nei social, con toni da fine del mondo, lo scontro tra chi è per il MES e chi per gli Eurobonds – incluso un certo numero di personaggi e personaggetti di “sinistra” (vedi Fassina). Tutti i contendenti, però, sono uniti sul punto decisivo: far crescere esponenzialmente il debito di stato, che dovrà essere ripagato, con gli interessi, dai lavoratori. Ragioniamo qui su questa “alternativa” farlocca, e sulla necessità di contrapporre ad entrambi questi strumenti anti-proletari (Eurobonds e MES) la lotta contro il debito di stato e il suo ingigantimento, per una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% dei più ricchi. E colpire in questo modo ricchezza e potere della classe capitalistica, la sola ed unica responsabile dell’attuale disastro sanitario ed economico (In coda un glossario per capire i termini ‘tecnici’ con cui vogliono estraniare i lavoratori e le lavoratrici da questioni che, invece, toccano in profondità le loro vite, e le vite dei loro figli e nipoti).

La riunione dell’Eurogruppo del 9 aprile si è conclusa con un generico compromesso. La decisione è stata demandata al Consiglio Europeo del 23 aprile, la sede nella quale i capi di Stato e di governo dell’UE dovranno sciogliere il nodo del MES e del Recovery Fund proposto dalla Francia e appoggiato dal fronte dei paesi favorevoli agli Eurobonds, sia pure nella forma dei cosiddetti coronabonds, un orrendo neologismo che sta a indicare la mutualizzazione del debito che sarà contratto per far fronte alla pandemia in corso e solo di questo, con l’esclusione di quello passato (La mutualizzazione del debito è la condivisione della responsabilità, cioè del peso, da parte di tutti i paesi dell’Unione europea, e non solo di un singolo paese).

La questione ha aperto una aspra polemica politica in Italia, con divaricazioni sia all’interno della maggioranza di governo che nel fronte delle opposizioni. Gli schieramenti pro o contro il MES sono fin troppo noti e rendono qui superflua una loro illustrazione. Qualcosa in più, invece, vale la pena di dire sul merito della questione.

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lordinenuovo

L’importanza della teoria dello Stato leninista nell'epoca della crisi del Covid-19

di Domenico Moro

original 412x600Lenin teorico della politica marxista

Lenin è stato il più grande teorico marxista del XX secolo e la sua opera rappresenta un classico, essendo un punto di riferimento imprescindibile per la teoria e la politica rivoluzionaria del XXI secolo. Il contributo di Lenin parte direttamente dallo studio di Marx ed Engels, ma ha una sua originalità, perché la sua elaborazione è sempre creativa e capace di adattare e sviluppare i principi dei due fondatori del socialismo in base alle condizioni e al mutare della storia. La teoria leninista è la teoria della rivoluzione per come questa si prospettava tra la fine dell’XIX e l’inizio del XX secolo e rappresenta un corpus unitario, con le varie parti – lo studio delle condizioni economiche della Russia, la teoria dell’imperialismo, la teoria dello Stato e del partito – che si incastrano perfettamente, realizzando la visione d’insieme e intimamente coerente di un progetto rivoluzionario.

Tuttavia, se ci si permette una valutazione, la parte più originale e importante, da cui trarre indicazioni preziose per il presente, è quella della teoria politica. Infatti, Lenin ha il merito enorme di aver realizzato qualcosa che prima non esisteva se non in spunti sparsi: l’elaborazione e la sistematizzazione di una teoria marxista della politica.

Lenin è sia il leader pratico della Rivoluzione d’Ottobre sia il teorico principale della politica in senso marxista. Non che Marx e Engels non avessero una teoria politica, tutt’altro. Entrambi svolsero un decisivo ruolo politico pratico nella I internazionale, e in tutte le loro opere fanno riferimento a elementi di teoria politica, soprattutto allo Stato, da cui Lenin trae spunto e attinge a piene mani, ma nessuna delle loro opere tratta in modo sistematico ed esclusivo dell’argomento.

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ilcomunista

Covid-19 e Costituzione

di Gaetano Silvestri

Costituzione Italiana1. Le garanzie costituzionali non possono essere “sospese”

L’epidemia da Covid-19 ha prodotto in Italia una emergenza “vera”, che ha riattualizzato il problema – che si era posto anche negli anni del terrorismo fascista e brigatista – della compatibilità di misure eccezionali, a tutela della collettività, con i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione repubblicana, con la forma di governo parlamentare basata sulla separazione dei poteri e con il sistema costituzionale delle autonomie. Troppo spesso politici, giornalisti e tuttologi di vario genere hanno abusato del termine “emergenza”, al solo scopo di dare enfasi retorica ai propri discorsi, per ritrovarsi poi puntualmente impreparati quando si verificano autentici stati di necessità, che reclamano risposte rapide ed efficaci dalle istituzioni. Di qui una ridda di atti normativi e amministrativi, di annunci mediatici e di commenti “a caldo”, che quasi sempre aumentano la confusione, ingenerando equivoci difficili da superare perché ormai entrati nel senso comune.

Sul piano del diritto costituzionale, un primo equivoco, di carattere generale, è prodotto dall’affermazione che una situazione di emergenza richieda la sospensione, ancorché temporanea, delle garanzie, personali e istituzionali, previste dalla Costituzione. Tenterò di dimostrare che non si deve sospendere nulla, ma che invece sarebbe sufficiente, per fronteggiare lo stato di necessità, applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale, senza vagheggiare revisioni e tirare in ballo la sempre fascinosa teoria di Carl Schmitt sulla sovranità che spetta a chi comanda nello stato di eccezione.

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sinistra

Dieci punti sul coronavirus: la trinità tecnologica e il nuovo mondo

di Piotr

1582117224613.jpg coronavirus la cina spera focolaio di wuhan sotto controllo 640x420Storicamente le pandemie hanno forzato gli esseri umani a rompere col passato e reimmaginarsi il mondo. Questa non è differente. E' un portale, uncancellotra un mondo e il prossimo. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinando le carcasse dei nostri pregiudizi e dell'odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e idee morte, dei nostri fiumi morti e dei cieli fumosi dietro di noi. Oppure possiamo camminare con leggerezza, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo. E pronti a lottare per esso.

(Arundhati Roy)

1. Preludio indiano: la prima divinità

Dopo un decennio di frequentazione di Calcutta i miei amici indiani mi dissero che avevo iniziato a capire il Bengala (non l'India, ma il Bengala). Qualche disinvolto, ma prestigioso, giornalista dopo un soggiorno di due settimane si è sentito in diritto di scrivere un libro per “spiegare” l'India. Risibile, ma le cose vanno così. Quando c'è il prestigio c'è il prestigio. Non è vero?

Dopo due decenni abbondanti di frequentazione di quell'enorme e complicato Paese, ho capito un'altra cosa: l'India, e più in generale il subcontinente indiano, è un immenso campo di sperimentazione.

Nel dicembre del 2016 io stesso fui testimone di un violento esperimento sociale: la demonetizzazione, cioè la pressione per far utilizzare obbligatoriamente la “moneta di plastica”, ossia le carte di debito e di credito. Ne parlai in un articolo intitolato “India: laboratorio mondiale per la demonetizzazione forzata” [1]. Le considerazioni conclusive sull'esperimento di cui ero stato testimone erano queste: