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jacobin

Chi sono i veri antisemiti?

Nicola Carella intervista Ronnie Barkan*

Le accuse infamanti di antisemitismo a chi critica Israele, il razzismo della destra, le contraddizioni della sinistra, il Piano Trump per la Palestina. Ce ne parla un dissidente israeliano

palestina jacobin italia 1320x481Ronnie Barkan è un dissidente israeliano e un attivista della campagna per i diritti del popolo palestinese Bds e dei movimenti contro le politiche di colonialismo, occupazione militare e apartheid del governo israeliano. Attualmente vive a Berlino dove, insieme ad altri due attivisti, sta sostenendo un processo per aver definito pubblicamente le politiche di Israele «crimini contro l’umanità».

* * * *

Ronnie, per inquadrare innanzitutto il tuo attivismo, quali sono a grandi linee gli obiettivi politici che ti spingono ad agire in un contesto come quello tedesco in generale e berlinese in particolare?

Credo che il nostro ruolo di attivisti debba essere volto superare le ingiustizie sistemiche e affermare i diritti o i valori per i quali crediamo valga la pena lottare. In secondo luogo, come individuo, sono anche nato in un contesto specifico, in cui i miei diritti e i miei privilegi mi vengono consegnati e garantiti a spese degli «altri». Tutto ciò che riguarda la creazione del progetto sionista in Palestina ruota attorno a questa semplice nozione: i privilegi per un gruppo etnico sono a spese di tutti gli altri, specialmente se gli altri sono gli indigeni di quella terra. Chiunque pensi che lo Stato di Israele sia stato istituito per qualsiasi altro scopo è quantomeno poco informato sulla questione. Esattamente per come qualsiasi persona bianca consapevole dell’apartheid in Sudafrica o durante la schiavitù in Nord America, il mio parlare e agire per l’abolizione del sionismo è qualcosa di naturale, è il risultato diretto e più ovvio dell’essere nato in quel sistema di oppressione.

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mondocane

Sardine, Iowa, Cina, 5stelle

di Fulvio Grimaldi

Piccoli odiatori ittici suicidati con il concorso di Benetton e Toscani, grandi odiatori "progressisti" e i loro assalti al voto in Iowa, alla Cina, ai 5stelle, alla legge uguale per tutti

ODIATOREUSA: onta del partito dell’odio, caro agli odiatori nostrani

Trump, il più odiato dagli odiatori seriali. Nelle primarie Democratiche dello Iowa ennesima vittoria di Trump, a dispetto dei tanti ricatti accettati e subiti, sul duo Deep State-Partito Democratico delle guerre al mondo, del Russiagate sgonfiato e dell’impeachment fallito. Ora il presidente, vincitore tra i repubblicani con oltre il 90%, appare lanciato, dai successi economici e dall’occupazione mai così alta, verso il secondo mandato. Una presidenza che si spera più aderente alle promesse di distensione e multilateralismo che avevano portato alla disfatta di Hillary, la gorgone venerata dal “manifesto”.

La campagna del 2016, fu condotta dalla cosca Obama-Clinton con una pletora di metodi sporchi contro il più o meno sinistro Bernie Sanders, prima ancora che contro il pronosticato sconfitto Trump (per il quale fu inventata la grottesca balla dell’intervento russo). Con il nuovo sabotaggio di Sanders da parte del solito Comitato Nazionale Democratico, per eliminare un concorrente sgradito al sistema plutocratico e guerrafondaio, i democratici sono ricorsi a trucchi scandalosi, screditandosi davanti ai loro elettori e facendo ridere il mondo intero. Un risultato che aveva subito visto vincere Sanders (poi confermato per numero di voti) è stato oscurato per giorni di traccheggiamenti e, poi, attraverso l’imbroglio di una app fornita da un miliardario sostenitore del Partito Democratico, Reid Hoffman, stravolto a favore dell’outsider di Sistema, Pete Buttigieg, per supposta prevalenza di delegati.

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la citta futura

Perché il Partito Laburista ha subito questa sconfitta elettorale? 

di Víctor Taibo

Le circostanze oggettive per una vittoria di Corbyn sono state presenti negli ultimi quattro anni, ma gli errori politici si pagano, ed a volte sono molto costosi

bb07d6737f95e5edb1ed95dd57d3d01d XLLe elezioni in Gran Bretagna hanno stabilito un’impattante vittoria di Boris Johnson e del Partito Conservatore. Con 13.966.565 voti, il 43,6%, i Tory hanno raggiunto una comoda maggioranza assoluta di 365 deputati, ottenendo 47 nuovi scranni rispetto alle elezioni del 2017. Nonostante il fatto che l’incremento di consenso sia stato abbastanza limitato, di solo 329.881 voti (l’1,2%), la notizia del forte arretramento del Partito Laburista capeggiato da Jeremy Corbyn ha sconvolto le fila della sinistra, di ampi settori della classe operaia e della gioventù britannica, e di attivisti in tutto il mondo.

Capire cosa è successo è un compito primario per preparare le future battaglie di lotta di classe che, inevitabilmente, scoppieranno con forza sotto il mandato di questo sciovinista reazionario. E questo esige, senza dubbio, un serio esame delle cause di questa sconfitta, non solo per rispondere alle menzogne della classe dominante e dei suoi mezzi di comunicazione – infangati fino al collo in una campagna di falsificazioni e calunnie contro il candidato laburista -, ma anche per non cadere in spiegazioni superficiali che cercano di nascondere le responsabilità di Corbyn, dei dirigenti di Momentum e dei vertici sindacali in quanto accaduto. Solo traendo lezioni politiche da questi eventi, per amare che siano, si potrà rinforzare e costruire un’alternativa capace di superare l’incubo dei governi Tory.

 

Campagna di diffamazioni… e qualcosa in più

La chiave di queste elezioni è stata l'emorragia di voti subita da Corbyn, che rispetto alle elezioni del 2017 ne ha persi 2.582.853, scendendo dal 40% al 32,2%. I mezzi di comunicazione borghesi hanno mentito in maniera lampante, presentando questo risultato come il peggiore dal 1935, ma in realtà Corbyn ha raccolto oltre 10 milioni di voti, più di quelli che prese Blair nella sua ultima vittoria elettorale del 2005, e molto più del 29% raggiunto da Gordon Brown nel 2010.

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contropiano2

Cambia il mondo, dopo la Brexit

di Guido Salerno Aletta

brexit rottura ue 1Viviamo in un paese di ciechi, e i media ne sono i primi responsabili. Come nelle peggiori dittature fasciste, le notizie che smentiscono la “narrazione” dominante non esistono. E quando pure sono costretti a darle, devono essere sminuite e depotenziate nelle loro implicazioni destabilizzanti.Cambia il mondo, dopo la Brexit di Dante Barontini - Guido Salerno Aletta

Questo fenomeno è facile da vedere nel caso dei movimenti sociali e politici, ma è ancora più ferreo – se possibile – con i fenomeni economi, politici e internazionali che svuotano ciò che resta del “pensiero unico della globalizzazione”, incrinato definitivamente dalla crisi iniziata nel 2007-2008.

La Brexit, per esempio, è stata affrontata ridicolizzando uno dopo l’altro i leader britannici fautori dell’uscita dalla Ue. Compito facile, in effetti, con gente come Farage e Boris Johnson, un po’ meno con Theresa May; ma comunque molto al di sotto della semplice necessità di capire le implicazioni della Brexit.

Il solo fatto che dopo 70 anni un paese di prima fila rompa il patto originario, cui aveva aderito sempre con molte riserve, avrebbe dovuto far capire che un’era volge al tramonto. Si è preferito negarlo e minacciare – in forma di “previsioni autorevoli” sui giornali, molto più direttamente nelle sedi istituzionali – sfracelli economici dopo questa dolorosa “rottura”.

Ciò che sta morendo, lo diciamo da qualche anno ormai, è la fase storica della cosiddetta “globalizzazione”. Quella situazione per cui le “dinamiche di mercato” prevalgono e si impongono a tutte le altre formazioni istituzionali (Stati, governi, alleanze regionali, ecc), il che implicava anche un rovesciamento forte di dominanza della sfera economica – costitutivamente internazionale, perché globali, sulla sfera politica.

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seminaredomande

Il Piano del Secolo

di Francesco Cappello

Nel Nuovo Secolo Americano  la Soluzione finale: il Piano del Secolo

NetaMartedì scorso Trump ha annunciato un piano di pace, il Piano del Secolo, a soluzione del conflitto israelo-palestinese, redatto unilateralmente da Usa e Israele e promosso da Trump in completo accordo con Netanyahu.

Più che un piano di pace, una provocazione, tesa a legittimare lo stato di schiavitù permanente del popolo palestinese. Provocazione rimandata al mittente dalla maggioranza dei paesi della Lega araba e dall’Autorità palestinese, del tutto esclusi dalla partecipazione alla sua redazione.

Anche le Nazioni Unite hanno respinto il piano. Esso infatti ignora le più elementari norme del diritto internazionale nonché le decine di risoluzioni che l’ONU ha prodotto nel corso del tempo intorno al conflitto israelo-palestinese. Come si sa l’ONU ha, infatti, riproposto a più riprese la soluzione del conflitto, basata su due Stati – Israele e Palestina – pienamente sovrani all’interno delle frontiere riconosciute pre-1967, soluzione che Trump scavalca a piè pari con la sua soluzione a due stati che ignora i confini del 1967 e che prevede Gerusalemme sotto la piena sovranità israeliana quale capitale «indivisibile» dello stato israeliano, esito peraltro prevedibile da quando Trump ha recentemente deciso di trasferirvi la propria ambasciata.

Netanyahu ha significativamente dichiarato a commento del piano che fin quando lui sarà al potere “i palestinesi non avranno mai uno stato“.

In sostanza al popolo palestinese vengono ora ufficialmente negati autodeterminazione e sovranità sul proprio territorio. La Convenzione di Montevideo, definita sin dal 1933, stabiliva, infatti, che gli stati sono unità sovrane con confini definiti, costituite da una popolazione e un proprio governo; la sovranità sul proprio territorio è, perciò, espressa dal popolo insieme alla possibilità di stipulare accordi in piena autonomia con altri stati.

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contropiano2

Complesso militare industriale, ambizioni europee, crisi della Nato

di Redazione Contropiano

Sintesi di alcune delle relazioni e contributi al convegno di Napoli sul complesso militare industriale europeo

Eurostop Napoli alessandroLa complessa costruzione del complesso militare industriale europeo (Walter Lorenzi)

(…) Riteniamo che tutti questi stadi di sviluppo siano stati raggiunti da tempo dal capitalismo europeo, ovviamente in forme asimmetriche, riproducendo a livello continentale centri e periferie in funzione della massimizzazione dei profitti dei cosiddetti “campioni” europei.

Ad esso manca, per essere valorizzato al massimo nel conflitto con le altre potenze, un complesso militare/industriale adeguato al livello di sviluppo delle proprie forze produttive e finanziarie.

Da tempo, la Commissione Europea (CE) sottolinea le inefficienze e la frammentazione del settore militare. Il confronto con gli stati uniti salta agli occhi. L’Europa conta 178 sistemi di armamenti (rispetto a 30 negli USA), 17 tipi di carri armati (uno statunitense), 29 tipi di fregate e di cacciatorpediniere (4 USA), e 20 tipi di caccia (rispetto ai sei delle forze armate americane). Gli investimenti nella difesa dei paesi europei rappresentano l’1,34% del prodotto interno lordo, mentre gli usa arrivano al 3,2% del PIL.

Vediamo allora come la UE sta cercando di risolvere questo gap, per rispondere ad un’esigenza non rinviabile, alla luce dell’aumento esponenziale dei fronti di guerra ai propri confini e a livello planetario.

Il 13 giugno 2018 la CE ha presentato le sue proposte finanziarie nel campo della difesa e della sicurezza per il prossimo bilancio comunitario 2021-2027. Il nuovo fondo europeo per la difesa (EDF), avrà una dotazione settennale di 13 miliardi di euro, che significa un considerevole aumento di spesa rispetto 2,8 miliardi del precedente. Il fondo riserverà 4,1 miliardi per finanziare progetti di ricerca. Altri 8,9 miliardi andranno a co-finanziare il costo di prototipi, a cui si aggiungono circa 6,5 miliardi per adeguare le infrastrutture europee al transito di assetti militari (military mobility).

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antropologiafilosofica

Oltre la destra e la sinistra: la necessità di una nuova direzione

di Andrea Zhok

capitale cultura1) Lo scenario contemporaneo

Due grandi tendenze caratterizzano la politica dell’ultimo quarto di secolo nel mondo occidentale. La prima, e più importante, è rappresentata dal trionfo del modello liberale con i connessi processi di globalizzazione; e in maniera concomitante, dalla crescita di reazioni di rigetto di tali processi (dai ‘no-global’ degli anni ’90, al ‘populismo’ e ‘sovranismo’ odierni).

La seconda tendenza, derivativa, è una crisi profonda delle categorie politiche di ‘destra’ e ‘sinistra’; tale crisi si è manifestata sia come ‘crisi d’identità’ che in cortocircuiti e ribaltamenti concettuali, dove posizioni tradizionalmente ascrivibili alla ‘sinistra’ sono state assimilate dalla ‘destra’ e viceversa.

Questi due processi vanno intesi insieme e sono parte di una medesima configurazione. La prima tendenza è quella strutturalmente portante e definisce il carattere della nostra epoca, come epoca del trionfo della ‘ragione liberale’ (e della sconfitta del suo principale competitore storico, dopo la caduta del muro di Berlino). In mancanza di avversari la ragione liberale ha accelerato le tendenze di sviluppo interne, e segnatamente i processi di movimentazione globale di merci, forza-lavoro e capitale. Quest’accelerazione ha riportato alla luce i limiti del progetto politico liberale e capitalistico, che dopo la crisi finanziaria del 2008 appaiono manifesti a chiunque non sia ideologicamente accecato.

Il rimescolamento odierno delle categorie di ‘destra’ e ‘sinistra’ è un effetto diretto dell’apogeo, e della concomitante crisi, della ragione liberale. Una chiara manifestazione ne è stato lo scivolamento negli anni ’80 e ‘90 della ‘sinistra’ occidentale (comunisti e socialisti) su posizioni liberali, facendo proprie le istanze di ciò che fino a poc’anzi era il ‘nemico’.

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oraequi

Mitologie contemporanee: Craxi e la classe politica della prima repubblica

di Franco Romanò

arton50058Parte prima

Gli anniversari sono dei passaggi importanti e anche obbligati: non stupisce quindi che il nome di Bettino Craxi sia di questi tempi uno dei più citati fra coloro che prima o poi ritornano. Il problema è come se ne parla e se ne discute e può essere molto utile farlo perché su quella drammatica stagione politica prima si torna a riflettere e meglio è. Pensando al dibattito in corso, non c’è da stupirsi che le sirene della riabilitazione abbiamo preso a suonare, in modo prima flebile poi più deciso, ma non mi sembra questa l’operazione più pericolosa in corso. Ancor più subdole, infatti, sono le sirene più alte che intonano dei peana alla Prima Repubblica, contrapponendola al degrado attuale della cosiddetta classe dirigente; infondo la totale o parziale riabilitazione di Craxi invocata da molti è un problema minore dentro quest’altro. L’argomentazione fondamentale di chi eleva peana alla Prima Repubblica è che quella classe politica era ben superiore a questa di oggi. Che tale pensiero si formi anche in ambienti che dovrebbero sentirsi imbarazzati a proporlo e che il pretesto sia il ventennale della morte di Bettino Craxi assume anche dei tratti involontariamente comici perché quella stagione segnò la fine della Prima Repubblica ed è difficile per definizione che un organismo politico in fase terminale possa essere scelto in qualche modo come esempio, seppure per contrapporlo a quella odierna. L’obiezione, in questo caso, sarebbe che c’è di mezzo la Seconda Repubblica, causa di tutti i mali: ma come è nata quest’ultima? Silenzio. Ripartiamo dunque dal problema più grande: la Prima Repubblica.

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la citta futura

Francia, a che punto è la protesta contro la riforma delle pensioni 

di Giulia Giogli

Cinque settimane di sciopero e nessuna prospettiva di porre fine alla crisi a breve termine. Descrizione dettagliata della riforma e delle posizioni delle diverse organizzazioni in lotta

531fa9636bc95fc322dfb7a73f42bbbf XLMentre il movimento sociale contro la riforma delle pensioni entra nel suo 46 ° giorno di manifestazioni, il testo “due in uno” - un disegno di legge ordinario e un disegno di legge organico – sarà presentato al Consiglio dei ministri il 24 gennaio prima di essere esaminato dall'Assemblea nazionale dal 17 febbraio.

 

La riforma

Mercoledì 11 dicembre Edouard Philippe, il Ministro degli Interni, ha illustrato le linee generali della futura riforma delle pensioni. Nel complesso ha confermato l'architettura del futuro piano pensionistico "universale" che rappresenta la misura di punta del programma presidenziale di Emmanuel Macron durante la campagna presidenziale del 2017 e delineato nel rapporto Delevoye pubblicato a luglio.

Nel corso delle ultime settimane, il Ministro degli Interni si è concentrato sul fornire risposte a domande che finora sono state lasciate a grandi incognite e che hanno sollevato enormi malumori nella società civile, riversandosi nei più lunghi scioperi che la Francia abbia mai conosciuto, facendo anche chiarezza su alcune aree della riforma, compreso il suo calendario per l'attuazione. Ma quali sono i principali punti della riforma?

 

Creare un unico piano pensionistico "universale"

Attualmente esistono quarantadue piani pensionistici, ciascuno con le proprie regole. Emmanuel Macron si è impegnato durante la campagna presidenziale del 2017 a creare un “sistema pensionistico universale in cui un euro conferito dia gli stessi diritti” a tutti.

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lantidiplomatico

Su Craxi

di Gianpasquale Santomassimo

15becfb1be3daad4aef1e8fe3e8bf8e2Mi pare di capire che il film di Amelio, per le sue caratteristiche, non è in grado di suscitare una riflessione di carattere storico su personalità e ruolo di Bettino Craxi.

Vedo ribaditi in rete giudizi consolidati, che appartengono al tempo della battaglia politica dell’epoca che sancì la sua eliminazione dalla vita politica.

La riduzione della sua vicenda a pura cronaca criminale di corruzione e malversazione, da un lato, e dall’altro la difesa acritica del suo operato, in nome di un malinteso “orgoglio socialista” che non sa interrogarsi a fondo sulla distruzione di una grande tradizione politica e ideale, che non avvenne esclusivamente ad opera di agenti esterni.

Eppure il tempo trascorso dovrebbe favorire almeno lo sforzo di un giudizio equanime su una figura che ebbe un enorme rilievo nella vita politica italiana.

Premetto che detestavo Craxi, per molte ragioni, politiche, culturali, addirittura antropologiche (non tanto lui, su questo piano, quanto il mondo che attorno a lui si era creato). Però sono passati vent’anni dalla sua morte, e chi si occupa di storia deve cercare di distaccarsi, pur ricordandoli, dai giudizi del tempo.

E inoltre - fatto non secondario - perché abbiamo visto all’opera i suoi nemici, che conquistarono il potere anche attraverso le forme della sua eliminazione.

Più che altro vorrei suggerire, ripromettendomi di tornarci sopra in maniera più distesa, alcuni filoni di discussione e di ragionamento.

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mondocane

Colonialismo, Berlino 1885- Berlino 2020: è il turno della Libia

di Fulvio Grimaldi

Bombe inesplose tra Tehran e Tripoli

Africa colonialiLe notizie-bomba che vi nascondono sono: 1) Un cyberattacco USA che con ogni probabilità, secondo il NYT, nella notte dell’8 gennaio ha abbattuto il Boeing 737-800 ucraino sopra Tehran, con i suoi 176 passeggeri ed equipaggio e che forse darà il via alla battaglia finale tra patrioti e vendipatria iraniani; 2) Il generale Soleimani, che aveva lo status diplomatico, era in missione di pace con piena consapevolezza USA. Era stato invitato a Baghdad dal premier iracheno Abdul Mahdi per mediare nella contesa tra Iraq e Arabia Saudita. Gli americani ne erano al corrente e ne hanno approfittato per allestire la trappola e ucciderlo. 3) il regime fantoccio dei Fratelli musulmani a Tripoli, difeso dagli stessi tagliagole Isis e Al Qaida che, per conto Usa-Nato-Turchia, hanno imperversato in Siria, Iraq, Nigeria e a cui corrono in soccorso gli sponsor neocolonialisti che pretendevano di combatterli. Allora servivano a frantumare Siria e Iraq, oggi li si impiega per spartirsi la Libia, come si progetta dai convenuti a Berlino.

 

Si abbattono torri, si abbattono aerei....

La prova degli occultamenti relativi all’abbattimento dell’aereo sopra Tehran nella notte della risposta iraniana all’assassinio del generale Qassem Soleimani, viene pubblicata nientemeno che dal New York Times, standard aureo del giornalismo imperiale e guerrafondaio. Pur di vantarsi di un crimine riuscito, a volte i suoi apologeti si scordano della riservatezza. Di Libia e degli irresponsabili e fieri sguatteri Nato, Conte, Di Maio e Guerini, che cianciano di interventi più o meno armati, più o meno nazionali o internazionali, parliamo dopo.

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ilcomunista

Sull’esito delle elezioni in Gran Bretagna

RP. intervista Joseph Halevi

brexitRP. Come prima cosa ti chiedo una considerazione generale della sconfitta del partito laburista clamorosa in termini di seggi. Tenendo conto che la vittoria dei conservatori era comunque data per scontata.

JH. Fino a qualche tempo fa, quando anche Boris Johnson si vedeva bocciare le sue iniziative del parlamento, mi sembrava fosse su una linea meno catastrofica di Teresa May, che stava veramente distruggendo il partito conservatore. La scelta di Johnson per riprendere in mano la politica dei conservatori è stata proprio quella di andare alle elezioni e come le ha gestite. Però secondo me queste sono cose superficiali.

Secondo me il problema fondamentale sono i laburisti, i quali sono entrati in una crisi che rischia di essere di non ritorno. Come, anche se in condizioni completamente diverse, i socialdemocratici tedeschi sono in una crisi di non ritorno: loro oggi sono al 15%, mentre erano un partito del 40%. In Gran Bretagna non c’è lo stesso tipo di situazione, con la medesima politicizzazione che c’è in Europa continentale, quindi la dinamica è diversa, però un partito che sta sul 30% diventa non agibile, diventa non spendibile perché non è un sistema pluralistico al livello politico. È un sistema che si basa su due partiti, che possono fare qualche alleanza qua e là, occasionalmente, però devono essere tutti e due in una situazione maggioritaria, dal punto di vista dei seggi (cioè essere sempre nella situazione di diventare maggioritario). Se uno dei due non ha la maggioranza dei seggi, può rimanere fuori per decenni. Come è accaduto ai laburisti negli anni trenta con la spaccatura introdotta da MacDonald e sono stati fuori fino al 1945; quando, sostanzialmente, è stata la guerra a fargli vincere le elezioni. Perché, anche se la guerra l’ha condotta Churchill, era cambiata l’idea presso la classe lavoratrice inglese che con la vittoria il mondo sarebbe stato diverso per ciò che li riguardava, i diritti, ecc.

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contropiano2

Il ritorno del capitalismo in Russia

di Fabrizio Poggi

jhbfkvmòdkpàjdedrL’atteggiamento di molta pubblicistica di sinistra nei confronti della Russia odierna si divide in due grandi filoni. Da un lato, una perenne venerazione di tutto quanto promani da Mosca, ignorando persino le critiche rivolte al Cremlino anche dai comunisti del KPRF, di cui, pure, spesso ci si fa portavoce. Dall’altro, il completo silenzio su qualsiasi manifestazione dell’opposizione che non sia quella liberal-borghese o confessionale, come se altra non ne esistesse.

Non ci è capitato di leggere nulla, ad esempio, sui duecento dipendenti licenziati dai supermarket SPAR e SemJA di Pietroburgo, caricati il 30 dicembre dalla polizia mentre stavano picchettando gli uffici di Intertorg, chiedendo il pagamento di 10 milioni di rubli di salari arretrati. I lavoratori erano dipendenti di un’agenzia interinale, “scomparsa”; così, i funzionari di Intertorg, ritenendosi estranei alla cosa, hanno chiamato i reparti speciali della milizia per disperdere i manifestanti.

Lo stesso giorno, a Mosca, una cinquantina di custodi addetti a manutenzione e pulizia dei caseggiati del rione “Lomonosov” avevano chiesto un incontro col direttore dell’impresa semi-pubblica di gestione, per lamentare l’organico ridotto alla metà, il non esser ammessi al convitto (sono tutti migranti da altre Repubbliche dell’ex URSS, con salari dai 20 ai 27mila rubli: 3-400 euro) anche in caso di malattia, se non dopo le 18, mancata fornitura di tenute invernali e di materiali per le riparazioni. Il direttore li sbatte fuori dell’ufficio e loro cominciano la protesta in strada. Risultato: tutti alla stazione di polizia e in tribunale; il rischio è condanna e espulsione dalla Russia.

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pandora

Pensare l’Italia

Giacomo Bottos intervista Lucio Caracciolo

belgium 3595351 scaledLucio Caracciolo – direttore di Limes – in questa intervista indaga una pluralità di temi connessi ad alcuni nodi di fondo relativi alla storia, alla posizione geopolitica e all’economia italiane, facendo emergere un tema di grande importanza: l’assenza di fondamenti comuni di una visione relativa al futuro del Paese, che siano condivisi dalle classi dirigenti, è una delle questioni principali che impedisce di impostare una strategia efficace per affrontare alcuni dei più annosi problemi italiani.

* * * *

Limes, nei suoi venticinque anni di vita, si è ciclicamente occupata dell’Italia in molteplici numeri della rivista. Si può dire che la sua stessa nascita nel 1993, in un periodo di forti cambiamenti sul piano internazionale e nazionale, sia legata anche all’idea della necessità per l’Italia di assumere maggior consapevolezza strategica e capacità di definire le proprie priorità in un quadro in cui venivano meno molti dei punti fermi che avevano caratterizzato il contesto precedente?

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tazebao

Note sulla fase politica

Autunno 2019

del Collettivo Tazebao

In un momento in cui la velocità degli avvenimenti molto spesso supera di gran lunga la capacità dei compagni di elaborarne una lettura di classe per poi orientare la propria pratica, il Collettivo Tazebao, attraverso la redazione e diffusione periodica delle Note di fase, punta a socializzare il proprio dibattito e sintesi politica, al fine di contribuire al confronto e alla crescita del movimento comunista e proletario. Auspichiamo che questo sforzo sia utile non solo alle realtà politiche e soggettive a esso interessate, ma anche allo sviluppo e all’arricchimento della nostra stessa discussione e del nostro lavoro politico sul territorio. Per questo invitiamo tutti a farci pervenire osservazioni, critiche, proposte di confronto, collaborazione e quant’altro venga ritenuto giusto o necessario

FB IMG 1573491033735 519x336Sulla situazione internazionale

Il 15 dicembre, sarebbero dovuti scattare nuovi dazi degli Usa nei confronti di 160 miliardi di dollari di prodotti cinesi, ma due giorni prima Trump annunciava un’intesa che li congelava, affermando che le trattative condotte avrebbero portato a “molti cambi strutturali ed acquisti massicci di prodotti agricoli, energetici e manifatturieri”. Si è aperto così un nuovo capitolo nella lotta all’insegna del protezionismo tra Usa e Cina [1], inaugurato da Trump con i dazi annunciati già nella primavera del 2018 su acciaio e alluminio, a cui è arrivata immediatamente la risposta della Cina, con contro dazi su una lista di 128 prodotti made in Usa. Finora, Pechino pare comunque essere stata in vantaggio complessivo nel conflitto commerciale, con perdite leggermente inferiori rispetto a quelle statunitensi, grazie alla svalutazione dello yuan rispetto al dollaro, che consente alle merci cinesi di essere ugualmente competitive sul mercato interno degli Usa nonostante l’incidere dei dazi sui prezzi.

Beninteso, l’annuncio di Trump a metà dicembre è solo una tregua in un conflitto commerciale che è parte della più vasta contraddizione interimperialista tra gli Usa e la Cina, nella quale per gli Stati Uniti non è in ballo semplicemente il proprio pesante deficit commerciale, ma, strategicamente, il primato imperialista mondiale. In particolare, con il progetto della “nuova via della seta”, l’imperialismo cinese punta a creare un’area globale, dai propri confini fino all’Africa, dove esportare capitali e di cui controllare i mercati. Quest’area investe anche l’Europa, dunque direttamente l’area della Nato, rispetto alla quale gli Usa stanno utilizzando pressione economica, politica e culturale per colpire l’avanzamento cinese.