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contropiano2

“Razionalità della demarcazione”. Contributo al dibattito su scienza e guerra

di Flavio Del Santo*

scienza e naturaHo seguito con grande attenzione il dibattito su scienza e guerra tra Angelo Baracca[1] e Vincenzo Brandi,[2] recentemente apparso su Contropiano.

Desidero iniziare raccogliendo l’appello di Angelo Baracca il quale, nella sua risposta a Brandi[3] affermava: “i miei allievi sarebbero i più indicati per dire se il mio Manuale Critico di Meccanica Statistica del 1979, impostato secondo questa concezione [storico-materialistica], riesca a fornire un’interpretazione del ricorso a metodi statistici più convincente dell’affermazione implicita che sono imposti dalla natura dei processi macroscopici.”

Poiché sono stato un allievo di Angelo Baracca quando egli era professore di fisica all’Università di Firenze, vorrei cogliere l’occasione per rispondere a questo commento e riaffermare alcune delle idee che sono al centro del presente dibattito, cercando però di contestualizzarle nel panorama contemporaneo.

Questo intervento non vuole essere una difesa delle posizioni di Baracca (che tuttavia tendo a condividere), ma cercherò piuttosto di mettere in luce come queste posizioni si siano evolute e diffuse dagli anni Settanta ad oggi; sviluppi di cui probabilmente nessuno dei due autori è completamente al corrente. Al contempo, però, ritengo che alcune precisazioni di carattere generale debbano essere giustapposte al commento critico di Vincenzo Brandi, il quale sembra puntare nella direzione tradizionale di una scienza “oggettiva” e “neutrale”.

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contropiano2

Il secondo Brexit, lotte di classe in Francia e il “Che fare” che ci aspetta

di Paolo Azzaroni

Gile JaunesIn Inghilterra il mondo del lavoro soffre di una malattia che si direbbe incurabile. Miseria, precarità, angoscia, sentimento di abbandono.

Da 15 anni e più, sinistra e destra l’hanno spinto nel vicolo cieco del neoliberismo. Le politiche di austerità condotte dall’Unione Europea hanno sostenuto profitti colossali e la loro trasformazione in rendite speculative. In inghilterra, come in Francia o, ancora peggio in Italia o in Grecia si lavora con una pistola puntata dietro la schiena, o non si lavora affatto o in modo precario. Salari e prestazioni sociali si sciolgono come neve al sole.

Gli Stati si trasformano in Stati provvidenza per le multinazionali : miliardi di euro di regali senza l’ombra di una contropartita, esoneri fiscali che si aggiungono all’evasione fiscale. La politica dell’offerta ha creato una situazione di Keinesismo alla rovescia : La provvidenza va ai piu ricchi e l’austerità è riservata alla grande maggioranza, in una parola, al mondo del lavoro.

Le popolazioni europee le hanno provate tutte : Si è votato a destra e non ha funzionato, si è votato a sinistra idem con patate, si è provato con l’estrema sinistra (in Grecia), peggio ancora. C’è chi ha accusato Alexis Tsipras e i suoi amici di tradimento e c’è chi l’ha finalmente assolto dicendo che non poteva fare diversamente.

In realtà sinistra e estrema sinistra sono, oggi, unite come due dita della stessa mano. Se tradimento c’è stato, esso va cercato in un’epoca piu remota. Bisognerebbe rimontare al periodo in cui gli azionisti delle grandi imprese ( vi ricordate quando li si chiamava Capitale Avanzato ?) hanno lanciato un deal con i dirigenti dei partiti detti « progressisti », rottamando cosi il vecchio Stato clientelare, le sue banche, le sue imprese di Stato, e la sua moneta… Vi ricordate i buoni del tesoro al 12% al netto delle tasse ? Ebbene oggi , in cambio abbiamo il MES ovvero il furto organizzato dei risparmi popolari.

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noirestiamo

Qui sème la misère, récolte la colère!

La generalizzazione del conflitto in Francia e il ruolo delle giovani generazioni

di Noi Restiamo

DwIWB75WwAAiSZ Oggi in Francia si svolge il terzo sciopero generale in meno di due settimane, il terzo momento di culmine della protesta che è andata montando all’annuncio di una nuova riforma pensionistica da parte dell’Alto Commissario alle pensioni e dirigente di En Marche! Jean-Paul Delevoye. L’opposizione a questo provvedimento sembra pronta a durare a lungo, nonostante la dura repressione da parte del governo; il tentativo di divedere il movimento giocando su un ricatto generazionale è stato rispedito al mittente, mostrando la forza di un blocco sociale ricompostosi sul terreno delle lotte reali. È importante dunque seguire da vicino queste mobilitazioni, nelle quali la nostra generazione ricopre un ruolo centrale, anche perché la loro portata oltrepassa i confini francesi e investe anche alcuni pilastri del progetto UE.

La prima giornata di sciopero interprofessionale, il 5 dicembre, ha bloccato il paese e, al di là di ogni aspettativa, è riuscita a portare in piazza 1,5 milioni di persone, alcune delle quali hanno scioperato per la prima volta. Già dalle linee guida rese note il 10 ottobre appariva chiaro che dietro la retorica dell’avanzamento verso un sistema universalistico si nascondeva un progetto di livellamento verso il basso delle prestazioni: aumento di fatto dell’età pensionabile da 62 a 64 anni se si vuole godere della pensione piena, introduzione di un sistema di calcolo a punti che scollega i contributi versati da un valore fisso, colpendo soprattutto le donne e i lavoratori con carriere precarie e discontinue, incentivi al prolungamento dell’attività lavorativa e al passaggio a fondi pensionistici privati.

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antiper

Qualche considerazione sulle elezioni generali nel Regno Unito del 12 dicembre 2019

di Antiper

corbybjohnsonLe elezioni inglesi sembrano aver prodotto un esito chiaro: Boris Johnson e i Conservatori hanno vinto, Jeremy Corbyn e la “sinistra” hanno perso, il “popolo” inglese vuole la Brexit.

Ma le cose stanno davvero in questo modo?

I risultati. Una prima osservazione da fare è la seguente: dato il carattere uninominale del sistema elettorale inglese i Conservatori, pur avendo raccolto solo il 43% dei voti hanno ottenuto il 56,1% dei seggi (365 su 650) [1]. I Laburisti non sono stati penalizzati perché con il 32% dei voti ottengono il 31,23% dei seggi. Penalizzati sono stati semmai i partiti minori che in nessun collegio (o quasi) potevano essere maggioritari (ad esempio i Liberali hanno raccolto l’11% dei voti e l’1,6% dei seggi). E già questo dovrebbe farci riflettere sul carattere “democratico” di un sistema politico in cui una minoranza diventa una netta maggioranza e in cui i grandi partiti vengono premiati a scapito dei piccoli.

Dai dati si ricava che i pro-Brexit non sono affatto una larga maggioranza e questo va detto per capire meglio la situazione e non certo per consolare gli europeisti (che non meritano per nulla di essere consolati).

La vittoria dei conservatori. Il partito Conservatore non ha conquistato molti voti (+1,2% rispetto al 2017) e ha potuto fare “man bassa” di seggi solo grazie a due elementi (oltre a quello del sistema elettorale): 1) Il “voto utile” del Brexit Party che alle europee aveva preso il 30,5% [2] e il 12 dicembre ha preso il 2% (i Conservatori avevano raccolto alle europee l’8,8% e questo spiega anche la sostituzione di Theresa May con Boris Johnson); 2) L’arretramento del Labour che perde il 7,9% rispetto al 2017 (anche se fa addirittura +18,5% rispetto alle europee, con il recupero dei voti persi verso i liberali a giugno).

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mondocane

L’impunità di classe al tempo del MES e della Prescrizione

Media falsari per omissione

di Fulvio Grimaldi

Zinga Renzi Berl. SalviniMetabolizzata l’affettuosa gelosia di quella Francia che, dagli illuministi e dal 1789, passando per la Comune e arrivando a un anno e passa di fenomenali lotte dei Gilet Gialli, pur decimati, tra morti e mutilati, dalle emergenze fascistoidi di Macron, fino agli scioperi di milioni e di giorni, di ogni categoria, che stanno paralizzando la Francia e riducendo, nel confronto, a nanetti da giardino nel parco dei signori i vari Landini, Furlan e Barbagallo, torniamo alle nostre miserie. Che nessuno esplicita con minore pudore di quanto ci riesca il giornalismo dei nostri media.

* * * *

Coloro che leggono queste note, tra epicurei che ne godono e stoici che le soffrono, sanno quanto mi sono strappato i capelli per le inversioni di rotta e gli arretramenti dei Cinquestelle (riferendomi sempre a quelli che ne sono responsabili, s’intende) e quanto me li sono inceneriti per essermi troppo a lungo ostinato a fidarmi di loro. Ho scritto anche un titolo “dal bene maggiore al male minore”. C’è chi, a questo proposito, lapalissianamente osserva che il meno peggio è comunque un peggio. Io rispondo con la stessa logica elementare, ma inoppugnabile: è quanto passa il convento. E allora cosa vogliamo fare? Chiudere il convento? Magari come Napoleone, che tanto bene fece in questo?

 

Cinque Stelle, il male minore. Quanto male, quanto minore?

E qui mi viene da pensare che i nostri Cinquestelle stanno a quanto noi avremmo voluto che fossero, come i mangiapreti Mazzini e Garibaldi stavano al Bonaparte che liquidava monasteri e sparava sugli altari.

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contropiano2

Francia: chi ha ferro ha pane

di Giacomo Marchetti

kb lmc jxfivòfsvzodihfòaGiovedì 5 dicembre è iniziato lo sciopero generale in Francia contro la riforma del sistema pensionistico.

Era chiaro che il processo che ha portato all’inizio dello sciopero generale ed il clima che l’ha preceduto lasciavano propendere per una riuscita di questo, delle mobilitazioni ad esso connesse e di un solido consenso dell’opinione pubblica in generale.

Ma la riuscita è stata molto più rosea delle più ottimistiche aspettative e costituisce un ulteriore stimolo per la sua continuazione ed estensione con effetto domino che “rischia” di abbattersi sull’esecutivo.

Secondo i dati “ufficiali”, non degli organizzatori, e quindi senz’altro notevolmente al ribasso, sono stati censiti 510.000 manifestanti in 70 città fuori Parigi, secondo il decryptage di Le Monde

Per darvi un idea della sproporzione, il quotidiano francese – che comunque dichiara di avere compiuto una stima non esaustiva sul totale – parla di 25.000 a Marsiglia, mentre la CGT del dipartimento di Marsiglia fornisce la cifra di 150.000 persone. Lo stesso a Tolosa: 33.000 per la Prefettura, 100.000 per gli organizzatori!

E rileva comunque una presenza significativa anche nei centri minori oltre a Parigi, Marsiglia, Bordeaux, Lione, Tolosa, comunque molto inferiore alle stime date dai cronisti di testale locali che conoscono meglio le città di cui scrivono…

Le nombre jaune,pagina creata durante la marea gialla per fornire una contabilità precisa, date le cifre diffuse ufficialmente dall’Esecutivo al limite del ridicolo, parla di 1.143.450 partecipanti!

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tempofertile

Marco Revelli, “Turbopopulismo”

di Alessandro Visalli

Turbopopulismo 1Nell’epoca in cui austeri dizionari on line, come quello della Treccani, coniano termini come “sovranismo psichico”[1], riprendendo un Rapporto del Censis[2] ed avviando una polemica[3] ben meritata, l’illustre sociologo torinese Marco Revelli, di cui abbiamo già letto altro[4] si impegna in una damnatio di quel che identifica come un populismo 3.0.

Il libro del politologo e sociologo torinese (anzi cuneese) ex Lotta Continua e poi Bobbio boys[5], sembra interessante soprattutto per questo: è perfettamente espressivo dello spiazzamento della migliore cultura della sinistra italiana.

Una cultura che è forse di sinistra, ma certamente da lungo tempo completamente disancorata con la tradizione socialista[6], se pure nella radice dalla quale proviene l’ex ribelle fattosi pompiere torinese è mai stata connessa[7].

Ciò che accade nel presente a Revelli appare chiaro da un lato e completamente oscuro dall’altro. È in corso quella che chiama una “rivolta dei margini”, un ‘ribollire’ di periferie in fibrillazione (p.56). Svolgendo sotto questo profilo un’analisi simile nella descrizione, ma del tutto opposta nella presa di posizione, a quella che ad esempio abbiamo letto nel lavoro del geografo Guilluy[8], Revelli individua una precisa rappresentazione dell’inversione tra sinistra e destra negli esiti elettorali che dal 2016, sempre più chiaramente, si sono accumulati (Brexit, Trump, fino ai Gilet Gialli). Ma ritrova, proprio come Guilluy, una conferma anche nelle vittorie del centro, quella di Macron in Francia, che ottengono il successo esercitando una loro forma populista, come fece, peraltro Renzi nella sua breve parabola[9]. Quel che si sta verificando è dunque una rivolta, precisamente “dei margini”.

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mondocane

Dall’odio del “manifesto” al manifesto dell’odio

Quando le colori,le sardine vanno a male

di Fulvio Grimaldi

Che ci fanno Bill Gates, Ted Turner e George Soros con Extinction Rebellion?

sardine color tante 1“Non siamo contro il Sistema” (I fondatori delle “Sardine” toscane: Danilo Maglio, Cristiano Atticciati, Matilde Sparacino, Benard Dika)

Una cosa è certa: questo PD degli Zingaretti, Marcucci, Lotti, Orfini, Guerini, non è mai stato in grado e non lo sarà mai di produrre una mobilitazione di massa, estesa sul territorio, come quella oggi in atto con le “sardine”. Per quanto possa poi risultargli favorevole nel voto. Chi sa dar vita a fenomeni del genere, solitamente effimeri, ma di grande impatto momentaneo grazie alla sinergia con un sistema mediatico controllato dagli stessi che innescano tutte le rivoluzioni colorate. Di cui sono una manifestazione le “sardine”, assieme ad altre analoghe, nelle loro più recenti invenzioni improntate a un odio sconfinato per coloro che dannano come odiatori. Sono tutti quelli che escono dal seminato, ossia non condividono, non si assoggettano, si permettono dissensi nei confronti del Sistema. Che è un nome asettico per non dire establishment, o élite, o Cupola, o padroni del mondo.

Infatti cosa proclamano in primo luogo e come caposaldo politico-ideologico i capibranco “sardine” di Firenze? “Non siamo contro il Sistema”. Non sono, quindi, contro coloro che il Sistema lo disegnano, attuano, reggono: i dominanti. Ne consegue, forzando neanche tanto: noi siamo con il Sistema, magari un tantinello critici (ma tutto scompare nell’odio per Salvini e il populismo), con l’establishment, con il Deep State, l’élite, l’UE, la Nato, la Green New Economy integrata dal catastrofismo ambientale, con l’annullamento delle identità e lo sradicamento dei popoli, con ogni criminalità organizzata, ogni forma di terrorismo, con il capitale che tutti ci governa e cui sono connaturati il totalitarismo di comunicazione e sorveglianza, le guerre sociali, economiche e militari.

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orizzonte48

L'intento dei costituenti, il rispetto della legalità e... il problema della crescita e dell'occupazione

di Quarantotto

01 de nicola costituzioneI. Mi trovo a fare la premessa introduttiva di un post creato da un insieme di commenti di Francesco Maimone. Un discorso che rientra tra i tanti che non vanno dispersi (e talora ho mancato nel tentare queste operazioni di valorizzazione della ricchezza, cognitiva e costituzional-legalitaria, racchiusa nei migliori interventi svolti sul blog. Ma le mie forze hanno un limite...).

La prima cosa che mi viene da dire riguardo al tema che tratta Francesco, collegato al precedente, post, è questa: una delle frasi fatte che più mi colpisce, per il suo ottuso autolesionismo, e la sua mediocrità ideologica e culturale, è quella che viene spesso, anzi direi in modo quasi automatico, attaccata alla affermazione "La Costituzione italiana è la più bella del mondo" (affermazione che, a sua volta, mi ha sempre visto diffidente, per la sua sospetta enfasi che, generalmente, nasconde una totale strumentalizzazione fuorviante dell'armonia complessa della Costituzione del 1948, o, peggio, l'assoluta ignoranza al riguardo).

La frase di replica in questione, di cui francamente non se ne può più, è "Ma la "tua" Costituzione non ti ha protetto da..." (di volta in volta, può essere la disoccupazione, l'approvazione di Maastricht, l'avvento dell'euro, dell'Unione bancaria, o qualsiasi altra grande sciagura che ha afflitto la nostra Patria negli ultimi decenni). Ed infatti la frase è espressa anche nella variante "Sì ma, la Costituzione più bella del mondo non ha impedito che...".

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oltreilcapitale

Le lunghe radici di un tramonto*

Intervista a Gian Mario Cazzaniga1

terza internazionale 640x487Oggi, in particolar modo nei paesi anglosassoni (con Corbyn e Sanders2), stiamo assistendo a un rinnovato interesse nei confronti dell’idea di socialismo. All’interno di tale processo, attivisti e intellettuali di diverse provenienze politiche e nazionali manifestano fascinazione, ma al tempo stesso sconcerto, rispetto alla tradizione della sinistra italiana, in particolar modo alla storia del Partito comunista italiano. Può quindi immaginarsi fin da subito quale possa essere la prima domanda che venga in mente a un interessato interlocutore straniero.

Com’è che voi, che eravate così bravi, siete finiti così male? (risata). Esattamente. Proviamo a specificare. Cosa rimane del Gramsci politico e della sua creatura, il Pci? Quali sono i principali motivi della sua caduta in disgrazia? Possono essi spiegare la timida ascesa e il rapido declino di Rfondazione comunista, nonché l’attuale deserto politico nella sinistra italiana3?

Partiamo dall’episodio cruciale dello scioglimento. Quando, a seguito della proposta di Occhetto, iniziò una discussione all’interno del Pci sullo scioglimento del partito e sulla sua trasformazione in un nuovo soggetto politico, le resistenze rispetto a tale prospettiva furono abbastanza forti, e pur tuttavia difendevano un’idea di partito che certamente era esistito in passato, ma che non corrispondeva più alla sua configurazione del momento. D’altra parte, vi fu sicuramente qualche ragione se una larga maggioranza del suo gruppo dirigente perseguì un certo tipo di scelte, anche con una certa coerenza. Occorre quindi rivedere la storia del partito nelle sue diverse fasi, a partire dalla riforma togliattiana del 1944-45, per capire che cosa abbia fatto la grandezza del Pci e che cosa motivi anche la sua evoluzione successiva. Una parabola che, sebbene possa risultare più chiara agli storici, certamente non è stata compresa dal corpo centrale dei suoi iscritti e militanti.

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militant

Dalle piazze alle urne. Lotte di classe in Spagna

di Militant

catalognaI risultati delle elezioni generali spagnole del 10 novembre 2019, la quarta convocazione elettorale per elezioni politiche negli ultimi quattro anni, a solo sette mesi dalla precedente votazione, celebrata ad aprile, confermano un panorama politico-elettorale bloccato, in cui rimangono irrisolti tutti i principali nodi della crisi multilivello che sta interessando il Paese iberico nell’ultimo decennio.

Nella precedente, brevissima legislatura Pedro Sánchez, il segretario del Partito Socialista, ha rifiutato le proposte di formare un governo di coalizione provenienti da Unidas Podemos. Un accordo che avrebbe comportato sia la necessità di realizzare politiche sociali in controtendenza rispetto alle politiche di austerity portate avanti anche dai governi a guida socialista negli ultimi anni, sia un netto cambiamento di atteggiamento verso l’indipendentismo catalano da parte di Sánchez e dei socialisti, con l’apertura di un tavolo di negoziato sulla riforma delle autonomie e/o il riconoscimento del diritto di autodeterminazione, e la fine della criminalizzazione e giudiziarizzazione del conflitto politico catalano. Sánchez e la dirigenza socialista hanno deciso invece di convocare elezioni anticipate, puntando ad aumentare i consensi elettorali e i seggi in parlamento, per poter poi formare un governo, sebbene di minoranza, ma con basi più solide e negoziare accordi puntuali da una posizione di maggiore forza. Alla fine, però, a Sánchez, come si dice in lingua castigliana, le salió el tiro por la culata, cioè il colpo, invece di uscire dalla canna del fucile, gli è uscito dal calcio, rimanendone così vittima.

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contropiano2

Assange in tribunale

di Craig Murray*

vbzk nkn kck cknk cdSono rimasto profondamente turbato in qualità di testimone degli eventi che si sono svolti ieri presso la Westminster Magistrates Court. Ogni decisione è stata pilotata attraverso gli argomenti e le obiezioni inascoltate della difesa di Assange da un giudice che non si dava quasi la pena di fingere di prestare attenzione.

Prima che mi dilunghi sull’evidente mancanza di un processo equo, la prima cosa che non posso fare a meno di notare è lo stato di Julian Assange. Sono rimasto profondamente sbigottito da quanto peso il mio amico abbia perso, dalla velocità con cui si è incanutito e dall’evidenza di un prematuro invecchiamento in rapido avanzamento. [Assange] ha una marcata zoppia che non avevo mai notato prima. Da quando è stato arrestato, è dimagrito di 15 chili.

Ma il suo aspetto fisico era ben poca cosa paragonato al declino mentale; quando gli è stato chiesto di dire il suo nome e la sua data di nascita, ha faticato visibilmente per svariati secondi per ricordare entrambi. Parlerò al momento opportuno dell’importante contenuto della sua dichiarazione alla fine dell’udienza, ma la sua difficoltà nel parlare era più che evidente; ha dovuto sforzarsi veramente per articolare le parole e concentrarsi su una linea di pensiero.

Fino a ieri ero sempre stato tacitamente scettico delle voci – anche di quella di Nils Melzer, il Relatore Speciale ONU sulla tortura -, secondo cui il trattamento inflitto a Julian equivaleva ad una tortura, e parimenti scettico anche verso coloro che sostenevano che venisse sottoposto a trattamenti farmacologici debilitanti.

Ma, dopo aver assistito ai processi in Uzbekistan di diverse vittime di forme estreme di tortura e avendo lavorato con dei profughi della Sierra Leone e di altri paesi, posso dire che da ieri mi sono ricreduto completamente e che Julian esibiva esattamente gli stessi sintomi delle vittime di tortura portati semi-accecati alla luce del giorno, in particolare in termini di disorientamento, confusione e di sforzo palpabile nell’affermare la propria libera volontà al di sopra di un acquisito senso di impotenza e disperazione.

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marx xxi

"...Aveva continuato la politica della destra con uomini e frasi di sinistra..."

di Norberto Natali

crispiQuesto titolo è tratto dai “Quaderni dal carcere” di Gramsci nella parte in cui egli descrive il tradimento della sinistra storica nel tardo ‘800. Da quando fu fondato lo stato italiano (Regno d’Italia) nel 1861 -scrive Gramsci- il governo fu guidato dalla destra, mentre uomini come Crispi erano all’opposizione: ferventi repubblicani ispirati da Mazzini e Garibaldi, generalmente su posizioni sociali molto moderne e progressiste.

Dopo un quindicennio, la destra storica fu sostituita dalla sinistra nella direzione del paese; essa, appunto, continuò la politica della destra ma ingannando il popolo con frasi di sinistra e facendosi rappresentare da uomini con un passato di sinistra (è il caso del governo Depretis).

Tuttavia si trattò solo di un passaggio intermedio (una decina di anni) perché poi -queste stesse forze- proseguirono più semplicemente come destra, macchiandosi di colpe che la destra storica, in precedenza, aveva forse sognato ma non realizzato. In primo luogo, lo spargimento del sangue del proletariato reprimendo ferocemente le rivendicazione e le istanze degli operai e dei contadini, iniziando dai “Fasci siciliani” movimento di lotta bracciantile.

Ciò prese avvio con il governo Crispi.

Non a caso il termine “trasformismo” cominciò ad essere usato proprio in quegli anni, con riferimento a quei governi e alla metamorfosi di quelle forze politiche. Tuttavia quel termine non esprimeva un mero giudizio morale su alcuni individui: era piuttosto un’analisi politica. Il De Sanctis, infatti, denunciò che quei sinistri tentavano di disarticolare i partiti e cancellarne la funzione “strappando” dai loro gruppi alcuni parlamentari e “trasformandoli” in gestori di un disegno di governo e di un assetto di potere determinato.

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marxismoggi

Miseria del sovranismo. Smarrimento della dialettica e proliferazione dell'ideologia

di Emiliano Alessandroni*

3 0011. Questioni teoriche preliminari

Nella Scienza della Logica Hegel descrive in questi termini la natura ontologicamente relazionale di ogni contenuto determinato:

Quando si presuppone un contenuto determinato, un qualche determinato esistere, questo esistere, essendo determinato, sta in una molteplice relazione verso un altro contenuto. Per quell'esistere non è allora indifferente che un certo altro contenuto, con cui sta in relazione, sia o non sia, perocché solo per via di tal relazione esso è essenzialmente quello che è[1].

Si tratta di un aspetto successivamente ben compreso e metabolizzato dalla filosofia di Marx: «un ente che non abbia alcun oggetto fuori di sé non è un ente oggettivo. Un ente che non sia esso stesso oggetto per un terzo, non ha alcun ente come suo oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è niente di oggettivo». Questo riferirsi ad altro, ossia essere in rapporto con altro, costituisce la naturale essenza di ogni ente in quanto ente:

Esser oggettivi, naturali, sensibili, e avere altresì un oggetto, una natura, un interesse fuori di sé, oppure esser noi stessi oggetto, natura, interesse di terzi, è l'identica cosa. La fame è un bisogno naturale, le occorre dunque una natura, un oggetto, al di fuori, per soddisfarsi, per calmarsi. La fame è il bisogno oggettivo che ha un corpo di un oggetto esistente fuori di esso, indispensabile alla sua integrazione e alla espressione del suo essere. Il sole è oggetto della pianta, un oggetto indispensabile, che ne conferma la vita, come la pianta è oggetto del sole, dell'oggettiva forza essenziale del sole.

Un ente che non abbia fuori di sé la sua natura non è un ente naturale, non partecipa dell'essere della natura[2].

L'avere fuori di sé la propria natura significa che nessun ente naturale finito, ma a ben vedere anche nessun contenuto determinato, sia autosufficiente.

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coniarerivolta

Lezioni dall’Ecuador: la lotta paga, l’austerità arretra

di coniarerivolta

morenIn questi giorni abbiamo assistito a forti insurrezioni popolari in Ecuador. Per comprendere meglio il quadro politico, occorre fare un piccolo passo indietro nel tempo, partendo da una figura centrale per quel Paese, l’ex presidente Rafael Correa.

Nel suo primo mandato, Rafael Correa fece riscrivere, attraverso la convocazione di un’assemblea costituente, la Costituzione del paese per poter aumentare il controllo pubblico sull’economia. In questo modo, durante la sua presidenza (2007-2017), l’Ecuador sperimentò una fase storica e politica estremamente favorevole per le classi più povere. Per dare una misura dei traguardi raggiunti, tra il 2008 e il 2016, il governo ha aumentato di cinque volte la spesa sanitaria media annua rispetto al periodo 2000-2008. Sono stati costruiti nuovi ospedali pubblici, il numero di dipendenti pubblici è aumentato significativamente così come gli stipendi. Nel 2008, il governo ha introdotto una copertura previdenziale universale e obbligatoria. Per quanto riguarda i risultati economici, il livello di povertà nel 2007 in termini di reddito è stato del 36,7% e nel 2015 era sceso al 23,3%, indicando che più di un milione di ecuadoriani hanno superato la soglia di povertà; per ciò che concerne l’indicatore della povertà estrema, l’Ecuador ha registrato una diminuzione di otto punti percentuali rispetto al 2007, attestandosi nel 2015 all’8,5%, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica e Censimenti nella sua indagine nazionale del 2015. Tra il 2007 e il 2013, il paese sudamericano ha abbassato il suo coefficiente Gini (un indice che misura la disuguaglianza dei redditi) di 6 punti (da 0,55 a 0,49), mentre nello stesso periodo l’America Latina l’ha ridotto di soli due punti (da 0,52 a 0,50).