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dialetticaefilosofia

Cos'è il populismo?

Recensione di Laura Sugamele

Jan-Werner Müller, Cos’è il populismo?, traduzione Elena Zuffada, con un intervento di Nadia Urbinati, Università Bocconi editore, Milano 2017, pp. 137

111 populismo di sinistraLa questione attorno alla quale ruota questo saggio scritto da Jan-Werner Müller, professore di politica alla Princeton University, è il populismo, un argomento ormai alla ribalta delle discussioni politiche e che sta investendo la società attuale, che vede coinvolti i movimenti di destra come quelli di sinistra; dal movimento del Front National di Marine Le Pen a quello greco di Syriza e di Podemos in Spagna; gli Stati Uniti con Donald Trump e il movimento cinque stelle in Italia.

L’autore pone il populismo come realtà presente nella politica attuale, contrasto e contrapposizione alla democrazia, laddove il termine viene adoperato o etichettato come «anti-establishment» (p. 5), nel senso che si frappone a una determinata idea politica o ad un progetto politico.

Ciò su cui si pone immediatamente attenzione nel testo è l’idea che l’opinione pubblica ha del populismo o dei movimenti populisti in generale, come di un qualcosa caratterizzato più che altro da contenuti irrilevanti e da una emozionalità e una aggressività che porta i populisti a puntare sul malcontento popolare facendo incanalare la generale frustrazione, in direzione di una opposizione alle politiche europee. Tuttavia, non è così. Müller riprendendo un’osservazione del politologo bulgaro Ivan Krastev, il quale ha parlato dell’epoca attuale definendola come «l’Era del populismo» (p. 6), sostiene che quando si discute di populismo, non si sa davvero di cosa si stia parlando, nel senso che non è scontato conoscere davvero l’argomento che, invece, necessita di un’analisi approfondita.

Innanzitutto, non è detto che esso tragga la sua forza necessariamente dall’animosità delle frustrazioni come se non avesse uno scopo preciso; anzi è il contrario. Ritenere che alla base di un progetto populista vi sia esclusivamente un’idea di cambiamento scatenata da eventuali percezioni di pericolo, da paure personali o di carattere economico-sociale è errato. Occorre, dice Müller, fare attenzione quando si cerca di comprendere il fenomeno, in quanto non basta riferirsi ad esso come un movimento spinto da rabbia o da risentimento nei confronti, per esempio, di una élite politica. A fondamento del populismo vi è invece una logica, una «visione moralistica della politica, un modo di percepire il mondo politico che oppone un popolo moralmente puro e completamente unificato […] a delle élite ritenute corrotte o in qualche altro modo moralmente inferiori» (pp. 26-27).

In quest’ottica, cosa contraddistingue il populismo? Ciò che emerge nel testo è la moralità di cui si sente portatore il populismo, il quale si erge a movimento puro e non corrotto, in contrapposizione a delle élite corrotte. La moralità contro l’immoralità insomma. Tuttavia, criticare la ‘casta’ non è una delle condizioni principali per la definizione di movimento populista. Il populismo crea qualcosa in più. Il suo scopo è quello di individuare un determinato potere che governa come illegittimo. Una rivendicazione di fondo che conduce a creare una separazione sostanziale tra i partiti populisti, considerati come parte del popolo ed espressione delle sue esigenze e gli altri, i corrotti, gli illegittimi che sono al potere. È nel concetto moralistico di politica sviluppato dai movimenti populisti che si attua questa dicotomia tra morale e immorale, corruzione e onestà. Osserva Müller, che tale elemento si è potuto riscontrare con Nigel Farage che in approvazione della Brexit affermò che aveva vinto la gente vera, o anche con Donald Trump che durante un comizio, in occasione della sua campagna elettorale, si era espresso dicendo che «l’unica cosa importante è l’unificazione del popolo – perché gli altri non contano nulla» (p. 29). Su questo punto, comunque, sorge un problema nel populismo. I movimenti populisti dovrebbero essere i veri rappresentanti del popolo; si schierano con e a fianco di esso. Ma, il populismo punta più che altro a una rappresentanza simbolica del popolo, il quale rimane una realtà estranea e fittizia che non si conosce davvero e nemmeno completamente. Il popolo che è una massa per nulla omogenea, con richieste e prospettive di vita totalmente diverse.

Detto ciò, perché i populisti si rivolgono al popolo ponendosi, in analogia alla volontà generale rousseauiana, come sua espressione nella sua interezza? Per risolvere questo quesito, bisogna partire dall’idea di popolo che ha il populismo. Il populismo trae forza da un appello diretto al popolo, ma, dato che l’idea stessa di popolo è fittizia, astratta, e considerando anche il suo carattere mutevole e certamente non univoco, secondo l’autore, è necessario esaminare l’idea di popolo su cui si fonda il populismo.

Per i populisti, dice l’autore, «il popolo stesso è un’entità fittizia esterna alle attuali procedure democratiche, un corpo omogeneo e moralmente unificato la cui presunta volontà può ritrovarsi contrapposta agli effettivi risultati elettorali nelle democrazie» (p. 34). Il riferimento è ad un concetto di popolo moralmente corretto, virtuoso, onesto, giusto e, quindi, ad una costruzione simbolica di popolo, che non è il popolo stesso, ma che può avere effetti sull’opinione pubblica, se pensiamo alle parole di Andrés Manuel Lopez Obrador in seguito alla sconfitta alle elezioni del 2006 in Messico, il quale sostenne con forza l’illegittimità del presidente eletto. C’è anche Geert Wilders che, nel contesto olandese, criticò il parlamento attribuendo ad esso l’appellativo di falso. Da ciò è comprensibile l’affiancamento alla linea d’azione populista delle teorie della cospirazione, nel momento in cui il populista tende a puntare il dito contro il suo avversario additandolo di frode, truffa, illegittimità. Un termine che allora viene messo in luce da Müller è quello di antipluralismo, laddove i populisti pensano di essere gli unici ad ascoltare la voce del popolo.

«Un antipluralismo di principio e moralizzato e il riferimento a un concetto non istituzionalizzato di popolo contribuiscono a spiegare il motivo per cui i populisti oppongono così di frequente il risultato moralmente corretto di un voto all’effettivo esito empirico di un’elezione, se quest’ultima non è stata a loro favorevole» (p. 39).

Per quanto concerne le cause, non si può trovare un solo fattore da cui dipenda lo sviluppo del populismo, dato che le ragioni sono molteplici e non esclusivamente correlate alla crisi economica, ma per lo più ad una crisi politico-istituzionale.

Su cosa fa leva il populismo? Quando esso subentra? Certamente la sua presenza si lega ad un vuoto di potere, a una crisi della politica. Infatti, il risultato che ne consegue dall’analisi di Müller si riferisce al populismo come frutto di una classe politica ormai in crisi e che non riesce a rispondere al malcontento generale. Quando la classe dirigente non riesce più a venire incontro e a risolvere le esigenze dettate da una crisi economica e, non c’è nemmeno una politica incisiva di riforme, ecco che il populismo incanala questa paura, presentandosi come l’unica possibilità di svolta alla crisi generale. Detto ciò, l’inadeguatezza della classe politica, non più animata da rinascita e progresso e il prevalere di insufficienze nella politica, può contribuire ad amplificare il senso dell’incertezza nelle persone e il loro desiderio di cambiamento e, quindi, a vedere ciò nel populismo. Il populismo che sembra avere una spinta di cambiamento, di trasformazione radicale, ma che in realtà non è, laddove, sono più i comportamenti che i progetti ben definiti a riscuotere successo.

Ciò che emerge nel testo è, allora, una radicalizzazione degli atteggiamenti del populismo al di là delle prospettive politiche. Alla luce di questa considerazione, il leader populista perché acquisisce consenso? Certamente, la creazione del ‘muro’ dell’incomprensione ideologica, la paura della crisi economica, piuttosto che la paura dell’altro, sono ottimi elementi di risposta nel momento in cui la classe politica dirigente non riesce ad avere più il consenso.

Perciò, il populismo si presenta quasi come una sorta di ‘capacità eversiva’ rispetto alla politica. Allora, l’analisi presentata in questo testo, pone di ricercare una logica nel populismo, nella quale, d’altronde, l’appello al popolo è molto forte ed è diventato uno spazio attraverso cui creare una polarizzazione tra la classe politica tradizionale e i movimenti populisti, dove la loro rivendicazione è questa: «noi e soltanto noi rappresentiamo il popolo» (p. 89). Da ciò, osserva l’autore, come proprio le manifestazioni di piazza, le petizioni online o altri tipi di dimostrazioni siano atte a questo scopo. Il nodo focale di questo testo è, dunque, quello di evidenziare una ‘voragine’ tra il vuoto politico effettivamente presente ormai nelle democrazie occidentali e i movimenti populisti che si innalzano a nuovo vessillo degli interessi del popolo.

«Come si può spiegare l’interesse per il populismo?» (p. 102). Müller risponde a questa domanda sottolineando che vi è una sovrapposizione tra il populismo e il popolo, una identificazione con il popolo stesso.

A tal proposito, l’autore osserva che è il linguaggio adoperato dal populista a dover far riflettere. Se consideriamo, per esempio, le dichiarazioni del movimento cinque stelle quando afferma di voler ottenere «il cento per cento dei seggi in Parlamento perché tutti gli altri candidati sono presumibilmente corrotti e immorali» (p. 125).

È, quindi, questo tipo di linguaggio che evidenzia l’autore, un linguaggio col quale si tende sostanzialmente a demarcare la polarizzazione tra la casta corrotta e il popolo giusto moralmente. Il populista che attraverso il linguaggio, identifica sé stesso con il popolo. Un linguaggio populista che, dunque, esplica un’avversione esplicita alla classe dirigente al governo e che scompone e destruttura il canale della rappresentanza appellandosi alla volontà del popolo vero. Ciò, allora, che si pone a critica nel testo è il metodo adoperato dal populismo, che mira a un conflitto politico tra i governanti e il popolo e non a un progetto definito e ragionato. Ed è questo il punto centrale nel testo di Müller, attorno al quale si getta la possibilità di un’alternativa, «un approccio che cerchi di includere chi è attualmente escluso […] impedendo al contempo ai benestanti e ai potenti di chiamarsi fuori dal sistema. Questo è semplicemente un altro modo di dire che è necessaria una qualche forma di nuovo contratto sociale, per il quale è indispensabile un supporto ad ampio raggio nei paesi dell’Europa meridionale, supporto che può essere costruito unicamente facendo ricorso all’equità, non solo alla rettitudine fiscale» (p. 127).

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