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sinistra

Ancora sui Gilet gialli

di Michele Castaldo

gilet gialli 1 dic 118252 detailpPur se continua la lotta dei Gilet gialli è già possibile cominciare un primo bilancio e tentare di intravedere alcune linee di tendenza per il futuro. Partiamo dalle risposte fornite da Macron alle loro richieste. Le misure promesse con un decreto legge sono sostanzialmente 3:

♦ Completa defiscalizzazione degli straordinari. Già era previsto di tagliare i contributi sociali a carico dei dipendenti e dei datori di lavoro;

♦ Aumento dello stipendi minimo di 100 euro al mese senza ricarico per i datori di lavoro;

♦ Defiscalizzazione completa delle pensioni sotto i 2000 euro mensili.

Come dire: un medicamento peggiore del male, come versare del sale su una ferita. Ma si sa, i reazionari sollevano un macigno per farselo ricadere poi sui piedi, per dirla con il vecchio e saggio Mao. In realtà si tratta di provvedimenti che non tengono per niente in conto la natura della protesta in atto, e per essere ancora più espliciti diciamo che si tratta di misure “novecentesche”, cioè di chi analizza i fatti odierni con le lenti del passato, molto simili – per fare un paragone e rendere l’idea – agli 80 euro di Renzi che gli spianarono sì la strada per la vittoria elettorale alle elezioni europee, ma poi fu affossato di lì a poco dal nuovo che avanzava. Non a caso quel nuovo che è emerso in Italia – il M5S – sta lanciando una ipotesi di accordo politico ai Gilet gialli mettendo a disposizione la propria piattaforma Rousseau. Sul movimento nazionalista di Salvini, anch’esso “nuovo”, ci occuperemo a parte.

L’operazione Macron, in rappresentanza della grande borghesia francese, cioè dei poteri forti, quelli che contano realmente, ha lanciato l’amo verso la classe operaia stabilizzata, e per essa la Cgt- Confédération générale du travail - cioè la grande Confederazione sindacale di “sinistra” che nell’ultimo periodo aveva lanciato un appello per un patto unitario di lotta ai Gilet gialli. Altrimenti detto: visto che la protesta era spontanea e disorganizzata, il grande sindacato operaio offriva la propria collaborazione per organizzare la lotta, la piattaforma rivendicativa e la capacità a trattare maturata in lunghissimi anni di esperienza. Tutta questa impostazione dimostra che l’establishment francese finge di non capire il nuovo vento che avanza, che è in completa rottura con tutto il ciclo precedente. La Cgt non ha lo stesso potere di presa sul nuovo movimento di ribellione, come lo ebbero in qualche modo i sindacati europei sul finire degli anni ’60, in modo particolare proprio in Francia e in Italia. Ne è passata di acqua sotto i ponti, cari signori.

Le figure sociali del nuovo movimento sfociato nelle mobilitazioni dei Gilet gialli – e che ben presto si diffonderà nel resto d’Europa e con qualche sorpresa negli stessi Stati Uniti – sono quelle allevate e ingrassate durante gli anni dello sviluppo economico di una lunga fase ascendente dell’accumulazione capitalistica; compresa la classe operaia cresciuta all’ombra di un imperialismo aggressivo nei confronti di intere regioni del nord Africa. Le figure impoverite che abbracciano tutte le strutture sia della produzione che della distribuzione, e tutti gli ambiti della vita civile sanitaria, culturale, ricreativa e così via. Figure che non possono più rientrare nei loro ranghi di provenienza, perché non è possibile un ripristino di uno status quo ante, perché non s’intravede all’orizzonte una ripresa dell’accumulazione in grande stile come occorrerebbe in una simile situazione e perché – innanzitutto – i paesi che furono un tempo preda del colonialismo europeo e occidentale oggi si pongono come potenti concorrenti sia di merci che di mezzi di produzione di tutti i paesi più avanzati. E’ quest’ultima verità che terrorizza le menti dei sostenitori del sistema annidati nell’ establishment europeo e non solo. Ecco perché le misure di Macron più che ai Gilet gialli sono indirizzate a due settori: a) alla classe complementare per antonomasia del modo di produzione capitalistico, cioè la classe operaia; b) ai pensionati, nel tentativo di tenere in piedi la complementarietà e rilanciare i consumi. Per queste ragioni sarà sconfitto come fu sconfitto Renzi.

 

I Gilet gialli e la Cgt

Alcune organizzazioni di estrema sinistra in Italia hanno valutato positivamente le posizioni della Cgt e – in qualche caso – la presenza dei loro militanti ai blocchi delle rotonde durante i picchetti dei Gilet gialli nelle ultime settimane. Si tratta di una valutazione votata all’ottimismo della volontà – per dirla con Gramsci – più che alle ragioni materiali oggettivamente date. Cerchiamo di spiegare perché. La Cgt, grossomodo l’equivalente della Cgil italiana in Francia, è una organizzazione strutturalmente complementare del capitale, è l’espressione del proletariato stabile nel rapporto capitale lavoro, destinata a tentare di vendere a un prezzo più alto possibile il costo della mano d’opera, cioè di quella che marxianamente viene definita la classe operaia. Da un punto di vista capitalistico, in quanto tale, essa non può essere alleata con i settori che hanno costituito il movimento dei Gilet gialli. Vorremmo tanto sbagliarci al riguardo, ma più la crisi avanza e più gli operai si sentono ricattati e perciò polarizzati verso il proprio padrone, la propria azienda, la propria impresa, altrimenti detto: verso il capitale di cui sono e si sentono complementari. Mentre i settori che compongono i Gilet gialli, tranne poche eccezioni, sono figure sociali compresse e emarginate dal sistema produttivo quando non addirittura espulse. Non a caso la loro protesta si sviluppa il sabato, un giorno in cui possono confluire tutti i lavoratori precari di tipo individuale, dell’artigiano, della piccola impresa, del camionista, dopo una settimana di lavoro, si ritrovano per una protesta politica antigovernativa in piazza. Ci sono sì anche operai di fabbriche, ma partecipano come cittadini falcidiati dalle tasse sui carburanti piuttosto che come settori di classe, del marxiano proletariato, giusto per intenderci, che mette sulla bilancia il peso della propria organizzazione contrattuale. Dunque la Cgt, che organizza le varie categorie di lavoratori, non può rappresentare una mobilitazione che è tutta e solo politica, chiama in causa non il capitalista o più capitalisti, ma il governo, cioè l’insieme del capitale e lo Stato che di esso si fa garante. Difatti le misure di Macron vanno incontro a quelle categorie che storicamente sono organizzate nei sindacati: operai e pensionati. S’intravede perciò una linea di tendenza, cioè di intenzioni della borghesia francese di rafforzare – alle condizioni date – la complementarietà capitale-lavoro e di lasciare al proprio destino tutte quelle fasce sociali colpite duramente dalla crisi. La Cgt è parte, come detto, di questa complementarietà e non potrà giocare nessun ruolo nel movimento dei Gilet gialli o come ancora si andranno costituendo.

Per rifarci a un precedente storico italiano – lontano anni luce dalla situazione odierna – citiamo la famosa rottura tra il movimento operaio italiano organizzato dal Pci e la Cgil e le masse giovanili emarginate degli anni ’77 – ’80. Ma erano altri tempi, quelli che consentirono l’assunzione di 500 mila giovani nella Pubblica Amministrazione che prosciugò l’area dell’estrema sinistra e sconfisse le formazioni armate. Erano gli ultimi anni da vacche grasse, i tempi sono cambiati.

 

La ruspa dei Gilet gialli e quella di Salvini

C’è una bella differenza tra le due ruspe, quella di Salvini che in Italia intende fare piazza pulita di zingari e immigrati “clandestini” e quella dei Gilet gialli che ha abbattuto, sabato 5 gennaio, il portone d’ingresso del Ministero per i Rapporti con il Parlamento, di un palazzo – certamente secondario – del potere politico, cioè delle istituzioni dello Stato democratico. Vorremmo subito mettere in chiaro che l’azione in sé della ruspa che abbatte il portone di un ministero in quanto azione coordinata di un gruppo di una ventina di manifestanti non può impensierire più di tanto un moderno Stato repubblicano e le istituzioni democratiche nel loro complesso. Chi lo fa prende un abbaglio. Ma è un segnale che allarma certamente chi difende questo sistema perché da esso trae i maggiori benefici, come la borghesia imperialista francese, perché «Quella ruspa dei gilet gialli può contagiare l’Europa» come scrive allarmata La stampa di Torino del 7 gennaio 2019.

Come abbiamo già sostenuto nel precedente articolo, «Francia, 2018: altro che ‘900», il movimento dei Gilet gialli – come tutti i movimenti di massa – sono come il vento: nascono, crescono e defluiscono, la loro forza non è data dalla qualità della piattaforma programmatica, o dal gesto eclatante di un singolo, ma dalla quantità estensiva delle sue mobilitazioni. Ecco perché la borghesia europea trema al sol pensiero che le mobilitazioni possano estendersi dalla Francia al resto d’Europa. Purtroppo al momento questa ipotesi sembra svanire, ma si sa che le rivolte non sono programmabili, sono spontanee, improvvise e spesso violente; non hanno lunga durata, sono delle fiammate che o ottengono risultati grazie alla forza d’urto o si raffreddano e rifluiscono, per ripartire dopo un lasso di tempo che nessuno è in grado di stabilire. Ma possiamo affermare, con una certa approssimazione, che le due ruspe indicano una linea di tendenza, di uno scontro tra potere politico e masse depauperizzate senza precedenti. Il punto in questione è che non si tratta di una crisi transitoria dove sarebbe possibile un ritorno allo status quo ante, nessuno lo pensa e perciò c’è massima allerta, massima preoccupazione e massima precauzione anche per quanto concerne la repressione da parte delle forze di polizia, cioè dello Stato; il rischio di una deflagrazione e di una estensione del conflitto induce a più miti consigli.

 

I Gilet gialli e le elezioni.

Non c’è da nutrire soverchie illusioni, almeno al momento, che le mobilitazioni dei Gilet gialli possano estendersi al resto d’Europa, dunque il movimento – anche per la sua natura spuria – è destinato a rifluire, forse anche in modo disordinato. Le elezioni – quelle europee prossime venture – possono rappresentare il cavallo di Troia nel movimento.

Trattandosi di una protesta composita, fatta di più settori sociali che potrebbero trovare solo in una soluzione politica lo sbocco unitario, che al momento non si intravede, è molto probabile che si inneschino vie centrifughe e che ogni settore si orienti verso una soluzione che ponga al centro le proprie rivendicazioni. Insomma il riflusso gioca contro l’intero movimento e le elezioni sono il terreno peggiore che tende a scardinare la sua unità. Si parte dalla presa di distanza dei violenti e strada facendo ci si illude che componendosi in gruppo politico e presentandosi alle elezioni si possano portare all’interno del Palazzo le proprie rivendicazioni. Una illusione che il M5S pagherà a caro prezzo, come Syriza e Tsipras in Grecia e Podemos in Spagna. La ragione è semplice: fino a che c’è mobilitazione di piazza le necessità delle masse in movimento determinano una forza che si contrappone alle leggi del capitale; in assenza di mobilitazione le leggi del capitale sovrastano la volontà degli uomini, compresi quelli che si fanno carico delle necessità degli oppressi. Il fatto che Jacline Mouraud si faccia promotrice per costituzione di un partito politico, mentre prende le distanze dalla violenza espressa nel movimento, la dice lunga circa il prosieguo di una esperienza tutt’altro che chiusa. Dopo l’ottavo sabato di manifestazioni il movimento dei Gilet gialli fa un passo politico, si costituisce in partito. Per presentarsi anche alle elezioni? Lo vedremo. Intanto precisiamo bene il nostro concetto. La famosa tesi di Marx: «il proletariato si costituisce in classe e si dà in partito politico» valeva e vale in quanto movimento che separa la propria parte dal restante della società ponendo le proprie rivendicazioni. In questo senso è detto partito politico. Il che non vuol dire partito politico elettoralmente inteso. Si dirà: ma i Gilet gialli non sono “il proletariato” nel senso marxiano del termine. Lo vedremo. Per il momento ci interessa riaffermare in questa sede la giustezza della tesi e cioè che il partito non nasce come fusione a freddo o nella testa di qualche teorico, o dall’esterno del movimento per portare in esso la coscienza, una tesi cara a Kautsky e Lenin, ma che è il movimento di massa, che rompe con la complementarietà, si pone come parte separata della società e rivendica il soddisfacimento delle proprie necessità. Il fatto stesso che si costituisca sul piano elettorale a seguito del riflusso, dunque il punto debole dell’esperienza in esame, mostra la natura dialettica della questione posta da Marx, non smentisce affatto la sua tesi. Anche se dovessero sorgere due o più partiti dai Gilet gialli. Comunque, anche se si dovessero costituire più partiti/ni, avrebbero breve durata, perché la crisi avanza ben oltre le previsioni dei soliti economisti (che puntualmente non ne azzeccano una).

 

I Gilet gialli e il M5S

Come si pone invece la questione tra il movimento dei Gilet gialli e il Movimento 5 Stelle, pur trattandosi – a gradi linee - degli stessi settori sociali impoveriti dalla crisi? Quale la forza e la debolezza dell’uno rispetto all’altro, quali possibili sviluppi dell’uno e dell’altro e se ci sono delle possibilità che si crei in Europa un movimento generale di questi settori in un unico movimento di “classe”?

Innanzitutto va detto che mentre il M5S si sviluppa con una protesta in rete, dunque di opinione, contro tutto l’establishment politico e finanziario, contro i poteri forti, contro i vecchi partiti e sindacati, ma – punto fondamentale di differenza dai Gilet gialli – privo di qualsivoglia manifestazione di piazza. Nasce al computer con un clic e con esso si sviluppa e il suo epicentro sociale è rappresentato da quarantenni acculturati, diplomati e laureati, che delusi dalla società capitalistica in crisi inveiscono in modo rancoroso perché traditi nelle aspettative. Strada facendo scoprono l’impoverimento della piccola impresa – in cerca di chi le dia voce -, la disoccupazione dei giovani in modo particolare nel sud dell’Italia, la corruzione nella pubblica amministrazione e nel sistema creditizio, la concussione negli affari, il sistema delle mazzette negli appalti pubblici e quanto di peggio produce il capitalismo. Si sviluppa così un crescendo di denuncia, ponendo a base della sua proposta politica l’etica dell’onestà. Insomma un movimento di protesta politica contro «destra e sinistra perché entrambi gli schieramenti al governo negli ultimi 20-30 anni hanno rovinato l’Italia». Un movimento, perciò, che si è candidato da subito a governare l’Italia, partendo dai comuni, per arrivare a conquistare il governo nazionale contro tutti gli altri partiti. Una sorta di “rivoluzione leniniana” che pone al centro la cancellazione del filtro politico della rappresentanza per introdurre il rapporto diretto delle istanze popolari nelle istituzioni. Poi sarà risucchiato dal vortice delle leggi del capitale, ma è un’altra storia.

A differenza del M5S il movimento dei Gilet gialli nasce sì con un clic contro le misure governative, ma si mobilita immediatamente per manifestare in piazza. Chiede le dimissioni di Macron, ma non si propone di sostituirlo come forza politica organizzata. Si tratta di differenze sostanziali perché mentre il M5S non solo si tiene alla larga da ogni ipotesi di mobilitare la piazza, ma addirittura si propone di essere garante dell’ordine pubblico e di arginare ogni ipotesi di scendere in piazza, i Gilet gialli decidono da subito di scendere in piazza per costituire una forza per modificare l’attacco governativo.

In realtà mentre il M5S predica il populismo ma arriva a praticare il doroteismo, cioè la capacità politica di gestire il malcontento popolare proponendosi come garante nelle istituzioni degli interessi dei propri elettori, barcamenandosi tra no, si e ni, il movimento dei Gilet gialli si è posto in prima persona attraverso la mobilitazione come garante delle proprie rivendicazioni, abolendo nei fatti il filtro dei partiti e sindacati esistenti. Come a dire: siamo noi i nostri stessi rappresentanti.

E’ possibile un accordo fra i due movimenti, magari come base per estendere in tutta Europa una piattaforma programmatica contro l’establishment già di per sé in crisi di identità? Riteniamo di no, perché mentre il movimento dei Gilet gialli è stato spontaneo e può rifluire per ripartire in un secondo momento con maggiore vigore, il M5S si è reso garante delle rivendicazioni dei ceti colpiti dalla crisi attraverso l’azione di governo, e siccome quelle aspettative saranno disattese, il suo gruppo dirigente sarà preso di mira dai suoi stessi elettori e messo alla berlina.

C’è un fantasma che s’aggira per l’Europa: è il Caos, quale frutto della crisi generale del modo di produzione capitalistico che solo può innescare una reazione a catena di molteplici settori e generare un movimento spurio, composito, disordinato e acefalo che strada facendo si comporrà in programma anticapitalistico e produrrà una sua propria organizzazione. I Gilet gialli sono un primo sintomo di quella nebulosa da darsi.

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