Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

Morto un Draghi, se ne farà un altro?

di Vladimiro Merlin

IMG 20220801 103518Stiamo parlando, ovviamente, di una morte politica. In questa morte, come per Giulio Cesare, le coltellate sono venute da molte parti e da molti “figliocci” del ex premier.

Da molti suoi seguaci che, fino al giorno prima, lo esaltavano e lo adulavano.

SuperMario era il nuovo “uomo della provvidenza”, l’italiano più “prestigioso” a livello internazionale, l’unico che poteva portare l’Italia fuori dalla crisi sanitaria, economica, ecc. le adulazioni di molti leader politici e di quasi tutti i media erano persino imbarazzanti, non si erano mai viste, in quei termini, nella storia della Repubblica; bisogna tornare agli “imperi” per trovarne di analoghe, da quello del ventennio del ‘900 a quelli più antichi.

Ma appena si è aperto uno spiraglio, una possibilità, è stato subito liquidato.

Più che ironica è ridicola questa situazione se si pensa che poco tempo fa, quando è stato rieletto Presidente della Repubblica Mattarella, quasi contro la sua volontà, nonostante la disponibilità avanzata dallo stesso Draghi, si è sostenuto che non si poteva eleggere Draghi perché era “indispensabile” come Presidente del Consiglio.

Noi non siamo certo tra quelli che si strappano i capelli per la fine prematura di superMario, anzi, ne siamo felici, vista non solo la sua “carriera” precedente ma anche quanto ha fatto, e quanto non ha fatto, da Presidente del Consiglio.

Tra i suoi assassini c’è lo stesso Draghi, quando ha deciso di far scattare un attacco pesante volto alla distruzione del M5S.

Il primo passaggio è stato la scissione di Di Maio che, evidentemente, era in preparazione da tempo, in cui ha avuto un ruolo lo stesso ex Presidente del Consiglio che, da quanto emerso, avrebbe anche preso l’iniziativa con Grillo di caldeggiare la liquidazione di Conte.

Il M5S, come ha dimostrato l’ultima tornata elettorale (anche se le amministrative sono da sempre il suo tallone d’Achille), è in calo di consensi e anche in una crisi politica.

I governi Conte ne avevano rilanciato la popolarità e anche per questo Grillo aveva deciso di affidargli la guida del Movimento, ma l’involuzione di Di Maio che, da ministro, ha assunto sempre più un profilo politico a dir poco democristiano, ha nuovamente allontanato il suo ex elettorato dal Movimento.

La botta finale doveva essere l’affossamento di tutte quelle leggi che hanno caratterizzato i governi guidati dai 5 Stelle, quelle che non erano già state affossate, come il cosiddetto Decreto Dignità, che pure aveva, almeno un po’, limitato il precariato.

Quindi: fine del Reddito di Cittadinanza, no al salario minimo, fine del bonus edilizio e, tanto per non fare mancare niente, anche il sì all’inceneritore di Roma.

Penso che su questa accelerazione contro il M5S abbia anche pesato la posizione che Conte ha espresso sull’Ucraina; a ben guardare, la scissione di Di Maio parte da lì, cioè da quando Conte ha dichiarato la contrarietà sua e del Movimento all’invio di armi all’Ucraina e ha chiesto a gran voce che della scelta fosse investito il Parlamento e non il solo governo.

Con quelle parole Conte ha rotto l’unanimismo guerrafondaio che univa non solo le forze che appoggiavano il governo ma anche la finta opposizione di Fratelli d’Italia.

Dato che, dai sondaggi, circa il 50% degli italiani era contrario all’invio di armi e solo il 24% era favorevole, è chiaro che la politica oltranzista del governo era messa in difficoltà.

Ma Conte non ha posto solo la questione delle armi, nei punti che ha sottoposto a Draghi vi erano anche tematiche sociali.

Certo non sono poste con una logica di classe, per cui sono a volte insufficienti, a volte contraddittorie, a volte non centrano il cuore dei problemi di chi oggi fatica, pur lavorando, ad arrivare a fine mese ma è stato l’unico partito di peso, nel Parlamento, che ha provato a porle.

Il reddito di cittadinanza è un concetto che noi non amiamo, noi saremmo per il lavoro di cittadinanza ma non si può negare che questa è stata l’unica misura che un governo, da molti anni a questa parte, ha messo in atto per contrastare quel fenomeno che perfino l’ISTAT da tempo sta denunciando: il continuo aumento della povertà (accompagnato dall’aumento della ricchezza dei pochissimi più ricchi).

Non a caso il padronato lo vuole abolire perché molti lavoratori e molti giovani, pensate un po’, si rifiutano di lavorare 8 ore o più al giorno per un salario inferiore al reddito di cittadinanza (una posizione, questa del padronato, che è un inno spudorato e senza vergogna dello sfruttamento).

Tutto questo non lo diciamo per esaltare il M5S, i limiti e le contraddizioni di questa forza politica sono, in questo momento, squadernati davanti a tutti, ma per evidenziare, per confronto, quanto le altre forze politiche presenti in Parlamento, e nei vari governi che si sono succeduti da molti anni in qua, non solo non fanno ma neppure dicono.

Il PD che, a parole, stava costruendo un’alleanza con i 5 Stelle non ha mosso un dito, né speso una parola a sostegno di Conte e neppure per fermare l’attacco contro il Movimento, anzi, come si suol dire, appariva “culo e camicia” con Draghi.

Il PD ormai non ha più nulla di sinistra nemmeno della sinistra più moderata, le questioni sociali non lo interessano, le ha sostituite con i diritti civili (che sono sacrosanti, ma non costano niente e, soprattutto, da soli non rispondono ai tremendi problemi quotidiani di quei poveri di cui abbiamo già detto, ma anche di molti lavoratori e pensionati che faticano ad arrivare a fine mese). Il modello del PD è il Partito Democratico Americano per il quale i lavoratori, i sindacati, ecc. sono solo un serbatoio di voti che si devono irretire e mobilitare per le tornate elettorali, ma poi, una volta eletto il presidente Democratico, l’interesse e le azioni si spostano verso altri, le multinazionali, la grande finanza (esempio più eclatante Clinton, ma gli altri non sono stati da meno).

Il PD, nel governo Draghi, aveva il ministro del lavoro, Orlando, la cui inerzia è stata imbarazzante. Vi sono milioni di lavoratori sia pubblici che privati che hanno i contratti scaduti da anni, non si è vista una sua minima iniziativa in merito, anzi una c’è stata perché l’unico contratto firmato è stato quello dei ministeriali (in totale stile democristiano); per tutti gli altri lavoratori, in particolare quelli pubblici su cui la volontà del governo è determinante nonostante la fiammata dell’inflazione, niente contratti e salario fermo a 5 o 10 anni fa.

Il governo uscente ha preferito i bonus una tantum, che non risolvono nulla ma fanno immagine, mentre la sostanza l’ha detta chiara e tonda il governatore Visco, un altro che “piace a tutti” come Draghi (dalla destra al Pd): “i salari non devono rincorrere l’inflazione”. Il che significa: la crisi la devono pagare ancora una volta i lavoratori (e i pensionati), dato che le imprese, i commercianti, i liberi professionisti, ecc. possono tranquillamente alzare i prezzi o le tariffe e come hanno sempre fatto, rincorrere (e alle volte anche superare) l’inflazione.

Ora Letta punta tutto sullo “spauracchio” Meloni, “o noi o loro”, sperando di rievocare le grandi mobilitazioni democratiche contro i primi governi Berlusconi, o almeno quella delle “sardine” contro Salvini, ma questa idea del PD che vince da solo (al limite con qualche cespuglietto attorno) che iniziò con il grande fallimento di Veltroni, e che ha sempre perso ogni volta che è stata tentata, non sembra destinata ad una miglior sorte.

Questa aspirazione all’autosufficienza del PD, che poi significa ancora una volta, tentativo di assunzione del modello bipartitico USA, è in realtà solo una manifestazione di arroganza e di supponenza che l’elettorato, in particolare quello di sinistra, in Italia ha, fino ad ora, sempre punito.

Ma, forse, la speranza del PD non è di vincere ma, come piacerebbe anche a molti centristi, Confindustria, ecc., è che anche questa volta la destra non riesca a raggiungere, magari per pochi seggi, la maggioranza assoluta in Parlamento per poter riproporre un altro Draghi dopo Draghi, e far ripartire la giostra da dove si è fermata.

La destra, in questa crisi, ha finto, inizialmente, di sostenere Draghi e di accontentarsi dell’uscita dei 5 Stelle, ma si è visto che scalpitava, perché pensava che prima si sarebbe andati al voto e prima avrebbe vinto, potendo, quindi, mettere le mani da soli, senza l’impiccio di Draghi, del PD e di altri, sui fondi europei. Come ben sappiamo, in particolare noi in Lombardia, quando girano i soldi la destra è sempre in prima fila.

Vedendo che l’uscita dei 5 Stelle non sarebbe bastata a far cadere Draghi hanno alzato il tiro, in modo palesemente strumentale provocando la crisi del governo.

Ma è poi vero che la destra è oggi maggioranza nel Paese?

Se guardiamo all’ultima tornata elettorale vediamo che, per loro, non è stata un trionfo, ma quello che la destra non dice è che, pur non essendo maggioranza grazie al sistema maggioritario di collegio, vincendo anche per pochissimi voti può fare il pieno degli eletti nella quota maggioritaria.

Questo attesta quanto sia truffaldino e distorcente il sistema maggioritario dove con il 50% dei votanti, la destra prendendo il 40/45% dei voti può avere la maggioranza assoluta in Parlamento, pur avendo circa il 20% dei voti degli aventi diritto, altro che volontà popolare.

A sostegno della campagna elettorale della destra c’è la grande maggioranza dei media e della carta stampata che, già da qualche mese, continuano a proclamare a suon di “sondaggi”, il prossimo trionfo della Meloni.

Ma questo trionfo annunciato della Meloni ricorda quello di Salvini che è stato per anni proclamato vincitore assoluto, prima del voto, ma a cui come si dice a Milano “è sempre mancato 1 per fare 31”.

Certo la crescita della Lega nazionale o meglio di Noi (Voi) con Salvini c’è stata, ma non è mai riuscita ad arrivare laddove veniva annunciato, prima del voto, dai vari sondaggi.

Ha potuto beneficiare del crollo di Forza Italia, quando il suo elettorato storico si è accorto che Berlusconi era decotto e che non c’era un suo successore in vista, dato che tutti i suoi delfini il Berlusca li aveva distrutti ad uno ad uno, ed allora improvvisamente Salvini era diventato, per i media, l’uomo della provvidenza. Ora Forza Italia pare in recupero e, soprattutto, dopo i vari errori e passi falsi commessi da Salvini e dopo l’evidenziarsi della fronda dei cosiddetti governisti della Lega, la sua popolarità appare in calo.

Con Forza Italia che ha ormai perso gran parte del suo elettorato dei tempi d’oro e con Salvini in difficoltà e che ha dimostrato di non essere molto in grado di fare il “capitano” del suo schieramento, la Meloni diventa un cavallo obbligato per improvvisare un nuovo “invincibile” leader della destra in tempi brevi.

Ma non è solo per il fatto che i sondaggi sono pompati che la destra non può dirsi certa della vittoria, è anche per le contraddizioni al suo interno che sono immediatamente esplose e le creano difficoltà.

Su cosa poteva dividersi la destra, sempre “unita e compatta” come dicono loro e i loro mass media, se non su “chi comanda”?

E non è una cosa da poco per chi ha una visione della politica e della società che prevede un uomo solo al comando, un uomo della provvidenza, e ognuno dei tre leader, compresa la Meloni, è convinto che quell’uomo deve essere lui.

Inoltre, dopo l’ultimo passaggio politico, qualche difficoltà in più ce l’hanno, visto che tutte le organizzazioni padronali e anche vari ordini professionali hanno firmato proclami pro Draghi e contro la crisi di governo. Confindustria, Confcommercio, ecc., erano convinte che l’ormai ex Presidente del Consiglio dava più garanzie per l’accesso ai famosi fondi del PNRR, rispetto alla banda Berlusconi, Salvini, Meloni, mentre il trio, ignorando, forse per la prima volta, la “voce dei padroni”, ha colto al volo l’occasione per liquidare superMario.

Se non ci ha stupito il proclama delle organizzazioni imprenditoriali a sostegno di Draghi e del suo governo, lascia molto più perplessi quello delle associazioni “sociali” firmato tra gli altri da Arci, Legambiente, gruppo Abele, Acli, LegaCoop sociali e persino Libera.

L’ormai ex governo e il suo Presidente non si sono qualificati per grandi interventi sul terreno sociale e sulle problematiche di cui alcune di queste associazioni si occupano, questa “scesa in campo” pare mettere in evidenza un sempre più forte collateralismo di queste associazioni, alcune una volta persino di sinistra, nei riguardi del PD.

Tornando alla destra, vogliamo ancora dire che non va sottovalutata la loro capacità di utilizzo della demagogia nella propaganda, infatti con il governo Draghi appena morto e il cadavere ancora caldo, già Salvini ha rilanciato sul tema delle pensioni (contro la legge Fornero, ben sapendo che è una delle cose più odiate dai lavoratori, e uno dei temi che più hanno sostenuto la sua crescita di consensi, quando c’era) ma affiancando, subito, ad essa la questione della cancellazione delle cartelle esattoriali (l’ennesima sanatoria per evasori e furbetti, il suo vero referente sociale, cioè una parte di quella minoranza di italiani che, da diversi anni, si sono arricchiti sempre di più).

Con il governo Draghi, Salvini, aveva accettato senza battere ciglio la cosiddetta quota 64 per le pensioni, che era una vera presa in giro, in quanto consentiva l’andata in pensione anticipata solo per quei pochissimi che pur avendo la possibilità di andare con la “quota 100” non l’avevano fatto.

Non c’è da parte del leader della Lega una vera denuncia della natura truffaldina della legge Fornero, che non attua il sistema contributivo, come afferma, ma invece, produce un enorme furto di contributi pensionistici versati dai lavoratori dipendenti che, anziché ritornargli nella pensione come dovrebbe essere, vengono sottratti per altri fini, e si parla di miliardi di euro.

Come dicevamo prima, riguardo al PD anche per Salvini i lavoratori sono solo un utile serbatoio elettorale che va utilizzato per raccogliere i voti e poi, una volta al governo, si tutelano gli interessi di altri come i concessionari balneari che hanno, da sempre, in concessione dallo Stato, per poche lire, spiagge da cui traggono guadagni milionari (in euro): questi sono i veri interessi sociali che tutelano lui e la Meloni.

A questo punto devo dire due parole su quella che dovrebbe essere la sinistra parlamentare, mi riferisco a LeU, Articolo 1 e chi più ne ha più ne metta dato che sono più le sigle che i parlamentari e non si capisce neppure in che rapporto siano tra loro.

Se dovessimo scrivere in base a quanto hanno fatto potrebbero bastare due parole, hanno sostenuto il governo Draghi, fino all’ultimo, in cambio di un ministro: Speranza.

Un ministro che, dopo aver fatto grandi proclami all’inizio della pandemia, sui disastri della sanità italiana, sugli organici insufficienti, ecc. ha fatto partorire dalla montagna il classico topolino.

È stato il ragioniere delle vaccinazioni, e non lo diciamo perché siamo no-vax, tutt’altro, ma perché ha avvallato l’uso dei soli vaccini delle multinazionali anglo-americane, costosissimi e, come si è ben visto, non più efficaci di altri che costavano anche 10 volte di meno, con costi miliardari per lo Stato, senza neppure imporre (né lui né la UE) un aggiornamento dei vaccini (come del resto si fa normalmente con l’influenza ogni anno) diventati con le ultime varianti pressoché inefficaci.

Ha finto di promuovere un vaccino italiano, che poteva rendere il Paese indipendente, su questo terreno anche nel caso di future epidemie, ma non ha aperto bocca quando, non appena arrivato Draghi, non per caso, sul vaccino italiano è stata posta una pietra tombale.

Ma in generale questa sinistra è apparsa latitante sui temi sociali e sulla guerra che è stata causata dall’espansione ad est della NATO, solo qualche parola ogni tanto sui temi sociali, ma solo parole mentre continuava a sostenere il governo che, come abbiamo visto, a parte qualche bonus, non ha fatto nulla su questo terreno.

In sostanza appare più come una appendice “buonista” del PD che come una forza di sinistra, per quanto moderata.

Questo teatrino della politica (in cui ognuno fa finta di essere “contrapposto” all’altro ma poi, nei governi di “unità nazionale” o in quelli di parte, tutti attuano la stessa politica, sempre a favore degli stessi strati sociali, quelli più ricchi) va in scena mentre la situazione sociale del nostro Paese, già difficile da tempo, sta precipitando verso una crisi che, dalle avvisaglie, appare ancora peggiore di quelle che l’hanno preceduta.

In particolare in Italia i lavoratori, i giovani, i disoccupati, i pensionati appaiono ancora più indifesi che in altri paesi europei.

Questo non solo per il disinteresse della quasi totalità delle forze politiche ma anche per l’immobilismo parolaio dei principali sindacati, CGIL, CISL e UIL che vanno all’incontro con Draghi ed escono “soddisfatti” per la promessa di qualche euro; Landini per fare il “più uno” dice che bisogna tassare di più gli “extraprofitti”, gli extraprofitti? Solo? E chi sono quelli che, come abbiamo già visto in questi decenni, sottolineo decenni, sono diventati sempre più ricchi mentre settori sempre più ampi della società precipitavano verso la povertà

Come abbiamo accennato già prima, in Italia ci sono circa una decina di milioni di lavoratori pubblici e privati che sono senza contratto da 5 ma anche da 10 anni, dove sono gli scioperi e le lotte che i sindacati avrebbero dovuto mettere in campo per ottenere la firma dei contratti? Ormai in Italia è stato quasi cancellato il diritto di sciopero, per vedere degli scioperi validi, efficaci e combattivi bisogna guardare ad altri paesi europei e ad altri sindacati, come la Francia, la Germania e perfino l’Inghilterra.

Ma oggi, qualcuno anche a sinistra dice che i lavoratori sono ormai persi, passivi, che i ceti sociali che si ribellano e “lottano” sono altri e ad essi si deve guardare, e si teorizza che anche a destra vi siano forze “antisistema”.

La favoletta che esista una destra antisistema è sempre stata smentita dalla storia, fin dalla nascita del fascismo e del nazismo, per arrivare all’uso delle dittature fasciste da parte del imperialismo USA o all’utilizzo dei gruppi del terrorismo fascista sia da parte degli americani che dei servizi italiani nella strategia della tensione e nello stragismo.

La debolezza dei lavoratori e dei ceti popolari italiani sta nella debolezza dei soggetti politici che li dovrebbero rappresentare, in primo luogo i comunisti e la sinistra di alternativa, che dovrebbero portarli ad acquisire la coscienza di classe dello sfruttamento cui sono sottoposti e della natura classista e discriminatoria della società in cui viviamo, come pure nella mancanza di un forte sindacato di classe che pratichi il conflitto per migliorare le condizioni di lavoro e di vita, e non la concertazione che non è mai riuscita neppure a ridurre il continuo e inesorabile peggioramento.

Senza questi due soggetti il lavoratore, il giovane precario, ecc. sono soli, in balìa del martellante indottrinamento dei media che inizia già nella “scuola delle aziende” costruita con anni di controriforme fino all’ultima, la peggiore, di Renzi.

Quindi, la responsabilità della mancanza di conflitto sociale non può essere scaricata sui lavoratori, sui giovani, in generale sui ceti popolari, ma su quelle forze politiche che dicono di volerli rappresentare e che non sono neppure capaci, in una situazione così difficile e dalle prospettive così tenebrose, di costruire almeno un programma politico e sociale condiviso e presentarsi assieme (non solo e non tanto per le elezioni) di fronte ai propri referenti sociali in modo da poter essere più credibili e incisivi.

Non parliamo di un partito unico, che non è possibile nella situazione data, ma di una azione politica comune e condivisa che è un minimo ragionevole che, se non fosse ognuno rinchiuso in una propria sfera autoreferenziale, dovrebbe essere già acquisito.

Invece, quello che ancora si fa sono le deleterie ammucchiate elettorali dell’ultimo minuto sempre con soggetti differenti e con simboli e nomi ogni volta nuovi e sconosciuti, che anche l’ultimo e più distratto dei nostri elettori capisce essere prive di ogni prospettiva e mosse solo da presunte, opportunità elettorali.

Prima di concludere il ragionamento su di noi, sui comunisti, vorrei fare un’ultima riflessione sul M5S perché, indirettamente ci riguarda.

La crisi attuale del Movimento pone in discussione uno dei cardini su cui è nato, cioè il “non essere un partito”, la sostituzione del Web al radicamento sociale, delle chat e dei gruppi social alle sezioni o ai circoli territoriali, l’assenza di un vero gruppo dirigente selezionato per le sue qualità politiche e morali da anni di militanza, come pure le candidature elettorali, selezionate sulla base di curriculum come per le richieste di lavoro alle aziende, e scelte sulla base dei sostegni ricevuti (o organizzati dal candidato) via web.

Tutto questo, che doveva essere la grande innovazione della politica contro la forma “vecchia” dei partiti, in breve tempo ha evidenziato un fallimento catastrofico.

Dirigenti nazionali sono diventati i primi parlamentari eletti, in base alla loro capacità mediatica, con idee spesso opposte tra loro, che non hanno retto nessuno dei passaggi politici che il M5S ha dovuto affrontare, con continue uscite a destra, a sinistra e al centro (cioè in tutte le direzioni politiche possibili), ma soprattutto non ha retto alla prova dei due mandati e del governo, evidenziando che una grande parte dei parlamentari eletti (ma anche sindaci, consiglieri regionali, ecc.) erano interessati più alla poltrona (e al reddito che ne deriva) oltre che alla loro riconferma, che alle idee politiche del Movimento che li aveva eletti.

Questo oggi, è talmente sotto gli occhi di tutti che non servono molte argomentazioni per dimostrarlo.

Questa vicenda ha, però, un valore anche per noi comunisti, perché in vari partiti che si sono collocati in questa area politica sono state avanzate tesi nuoviste, che mettevano in discussione la forma del partito di massa, radicato nella società, che costruiva i gruppi dirigenti a partire dalla militanza politica, per sostenere forme partito più “snelle”, che finivano poi per naufragare nel partito di opinione ed elettorale/istituzionale, nel partito dei leader, o del singolo leader, che si giocano il ruolo sulla base della loro capacità di “andare in televisione”.

Il precursore in questo campo, è stato, certamente Bertinotti, che da segretario di quello che doveva essere il nuovo partito comunista, dopo lo scioglimento del PCI, passando per la presidenza della Camera è poi approdato alle frequentazioni dei salotti buoni di Roma (e anche di quelli meno buoni come quello di Assunta Almirante) per arrivare poi alla interlocuzione, non scevra di riconoscimenti con CL.

Ma non è stato l’unico, se pensiamo a Gennaro Migliore che entrò nel PRC direttamente come dirigente nazionale dei giovani e, subito dopo, parlamentare per arrivare ora ad essere uno dei delfini di Renzi (che di sinistra non si può certo definire, ma che io fatico anche a catalogare come centro).

Ma torniamo nel campo dei comunisti perché, ancora oggi, vi è la tentazione di giocarsi tutto sulle elezioni, o sui passaggi televisivi, pensando che questi possano sostituire un partito reale, presente nella società, che orienti settori di massa, in particolare nel mondo del lavoro e, sulla base di questa forza, se riesce a costruirla, possa ottenere risultati elettorali, eleggere qualche comunista nelle istituzioni e conquistare anche spazi nei media.

Il fallimento del M5S ci deve far capire che i partiti “snelli”, mediatici informatici, fondati sulla persona del leader, hanno vita breve anche se non si propongono di cambiare la società.

Questo vale ancora di più per i comunisti che vogliono cambiare a fondo la società e non si accontentano di avere uno spazio politico o istituzionale e neppure di accedere al governo.

Per i comunisti non vi sono scorciatoie possibili, furbizie o “mosse del cavallo”. Per chi crede veramente in queste idee si apre un percorso lungo, faticoso, controcorrente, in particolare in Italia, dove non solo lo scioglimento del PCI ci pesa sulle spalle ma anche i fallimenti dei partiti che hanno cercato di ricostruire un Partito Comunista, a partire dal PRC che aveva suscitato grandi speranze e ottenuto grandi risultati.

L’Italia è passata dall’essere il Paese con il più forte e grande partito comunista dell’Occidente al Paese dove la situazione dei comunisti è una delle peggiori d’Europa ma, nonostante il bilancio fallimentare dei partiti attualmente esistenti, è rimasto nella società del nostro Paese un vasto tessuto di realtà locali, che spesso sono il risultato di gruppi di militanti delusi dai partiti in cui sono stati, che sono rimasti in campo, come gruppi, associazioni, riviste, ecc., tutti rivendicando la loro identità comunista, per tenere vivo un intervento politico e sociale nella loro realtà.

Oggi, la strada della ricostruzione del Partito Comunista in Italia passa per un percorso di aggregazione, iniziative politiche e presenza nel conflitto sociale di questa galassia di forze che si deve avvicinare, deve coordinare, costruire un percorso politico non per fondare affrettatamente un altro partito comunista ma per rafforzare sempre di più la loro identità politica condivisa, costruire, nel percorso, dei gruppi dirigenti che sappiano affrancarsi dalle ambizioni personali dei singoli, che nella dialettica interna sappiano far vivere quello che Gramsci definiva “intellettuale collettivo”, che è l’essenza vera del centralismo democratico ed è sempre stata la prima vittima di tutte le degenerazioni dei partiti comunisti che abbiamo conosciuto dalla Bolognina in poi.

Il percorso sarà lungo e difficile, faticoso, ma per i comunisti non ci sono alternative, le enormi contraddizioni che il capitalismo continua a generare ci mostrano, ogni giorno, che lo spazio sociale e politico per un soggetto comunista c’è, come pure ci mostrano che in sua assenza la coscienza di classe tra i lavoratori, tra i ceti popolari, tra gli sfruttati non si genera da sola e le vittime di questa società diventano senza rendersene conto, passive o complici.

Per questo chi non ha rinunciato alle proprie idee o non si è arreso, non può che ricominciare cercando di fare tesoro delle esperienze negative per non ripeterle.

Come ha detto qualcuno prima di noi “le uniche battaglie perse sono quelle che non si combattono”.

Add comment

Submit