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lacausadellecose

Tra antirazzismo di maniera e razzismo di fatto

di Michele Castaldo

Schermata 07 2459039 alle 15.32.33 342x250Massimo Giannini, il precoce giornalista partito giovanissimo da Repubblica e approdato a dirigere La Stampa del padrone per eccellenza, la famiglia Agnelli, in un accorato editoriale rivolge un appello a tutti i partiti ad andare al funerale, svoltisi sabato 6 agosto, del povero Alika ucciso dal bianco italiano Ferlazzo, un dissociato. Epperò la cosa suona un poco sospetta per una ragione molto semplice, perché il Giannini paragona l’uccisione del povero Alika di fine luglio 2022 a Civitanova Marche a quella di G. Floid negli Usa il 25 maggio del 2020 ad opera di un poliziotto bianco che premette per alcuni minuti il ginocchio sul collo soffocandolo nonostante che gli urlasse che non riusciva a respirare.

L’uso strumentale che ne voleva fare Massimo Giannini e tutta la stampa democratica italiana giunge piuttosto sospetta. C’è un allarme che va spiegato.

I giornali e tutti i mezzi di informazione sanno perfettamente che gli immigrati di colore vengono trattati peggio delle bestie nei lavori più umili nel nostro paese. Nei confronti delle persone di colore viene fatta un’unica distinzione che riguarda i fuoriclasse dello sport e dello spettacolo, strumenti di arricchimento di holding finanziarie e personaggi collegati a società che sfruttano la fame circense del popolo per scaricare le proprie frustrazioni.

Giochiamo allora a carte scoperte: ma a chi si vorrebbe dar da bere la frottola che gli immigrati arrivano come disperati sulle nostre coste e verrebbero salvati dalla buona volontà di volontari capitati per caso in mezzo al mare? Va bene la propaganda, ma c’è un limite a tutto.

In più di una occasione ho sostenuto che la realtà è come la tosse e non la si può a lungo trattenere; sicché a un certo Federico Rampini, gli capita di scrivere nei suoi libri che lo Stato yankee finanzia le Ong « per aiuti umanitari », e che la moglie dirige – come volontaria - una Comunità di Sant’Egidio di New York. Poi leggiamo che il Presidente di detta Comunità in Italia formula delle proposte in un articolo (fra le pagine interne, per parlare agli addetti ai lavori) per il Corriere della sera del 3 luglio 2022, dal titolo « L’immigrazione è un’opportunità », dunque senza veli quale dimostrazione delle urgenti e oggettive necessità dell’uso degli immigrati in Italia. Scorriamo qualche passaggio.

« Risulta vitale […] ripensare all’immigrazione come opportunità da cogliere e non come “problema” da subire. Un ragionamento logico e non ideologico. Perché le richieste del “sistema Italia”, afflitto peraltro da una grave crisi demografica, sono lì sul banco da tempo, ma non riescono a decollare per troppa burocrazia, lentezze, ostacoli e paure ingiustificate » (mio il corsivo).

Dunque la Comunità di Sant’Egidio attraverso il suo presidente parla a nome di interessi capitalistici del « sistema Italia » e non come elemosiniere. Rimprovera la politica, il governo, le istituzioni per la lentezza della burocrazia nella liberalizzazione delle forze di immigrati da utilizzare in molti ambiti lavorativi. E per accelerare la loro immediata disponibilità la Comunità di Sant’Egidio fa proposte concrete « alle forze politiche e alle istituzioni ». Scrive il Presidente « Occorre velocizzare le pratiche ma anche prevedere più decreti flussi ogni anno per coprire il nostro fabbisogno. Senza peraltro escludere (inspiegabilmente) alcune nazionalità, come Perù, Colombia, Ecuador, ».

Ora, se « bisogna velocizzare e organizzare i flussi » perché gli immigrati servono come l’aria per respirare per il nostro capitalismo, questi non possono essere lasciati alla casualità degli arrivi spontanei e disordinati ma devono essere organizzati con attrezzature adeguate alla bisogna. E chi se non le Ong potrebbero svolgere un ruolo “tanto sensibile”? Queste strutture hanno solo nobilitato il lavoro che un tempo era considerato sporco perché fatto da “comuni delinquenti” utilissimi però alla causa.

Dunque lasciamo ai buontemponi pensare che gli immigrati arrivino solo come disperati e vengano recuperati in mare dai volontari delle Ong, con costosissime attrezzature ed equipaggi adeguati, ovvero una vera e propria industria umanitaria per la nuova tratta dei neri. Esagero? No, basta solo osservare i fatti senza inforcare gli occhiali del pietismo peloso, perché trattare gli immigrati come poveri miserabili di cui avere pietà è razzismo appena mascherato. Cerchiamo perciò di affrontare la vera questione che si cela nel rapporto degli immigrati e in modo particolare dei neri, ovvero la questione storica del razzismo bianco.

Nel filmato che viene trasmesso sul tragico omicidio di Civitanova si può notare come il povero nero Alika cerca di divincolarsi dal suo aggressivo malfattore piuttosto che ingaggiare con lui un combattimento e sopraffarlo. In quei pochi fotogrammi è descritta tutta la tragedia storica che ha subito e continua a subire una razza: sottrarsi alla brutalità, mentre il bianco “psicopatico” e “dissociato” scatena la sua ferocia nei suoi confronti e il popolo – bianco – assiste e filma. Ora, il Ferlazzo sarà pure psicopatico e dissociato, ma i mercanti e gli imprenditori che per oltre lunghissimi quattrocento anni incatenavano e trasportavano i neri dal nord Africa nelle piantagioni erano sani di mente. Dunque il razzismo non lo hanno introdotto dei folli, ma dei sani di mente; quei sani di mente che hanno educato il popolo bianco ad assistere e poi magari andare al funerale e provare pietà per il povero nero, ma da morto. Il vero punto in questione è questo. Perché il popolo assiste, filma senza intervenire? Perché ormai è assuefatto all’abitudine che un nero possa e debba essere trattato in un certo modo e anche ucciso, non fa scandalo, non fa notizia, perché la storia ha sedimentato la sua inferiorità, il suo dominio, la sua oppressione. Di loro, dei neri, tutt’al più si può avere pietà, ripetiamo, ma dopo che sono morti. Tanto è vero che Massimo Giannini dichiara esplicitamente che « puntualmente è l’uomo bianco ad uccidere l’uomo nero, e su questa strada stiamo arrivando al crepuscolo della civiltà ».

Dunque si avverte anche nelle alte sfere a quali scenari si va incontro, solo che si rimuovono le cause per non mettere in discussione « i valori fondanti » della “civiltà” occidentale perché, farà pure schifo, come scrivono Rampini e Gaggi a proposito degli Usa, ma è il meglio che possa esistere.

È vero che negli Usa c’è una percentuale, molto bassa per la verità, di neri integrati. Una integrazione pagata a caro prezzo. È vero pure che un nero, Barak Obama, addirittura è stato eletto per ben due volte presidente degli Usa. Siamo seri e onesti però: cancellare mezzo millennio di dominio razzista dei bianchi nei confronti dei neri è piuttosto complicato, pur accordando le migliori intenzioni a quanti si prodigano, al servizio delle istituzioni, come nel caso delle Ong. Le ragioni di queste difficoltà sono racchiuse in quei meccanismi economici che fanno della concorrenza delle merci, che si è ormai impadronita della volontà degli uomini, la ragione della loro vita. E se ci sono voluti oltre 400 anni per arrivare a una certa integrazione di una percentuale molto bassa di neri negli Usa, ce ne vorrebbero almeno altrettanti per una completa integrazione. Ma – ecco il punto – mancano i tempi economici che i fattori della concorrenza piuttosto che accelerare la possibilità di integrazione sviluppano ulteriori fattori di discriminazione da parte dei bianchi nei confronti dei neri nel tentativo di superare la crisi divenuta di sistema.

Che si sia arrivati a una « crisi di civiltà », in modo particolare in Occidente, lo si ammette da più parti, e se ne colgono anche le trame, basta leggere quello che dice Marco Minniti, ex comunista del PCI nonché ex Ministro degli Interni ma sempre attento ai fenomeni sociali che dice: « Ma l’Italia e l’Europa devono sapere che da una parte c’è un continente in regressione demografica, dall’altra c’è invece un continente in boom demografico ». Ora di regressione demografica è l’insieme dell’Occidente e non solo l’Italia e l’Europa, per di più negli Usa da alcuni anni si è ridotta l’aspettativa di vita, insomma si vive male e si vive meno. Sicché il buon senso dovrebbe consigliare un rapporto di fraternità con chi cresce e in buona salute e invece sono proprio i rapporti economici del modo di produzione capitalistico che aumentano la concorrenza e acuiscono anziché attenuare il razzismo. È esagerato? Basta leggere quello che scrive la signora Giorgia Meloni, già premier in pectore, sul Corriere della sera a proposito dei morti di Marcinelle a soli due giorni di distanza dai funerali di Alika a Civitanova Marche:

« Ma la cosa più distante con la tragedia degli italiani che emigravano per lavorare nelle miniere belghe, è che molti degli immigrati irregolari di oggi, per lo più giovani maschi in età da lavoro, considerano l’accoglienza stessa come un diritto inalienabile da cui far discendere presunti diritti molto più materiali, che costano alle casse dello Stato italiano, per ogni straniero accolto, più di quanto ricevano di pensione molti nostri anziani ».

Ecco in estrema sintesi e schiettamente dichiarato il senso del razzismo bianco da una parvenu piccolo borghese che si candida a presiedere il governo della Repubblica nata dalla Resistenza e della Costituzione fondata sul lavoro. Altrimenti detto: si traccia una netta linea divaricante fra i nostri emigranti di ieri, e gli immigrati di oggi. Si rimuovono in toto le ragioni di centinaia di migliaia e milioni di lavoratori neri che lavorano in nero, tanto sono neri, e si addita chi addirittura accamperebbe diritti. Come dire: di che diritti parlano se sono neri?!

C’è ovviamente anche un sincero democratico che bacchetta la bisbetica signora ricordandole dalle pagine de La Stampa che « Per intenderci, gli emigrati italiani negli Stati Uniti venivano chiamati, in senso dispregiativo, “wops”, contrazione di without papers, senza documenti, senza carte, quasi per sottolineare direttamente nella fisicità dei loro corpi la condizione di illegalità permanente ». Non solo, ma ricorda alla signora Meloni che « un gruppo di minatori rimasti senza lavoro per la chiusura della zolfatara partono dalla Sicilia per raggiungere il Belgio attraverso la Francia. Sofferenze e sfruttamento ne segnano il percorso fino a quando, superate le Alpi, gli emigranti varcano la frontiera francese; scoperti dai gendarmi, vengono lasciati passare nonostante siano clandestini ». Ma è molto difficile far capire a chi non è disposto a capire.

La signora Meloni vaneggia di blocchi navali dinanzi alle nostre coste in entrata contro gli immigrati per decidere chi far entrare e chi no. E giustamente qualche democratico più accorto, come Marco Zatterin, le fa notare dalle pagine de La stampa che « Un blocco navale che alzi un muro nel Mediterraneo e lasci da una parte gli italiani e dall’altra i migranti “viola almeno tre fra trattati e convenzioni internazionali. […] Che il diritto del Mare impone di salvare chiunque finisca in acqua o in avaria, caso frequente nel Mediterraneo, anche se non sempre accidentale » (la sottolineatura è mia). Ma la premier in pectore arriva a ipotizzare addirittura un blocco nei pressi delle coste nordafricane. D’accordo che siamo nell’estate più calda della storia, ma le sarà salita ben oltre i 42° la temperatura, e allora le si dia della tachipirina, per favore!

Chiudiamo perciò queste note precisando oltremodo che l’antirazzismo nominale, cioè del diritto eguale fra i disuguali, non solo non cancella il razzismo ma funge da coltre dorata del razzismo fattuale che si riproduce continuamente con l’aggravarsi della crisi del modo di produzione capitalistico che spinge le imprese a utilizzare e massacrare gli immigrati per sopravvivere alla concorrenza, basta guardare quello che succede nelle nostre campagne.

Cerchiamo però di essere onesti con noi stessi prim’ancora che con i nostri interlocutori: c’è un aspetto che è presente come preoccupazione da parte di un certo razzismo apertamente di destra come quello di Salvini e della Meloni ed è ben richiamato proprio dal democratico Minniti: « la paura », generata dall’’eccessiva presenza degli immigrati di colore. Perché? Per quello che diceva Giannini a proposito di sintomi di guerra civile negli Usa dopo l’uccisione di G. Floyd. La piccola borghesia italiana ed europea, vedi la Francia, è terrorizzata dall’ipotesi che con l’aggravarsi della crisi gli immigrati di colore spinti dalla miseria e dalla fame diventino delle “orde barbariche”. Per questa ragione la destra attacca chi si presta a organizzare gli arrivi, inconsapevole di questa evenienza. È il cane che si morde la coda: gli immigrati servono come l’aria per respirare ma costituiscono in prospettiva una potenziale bomba sociale con l’aggravarsi della crisi. Il ceto medio è terrorizzato e guarda a destra e cerca di arginare il fenomeno, mentre l’establishment è costretto a tollerarlo e favorirlo.

Per concludere diciamo che la crisi di questo modo di produzione non solo non completerà l’operazione di integrazione della razza dei neri, ma proprio come è successo negli Usa nel 2020 provocherà una reazione che vedrà insieme la parte maggioritaria dei neri e una quota sempre più crescente delle giovani generazioni bianche impoverite. Alla rivoluzione non può preoccupare un movimento di “orde barbariche” che ripulisca finalmente la storia. E noi diremmo con Lenin, come nei confronti di quanti criticavano le violenze dei mugiki contro i pomesciki: « O poveri scellerati vi meravigliate di così poco? Provate a immaginare cosa hanno dovuto subire per secoli! ». Tempo al tempo, arriverà anche quel tempo.

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