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lavocedellelotte

Gran Bretagna: gli scioperi contro l'inflazione non si fermano

di Paul Demarty

Fask0nDWIAEB4We 1024x682 1Dal giugno scorso la Gran Bretagna è scossa da un’ondata di scioperi che vedono come protagonisti i settori strategici della classe lavoratrice. Il principale bersaglio è l’impennata dell’inflazione e il muro contro muro opposto dal governo conservatore alle richieste dei sindacati. A luglio – anche a causa della sua incapacità di frenare il movimento rivendicativo – il premier Boris Johnson ha dovuto dimettersi, senza per questo che gli scioperi si siano arrestati. Anzi, proprio in questi giorni in cui un altro esponente dei Tory si appresta a installarsi a Downing street, la dinamica della lotta di classe continua la sua traiettoria ascendente coinvolgendo strati sempre più larghi di lavoratori.

In un contesto in cui il caro-vita erode il potere d’acquisto anche nel nostro paese – mentre la burocrazia CGIL riesce a rispondere solo sul piano verbale – è importante che l’esperienza del movimento operaio britannico venga discussa dai lavoratori italiani.

In quest’ottica, pubblichiamo la traduzione di un’analisi delle lotte in corso in Gran Bretagna, uscita la settimana scorsa sul sito dell’estrema sinistra britannica, Weekly Worker. Il pezzo è particolarmente interessante poiché non si limita all’elenco degli scioperi, ma li inserisce nel quadro della crisi politica che coinvolge il Regno Unito, mentre fornisce un giudizio critico sulle campagne di sostegno alla lotta contro il carovita portate avanti dalla sinistra del partito laburista vicina a Corbyn. Si tratta di campagne “liquide” rivolte a un pubblico generico, quindi strutturalmente incapaci di radicarsi nel movimento operaio (figuriamoci di proporre una direzione); un modus operandi che in Italia conosciamo bene.

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A nessun lettore di Weekly Worker può essere sfuggita l’enorme ondata di lotte industriali degli ultimi mesi. Si tratta di un fenomeno senza precedenti da quando chi scrive milita nella sinistra (ovvero dalla metà degli anni duemila).

Nel momento in cui il relativo benessere (alimentato dal debito dei consumatori) degli anni di Blair ha lasciato il posto alla devastazione della crisi finanziaria del 2008, anche gli attivisti più pessimisti si aspettavano una qualche risposta da parte del movimento sindacale. Invece, dopo anni di austerità, è stato possibile rilevare solo un modesto aumento delle giornate di sciopero. Il movimento di protesta più emblematico dell’epoca non è stato un aumento della militanza di classe, ma il successo effimero del movimento anarco-liberale Occupy. Nemmeno la rapida crescita della sinistra laburista sotto Jeremy Corbyn è stata accompagnata da una simile ripresa di fiducia all’interno dei sindacati.

Ora le ragnatele sono state davvero spazzate via. I ripetuti scioperi dei membri della RMT [Union of Rail and Maritime Transports, ndt] nelle ferrovie hanno paralizzato le reti di trasporto. Anche i sindacati che rappresentano altri lavoratori del settore ferroviario – Aslef e TSSA – hanno intrapreso azioni di sciopero. Nell’ultima settimana di agosto lavoratori portuali hanno smesso di lavorare per otto giorni a Felixstowe, il porto container più trafficato della Gran Bretagna. Contemporaneamente, i lavoratori della nettezza urbana di Edimburgo hanno reso la stagione dei festival davvero indimenticabile [l’autore si riferisce alle numerose manifestazioni musicali e teatrali che tradizionalmente si svolgono nella capitale scozzese a fine agosto, ndt]. E così via. Nel frattempo abbondano le notizie aneddotiche di un’ondata di scioperi illegali “a gatto selvaggio”, qua e là, nei cantieri edili e nei magazzini di Amazon.

Perché ora? La risposta più ovvia è la crisi del costo della vita; dopo anni di stagnazione dei salari reali (se non di peggioramento), il drammatico aumento dei prezzi dei beni di prima necessità pone inevitabilmente la necessità di una resistenza. Questo è un aspetto che è mancato nel 2008 e dopo: mentre le politiche di austerità dei governi di coalizione e dei conservatori degli anni 2010 hanno spinto molti verso la povertà, i più colpiti erano quelli meno in grado di reagire, con un lavoro estremamente precario o inesistente e certamente non sindacalizzato.

Ora che il problema riguarda settori ben organizzati e strategicamente significativi della classe operaia, i meccanismi dei sindacati si stanno attivando (a partire, naturalmente, dal più militante RMT). Con i sindacati in azione, non sorprende che i lavoratori non organizzati si sentano incoraggiati a intraprendere azioni selvagge sulla loro scia. Si spera che i lavoratori britannici di Amazon possano seguire l’esempio di alcuni loro colleghi americani e costruire qualcosa di più duraturo dei sit-in della pausa pranzo e dei brevi scioperi che sono riusciti a fare finora.

Ci sono altri fattori che contribuiscono. Il mercato del lavoro è eccezionalmente rigido in questo momento. La Brexit ha privato il capitalismo britannico della sua infinita riserva di manodopera migrante a basso costo e l’apertura post-pandemica dell’economia ci ha portato vicino alla piena occupazione. I sindacati sono in una posizione insolitamente forte, come dimostrano i tentativi farseschi del governo di interrompere gli scioperi della RMT utilizzando lavoratori interinali.

Il governo stesso, nel frattempo, è un altro fattore in tutto questo.  La leadership di Boris Johnson [costretto alle dimissioni a luglio, anche dal grande sciopero dei ferrovieri del mese prima, ndt] è azzoppata e la risposta del premier alla “calda estate degli scioperi” è stata senza sorprese, silenziosa e incoerente. Certo, i governi Tory hanno da tempo l’abitudine a rifiutarsi con noncuranza di negoziare con i sindacati delle ferrovie sulla base del fatto che il sistema è privatizzato (in realtà il sistema è talmente controllato a livello centrale e dipendente da ingenti sovvenzioni pubbliche che nessun operatore in franchising potrebbe negoziare seriamente senza l’appoggio del governo). Questa vecchia linea sembra essere stata debitamente riproposta nelle recenti controversie ferroviarie. Tuttavia la paralisi sarà inevitabile fino al giuramento del nuovo primo ministro.

È molto probabile che il nome di quel premier sia Liz Truss. I suoi interventi sull’argomento sono condizionati (oltre che dal suo fanatismo thatcheriano e dalla sua evidente stupidità) dalla necessità di fare appello agli istinti politici dei membri dei Tory – circa 160.000 persone che, nella maggior parte dei casi, sono pensionati di sesso maschile, benestanti, che vivono nelle contee, e che stanno lentamente morendo di avvelenamento cerebrale da Daily Mail [giornale scandalistico di destra britannico, ndt]. La grande trovata del possibile futuro premier è l’estensione dei “livelli minimi di servizio” a vari settori, tra cui i trasporti e l’istruzione – in sostanza la messa fuori legge di scioperi efficaci in questi settori. Il segretario generale della RMT, Mick Lynch, ha promesso una risposta severa a qualsiasi legislazione di questo tipo.

 

Il ruolo del Trade Union Congress

Il successo di tale risposta dipende in parte dal coordinamento. L’Unite [la principale confederazione sindacale britannica ndt] sta presentando una mozione al prossimo Congresso sindacale per prepararsi a un’azione coordinata; anche se gli scioperi secondari di solidarietà sono stati a lungo criminalizzati, nessun governo conservatore ha (ancora) trovato il modo di vietare a due sindacati, ciascuno con le proprie rimostranze, di scioperare nello stesso giorno. Anche se i precedenti del TUC in questo campo non danno certo fiducia, la mozione ha il sostegno della maggior parte dei grandi sindacati e probabilmente passerà; e in questo contesto economico, non mancheranno occasioni di coordinamento nel breve periodo.

È da questa prospettiva che la risposta del governo in attesa di Truss sembra così compiacente. Fino a questa settimana, l’unica risposta proposta alla crisi del costo della vita era la classica risposta Tory a tutto: tagli alle tasse (o almeno non procedere con gli aumenti fiscali precedentemente previsti). Con le bollette dell’energia forse destinate a quadruplicare nel corso del prossimo anno, per non parlare di tutto il resto, questo non è davvero sufficiente. (Truss continua a rifiutarsi di escludere un aiuto più ampio per le bollette dei cittadini, ma almeno ha dovuto ammettere la gravità della situazione, quasi come se glielo si fosse estorto con la forza). In una situazione in cui gli scioperi non ufficiali stanno già tornando in auge, ulteriori restrizioni legali ai sindacati – oltre a essere selvaggiamente e gratuitamente antidemocratiche – sembrano destinate a fallire.

Dopotutto, sono passati decenni dall’ultima volta che qualcuno si è opposto con forza a un governo e l’attuale schieramento di parlamentari Tory, Truss compresa, è quasi tutto post-Thatcher. Questi personaggi hanno conosciuto solo un movimento sindacale vilipeso, sotto una leadership politica per lo più timida e filocapitalista (e persino la squadra di Corbyn non ha osato minacciare di far retrocedere le leggi antisindacali della Thatcher). Alla domanda su quale fosse il suo più grande risultato politico, si dice che la Thatcher abbia risposto, in modo apocrifo, “il New Labour”.

In questa situazione, i Tories sono diventati decadenti. Da tempo non affrontano un problema che non possa essere affrontato con aria fritta e demagogia da tabloid. Ma la gente non può mangiare la demagogia. Con le spalle al muro, la classe operaia non ha altra scelta che reagire con tutti gli strumenti a sua disposizione. Sebbene la densità sindacale sia drasticamente diminuita e la classe abbia agito in modo disomogeneo, il governo si renderà presto conto che ci sono settori del movimento operaio che possono davvero, come dice il cliché dei Tory, “tenere il Paese in ostaggio”. Misure veramente draconiane contro la militanza operaia, a parità di condizioni, non farebbero altro che sostituire gli scioperi con le rivolte per il pane.

Quando nelle prossime due settimane Truss arriverà al n°10 [la residenza del premier inglese a Londra in Downing street, ndt], quindi, potrà aspettarsi di essere affrontata da un esercito di funzionari pubblici preoccupati. Le verrà presentata una serie di opzioni politiche; non possiamo sapere con certezza quali saranno (ma sappiamo bene quali misure non prenderà): elargizioni fiscali alla sua base e retorica della riduzione della cinghia per tutti gli altri. Un intelligente Sir Humphrey (o Dame Henrietta) preferirebbe, forse, comprare temporaneamente alcuni sindacati, in modo da affrontare e distruggere i peggiori piantagrane (come l’RMT).

 

Spirito di guerra…

Quanto appena detto non vuol dire che misure draconiane per siano impossibili. Poiché si sta lentamente perdendo la convinzione che il conflitto ucraino non sia altro che una guerra per procura tra Russia e NATO, esiste la possibilità di adottare misure d’emergenza di tipo bellico. I conservatori hanno già avuto modo di assaggiare queste cose con la pandemia, per quanto il “socialismo di Covid” possa essergli rimasto in gola.

Vietare gli scioperi può funzionare – a patto che il governo si assicuri, con qualsiasi misura necessaria, che il riscaldamento della gente rimanga acceso quest’inverno e che le bocche dei loro figli siano debitamente nutrite. Questo era più o meno lo stato dell’economia durante la Seconda Guerra Mondiale, con controlli stretti su una forza lavoro completamente mobilitata, insieme al razionamento, che tendeva a limitare le diete della classe media, ma anche a migliorare quelle della classe operaia. (Sarebbe una mossa coraggiosa per un governo Tory, ovviamente, e dipende dalla popolarità della guerra).

Abbiamo sollevato questa possibilità a scopo illustrativo. Abbiamo argomentato, dopo tutto, che all’interno delle regole del gioco esistenti – che comprendono sia le leggi che i pregiudizi compiacenti dei banchieri del fronte Tory – il governo si trova in realtà in una posizione piuttosto debole. C’è quindi un impulso di fondo a cambiare le regole. Forse anche Liz Truss, sotto le giuste pressioni, può imparare l’arte della spietata statistica Tory.

La debolezza politica del movimento sindacale rimane quindi un problema serio. Il problema più evidente è il rifiuto categorico dei laburisti di appoggiare gli scioperi, che non sorprende sotto la tutela di Sir Keir Starmer: il modo di opporsi della leadership è piuttosto quello di incolpare i conservatori di “aumentare le divisioni” invece di “unire le persone”, e altre sciocchezze senza senso. Se la crisi dovesse davvero costringere a elezioni anticipate, avremmo davanti a noi la prospettiva dell’amministrazione laburista più di destra nella storia già ignobile del partito.

Non molto tempo fa abbiamo riferito del ritiro del sostegno della RMT alla disperata Trade Union Socialist Coalition [1] Quale sarà la prossima mossa degli uomini e delle donne di Mick Lynch [leader della RMT, ndt]? A quanto pare… una campagna di protesta chiamato Enough is Enough. Quali sono i confini politici e di classe di questa novella assemblea del popolo (per non parlare dei prossimi contendenti alla corona di coalizione anti-austerità per eccellenza)? [l’autore qui allude a una campagna promossa soprattutto online da attivisti di sinistra contro il caro-vita, ndt]

Queste organizzazioni “di base” che fanno campagna (di solito un po’ calate dall’alto) sono di per sé difficilmente criticabili, mentre possono ottenere una vittoria qui e una vittoria là, e così via. Tuttavia, se guardiamo all’ultimo periodo di significativa forza del movimento operaio inglese, i nervi della guerra di classe non sono stati forniti dagli steward delle manifestazioni e dai social media sotto la direzione della burocrazia del lavoro, ma dal Partito Comunista, che – nonostante il suo abietto opportunismo politico – ha organizzato migliaia di militanti di primo piano in tutte le industrie e in tutto il Paese. Era in grado di fornire il tipo di azione coordinata che ha scaricato il governo Heath nel 1974, perché alla fine solo un partito ben organizzato può porsi il compito di un reale coordinamento delle lotte. Non possiamo sperare che questo ruolo venga svolto dal Labour di Sir Keir. Chi prenderà allora il comando?


Note
[1] Raggruppamento di sindacalisti di sinistra, parzialmente influenzati dal Socialist Party, organizzazione inglese legata all’organizzazione trotskista internazionale Committee for a Workers International, storicamente distintasi – come la Tendenza Marxista Internazionale con cui condivide l’origine dal Militant di Ted Grant – per un atteggiamento in ultima analisi subordinato nei confronti del Labour Party].

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