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Coordinamenta2

Non votare

di Coordinamenta femminista e lesbica

io non voto def 2<Hanno detto – non prendertela… Hanno detto – stai calma… Hanno detto – smettila di parlare… Hanno detto – stai zitta… Hanno detto – stai seduta… Hanno detto – abbassa la testa… Hanno detto – continua a piangere, lascia scorrere le lacrime… Come dovresti reagire? Dovresti alzarti ora dovresti stare in piedi tenere le spalle dritte tenere alta la testa… dovresti parlare dire cosa pensi dirlo forte urlare! Dovresti urlare così forte da farli correre a nascondersi. Diranno – “Sei una svergognata!” Quando lo senti, ridi… Diranno – “Hai un carattere dissoluto!” Quando lo senti, ridi più forte… Diranno – “Sei corrotta!” E tu ridi, ridi ancora più forte… Sentendoti ridere, grideranno, “Sei una puttana!” Quando dicono così, tu mettiti le mani sui fianchi, stai ferma e dì, “Sì, sì, sono una puttana!” Resteranno scioccati. Ti fisseranno increduli. Aspetteranno che tu dica di più, molto di più… Gli uomini fra loro arrossiranno e suderanno. Le donne tra loro sogneranno di essere una puttana come te. > TASLIMA NASRIN < Vai ragazza!>

Che il neoliberismo sia una vera e propria ideologia e che le sue linee di tendenza siano molto chiare ce lo dice, se mai ce ne fosse bisogno, la parabola politicoeconomica che l’Italia ha percorso in tutti questi anni.

Il PD è stato il motore trainante delle scelte che hanno portato alla privatizzazione di importanti strutture pubbliche, alla svendita di interi settori produttivi alle multinazionali, alla aziendalizzazione della sanità, della scuola e degli altri servizi sociali, alla trasformazione del mercato del lavoro, nel senso di una precarizzazione selvaggia, alla distruzione dei ceti medi e delle piccole strutture economiche, alla elaborazione di una vera e propria ideologia della “sicurezza” e “legalità”, apparato teorico giustificativo di una serie di stravolgimenti dello stesso diritto borghese, primo fra tutti la creazione di quelle infami istituzioni totali chiamate oggi Cpr e del principio della detenzione amministrativa e delle sanzioni amministrative. Riforme che hanno avuto un forte impatto sul tessuto sociale e culturale del Paese, determinando alcuni spostamenti del comune sentire, progressivamente sempre più assuefatto all’utilizzo di strumenti di controllo generalizzato, capillare, diffuso e parossistico di ogni azione personale e collettiva.

Una maggiore disponibilità della popolazione all’asservimento che se, per un verso, è stata estorta anche attraverso il frequente ricorso ai meccanismi del governo emergenziale, per altro verso, come in un circolo vizioso, rende meno problematica la possibilità stessa di ricorrere al paradigma emergenziale; come è stato reso palese dall’avvicendarsi, senza soluzione di continuità, dello stato di emergenza pandemico e di quello bellico, per non parlare di quello climatico, che seguirà.

In questo contesto, la decostruzione della “democrazia” parlamentare borghese, un gioco taroccato che pure ogni tanto occasionalmente poteva essere usato dalle classi subalterne, è un percorso cominciato da lungo tempo, le cui tappe fondamentali possono essere individuate nell’alterazione del sistema elettorale, sotto il profilo della sostituzione del metodo proporzionale in favore di quello maggioritario, nella torsione verso lo strapotere dell’organo esecutivo, conquistata attraverso il ricorso abusivo alla decretazione d’urgenza (con la complicità delle camere che puntualmente convertono i decreti in leggi ordinaria) e all’uso della fiducia nelle votazioni parlamentari, nella progressiva e apparentemente inarrestabile estensione dell’ambito territoriale e materiale della legislazione di emergenza, nella normalizzazione dei governi tecnici e, più recentemente, nel compimento di una tecnocrazia diffusa in reti sovranazionali e transnazionali di enti tecnico-scientifici (di natura spesso privata). Un progetto di lunga durata a cui ha partecipato, a diverso titolo, tutto l’arco partitico, completamente appiattito su posizioni neoliberiste. Solo un osservatore compiacente potrebbe, infatti, negare ancora oggi il fatto che, al di là di risibili sfumature, tutti i partiti sono funzionari delle multinazionali: alcuni a busta paga, altri semplicemente idiotamente asserviti.

E’ la stessa iper borghesia che ha decretato l’avvio di questa nuova fase e la trasformazione della così detta “democrazia parlamentare” prima in democrazia autoritaria e ora in vero e proprio totalitarismo. La “tutela sociale”, se ha un senso chiamarla così, è stata da tempo delegata ad organismi categoriali e corporativi (dai colori, a volte, medievali, a volte, fascisti), creati ad hoc per ogni singola e parcellizzata evenienza. Un vero e proprio divide et impera privatizzato, raggiunto attraverso il coinvolgimento attivo della galassia di enti del terzo settore, che si prendono carico di problemi nevralgici della nostra società, come la violenza maschile contro le donne e i fenomeni migratori, ma nella cornice di leggi securitarie e razziste, che non solo non combattono le cause strutturali della violenza domestica e dell’immigrazione, ma, anzi, le fomentano (Boldrini e Minniti docent).

Il ruolo dei partiti e il gioco parlamentare sono assolutamente venuti meno. Il governo Draghi è solo l’ultimo, più eclatante e sfrontato esempio di governo diretto dei potentati economici e delle multinazionali. Non è una questione di programmi o intenzioni: anche il più avanzato dei progetti politici che decida di misurarsi con il gioco elettorale non può che essere catturato in una dinamica in cui semplicemente non si è previsti ed è impossibile incidere

In questi due anni in particolare ci sono stati degli avvenimenti che hanno segnato un solco profondo rispetto a qualsiasi possibilità di mediazione, perché il sistema di potere ha svelato fino in fondo di cosa sia capace e quali siano i suoi obiettivi.

I partiti dell’arco parlamentare, tutti, sono responsabili direttamente dell’l’irragionevole, infondata e indiscriminata reclusione in casa di tutta la popolazione, dell’instaurazione di un clima di terrore, della militarizzazione diffusa e dell’oscena retorica di guerra (già iniziata con i pacchetti sicurezza e con strade sicure) agitata per imporre coprifuochi, schedature dei cittadini/e, e varie misure di controllo, fisico e mentale, dei corpi, per legittimare la riduzione alla fame di chi ha manifestato dissenso e alterità con l’allontanamento dal lavoro, la privazione della possibilità di percepire lo stipendio e il salario, l’esclusione dal consesso civile e da qualsiasi attività sociale, la censura di quei (pochi) intellettuali e professori universitari che non hanno rinunciato ad esercitare il pensiero critico; per non parlare del silenzio assordante che accompagna la brutale e sproporzionata repressione esercitata dagli apparati polizieschi e giudiziari con l’applicazione di una miriade di sanzioni amministrative e penali debordanti e addirittura del regime di carcare duro dell’art. 41-bis.

In questi anni, è stato creato e imposto con la forza, con il ricatto, con il subdolo convincimento all’affidamento, un pensiero unico basato sullo scientismo e sull’autorità dello Stato, come fede che toglie di mezzo in maniera secca qualsiasi possibilità di pensiero alternativo o di semplice riflessione critica. Chi non è allineato è fuori, è altro, è il nemico e va eliminato. Questa forma politica violentissima si è trasformata in metabolismo sociale, forgiando una società altrettanto violenta nei rapporti umani, interpersonali, lavorativi.

È un percorso che sta portando a compimento il controllo totale delle nostre vite. Non è possibile impostare e portare avanti nessuna lotta e nessuna opposizione, a qualsiasi livello, se queste non comprendono ed esplicitano il fermo rifiuto di green pass di qualsiasi tipo – vedi le «patenti del buon cittadino» già adottate da alcuni enti locali e l’«identità digitale» – dell’abolizione del contante – da cui deriva il controllo dei conti correnti e il tracciamento di ogni operazione finanziaria quotidiana – della digitalizzazione dei rapporti con la pubblica amministrazione (ivi compreso il fascicolo sanitario elettronico), tanto più che tale processo segna la rinuncia completa alla riservatezza dei dati e delle informazioni personali nei confronti di tutte le articolazioni dello Stato (v. le modifiche apportate al Codice del privacy dai decreti anti-covid, anche nell’ottica di facilitare l’attuazione delle riforme previste dal PNRR). Tutte misure che inaspriranno la già pesantissima ingerenza dell’Agenzia delle Entrate e renderanno possibili o più efficienti i controlli digitali sui comportamenti dei lavoratori e dei cittadini in generale. Misure, in termini politici, che condurranno all’impossibilità stessa di vivere per chi è critico rispetto a qualsiasi scelta di sistema.

I partitini variegati che si propongono come “opposizione di classe” e alternativa elettorale elencano nei loro programmi rivendicazioni economiche di minima e velleitarie e corpose esternazioni su sanità, scuola, stato sociale o lavoro, che lasciano il tempo che trovano, dato che il patto sociale è stato unilateralmente rotto dal potere ormai da tempo. Non tenere conto, dentro i programmi elettorali, di quello che è accaduto in questi due anni non è una mancanza casuale, ma una conseguenza diretta dell’incapacità di analizzare il cambiamento sociale epocale a cui stiamo andando incontro e della convinzione che, tutto sommato, le decisioni governative rispetto alla pandemia non siano state poi così sbagliate. Non ci siamo dimenticate i posizionamenti che hanno preso nel periodo pandemico, le accuse, i rimproveri, la condanna e lo stigma riservati a chi scendeva in piazza a protestare.

D’altra parte, la crisi della sinistra di classe e di movimento viene da lontano e può dirsi, ormai, più che conclusa, soprattutto se si pensa al lento, ma costante, processo di trasfigurazione e strumentalizzazione delle diversità sessuali, della violenza sulle donne, della questione del gender, dell’aborto, dell’antifascismo, dell’antirazzismo portato avanti dai riformisti socialdemocratici e neoliberisti. È quasi scontato notare come i diritti sociali e i diritti umani siano ormai ridotti a trend: vuote chiacchiere da social network e talk show, utilizzate, ora per riscuotere un facile consenso, ora per inscenare ipocrite opposizioni progressiste, sempre e comunque scevre di quella discriminante di classe in grado di dare spessore politico alle lotte, che così si riducono, invece, a mere sfilate colorate o convogliano verso apolitiche forme di carità verso il prossimo.

Questa sinistra, che vorrebbe essere antagonista, è in estrema difficoltà, teorica e pratica. Intrappolata nel circolo del consenso e della compatibilità, ha perso la capacità di definire una propria posizione autonoma sui temi socialmente fondanti. L’intera questione della gestione autoritaria della pandemia ha messo in luce una drammatica incapacità di costruire posizioni politiche conflittuali, restituendo una preoccupante subalternità al potere, articolata su categorie come quella di competenza/ignoranza, autorevolezza/pensiero critico. In questo contesto, ogni attacco al potere portato da una sinistra così miope e sottoposta finisce per divenire un appoggio alle attuali politiche neoliberiste.

Allo stesso tempo il fronte populista, interclassista, variegato e spesso connotato da discorsi e valori di destra e qualunquisti, che ha invaso le piazze in maniera determinata, ma confusa, protestando contro le imposizioni, le restrizioni e i ricatti del governo, contro la violenza sui corpi e l’imposizione dello scientismo di Stato, è incapace di costruire una proposta politica, frammentato e viziato da diversi tentativi di strumentalizzazione politica, che finiscono per inserire queste rivendicazioni all’interno di un discorso di lungo termine irricevibile e profondamente reazionario.

Per fortuna c’è, però, anche un’opposizione di classe che ha detto e fatto altro: pochi/e, additati come reprobi, untori, socialmente pericolose/i e ora anche disfattiste/i, che di certo non parteciperanno alle tornate elettorali. Un’opposizione di classe che considera le trasformazioni di questi due anni, non come qualcosa di occasionale e contingente, ma come passaggi di nuova strutturazione della società che il sistema sta imponendo in maniera decisa e violenta.

Un posizionamento politico che trova conferma se si riflette sulla «forma guerra» che aleggia costantemente in tutti i discorsi pubblici, proni ai diktat degli Stati Uniti, i quali, egemoni all’interno del patto atlantico, pretendono di essere l’unico imperialismo possibile e perseverano nel distruggere ogni forma che metta in discussione la loro leadership traballante. Un’egemonia che, proprio perché usurata, è estremamente pericolosa e comunque ancora forte del proprio primato militare e del potere di indirizzo politico che esercita su una miriade di paesi e territori, attraverso una pletora di «agenzie» sparse in ogni angolo del mondo.

L’Europa, nonostante gli interessi degli Stati Uniti non coincidano assolutamente con i suoi, soprattutto per quanto riguarda la Germania e l’Italia, si è accodata, volente o nolente, alla politica statunitense. Ma ricordiamoci sempre che, per il nostro Paese, uscire dalla Nato e buttare fuori la Nato dal proprio territorio non è una scelta politica tra le altre, ma una scelta di vera e propria sopravvivenza: viviamo su una polveriera fatta di basi militari tra le più grandi d’Europa, sistemi di guida satellitari per droni, testate nucleari. Un enorme e capillare apparato militare che, mentre porta morte e distruzione all’estero e compromette seriamente la salubrità dell’ambiente e la salute umana sul nostro territorio, potrà, in caso, tornare utile anche sul fronte interno, ossia per “gestire” (come dicono i documenti della Nato) un conflitto sociale considerato, dagli stessi poteri costituiti, sempre più probabile a fronte del vertiginoso aumento del costo della vita, del veloce impoverimento della popolazione e della macelleria sociale che ci aspetta in autunno.

Anche per questo, forse, le elezioni anticipate convocate in maniera così repentina, risultano funzionali ai poteri costituiti perché non danno modo a un’opposizione politica di organizzarsi; eventualità che avrebbe potuto materializzarsi nella prossima primavera, dopo un autunno feroce quale quello che si sta presentando.

In questo contesto, invece, le prossime elezioni si presentano tutte interne a una ridicola e ormai usuale polarizzazione «Meloni e annessi» – «PD e annessi», che ci racconta di una guerra tra bande che si propongono come referenti delle multinazionali. Un PD usurato, con Letta che si affanna a condurre in ambito internazionale una campagna tutta impostata sulla distruzione della credibilità della sua opponente e quest’ultima, Giorgia Meloni che invece intraprende un tour di legittimazione presso la finanza internazionale e professa fedeltà al Patto Atlantico. Dal fascismo del Pd al fascismo di Meloni. Anche basta!

Partecipare alle elezioni significa, allora, soltanto avallare lo sporco gioco del potere e dare credibilità al risultato. Se l’articolazione di una qualsiasi strategia non può che passare per la definizione di un campo di avversità, e se questo campo di avversità non può certo essere seriamente articolato all’interno di false dialettiche tra attori tutti sostanzialmente asserviti agli interessi dell’iper borghesia, l’astensionismo, oggi, assume un valore completamente diverso. Non votare non dichiara più solamente una disaffezione e una mancanza di fiducia da parte delle persone verso chi le dovrebbe rappresentare – tendenza sempre più manifesta degli ultimi anni. Non votare diventa necessario posizionamento politico soprattutto per quei fronti di opposizione che si dichiarano «sinistra di classe».

NON VOTARE è l’unica salvaguardia di un minimo di dignità che ci è rimasta, come subalterne/i, per dimostrare che abbiamo capito il gioco e non ci stiamo. Non ci sono alternative valide, è necessario non partecipare alla giostra che ci vuole pedine strumentalizzabili.

IL NOSTRO ORIZZONTE DEVE ESSERE LA MODIFICA DEI RAPPORTI DI FORZA. Possediamo degli strumenti storici ancora validi come le piazze, il boicottaggio, il sabotaggio, lo sciopero, la disubbidienza civile singola e collettiva, e dobbiamo, d’altra parte, inventarci anche nuove e altre forme di lotta, perché da qui in poi sarà durissima e la risposta del potere estremamente violenta.

Come femministe non possiamo permettere che si approprino delle nostre vite: la nostra indignazione non ha confini, la nostra rabbia altrettanto.

Ci vedremo ad ogni angolo di strada, in ogni piazza, in ogni mercato, in ogni scuola, in ogni posto di lavoro… perché il femminismo o «è rivoluzionario o non è niente».

Comments

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marku
Saturday, 10 September 2022 22:18
perfettamente in sintonia con voi

perchè la talpa
non vota

....ma scava
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