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Cavalcare il nemico

di Matteo Minetti

Da Carl Schmitt a guanciale vs. pancetta: la costruzione dell’identità politica ai tempi dei social 

nemico 2

“Il nemico marcia in testa a te
ma anche alle tue spalle.
Il nemico marcia con i piedi
nelle tue stesse scarpe.
Quindi anche se le tracce non le vedi
è sempre dalla tua parte.”  

Claudio Lolli

Il partito degli algoritmi

Posso forse affermare, senza scandalizzare nessuno, che viviamo nella società dell’informazione, come in passato vivevamo nella società del valore. Ciò significa che, mentre in gran parte del secolo scorso la società si divideva, grossolanamente, per chi utilizza un paradigma del conflitto fra classi, in proprietari di capitale e non proprietari, oggi si divide in produttori di informazioni e consumatori di informazioni. Le categorie quasi coincidono per estensione ma si differenziano per la loro relazione. Coloro che possiedono le informazioni sono anche ricchi, coloro che non le hanno sono irrimediabilmente anche poveri.

Visto che non frequento i ricchi, i veramente ricchi che detengono il monopolio della conoscenza, posso solo immaginare come e dove la scambiano ma, frequentando i poveri, so dove si scambiano le loro poche (e spesso errate) informazioni, ovvero nei mezzi che hanno a disposizione:dal vivo, al telefono, su internet e i social network. In special modo quelli di Mr. Zuckerberg: Facebook, Instagram e WhatsApp. 3,5 Mld di utenti nel 2021 con 114,9 Mln di dollari di ricavi pubblicitari, circa 40 dollari all’anno per utente.

Gran parte dei contenuti che vengono veicolati attraverso i social network sono diffusi da centri di produzione strategica di informazioni come redazioni, uffici stampa, agenzie di comunicazione, giornalistiche o di immagini, influencer professionali o amatoriali, content media manager inseriti in relazioni di mercato.

Chi si occupa di “comunicazione” (il temine è una sineddoche volutamente ambigua, perché sostituisce i termini più corretti di “propaganda” o “pubblicità commerciale”) produce quindi i contenuti con maggiore diffusione.

La parte restante è formata da ciò che gli utenti pubblicano autonomamente, quindi i commenti, i like, le condivisioni, gli stati, le immagini e i video, che forniscono informazioni agli occasionali destinatari di quelle interazioni e alla piattaforma, ovvero a chi assume la proprietà privata di tutte quelle informazioni. Un buon programma di intelligenza artificiale, grazie al lavoro di uno staff di data analyst, può profilare questi commenti e chi li ha prodotti mediante analisi semantica automatizzata (sentiment analysis), estraendo le tendenze dai comportamenti più diffusi.

L’ideologia del soggetto politico si costruisce nel discorso come insieme di atti performativi che stabiliscono la relazione fra il leader e il suo pubblico

La strategia più utilizzata dai social network, dai siti e dalle app che estraggono dati dagli utenti e li profilano per vendere inserzioni mirate a pagamento è quella della costruzione dell’identità. Tutte le campagne pubblicitarie, infatti, tendono a proporre un’immagine ideale del tipo di consumatore che intendono intercettare. La peculiarità delle campagne politiche rispetto ad altre forme di marketing digitale è la tendenza a identificare l’elettore-consumatore con un Noi “contro” il nemico da scongiurare.

 

Costruire l’identità politica

Nel 1922 Carl Schmitt, nella sua opera Teologia politica, delineava i fondamenti di una teoria che affermava la necessità della dittatura, intesa come “orgogliosa decisione morale” del capo dello Stato. La sua piena adesione al nazismo era pertanto del tutto coerente con il suo pensiero e non frutto di opportunismo. Successivamente, nel 1932, sviluppava la sua opera più conosciuta, La categoria del politico, in cui introduceva la sua maggiore intuizione.

“La specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind). Essa offre una definizione concettuale, cioè un criterio, non una definizione esaustiva o una spiegazione del contenuto. Nella misura in cui non è derivabile da altri criteri, essa corrisponde per la politica, ai criteri relativamente autonomi delle altre contrapposizioni: buono e cattivo per la morale, bello e brutto per l’estetica e così via.“

Oggi il pensiero di Carl Schmitt, riconosciuto esplicitamente solo dalla estrema destra sovranista, è in realtà il principio guida delle tecniche di costruzione dell’identità di tutte le forze politiche, attraverso quella polarizzazione e semplificazione delle posizioni a cui assistiamo nella comunicazione pubblica. L’ideologia del soggetto politico si costruisce nel discorso come insieme di atti performativi che stabiliscono la relazione fra il leader e il suo pubblico nonché fra tutti gli attori sociali coinvolti, amici e nemici compresi. In altre parole, citando il saggio del filosofo argentino Ernesto Laclau La ragione populista, “ciò che davvero conta è la determinazione delle sequenze discorsive grazie alle quali una forza sociale o un movimento porta avanti la sua complessiva performance politica.”

Fra gli esempi recenti di comunicazione strategica apparsi sui social network, ho osservato con attenzione alcuni post di propaganda diffusi dalle forze politiche che si presenteranno alle prossime elezioni. In questi messaggi sono facilmente identificabili le categorie del Noi, come degli Amici o Nemici che costituiscono gli alleati o il “pericolo” da arginare. A questa identificazione vengono associati i valori di riferimento a cui il gruppo (Noi) si ispira, che vanno dal bisogno di beni primari (cibo, abitazione, salute, reddito) alla sicurezza personale, alla comune appartenenza a una corrente politica (democrazia, liberalismo, socialdemocrazia, ambientalismo) o identità sociale (Italiani, lavoratori, ricchi, poveri, imprenditori, genitori) fino ai principi prosociali di cooperazione, solidarietà, pace, accettazione delle differenze, tutela del’’ambiente naturale, sviluppo culturale.

La quantità di informazioni trasmesse in questi post che non siano già conosciute dal destinatario è minima. La maggior parte del contenuto è una narrazione che ingloba dei “valori” a cui si chiede di aderire individuando gli “amici” e i “nemici” identificandosi con un Noi. La politica fatta con i corpi, nello spazio fisico delle piazze, viene riprodotta sui social network mediante una comunicazione che fa dei partecipanti in carne e ossa dei figuranti per la rappresentazione online, i cui contenuti rispecchiano le stesse strategie di tutti gli altri soggetti politici che praticano il marketing politico, la costruzione del Noi.

La comunicazione politica sembra seguire sempre il medesimo schema: “i nostri nemici ci minacciano. Noi siamo forti e dalla vostra parte, amici. I nostri valori sono questi.” Questo modello comunicativo fa leva sul meccanismo più semplice e primitivo della costituzione di un’identità. Secondo la Teoria dell’Identità Sociale, proposta dallo psicologo britannico Henri Tajfel negli anni ‘70, il gruppo identitario si costituisce separando le caratteristiche dell’ingroup (Noi) da quelle degli appartenenti all’outgroup (Altri) tramite la categorizzazione. L’individuo costruisce la propria identità mediante l’appartenenza ai vari gruppi e riesce così a interpretare la realtà mediante delle categorie che lo fanno sentire migliore o superiore agli altri.

Sebbene tutte le fazioni politiche adottino lo stesso principio di identificazione, si possono riscontrare, nei diversi gruppi, delle importanti differenze. L’analisi di quelle differenze chiarisce anche il motivo per cui la propaganda “di destra” sull’identità è molto più efficace di quella “di sinistra”, anche se conducono entrambe a soluzioni di tipo autoritario o tecnocratico. La separazione in amici e nemici non ha connotazioni morali in sé . Il nemico è tale in quanto Altro minaccioso. Non è nemico perché compie delle azioni immorali; al contrario, le sue azioni sono immorali in quanto nemico. Le stesse azioni, compiute da un amico, non risultano immorali perché vengono comunque giustificate dall’essere un freno al nemico. E’ la retorica di guerra con i suoi semplici bias di conferma a cui siamo ormai abituati per il conflitto in Ucraina, ma vale ugualmente per tutti i conflitti contemporanei, dall’occupazione della Palestina all’invasione dell’Afghanistan.

L’identificazione del nemico prescinde qualsiasi valutazione di tipo morale; ma, appena il nemico è identificato, vengono posti dei valori di riferimento condivisi che identificano una fazione. Che questa operazione derivi da un potere egemonico e da un leader che lo incarna, archetipo del padre o della madre, sembra una condizione ineliminabile. Solo la sfumatura valoriale declina l’identificazione come di destra o di sinistra.

Lungi dall’essere dismessa, la dialettica tra dominatori e dominati, tra classi egemoniche e classi subalterne, si arricchisce di nuove e più variegate caratteristiche nello spazio dei social.

Contro il fondamentalismo islamico possiamo essere cristiani o laici. Contro la Russia possiamo essere per una pace negoziata o per l’intervento militare. Contro l’insicurezza economica possiamo essere contro le tasse o contro i grandi capitali privati, contro la criminalità possiamo essere contro gli immigrati che ne diventano manovalanza o contro la criminalità organizzata locale che li utilizza. Contro lo sfruttamento del lavoro possiamo essere contro i datori che offrono condizioni non dignitose o contro i disperati che le accettano.

Possiamo essere sicuri che tutte le soluzioni più reattive, istintive, irrazionali, basate su esperienza diretta e quindi estremamente parziale, verranno preferite dalla maggioranza del pubblico coinvolto e raggiungeranno meglio l’obiettivo dell’identificazione politica perché questo non è solitamente un processo razionale, articolato dalla volontà e dal pensiero astratto. La differenza sostanziale che, in questi esempi, divide la posizione “di sinistra” da quella “di destra” è nei valori che sono dietro al Noi.

Nel 1954, lo psicologo Abraham Maslow propose un modello dello sviluppo umano fondato su una gerarchia di bisogni disposti all’interno di un diagramma a piramide. Mentre il bisogno di sicurezza è alla base della piramide di Maslow, valori come il rispetto reciproco e ancora di più solidarietà e accoglienza si trovano sulla cima della piramide. Bisogna prima aver soddisfatto i bisogni che sono alla base per poter prendere in considerazione quelli al vertice. Puntare retoricamente sui valori che tutelano i bisogni alla base della piramide, come fanno le forze politiche di destra nella loro comunicazione performativa, garantisce che quel messaggio verrà riconosciuto da una più grande massa di persone che sente di appartenere a un Noi insicuro, bisognoso, isolato, frustrato.

La violenza del linguaggio usato sui social network, da chi scrive nei commenti alle notizie, serve a farsi “riconoscere” in quanto appartenenti a quel Noi e viene alimentata dai troll nemici che, con altrettanto odio verbale, attaccano l’identità del gruppo in una condizione di totale sicurezza fisica. L’equivalente novecentesco era la manifestazione con scontri di piazza, in cui il Noi si andava a confrontare fisicamente con il nemico, in una violenza ritualizzata ma reale che costruiva una spinta davvero potente nella sensazione di appartenenza a un’identità politica.

Lungi dall’essere dismessa, la dialettica tra dominatori e dominati, tra classi egemoniche e classi subalterne, si arricchisce di nuove e più variegate caratteristiche nello spazio dei social. Ogni singola interazione degli utenti sulle piattaforme digitali contribuisce al monitoraggio in tempo reale degli effetti a breve termine delle campagne di comunicazione politica: un accentramento del sapere che corrisponde in modo speculare a un accentramento di potere. In questo contesto, vengono rafforzati gli aspetti emozionali, a costo di iperboliche esagerazioni e aumento della violenza verbale, perché sono gli aspetti polarizzanti che garantiscono una maggiore risposta in termini di engagment e quindi di visibilità fornita dall’algoritmo. È evidente qui come il medium (il social network) determina la qualità del messaggio, che si deve adeguare alle sue dinamiche distorsive e di proliferazione virale. Viene estratta informazione da chi ne ha poca per accrescere il numero di informazioni accumulate da chi ne possiede e gestisce quantità enormi. Ricorda qualcosa?

 

A caccia del nuovo nemico

Se da una parte non è possibile abbandonare del tutto la costruzione dell’identità politica attraverso la distinzione amico/nemico, si può almeno cercare di utilizzare questa dinamica senza esserne schiacciati, come accade nel populismo veicolato sui social media. I social media condizionano l’identità politica principalmente in tre modi. In primo luogo, gli elettori sono , indipendentemente dalla loro collocazione, un pubblico a cui rivolgere annunci pubblicitari da parte delle piattaforme, contribuendo a creare il loro valore finanziario. Una mitologia vuole che l’utente crei il valore con i suoi dati. Non è così: le interazioni in rete sono una forma di consumo che permette l’esistenza del mercato dei servizi venduti. Questa forma della costruzione della identità politica contribuisce quindi alla riproduzione del capitalismo delle piattaforme e all’accumulazione di informazioni da parte di chi ne gestisce il monopolio.

L’estremo perfezionamento della tecnica psico-sociale ha permesso ai dispositivi politici di modellare i profili degli elettori di cui si ha bisogno, costruendo le identità sociali più desiderabili.

In secondo luogo, tramite l’uso dei social media ogni persona viene trasformata in un profilo appiattito sulla rilevazione algoritmica. Di questo profilo interessa la conversione del comportamento in quello atteso (appoggio, attivazione, finanziamento, voto) che è sostanzialmente quello di un consumatore, non di un cittadino. Questo processo è iniziato con la politica di massa che separava nettamente i politici per professione dagli elettori, il cui unico valore è il numero. Come rivelala teoria Schmitt, l’elettore diventa il mezzo e non il fine della politica. L’estremo perfezionamento della tecnica psico-sociale ha permesso ai dispositivi politici di modellare i profili degli elettori di cui si ha bisogno, costruendo le identità sociali più desiderabili.

L’ultimo e più ingannevole condizionamento è l’adattamento di una proposta politica all’efficacia percepita e misurata nei confronti della comunicazione. Come ho illustrato mediante l’analisi delle motivazioni di Maslow, i valori che tutelano i bisogni primari e la sicurezza conducono dritti verso il nazionalismo militarista e xenofobo sacrificando i bisogni più evoluti che si trovano alla vetta della piramide e che permettono il pieno sviluppo della personalità sociale.

I grandi partiti istituzionali, che si affidano a comunicatori di professione, sanno bene che la campagna elettorale è del tutto ininfluente sul programma politico di quando saranno al governo: l’identificazione non si costituisce in base al programma, bensì su aspetti marginali ma capaci di fondare una comunità fortemente identificata. Il programma politico sarà invece il frutto di mediazioni in un progetto condotto da esperti che mira ad alcuni obiettivi strategici condivisi.

Dopo la caduta dell’URSS, il panorama politico occidentale è stato caratterizzato dall’identificazione univoca con il mercato e la globalizzazione a trazione statunitense come fine ultimo della storia. La diffusione globale di internet ne è stato il veicolo tecnologico. In quella ideologia di un eterno presente, che Mark Fisher ha definito “realismo capitalista”, i nemici sono stati trasferiti all’esterno della dinamica politica e del sistema economico, nel terrorismo islamico, sostenuto da Stati canaglia, e nell’immigrazione interna.

In Italia, la dinamica che oppone razzisti ad antirazzisti, xenofobi a simpatizzanti dell’accoglienza e della società multiculturale, cristiani identitari anti-islamici a cristiani universalisti è ancora al centro dell’arena politica In tutto il mondo la destra ha imparato efficacemente a costruire e cavalcare le paure più ancestrali nei confronti dello straniero e del diverso riuscendo così a conquistare le classi popolari. Nulla di nuovo, il nazionalsocialismo tedesco aveva puntato sulla stessa carta cento anni fa.

Le élite liberali trovano come nemico la destra xenofoba e si fortificano ponendosi come argine a quel rabbioso razzismo, difendendo le minoranze con la tutela legale dei diritti civili e indicando un pericolo più astratto ma universale: il riscaldamento globale. Questo nemico coinvolge soprattutto i più giovani ma con tutte le contraddizioni interne alla lotta al cambiamento climatico, declinata da un timido greenwashing del settore energetico e dei trasporti a una radicale rivoluzione dei consumi e della produzione nelle frange più estreme, non crea una sola identità politica ambientalista, ne crea molte contrapposte. Il cambiamento climatico è un nemico sfuggente e sovrumano, è certo che non sia reversibile e può essere solo mitigato ma non in modo certo e univoco, visto che le soluzioni per la riduzione delle emissioni sembrano essere insostenibili davanti all’aumento mondiale dei consumi e alla tendenza a ridurre i costi dei sistemi produttivi.

Negli ultimi due anni anche la pandemia di COVID-19 ha svolto egregiamente il ruolo di nemico esterno e non umano, da contrastare con strumenti decisionali eccezionali, necessariamente troppo reattivi per poter essere gestiti con dinamiche parlamentari, visto che impattavano fortemente sul tessuto economico e sociale. La scienza, in una declinazione istituzionalizzata e politicamente legittimata, è stata anche in questo caso l’ancora di realtà che, appellandosi ai fatti, ha indicato l’urgenza delle scelte politiche da attuarsi su scala globale per far fronte al nemico invisibile.

L’unica opzione che resta è scommettere nella possibilità che le persone possano associarsi in base a dinamiche più evolute rispetto a quella del far fronte a un nemico comune

Non mi dimentico coloro che, fedeli a una tradizione politica del secolo scorso, individuano come nemico la classe dominante, proprietaria dei mezzi di produzione e del capitale finanziario, e come amici i lavoratori e i poveri di tutto il mondo. Questa comunità politica è stata la più colpita dalle trasformazioni degli ultimi trenta anni: dalla caduta dell’Unione Sovietica e dei partiti che ancora gli si riferivano, dall’erosione di potere contrattuale dei lavoratori dovuto all’automazione, alle delocalizzazioni e al dilagare della disoccupazione associata a flussi migratori di lavoratori poveri. Oggi, il movimento operaio si ritrova a fare i conti con la crisi strutturale del capitalismo nei paesi più ricchi, in cui la continua erosione del lavoro vivo in termini di salario e posti di lavoro porta i sindacati a lottare per misure di sostegno alle aziende in crisi, per mantenere in vita rapporti di lavoro salariati piuttosto che per abolirli. La maggior parte dei cittadini europei si sente di fatto classe media, non condivide più sentimenti classisti di odio verso i ricchi, coltiva casomai una invidia rancorosa nutrita dalla ferita narcisistica. Sogna una riscossa individuale che li catapulti al vertice, non una nuova comunità egualitaria.

 

Rivoluzioni molecolari

Oggi con la guerra in Ucraina si apre di nuovo l’opportunità di identificare un nemico geopolitico esterno, come durante il fortunato periodo della guerra fredda, che è corrisposto alla fase di espansione capitalista più formidabile a cui abbiamo mai assistito. Davanti a questa nuova crisi geopolitica globale, si aprono scenari imprevedibili di costruzione di nuove alleanze e conflitti fra amici e nemici. Perché il processo identificazione politica sia efficace, il nemico deve essere credibile, pertanto deve mostrare le sue capacità offensive terrificanti, potenzialmente termonucleari, in teatri di guerra spettacolarizzati. In che modo è possibile sottrarsi ai processi di identificazione per opposizione tra amici e nemici? Tanto le proposte della destra xenofoba quanto quelle della sinistra neoliberale sembrano condurre a forme diverse ma inevitabili di autoritarismo, sia esso tradizionale o tecnocratico.

L’unica opzione che resta è scommettere nella possibilità che le persone possano associarsi in base a dinamiche più evolute rispetto a quella del far fronte a un nemico comune. Forse, questa possibilità è riservata a chi abbia già soddisfatto le condizioni di base della piramide dei bisogni di Maslow: una società che non viva nell’insicurezza materiale e psicologica costante. Una comunità elettiva, scelta per costruire un progetto comune di futuro, partendo dalla negoziazione dei bisogni e desideri in un orizzonte condiviso di senso. Questo dovrebbe essere il vero significato di proporre una “politica per” e non una “politica contro”. Solo chi riesce a liberarsi dalla necessità di sicurezza può rivolgere le sue attività alla costruzione di forme di relazione mutualistiche, laiche, non radicate nella struttura della famiglia tradizionale. Questo processo non può avvenire all’interno di un’unica cornice organizzativa di massa, ma soltanto come esito di una miriade di iniziative locali e trasversali: organizzazioni liminali, temporanee, autonome che pongano le basi di una trasformazione ecosistemica.

Nel suo saggio del 2021 Neither Vertical nor Horizontal: a Theory of Political Organization, il filosofo Rodrigo Nunes ha riflettuto sulla differenza tra rivoluzioni molari e rivoluzioni molecolari. Le trasformazioni politiche possono avvenire tramite rotture nette, ovvero le rivoluzioni molari; queste ultime, però, sono il risultato di decenni di preparazione nelle cosiddette rivoluzioni molecolari, che hanno mutato costantemente e in modo incrementale la cultura della società e delle istituzioni. Queste rivoluzioni sono sicuramente influenzate dai cambiamenti materiali e tecnologici dei mezzi di produzione della ricchezza e dell’informazione, come nel caso dei social media, ma dipendono soprattutto dalla percezione che gli attori di questi cambiamenti hanno di sé stessi, dei propri bisogni e desideri. Così, struttura e sovrastruttura si compenetrano in molteplici piani e linee di forza trasformative, il cui esito non è mai prevedibile né controllabile.


Matteo Minetti è nato a Roma nel 1974. Storico ma laureato in filosofia, ha svolto attività di sistemista, DBA e HR nel campo informatico. Smanettone e appassionato di tecnologia FLOSS, attivo politicamente per la redistribuzione del tempo di lavoro necessario. Tra i fondatori del gruppo Rizomatica.

Comments

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Truman
Friday, 23 September 2022 16:37
Provo ad approfondire con un'ulteriore noterella.
Nel testo si parla di Carl Schmitt, IMHO poderoso pensatore e scrittore, che si poneva domande sostanziali prima di fornire risposte ragionate.
Ecco, Schmitt si poneva anche una domanda interessante, che mi appare molto attuale: "Chi difende la Costituzione?"
In un momento in cui troppi si domandano "Sto djelat?" sarebbe il caso di pensare prima a come difendere la Costituzione, di quali mezzi disponiamo e quali altri ci servono.

PS: vabbuò, non voglio fare troppo il raffinato, "Sto djelat?" è Vladimir Ilic Ulianov, viene solitamente reso con "Che fare?"; ma a me piaceva dirlo con le parole di Lenin.
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Truman
Friday, 23 September 2022 16:07
Due noterelle:
1) Please, "engagement" is better than "engagment"
2) Mi sembra che ci siano troppi inutili dettagli e si perdano aspetti sostanziali. Oggi Occam lavorerebbe con l'accetta invece che con il rasoio.
Un esempio: "Costruire l’identità politica". Nel momento in cui tutti i partiti di massa collaborano a demolire l'identità individuale, quella sociale, quella nazionale, quella di gruppo, ti preoccupi dell'identità politica. Già molti anni fa Zizek rispondeva "Né Pepsi, né Coca".
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