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Coordinamenta2

Pensa un po’…

di Elisabetta Teghil

salto della scocca 1«Pensa un po’, pensa un po’: avvitare due bulloni e il terzo no».
(Pensa un po’, Paolo Pietrangeli 1969)

Ci sono due problemi urgenti all’ordine del giorno: uscire dal pensiero del nemico, reiventarsi e attualizzare le forme di lotta che l’universo dei subalterni deve mettere in campo pena l’usura anche di quel poco che si sta risvegliando.

Quando gli operai negli anni sessanta e settanta del secolo scorso presero consapevolezza del loro ruolo e dei loro desideri riuscirono a mettere in atto forme di lotta autonome ed originali. Il salto di qualità della lotta operaia si è concretizzato con l’abbandono della logica lavorista. Il cambiamento importante era stato la nascita dell’operaio-massa e cardine dei primi comportamenti anti-lavoristi degli anni Sessanta era stato l’assenteismo perché era diventato chiaro che l’<abitudine al lavoro> non è altro che <disponibilità ideologica a subire lo sfruttamento>. Vennero messe in pratica operazioni che si concretizzarono nel salto della scocca, nello sciopero a singhiozzo e a gatto selvaggio, nel boicottaggio, nel sabotaggio. E i grandi impianti industriali di organizzazione tayloristica si mostrarono fragili rispetto a questo tipo di lotte.

Ora il neoliberismo ha cambiato in primis nelle società occidentali le modalità dello sfruttamento. Ora ha la pretesa di appropriarsi di ogni più piccolo aspetto della vita anche del quotidiano e del privato e di metterlo a profitto, ha affinato la capacità di estorcere plusvalore dalla nostra stessa esistenza e dalla nostra disponibilità attraverso tutta una serie di meccanismi di precarizzazione e individualizzazione dei rapporti di lavoro, attraverso la messa a profitto dei nostri desideri e delle nostre paure, dei nostri stessi rapporti sociali e perfino delle nostre lotte.

Lo ha fatto con una possibilità fino a pochi anni fa impensata dovuta allo sviluppo delle nuove tecnologie e sta mettendo a punto e incrementando il coinvolgimento diretto delle persone nel proprio sfruttamento e controllo sociale attraverso la partecipazione attiva e l’assoggettamento volontario con una vera e propria colonizzazione del pensiero.

L’abitudine e l’assuefazione all’uso delle tecnologie digitali e il coinvolgimento in questo assetto della società non è altro che la disponibilità ideologica a subire lo sfruttamento di cui parlavano le lotte operaie.

Ed è evidente più che mai che colonizzazione e militarizzazione dei territori e del pensiero camminano insieme e la colonizzazione e la logica di guerra messa in pratica sul fronte esterno è realizzata anche qui da noi.

L’organizzazione digitale delle attività economiche, sociali, militari, di controllo, autocontrollo, repressione…è estremamente invasiva e onnipresente sia nello spazio temporale che in quello fisico, ma è anche estremamente fragile. Non è un caso che ultimamente assistiamo a importanti investimenti da parte dello Stato nella lotta alla così detta attività di hackeraggio che verrebbe messa in atto da hacker russi (?!?) ma che in effetti risponde alla consapevolezza da parte del potere della fragilità insita in questo sistema di dominio del mondo.

Crepe sottili nella griglia di assoggettamento si stanno manifestando nelle persone più riguardo alla guerra che riguardo all’emergenza pandemica. Mentre durante la così detta pandemia la paura della malattia, estremamente amplificata da parte dello Stato (come se non morissimo tutti i giorni proprio a causa dello sfruttamento capitalistico) ha avuto una presa incredibilmente priva di discernimento critico anche tra i compagni/e, riguardo alla guerra in Ucraina è proprio tra la gente comune che serpeggia un rifiuto generalizzato. Si avverte la consapevolezza, parlando con le persone per la strada, al supermercato, negli uffici che le difficoltà economiche in cui ci troviamo e quelle molto più gravi a cui andremo incontro siano state create ad arte e che la colpa sia dovuta ai soldi che l’Italia spende in armamenti e per l’invio di ogni sorta di attrezzature militari per interessi che non sono assolutamente nostri ma degli Stati Uniti e della Nato comunque a guida Usa.

Allo stesso tempo, sempre parlando con la gente comune, si scopre con stupore che c’è una grande consapevolezza anche del fatto che i meccanismi digitali, dallo Spid alle carte di debito e di credito, dal <patentino del buon cittadino> all’invasività dell’Agenzia delle Entrate, dai documenti digitali all’obbligo dei rapporti informatizzati con la pubblica amministrazione e con la scuola, sono tutti strumenti di assoggettamento e di controllo spietato anche se a questa consapevolezza non corrisponde voglia di lottare ma una sorta di assuefazione rassegata che sfiora l’indifferenza o un affidamento apatico allo Stato. In ogni caso molta più consapevolezza di quanto interesse dimostrino i partiti e partitelli di ogni ordine e grado che non inseriscono mai queste problematiche nei loro programmi e nelle loro lotte, anzi ci infilano sistematicamente la lotta all’evasione fiscale come se non pagare le tasse ad uno Stato che mette per precisa scelta programmatica e ideologica i soldi in tutt’altro rispetto a quelli che sono gli interessi della popolazione non sia invece una doverosa lotta politica. Tanto lo sappiamo tutti, non prendiamoci in giro, che le tasse i ricchi veri non le pagano ma le rastrellano da noi. Senza scomodare chissà quali principi rivoluzionari basta ricordarsi di Henry David Thoreau, filosofo e scrittore statunitense, che nel 1846 si rifiutò di pagare la poll-tax, una tassa che il governo aveva imposto per finanziare la guerra al Messico e per questo finì in prigione. A questo punto c’è da chiedersi se siano in buona fede perché la distanza da quello che pensa la così detta base è eclatante. Infatti se ci capita di parlare, invece che con le persone qualsiasi, con quelli/e legati/e a vario titolo ai partiti allora la musica cambia, parlano di cose che alla gente che vive la vita di tutti i giorni non interessano affatto e se parlano di bollette troppo care si inerpicano in dotte disquisizioni economiche giurando che si stanno occupando del problema.

A questo proposito è interessante notare come il nuovo governo appena insediato abbia trovato il tempo e sia stato velocissimo nell’aumentare il livello repressivo, dal peggiorare la normativa sull’ergastolo ostativo, già di per sé indegno di qualsiasi paese che si voglia definire democratico, al comminare anni di carcere a iosa per i rave party tanto che organizzare e partecipare ai rave party diventa un reato specifico, il 434-bis del Codice penale, articolo pericolosissimo che apre ad infinite possibilità di applicazione. Mentre non sembra proprio sia stato altrettanto efficace e tempestivo sul caro bollette, sui provvedimenti contro l’impoverimento generalizzato, sulle vessazioni dell’Agenzia delle Entrate…Tanto per fare un esempio sulla effettiva mancanza di volontà nell’affrontare la problematica delle bollette: basterebbe imporre tempi lunghi e molta tolleranza nei riguardi di chi non riesce a pagare, mentre adesso il distacco della luce è velocissimo e viene effettuato immediatamente dopo la seconda bolletta non pagata. Questo è solo un problema di indirizzo politico. A margine bisogna sempre ricordarsi che la sinistra riformista ha imposto i contatori elettronici senza colpo ferire, senza neanche uno straccio di opposizione della sinistra di classe e ora ci troviamo nella situazione che le utenze vengono staccate a distanza. Ultimamente poi sono arrivate agli utenti delle lettere in cui viene imposto il nuovo cambio dei contatori, che sarebbe obbligatorio e gratuito (gratuito non pare proprio dato che siamo sempre noi a pagare con le tassazioni dirette ed indirette) e mi chiedo il perché visto che quelli in essere sono nuovissimi. Dovremmo per lo meno opporre resistenza e imparare dagli errori del passato. Non che i precedenti governi avrebbero fatto meglio di questo intendiamoci, ma per ribadire che le scelte neoliberiste sono assolutamente trasversali e che attualmente l’iper borghesia ha scelto Giorgia Meloni ritenendo il PD e affini ormai usurati. Infatti sono stati ribadite senza nessuna esitazione le forniture di armi, di soldi, di aiuti all’Ucraina, la fedeltà alla Nato e al Patto Atlantico e agli Usa, continuando a propagandare una narrazione falsa e tendenziosa sulle vere ragioni.

Quindi il primo esercizio da mettere in campo è un esercizio di verità.

Poi, uscire dal pensiero del nemico.

Innanzitutto rifiutarsi di essere partecipi di questo sistema di comunicazione e socializzazione che non significa non usare gli strumenti digitali e l’informatizzazione perché i percorsi di lavoro e di rapporto con lo Stato sono tutti incardinati su questa organizzazione, ma usarli il meno possibile nel privato e boicottarli e sabotarli ogni qualvolta se ne presenta la possibilità…capire quando le cose, anche se presentate ad arte con ottimi e nobili intenti, sono in effetti contro di noi.

Una cosa è sicuramente certa, la presa di coscienza degli strati subalterni e vessati dal neoliberismo sarebbe molto più veloce e partecipativa se le azioni di lotta e di resistenza fossero dirette contro tutto ciò che rende la vita un inferno. Si dovrebbero gettare gli zoccoli nell’ingranaggio.

Il sabotaggio e il boicottaggio sono strumenti che appartengono storicamente alle lotte delle classi subalterne, hanno una grande tradizione, basta ricordarsi di Emile Pouget

Resta a noi definire le forme in cui dovrebbe essere praticato il sabotaggio.

Sappiamo tutti che lo sfruttatore sceglie di solito di aumentare la nostra servitù nel momento in cui è più difficile resistere alle sue intrusioni con lo sciopero parziale, l’unico mezzo impiegato fino ad oggi.

E poi? Manifestare per le strade? probabilmente fa bene alla salute, reagire con rabbia scarica la tensione e l’accumulo nocivo di frustrazione. Ha ragione Audre Lorde quando dice che un sistema di potere che definisce il bene in termini di profitto invece che in termini di bisogno umano spoglia quello che facciamo di ogni valenza erotica, intendendo per erotico il dispiegarsi della pienezza esistenziale. E questo riguarda soprattutto il politico, tutto quello che ci porta a rivendicare una vita desiderabile. Ma proprio per questo quando manifestiamo ci dovremmo accuratamente sottrarre alle processioni che usano frasi fatte, slogan, parole ormai svuotate da ogni contenuto e usate solamente come specchietto per le allodole. Dovremmo sempre ricordarci di quello che vogliamo e di quello per cui lottiamo: uscire da questa società del profitto e del controllo. Tutto il resto è per finta.

E allora è inutile e controproducente scendere in piazza strillando contro la guerra sui nostri corpi. se la manifestazione è chiamata da soggettività che hanno accettato, propagandato e supportato l’isolamento e la segregazione sociale, il ricatto vaccinale, il green pass, la divisione delle persone in esseri umani di serie A e di serie B, donne comprese.

E allora è inutile e controproducente scendere in piazza chiedendo la fine della guerra dicendo che la Russia deve ritirarsi dall’Ucraina e non nominare mai la Nato, fantasma incombente, oppure dichiarare che la guerra è cultura dello stupro senza smascherare chi ha voluto e vuole questa guerra.

E allora è inutile e controproducente scendere in piazza contro il carovita senza nominare il controllo digitale, le patenti del buon cittadino, l’asfissiante monitoraggio di ogni nostra più piccola azione di vita, la repressione debordante perché tutto questo ci impedirà perfino di esercitare un pensiero dissidente.

Sarebbe necessario rivedere tutta l’impostazione delle lotte, cercare di portare a sintesi tutti gli strati sociali vessati, non essere mai divisivi/e tra sfruttati/e ma avere sempre presenti gli interessi di classe e di genere in questo contesto storico che poi sono interessi universali.

Quando viene dichiarato uno sciopero, nella maggior parte dei casi, alla fin fine l’interlocutore è il potere nelle sue articolazioni e modalità organizzative. Non stiamo parlando qui delle lotte corporative e/o socialdemocratiche costituzionalmente tutte interne alla logica capitalista, stiamo parlando delle lotte che dichiarano di voler uscire da questo stato di cose ma molto spesso non è così. Inconsapevolmente continuiamo a pensare con la testa del nemico. Un esempio tanto per essere più comprensibili: se il trasporto pubblico indice uno sciopero proclama l’astensione dal lavoro con l’intento di mettere in difficoltà il funzionamento della società e quindi lo Stato che ne dovrebbe essere il responsabile con l’obiettivo di ottenere un risultato richiesto che potrebbe essere un aumento salariale, migliori condizioni di lavoro, l’allentamento di alcune restrizioni…e via discorrendo. I lavoratori scioperando perdono in busta paga i soldi della giornata, i cittadini non hanno il servizio…allo Stato neoliberista di tutto ciò non interessa assolutamente nulla perché ha chiuso da tempo ogni possibilità di contrattazione e il suo funzionamento e le sue modalità di gestione passano attraverso canali e meccanismi che non vengono per nulla intaccati. Sarebbe molto più utile se il trasporto pubblico scioperasse facendo viaggiare per quel giorno tutti/e gratis! L’interlocutore infatti non dovrebbero essere le Istituzioni, in qualsivoglia articolazione, ma il coinvolgimento della cittadinanza per portare a sintesi il malessere serpeggiante.

A meno che non entrino in sciopero alcune aree come quelle della logistica o del controllo dei porti perché queste incidono sul funzionamento della macchina produttiva e l’importanza della posta in gioco si deduce immediatamente dalla risposta dello Stato: arresti di sindacalisti, come è successo, licenziamenti di chi ha partecipato alle lotte, come a Trieste. Oppure condanne esemplari e completamente fuori dimensione come quelle per le azioni di alcuni compagne e compagni anarchici che devono essere allo stesso tempo di monito per chi si azzardi a mettere in atto alcunché anche di minima e di spauracchio per la popolazione tutta che deve essere convinta a temere per la propria incolumità.

E’ necessario intercettare il comune sentire rispetto all’impoverimento generalizzato, alle vessazioni economiche, ai ricatti per vivere e lavorare riuscendo a coniugarlo con il rifiuto dei controlli digitali e tecnologici e a tradurlo in boicottaggio e sabotaggio dei mezzi imposti dal capitale.

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