Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Cosa ci insegnano le presidenziali francesi sull’Europa e sull’autonomia della sinistra

di Domenico Moro

presidenziali francia 2017I risultati delle presidenziali

I risultati più evidenti delle elezioni presidenziali francesi sono tre:

1) La crisi del Partito popolare europeo e del Partito socialista europeo, già evidente in tutta Europa, in Francia diventa crollo, come già accadde in Grecia; il Partito socialista (Ps) e i repubblicani, per la prima volta, non accedono al ballottaggio. La crisi dei due principali partiti francesi, su cui si basava la tradizionale alternanza bipartitica e che sono stati espressione politica dell’élite francese, è direttamente connessa con le politiche europeiste di austerity di cui sono stati esecutori bipartisan. La crisi del bipartitismo è espressione della crisi dell’integrazione europea, in particolare di quella valutaria, che aumenta le divergenze economiche. La Francia, nonostante altri paesi come la Grecia abbiano pagato un costo sociale molto più, alto, è forse il paese che ha subito la decadenza relativa, sia politica sia economica, maggiore, specialmente rispetto alla Germania.

2 ) Il settore di vertice della classe dominante francese, fortemente internazionalizzato, ha risposto in modo "gattopardesco" a questa "crisi di egemonia" del bipartitismo, che lo lasciava senza referenti politici diretti, con l'abile operazione "Macron".

Questi, già funzionario della banca d’affari Rothschild & Co, pur provenendo dalle file del bipartitismo (dall’area socialista per la precisione) è riuscito a presentarsi come nuovo e "né di destra né di sinistra".  Nella prefazione all'edizione francese del mio libro sul Bilderberg1, Bernard Genet scrive che Macron nel 2013, all'epoca soltanto segretario generale aggiunto alla Presidenza francese, è invitato alla riunione di una organizzazione dell'élite transalpina, il Cercle de l'Union interalliée, dove presenta la visione economica del governo: "Il successo dell'intervento mostra cheMacron ha convinto il suo uditorio della sua capacità a gestire i loro affari. Successivamente sarà invitato a una riunione del gruppo Bilderberg. Ancora un esame riuscito!". Infatti, nel 2014, dopo la sua partecipazione all'incontro annuale del Bilderberg, Macron è nominato ministro dell'economia nel governo del premier socialista Valls e ora è presidente della Francia. Del resto, molti sono i capi di stato o i premier, come Blair, Merkel, Romano Prodi, Monti e Letta, che, prima di diventare tali, sono passati per le riunioni di questa organizzazione ristretta.

3) Date le condizioni di partenza e le tendenze guerrafondaie, accentuate proprio dalla decadenza economica politica, di quello che rimane il principale paese imperialista occidentale dopo gli Usa, il fronte di sinistra di Melanchon, cui partecipa il Partito comunista francese, ottiene quello che comunque è un risultato più che positivo (al primo turno appena 4 punti percentuali sotto Macron e 0,2 punti sotto Fillon). Certamente dobbiamo tenere conto che, in qualche modo, il risultato è stato influenzato dal carattere specifico della competizione elettorale, una elezione diretta del Presidente, dove conta la personalità del candidato, che nel caso di Melanchon, è particolarmente brillante. Tuttavia, credo che l’aspetto più importante alla base del risultato della sinistra sia lo sforzo di chiarezza fatto su vari temi, in particolare sull'Europa e sull'euro, dimostrando che l’unità è sì importante, purché, però, sia fatta sulla base di un orientamento generale ben definito e capace di impattare sulle questioni centrali.

 

Marine Le Pen e la classe operaia francese

Secondo quanto riportato da alcuni quotidiani, ad Amiens, dinanzi allo stabilimento Whirlpool, mentre la Le Pen sarebbe stata acclamata dagli operai, Macron sarebbe stato accolto a fischi. Lo stabilimento Whirlpool verrà spostato in Polonia con la perdita di 600 posti di lavoro in una zona già colpita dalle delocalizzazioni. La Whirlpool non è in crisi, la ragione dello spostamento è la riduzione del costo del lavoro, che in Polonia è più basso. La crisi di egemonia del centro sinistra e del centro destra francesi, in particolare del Ps, affonda le sue radici nel processo di drastica ristrutturazione produttiva, accentuata dal combinato disposto della crisi di sovraccumulazione del capitale e dell'integrazione europea, che tra 2000 e 2016 ha condotto alla perdita in Francia di oltre 1,1 milioni di posti di lavoro nella manifattura (-25,5% in Francia contro il 16,7% dell’Uem e il "solo" -14% in Italia), che in gran parte sono stati spostati nei paesi emergenti. Ora, è vero che in Francia sono stati creati, in confronto all'Italia, più posti di lavoro nel terziario, ma questi posti spesso sono precari e sono pagati con salari più bassi della manifattura, e molto spesso vengono creati in aree metropolitane, diverse da quelle della provincia del Nord-est, dove la disoccupazione la fa da padrona e dove la Le Pen scorrazza indisturbata a caccia di consensi nelle ex roccaforti rosse del Pcf.

Macron, esponente diretto del capitale multinazionale e europeista, ha cercato di convincere gli operai della Whirlpool che non ci si può opporre alla società "aperta". In parole semplici, che non ci si può opporre alle conseguenze della globalizzazione e dell'integrazione europea. Al contrario, Marine Le Pen sta cercando di farsi passare per la paladina degli operai, saccheggiando parole d'ordine di sinistra come la nazionalizzazione, proposta per lo stabilimento di Whirlpool, e assumendo una posizione chiara contro l'integrazione europea. Probabilmente le "acclamazioni" operaie per Le Pen alla Whirlpool erano costruite e preparate dai militanti del Fonte Nazionale. Ma, come dimostrano i risultati elettorali e le analisi della provenienza sociale del voto, rimane il fatto che, in Francia come in Italia, l'estrema destra si è radicata in certi settori del lavoro salariato, perché la sinistra gli ha lasciato campo libero. Infatti, non pochi a sinistra, intendendo anche alcuni all'interno delle forze politiche a sinistra della tradizionale socialdemocrazia (Ps e Pd) e certi quotati maître à penser "marxisti", hanno ritenuto per anni che la globalizzazione e l'integrazione europea fossero fenomeni che contenevano anche elementi positivi e che opporsi al “movimento reale” del capitale fosse antistorico o persino nazionalistico. Si è arrivati persino a giustificare tali posizioni con una interpretazione semplicistica e meccanicistica di Marx, visto come fautore della globalizzazione, semi-automatica anticamera del socialismo.

 

Scegliere l’albero cui impiccarsi o prepararsi la strada per il futuro?

Tutto ciò ha impedito di prendere posizioni chiare programmatiche e di indirizzo politico generale. Dinanzi allo stravolgimento del tessuto sociale di intere regioni francesi e italiane non basta la pur necessaria denuncia e la altrettanto necessaria lotta contro il fascismo e la xenofobia della Lega e del Front national. È necessario avere un orientamento generale propositivo, in particolare sul problema più importante, il lavoro, o meglio la mancanza di un lavoro decente. Bisogna, quindi, dare risposte sul lavoro e queste non possono essere date se non si parte almeno dall'eliminazione dei vincoli europei al deficit e al debito pubblici e della gabbia costituita dall'euro. In Francia a sinistra del Ps almeno c'è Melanchon. Questi si è caratterizzato per un posizionamento politico chiaro e definito, che si è concretizzato, sull'integrazione europea e sull'euro, nella decisione coraggiosa di parlare chiaramente di piano B, cioè di uscita dall'euro. I risultati in termini di voti si sono visti. Molto importante è stata la capacità da parte di Melanchon di praticare una necessaria autonomia politica, prima rifiutando ogni alleanza con il Ps e successivamente sottraendosi alle tentazioni neofrontiste, dando indicazione di non votare per Le Pen ma rifiutandosi, al contempo, di dare indicazione di voto per Macron.

L’indicazione di voto della sinistra a Macron sarebbe stato come darsi definitivamente la zappa sui piedi. In primo luogo, votare Macron sarebbe stato come voler curare la febbre favorendo il propagarsi dell’infezione. Infatti, Marine Le Pen, la febbre, è la conseguenza delle scelte del capitale transnazionale e europeista, l’infezione, di cui Macron è espressione diretta. In secondo luogo, oggi la scelta strategica del capitale, dei settori che contano e che sono vincenti, non è certo quella fascista, nazionalista e di estrema destra, ma quella europeista e globalista. L’appoggio a Macron dei principali gruppi multinazionali francesi, le reazioni catastrofiste delle borse europee alla possibilità di un ballottaggio tra Le Pen e Melanchon, e gli attacchi alla Le Pen, per il pericolo che questa avrebbe rappresentato per l’Europa e soprattutto per l’euro, sono più che significative. Chi non capisce questo e adotta un atteggiamento di neofrontismo antifascista confonde l’epoca attuale con gli anni ’20 e ’30, quando il fascismo si affermò in Italia e Germania. Alla base di tale confusione c’è l’ignoranza di quali sono le caratteristiche del modo di produzione capitalistico attuale, globalizzato e transnazionale. Caratteristiche che sono molto diverse da quelle che il modo di produzione aveva prima della Seconda guerra mondiale, incentrato su imprese nazionali e imperi nazionali commercialmente chiusi. Inoltre, considerato che due delle principali caratteristiche storiche del fascismo sono l’imperialismo e la guerra, appare bizzarro un fonte antifascista che si incentri su di un Macron che aumenta le spese militari, ribadisce l’appartenenza alla Nato e soprattutto che è in continuità con la linea imperialista delle presidenze precedenti di Sarkozy e Hollande. Queste, in modo bipartisan e mediante una serie di azioni belliche aggressive, hanno precipitato ampie aree dell’Africa del nord e sub-sahariana e il Medio oriente nel caos di una guerra endemica, che ha favorito lo sviluppo del jihadismo e di imponenti flussi di emigrazione, su cui l’estrema destra fonda le sue fortune elettorali.

Se ci fosse stato un endorsement di Melanchon a favore di Macron, Le Pen si sarebbe potuta fregiare dell’aureola di unico “vero” oppositore del capitale europeo, mentre la sinistra avrebbe perso credibilità per il prosieguo della sua lotta futura contro il capitale e l’integrazione europea. A quel punto, contendere spazi sociali e elettorali alla Le Pen sarebbe stata molto più complicato. Su questo aspetto Melanchon è stato molto più avveduto e lungimirante del Pcf, che invece ha finito per appoggiare Macron. Anche l’affermazione di Tsipras, secondo il quale “la vittoria di Macron è una ispirazione per l’Europa”, appare quantomeno poco opportuna, considerato che Macron è espressione del capitale finanziario francese, che, insieme a quello tedesco, è il principale responsabile dello strangolamento della Grecia. È ora che in tutta Europa la sinistra (intendo la sinistra che voglia rappresentare il lavoro salariato) si smarchi dal ricatto elettorale, che lascia soltanto la scelta del ramo a cui impiccarsi. Del resto, se la sinistra di classe e i comunisti in alcuni paesi europei sono ridotti ai minimi termini non dipende soltanto da sistemi elettorali maggioritari che li penalizzano e da sistemi mass-mediatici che li escludono, ma anche dalla partecipazione a coalizioni e governi di centro-sinistra che ne hanno compromesso la credibilità. Una partecipazione che, all’interno di un capitalismo globalizzato e in crisi strutturale, è stata e non poteva che essere del tutto subalterna.

In Italia il percorso da fare per costruire una coalizione di sinistra adeguata alla situazione è ancora molto lungo. Non penso che dobbiamo copiare i francesi più di quanto non dovessimo copiare i greci e ritengo che dobbiamo trovare le soluzioni adatte alle condizioni italiane. Tuttavia, credo che quanto avvenuto in Francia, un Paese con alcune importanti somiglianze con l'Italia, dia importanti indicazioni di cui bisogna tenere conto.


Note
1 Domenico Moro, Il Gruppo Bilberberg, l’élite del potere mondiale, Imprimatur, 2014.

Comments

Search Reset
0
Mario Galati
Tuesday, 09 May 2017 17:33
Che lo spirito di scissione gramsciano non sia la chiusura settaria, ma l'indipendenza ed autonomia nella visione del mondo e nell'azione, è vero. Tuttavia, questa non si può rintracciare in una scelta "socialdemocratica" ed europeista subalterna. Non si tratta solo di tutele dei lavoratori all'interno del sistema capitalistico, ma del potere. Ma la visione del moderno principe e intellettuale collettivo che deve operare la riforma intellettuale e morale necessaria non può ridursi al ruolo di "al furqan", il discrimine, il Corano che separa atei e credenti. Nel Manifesto Marx ed Engels e proponevano una serie di misure "riformiste" come programma di azione della classe operaia. Credo che il ragionamento di Domenico Moro tenga realisticamente e marxianamente conto di queste necessità, proprie dell'azione di massa, specialmente in tempi sfavorevoli e con una coscienza arretrata nelle fila dei lavoratori.
Certo che dobbiamo lavorare per il socialismo, ma ciò non significa snobbare le necessità immediate dei lavoratori. Le due cose devono intrecciarsi.
Quanto alla morale, per Gramsci ha un fondamento materialistica storico. Si fonda sull'affermazione hegeliana che ogni società si pone soltanto i problemi dei quali già esistono, in nuce, i mezzi per la loro soluzione. È morale ciò che a seconda il processo storico di soluzione. È immorale ciò che tenta di frenarlo. In sostanza, il socialismo è la soluzione storica dei problemi posti dal capitalismo. Ciò che lavora nel senso del socialismo è morale, ciò che vi funge da ostacolo conservatore o reazionario è immorale. È ovvio che questo nucleo razionale debba tramutarsi in rigore intellettuale e morale e in passione per essere operante.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
marypoppins
Tuesday, 09 May 2017 06:39
mi pare una lettura molto settaria di Gramsci che non corrisponde al vero, se riesaminiamo la lotta di Gramsci contro il settarismo di Bordiga.
Oggi serve una sinistra che nel solco del marxismo leninismo, al netto degli errori del passato, recuperi l'internazionalismo e miri alla costruzione, entro un' Europa politica, sistemi di garanzie e diritti per i ceti maggiormente colpiti dalla crisi, capace di rappresentarli nelle istituzioni europee per sottrarli ai movimenti populisti e di destra.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Eros Barone
Monday, 08 May 2017 20:57
L'analisi di Moro, che io peraltro stimo per i suoi contributi economici, gira in questo caso a vuoto perché non è in grado di tracciare una netta linea di separazione tra i comunisti e la sinistra. Infatti, per Gramsci costruire il partito comunista non significa costruire un partito più ‘a sinistra’ delle socialdemocrazie italiane, ma, al contrario, un partito radicalmente diverso. I comunisti, come Gramsci ha insegnato nel periodo della costruzione del partito comunista (1923-1926), non sono più radicali, più ‘a sinistra’ dei socialisti/socialdemocratici, ma sono esattamente l’opposto; sono, cioè, un partito rivoluzionario contrapposto ad un partito riformista, poiché non si collocano al polo opposto dei socialisti/socialdemocratici rispetto ai problemi (sindacali, politici e morali) di una stessa classe, ma su un fronte di classe opposto. Ciò significa che il partito comunista è l’avanguardia della classe operaia, mentre i socialisti/socialdemocratici sono l’ala ‘sinistra’ della borghesia. Pertanto, la vera scelta da compiere, di fronte alla retorica delle omologazioni e delle contaminazioni propria di questa fase putrescente della crisi del capitalismo, è quella del profilo tagliente della ‘forma pura’ ovvero il gramsciano “spirito di scissione”. Un profilo che nasce dal tracciare una netta linea di demarcazione che separi nell’economia il lavoro salariato dal capitale; nella società il proletariato dalla borghesia; nella politica i comunisti non solo dai moderati, dai conservatori e dai reazionari, ma anche dalla cosiddetta 'sinistra'; nell’ideologia i rivoluzionari dai revisionisti; nella filosofia i materialisti dagli idealisti e dagli spiritualisti; nella scienza le analisi oggettive dai giudizi di valore; nel campo delle “scelte di vita”, infine, gli atei dai credenti. In sostanza, prima ancora di essere un problema di linea politica, il problema della politica di classe del partito comunista è, come Gramsci non si è mai stancato di sottolineare, un problema “morale”, di “concezione del mondo e della vita”, di sano “spirito di scissione”, attraverso i quali approfondire e rendere irreversibile la rottura con l'opportunismo, comunque e dovunque si manifesti.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit