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Un contributo alla critica di Slavoj Žižek come politico "radicale"

di Sebastiano Isaia

cappella sistina giudizio universale dettaglio angeli tubiciniPiccola premessa: come sempre polemizzo con una posizione (politica, filosofica e quant’altro) soprattutto per cercare di elaborare e “socializzare” meglio la mia posizione, e non certo per dare addosso a qualcuno che, il più delle volte (come nel caso di specie), vive per così dire su un altro pianeta rispetto a chi scrive. Veniamo al merito!

«Il filosofo italiano Giorgio Agamben ha detto in un’intervista che “il pensiero è il coraggio della disperazione” – un’intuizione pertinente in modo particolare al nostro momento storico, quando di solito anche la diagnosi più pessimista tende a finire con un cenno ottimista a qualche versione della proverbiale luce alla fine del tunnel. Il vero coraggio non sta nell’immaginare un’alternativa, ma nell’accettare le conseguenze del fatto che un’alternativa chiaramente discernibile non c’è: il sogno di un’alternativa indica codardia teorica, funziona come un feticcio, che ci evita di pensare fino in fondo l’impasse delle nostre situazioni di difficoltà. In breve, il vero coraggio consiste nell’ammettere che la luce alla fine del tunnel è molto probabilmente il faro di un altro treno che ci si avvicina dalla direzione opposta. Del bisogno di un tale coraggio non c’è migliore esempio della Grecia, oggi».

Così scrive Slavoj Žižek commentando le vicende greche post referendarie. Potrei sottoscrivere ogni parola dei passi citati, se essi non rimandassero a una concezione politica e sociale del conflitto interamente prigioniera del dominio sociale capitalistico.

Questo, come sempre quando ci si occupa della cosiddetta sinistra radicale, al netto di una fraseologia che può ingannare chi non fosse avvezzo a ragionare in termini autenticamente anticapitalistici, cosa che, all’avviso di chi scrive, implica l’estraneità più assoluta nei confronti della tradizione “marxista-leninista” (leggi: stalinista, maoista, guevarista, ecc.) che informa la sinistra radicale cui Žižek fa riferimento.

Questa sinistra oggi si trova divisa in due correnti principali: la corrente alter-europeista («Un’altra Europa è possibile») e quella sovranista: il recupero della dimensione nazionale come leva tattica [sic!] per scardinare la globalizzazione neoliberista, e per questa via lavorare per soluzioni politico-sociali «più avanzate»: «esiste una tradizione marxista, in effetti antica, che ha indicato che le lotte per la trasformazione della società possono essere combattute solo nel quadro di uno Stato sovrano» (Jacques Sapir).

Secondo Sapir, che sostiene la rottura con l’europeismo d’ogni colore politico, «per la sinistra radicale l’ora della scelta è arrivata; deve porsi in rottura, o condannarsi a perire». Un aut-aut che non mi riguarda. Forse perché sono politicamente già morto? Può darsi. In ogni caso il mio cadavere non condividerebbe lo scenario politico-ideologico calcato dall’intellettuale francese. E a me, vivo o morto che sia, questa idea mi piace e mi rincuora.

Le due opzioni appena considerate insistono, non saprei dire con quanto realismo, sul terreno dello status quo sociale. L’intellettuale sloveno che oggi rivendica «il coraggio della disperazione» milita nella scuola di pensiero alter-europeista, come si evince dai passi che seguono: «A un livello più profondo, però, non si può evitare il sospetto che il vero obiettivo [dell’UE e della Troika] non sia quello di dare una possibilità alla Grecia, ma di trasformarla in un semi-stato economicamente colonizzato, mantenuto in condizioni permanenti di povertà e dipendenza come avvertimento per gli altri. Ma a un livello ancora più profondo, troviamo di nuovo un fallimento — non della Grecia, ma dell’Europa stessa, dell’anima emancipatrice dell’eredità europea». Come ho scritto altre volte, evocare l’«anima emancipatrice dell’eredità europea» a partire dalla Società-Mondo del XXI secolo, nell’epoca del dominio capitalistico totalitario del pianeta mi sembra quantomeno anacronistico, diciamo. Certo è che, a differenza del celebre intellettuale, chi scrive non si sognerebbe mai di piagnucolare sulla democrazia (borghese!) tradita (al tavolo delle trattative tra il governo greco e i “poteri forti” del neoliberismo europeo e mondiale e nelle urne referendarie) e di perorare la causa di «un aumento della trasparenza democratica dei nostri meccanismi di potere». L’inganno democratico veicolato dal feticcio della «vera democrazia» (“dal basso”? “partecipata”? “trasparente”? “referendaria”?) lo lascio volentieri ai sostenitori del Capitalismo dal volto umano – o quantomeno umanamente più sostenibile: chi troppo vuole…

L’analisi offerta da Žižek della questione greca, che, forse non è ozioso ripeterlo, è parte organica della questione europea (con al centro l’”eterna” Questione Tedesca), è naturalmente informata da quel tipo di lettura ideologica (falsa, capovolta, concentrata più sul cattivo sogno degli «eurocrati» che sugli interessi capitalistici in gioco su scala nazionale, continentale e globale) della guerra sistemica oggi in corso nel Vecchio Continente nel contesto della più generale guerra sistemica che coinvolge l’intero pianeta e la cui posta in gioco è sempre la stessa: il potere globale (economico, militare, scientifico, ideologico) sul mondo. Bisogna certamente denunciare l’esercizio del potere politico nazionale e sovranazionale come si dà oggi («I nostri apparati di stato democraticamente eletti sono sempre più duplicati – di fatto sostituiti – da una spessa rete di “accordi” e di organismi “esperti” non eletti che detengono il reale potere economico – e militare»); ma non certo per gonfiare a nostra volta balle speculative intorno alla possibilità di «una vera democrazia», e così partecipare “dal basso” – o “da sinistra” – all’opera di mistificazione ideologica del potere sociale capitalistico. Ovviamente Žižek non può comprendere i termini di questo discorso, e non per mancanza di intelligenza, che ovviamente in lui abbonda fino a straripare, ma piuttosto per mancanza di autentica radicalità di pensiero critico, per il suo essere organicamente collocato in una dimensione (in una prospettiva) politico-concettuale borghese; è a partire da questa collocazione che egli costruisce i suoi concetti di “rivoluzione”, “reazione”, “lotta di classe” e così via. Ad esempio, per lui Syriza è quanto di più rivoluzionario oggi possa offrire il mercato politico europeo («L’eroismo di Syriza è stato che, dopo aver vinto la battaglia politica democratica, ha rischiato un passo ulteriore nell’andare a perturbare il fluido corso del Capitale»: nientemeno!), così come il No del referendum greco del 5 luglio è stato l’atto più sovversivo concepibile ai nostri cattivi tempi, un «grande atto etico-politico, un autentico gesto di libertà e di autonomia». Io ho rubricato quel referendum come classica scelta dell’albero a cui impiccarsi, almeno dal punto di vista delle classi subalterne, mentre dal punto di vista del «popolo greco» (ossia dalla prospettiva della continuità del dominio sociale in quel Paese capitalisticamente disastrato) sono possibili diverse interpretazioni, come quelle offerte ad esempio da Tsipras, da Varoufakis e dallo stesso Žižek.

A riprova della natura ultrareazionaria della concezione politica dello sloveno cito quanto segue: «Syriza dovrebbe flirtare senza vergogna con la Russia e con la Cina, giocando con l’idea di concedere un’isola alla Russia come base militare nel Mediterraneo, solo per provocare la strizza (scare the shit out) degli strateghi NATO. Per parafrasare Dostoevskij, ora che Dio-UE ha fallito, ogni cosa è permessa». Ogni cosa è permessa, scrive Žižek; salvo, a quanto pare, conquistare un punto di vista autenticamente rivoluzionario, anticapitalista e antimperialista “a 360 gradi”. «C’è poi riprovazione per il fatto che la Grecia cerchi l’aiuto di Russia e Cina – come se non fosse la stessa Europa a spingere la Grecia in quella direzione con la sua pressione umiliante». Egli si muove insomma dentro la logica della lotta politica interna agli interessi capitalistici, sul piano nazionale («L’auto-organizzazione di base non può rimpiazzare lo Stato, e la questione è come riorganizzare l’apparato dello Stato per farlo funzionare diversamente») come su quello internazionale.

Peraltro la posizione di Žižek sulla sponda “tattica” russo-cinese mi sembra un po’ in contraddizione con quanto da egli stesso affermato qualche mese fa in una intervista rilasciata alla rivista tedesca Der Spiegel: «Io sono convinto che abbiamo bisogno più che mai di Europa. Immaginate un mondo senza Europa: rimarrebbero due poli. Da un lato, gli Stati Uniti con il loro neoliberismo selvaggio; dall’altro, il cosiddetto capitalismo asiatico con le sue strutture politiche autoritarie. Al centro, la Russia di Putin che vuole costruire un impero. Senza l’Europa, perderemmo la parte più preziosa del nostro patrimonio, all’interno del quale la democrazia è un compromesso con la libertà d’azione collettiva, in caso contrario l’uguaglianza e la giustizia non sarebbero garantite». Il «coraggio della disperazione» fa brutti scherzi? Quantomeno fa sembrare meno brutte, sporche e cattive la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping.

«C’è poi», scrive ancora Žižek (che, almeno per adesso, non vuole dismettere i panni dell’avvocato d’ufficio di Tsipras), «chi sostiene che fenomeni come Syriza dimostrano come la tradizionale dicotomia destra/sinistra sia superata. Syriza in Grecia è considerata estrema sinistra e Marine le Pen in Francia estrema destra, ma questi due partiti hanno effettivamente molto in comune: entrambi lottano per la sovranità, contro le multinazionali». Ma ciò che accomuna entrambi i soggetti politici è in primo luogo la loro natura politico-sociale (borghese), e difatti sono entrambi soggetti al servizio degli interessi capitalistici – nazionali o sovranazionali poco importa dal punto di vista dei salariati, i quali prima si liberano del veleno nazionalistico comunque declinato (in modo destrorso o sinistrorso), e prima possono sperare di costruire una reale resistenza al Moloch capitalistico. «È perciò del tutto logico», continua il Nostro, «che nella stessa Grecia, Syriza si trovi in coalizione con un piccolo partito di destra pro-sovranità. Il 22 aprile 2015, François Hollande ha detto in TV che Marine le Pen oggi ricorda George Marchais (un leader comunista francese) negli anni ’70 – la stessa patriottica difesa della gente comune francese sfruttata dal capitale internazionale – non c’è meraviglia che Marine le Pen sostenga Syriza… una bizzarra posizione, questa, che non dice molto più del vecchio adagio liberale che anche il fascismo è un tipo di socialismo». Altro che bizzarria, come piace pensare al progressista “radicale” che forse avverte un qualche imbarazzo! Diciamo pure che il fascismo è un tipo di «socialismo di Stato» (quello sbeffeggiato a suo tempo dall’internazionalista di Treviri), nonché di stalinismo, il quale, sempre a giudizio modesto di chi scrive, rappresentò la negazione più assoluta di ogni speranza e di ogni prassi emancipatrici. E qui giungiamo al mio precedente post su Žižek.

Forse la disperazione andrebbe sostenuta da una più coraggiosa (cioè a dire davvero radicale) visione del mondo. Questa visione è forse già nella mia tasca? Magari! Diciamo che mi sforzo di conquistarla sulla base di quel poco che ho già “portato a casa” in termini di comprensione della vigenza del dominio sociale capitalistico e della possibilità, oggi sempre più negata, della liberazione universale. Mi piace chiamarlo punto di vista umano.

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