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sinistra

Disumane dipendenze

di Salvatore Bravo

isteria di massa copiaIl totalitarismo tecnocratico si svela nella pratica pedagogica e didattica. Il totalitarismo si caratterizza per il controllo massiccio e pervasivo della formazione di ogni ordine e grado. Sulla formazione il dominio si gioca il futuro, in quanto la scuola e l’università preparano la futura classe dirigente, pertanto controllare l’ordine del discorso e filtrarlo significa controllare i saperi e attraverso di essi le parole e le coscienze. Il totalitarismo è una megaoperazione di filtraggio dei contenuti e dei messaggi. Il potere riproduce se stesso con il controllo e la programmazione pianificata delle parole che possono essere pronunciate e pensate. Il linguaggio crea mondi ed ermeneutiche, pertanto formare al linguaggio del capitalismo implica disegnare confini invalicabili, imporre frontiere al linguaggio e al logos. Le tecnologie sono il mezzo più efficace per la riproduzione del dominio, sono controllate da privati che selezionano informazioni e siti, e nel contempo, sono un immenso affare. I dispositivi tecnologici sono la merce più acquistata dalle giovani generazioni e non solo.

In assenza di una paideutica all’uso consapevole dei mezzi tecnologici si assiste all’occupazione dello spazio e del tempo delle nuove generazioni, le più indifese, con i dispositivi tecnologici. Per il nuovo totalitarismo è un doppio affare: le nuove generazioni sono un mercato fertile per il plusvalore, e inoltre comprano ciò che, in non pochi casi, li rende destrutturati nel carattere e nello spirito con la dipendenza dai dispositivi. Lo schiavo compra le proprie catene, poiché il dispositivo tecnologico consegna chi lo usa al sistema attraverso le informazioni che la rete acquisisce e mediante i messaggi che circolano in rete, i quali “possono colonizzare” la mente.

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doppiozero

Don Chisciotte e la sanità pubblica

di Valerio Miselli

clay banks cEzMOp5FtV4 unsplashTorniamo a scrivere di salute, di Sistema Sanitario Nazionale, del nostro stato di salute durante un periodo di epidemia influenzale, l’ennesima emergenza sanitaria che si abbatte su un sistema già reso fragile dall’impatto col COVID, dopo anni di tagli e revisioni, senza un posto fisso nell’agenda politica di chi ci governa, da molto tempo. Poi compaiono due articoli sulle pagine dei quotidiani, lettere di protesta nelle pagine riservate ai lettori, la figlia di una donna di 98 anni che è costretta ad aspettare per 12 ore su una barella al Pronto Soccorso, un giornalista molto conosciuto che ha la stessa sorte con il padre ultraottantenne che sta facendo chemioterapia, storie di visite negate, attese infinite, dignità umana calpestata, sofferenza. Storie quotidiane che non si vorrebbero sentire in un Paese che si vanta di avere un buon Sistema Sanitario Nazionale, dove la salute è garantita a tutti, per legge.

Le storie di malattia entrano in conflitto con il nostro sistema di cura, le persone diventano malati. La figura del paziente sottoposto al controllo smette di corrispondere in toto con la persona malata che comincia invece a rivendicare di aver voce in capitolo per ciò che riguarda il proprio corpo. Diventiamo tutti un po’ “Narratori feriti” secondo l’espressione di Arthur Frank. Il modello classico di cura per una patologia acuta (in pratica, chiamare il medico o telefonare al 118) non sempre riesce a soddisfare il bisogno emergente, la frattura narrativa che la malattia genera in ciascuno di noi, la necessità di un ripristino urgente dello stato di salute precedente.

Peggio ancora per chi vive con una patologia cronica, dove spesso cresce il divario tra il dolore che aumenta e l’agenda dei medici che prendono in mano la situazione critica: mentre uno pensa che la sua vita stia deragliando, arrivano rassicurazioni inutili, perché non possono essere colte in quel momento.

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blackblog

Un saluto ai Gilet gialli

di Raoul Vaneigem

È stato questo l'emergere dei Gilet Gialli in Francia: un tuono nel cielo della mediocrità. La loro presenza ha catalizzato segretamente una forza insurrezionale che si stava risvegliando in tutto il mondo. L'ironia della storia ha voluto che siano apparsi in un paese dove l'abiezione e la stupidità avevano oscurato i Lumi di una volta.

La paradossale alleanza tra una volontà pacifica e una risolutezza incrollabile ha piombato nella confusione e nello smarrimento un governo che sonnecchiava assopito confidando nello scombussolamento mercantile delle masse. La mediocrità dei capi di Stato, dei notabili, delle élite era a questo punto talmente esemplare che bastava che il carro dello Stato dovesse solo "navigare su un vulcano"; citando la scherzosa espressione di Prudhomme.

Da destra a sinistra, un disprezzo unanime ha accolto i Gilet Gialli. Chi erano questi intrusi che improvvisamente riscoprivano l'ispirazione della Comune di Parigi, la gioia del maggio 1968, la tranquilla sicurezza degli zapatisti, quando molti di loro ne avevano solo una conoscenza rudimentale?

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lantidiplomatico

Le guerre creano le nazioni

di Gilbert Doctorow*

720x410c50vertyuhjNei media tradizionali si è parlato molto di come la guerra con la Russia, iniziata il 24 febbraio 2022, abbia forgiato l’Ucraina in una nazione sotto la brillante guida del presidente Zelensky. Questa nazione ha trovato fiducia in se stessa nella sua apparente capacità di resistere all’invasione armata da parte del potente vicino a est e persino di contrattaccare con un certo successo, misurabile nei grandi guadagni territoriali nell’oblast di Kharkov prima e in quello di Kherson poi. La nuova nazione ucraina sta condividendo le difficoltà e ci dicono che la speranza della vittoria la tiene unita, per ora.

Del fatto che un quarto della popolazione ucraina abbia abbandonato il paese non si parla. Non sto contando solo quelli che sono fuggiti in occidente, ma anche quelli che sono fuggiti in Russia. E perché si dovrebbe discutere il significato di questo fatto? Un quarto della popolazione dei tre stati baltici, un quarto dei rumeni e dei bulgari fuggirono all’inizio degli anni ’90 dopo il crollo delle economie dei loro paesi a seguito alla rottura dei legami commerciali con la Russia e mentre questi paesi tentavano, inizialmente senza successo, di integrarsi nei mercati europei. Che gli ucraini fuggano ora da una guerra mentre quelli di prima erano rifugiati economici, il risultato finale per chi rimane non cambia: e’ una specie di pulizia etnica autoinflitta che sfocia nella costituzione di una nazione politicamente piu’ omogenea dopo la crisi.

Nel frattempo, dall’inizio della “Operazione militare speciale”, nessuno ha parlato di come si sta formando una nuova nazione in Russia. La cosa non deve sorprendere ovviamente dato che i nostri esperti nelle università americane ed europee e nei centri studi hanno ormai smesso di essere centri studi sulla Russia, che era la loro funzione quando furono creati e per cui ricevono finanziamenti dall’inizio della guerra fredda nel 1949.

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contropiano2

Fusione – e confusione – nucleare

di Angelo Baracca e Giorgio Ferrari

fusione confusione nucleare 720x300Una campagna di stampa a livello internazionale ha esaltato l’esperimento fatto negli Stati Uniti verso la realizzazione delle fusione nucleare controllata, un sogno (una promessa) inseguito fin dai primi passi della tecnologia nucleare negli anni ’40-’50 del secolo scorso: periodicamente ogni decina d’anni veniva annunciato che la realizzazione sarebbe stata vicina.

Ma oggi questo pomposo annuncio richiede molte precisazioni e distinguo, che inevitabilmente sfuggono a chi è a digiuno di queste cose.

 

Fusione a confinamento inerziale, una scelta militare

Detto in parole semplici la realizzazione della fusione nucleare di nuclei leggeri (in un certo senso l’opposto della fissione di nuclei pesanti) richiede di riscaldare un plasma, tipicamente di deuterio e trizio, a milioni di gradi in modo che le energie cinetiche dei nuclei superino le barriere di repulsione elettrica.

La reazione di fusione nucleare è stata realizzata già nel 1949, ma in modo esplosivo; vale a dire nelle bombe termonucleari nelle quali un dispositivo primario a fissione genera la temperatura necessaria ad innescare un dispositivo secondario a fusione.

Da quel tempo è iniziata la ricerca per realizzare la fusione nucleare in modo controllato (non esplosivo) a scopi pacifici, ricerca che oggi si concentra su due metodi molto diversi: il confinamento magnetico di un “plasma” ottenuto dalla fusione di Deuterio e Trizio (DT) in macchine di grandi dimensioni del tipo Tokamak (l’esperimento più avanzato è l’impianto ITER, in costruzione a Cadarache in Francia) e il confinamento inerziale (FCI), concentrando su un corpo grande quanto un granello di pepe (pellet), composto sempre da D e T, enormi energie, tipicamente generate da superlaser, che comprimano e riscaldino il DT a milioni di gradi innescandone la fusione nuclearei.

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coku

Scuola, lavoro e Costituzione

di Saverio Catalano

1440px Online class Kerala 2021 1200x600Perché investire nella scuola (nel modo appropriato) significa investire in maggior democrazia

Senza la scuola, intesa come «comunità fatta di partecipazione, di reciprocità, di consapevolezza condivisa, semplicemente non esiste la società e non può esistere la democrazia». La scuola, come disse Piero Calamandrei, è un organo vitale della democrazia, in quanto è il complemento necessario del suffragio universale(1).

La democrazia, infatti, non si esaurisce nel riconoscere semplicemente il diritto di voto a tutti; se fosse così dovremmo riconoscere che tale sistema rischia di essere una democrazia apparente, in cui la strumentalizzazione dell’élite di un paese è altamente probabile; non sarebbe una democrazia effettiva ma «un caso di autocrazia e oligarchia in cui i protagonisti possono muovere la folla come un’arma»(2), in cui la mediocrità della gran parte è la strada per l’interesse e il potere di pochi, una democrazia dogmatica.

In una democrazia non apparente ma progressiva e critica «il computo dei voti non è l’espressione del dominio della mediocrità, ma la manifestazione terminale di un lungo processo di formazione delle opinioni collettive in cui tutti hanno la possibilità di esercitare la loro influenza, massimamente coloro che hanno maggiori e migliori energie da destinare alla cura delle cose pubbliche»(3).

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carmilla

We shall live again: i fantasmi, la violenza, l’utopia

A proposito dei fantasmi di Avery Gordon

di Stefania Consigliere

Avery Gordon, Cose di fantasmi. Haunting e immaginazione sociologica, DeriveApprodi, Roma 2022,291 pp., 20,00€

9788865484487 0 536 0 75La proposta teorica è magnifica e sconvolgente: il fantasma è la traccia di una violenza. Una traccia ben presente e attiva, anche se invisibile. Qualcosa in cui si può andare a sbattere, senza preavviso, perché esiste nel mondo, al di fuori di noi, come segno di un passato che non può passare perché nessuno ancora gli ha dato ciò che gli spetta.

Qualcosa è successo – proprio qui, nel punto dove si affollano i turisti, nella terra di nessuno fra gli ultimi palazzoni e la spiaggia, dietro una malandata fermata di autobus – che ha segnato il luogo con il dolore, il dominio e l’orrore. La ferita non è mai stata curata: forse perché, quando la violenza ha colpito, non si è potuto far altro che fuggire; o forse perché, nel tentativo di sopravvivere a molta altra violenza subentrante, è stata dimenticata. Il tempo è passato e nessuno ha rimediato a quel gesto brutale. Ma potrebbe anche trattarsi di una violenza del presente, quella che incessantemente deve ripetersi, giorno dopo giorno, perché la macchina letale del capitalismo possa continuare a macinare plusvalore. La violenza strutturale, incarnata nel modo stesso in cui “le cose funzionano” è proprio questo: la continua produzione di disumanizzazione, dolore, oppressione, gerarchie; un continuo sparger sale su ferite già aperte; un’infinita produzione di spettri muti e dolenti.

Chi vede i fantasmi della violenza, chi si ostina a pensare che la modernità abbia troppi punti ciechi, chi non riesce mai a ritrovarsi nei resoconti ufficiali troverà in Cose di fantasmi. Haunting e immaginazione sociologica di Avery Gordon, appena uscito per DeriveApprodi, un vero e proprio manuale di sopravvivenza etica ed epistemologica.

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carmilla

Uno sguardo altro sulla Cina contemporanea e le sue contraddizioni di classe

di Sandro Moiso

Chuăng, Il sorgo e l’acciaio. Il regime sviluppista socialista e la costruzione della Cina contemporanea, Porfido Edizioni, Torino 2022, pp. 200, euro 12,00

china cokeLa prima cosa che salta all’occhio, fin dalla lettura delle prime pagine, nel testo prezioso appena pubblicato dalle Edizioni Porfido è che a differenza dell’Italietta, in cui la sinistra antagonista troppo spesso continua a portarsi appresso le incrostazioni del gramscismo e di un certo operaismo ancora influenzato da brandelli di maoismo, in altre e ben più significative aree del mondo, in questo caso Cina e Stati Uniti, il riferimento ai linguaggi e alle esperienze teoriche della Sinistra Internazionalista costituisce una solida base per l’analisi dei più importanti fenomeni sociali, politici ed economici e delle inevitabili contraddizioni di classe che hanno contraddistinto la Repubblica Popolare Cinese dalle sue origini fino a oggi.

Indagare sulle origini e le ragioni dell’attuale salda integrazione della Cina nella “comunità materiale del capitale” è il compito che si sono posti i membri del collettivo comunista internazionalista Chuaˇng, gruppo anonimo i cui membri si distribuiscono appunto fra la Cina e gli Stati Uniti. Il carattere Chuaˇng, da cui il collettivo prende il nome, in cinese è riassumibile nell’immagine di un cavallo che sfonda un cancello e riveste il significato simbolico di liberarsi, attaccare, caricare, sfondare, forzare l’entrata o l’uscita: agire con impeto.

Da alcuni anni le pubblicazioni sull’omonima rivista e la serie di articoli traduzioni e interviste ospitate sul blog chuangen.org, rappresentano una delle fonti di informazione e analisi più attente e pertinenti sulle dinamiche e le traiettorie delle trasformazioni sociali e del conflitto di classe nella Cina attuale.

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comedonchisciotte.org

I Twitter Files

di Mike Whitney - unz.com

Il meccanismo per porre fine alla libertà di parola su Internet è già in funzione

TrumpElonFeudMW 380x253 1L’idea è quella di confessare tutto ciò che è accaduto in passato per ricostruire la fiducia del pubblico nel futuro.” Elon Musk, assolutista della libertà di parola

“Divulgando i documenti interni di Twitter, hanno l’opportunità di spiegare nei dettagli come gli utenti di Twitter siano stati segretamente manipolati, gestiti e imbavagliati – per anni – in tutto il mondo – su molteplici argomenti di primo ordine.Matt Bivens M.D.

I dirigenti di Twitter hanno censurato una notizia che avrebbe cambiato l’esito delle elezioni del 2020? Hanno deliberatamente soppresso le informazioni di cui il pubblico aveva bisogno per prendere una decisione informata su come votare? Il candidato Trump è stato danneggiato dall’ingerenza di Twitter? Gli è costata l’elezione?

Gli è costata eccome, almeno così pensa il popolo americano. Guardate questo estratto di un articolo del New York Post:

Quasi quattro Americani su cinque che avevano seguito lo scandalo del laptop di Hunter Biden credono che una copertura “veritiera” avrebbe cambiato l’esito delle elezioni presidenziali del 2020, secondo un nuovo sondaggio.

Una percentuale simile ha anche affermato di essere convinta che le informazioni contenute nel computer siano reali, mentre solo l’11% ha detto di pensare che “erano state create dalla Russia,” secondo un sondaggio condotto dal Technometrica Institute of Policy and Politics, che ha sede nel New Jersey.

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comedonchisciotte.org

Sono farmaci e non vaccini. Lo studio che lo prova

Valentina Bennati intervista Marco Cosentino

Quelli che tutti chiamano "Vaccini anti-Covid" in realtà sono farmaci (cosa che ha implicazioni farmacologiche, cliniche, giuridiche e regolatorie ben precise). Intervista a Marco Cosentino, medico e professore di Farmacologia all'Università degli Studi dell'Insubria e direttore del Centro di Ricerca in Farmacologia Medica della stessa Università

Sono farmaci e non vaccini. Lo studio che lo provaCorreva la fine dell’anno 2020 quando i farmaci prodotti contro il temuto SARS-CoV-2, indicato come responsabile della dichiarata pandemia da Covid-19, furono velocemente immessi in commercio da varie aziende farmaceutiche sulla base di autorizzazioni emergenziali e condizionate e presentati da media e istituzioni come salvifici vaccini. L’articolo 4 del Decreto-Legge 44-2021 li ha anche imposti ad alcune categorie di lavoratori – obbligo che pare esser stato ritenuto “non irragionevole e sproporzionato” dalla recente sentenza della Corte Costituzionale del 1 dicembre scorso – tuttavia, c’è un interessante studio italiano, finora trascurato dai più forse per i suoi “tecnicismi” malgrado la straordinaria attenzione che sta sollevando a livello internazionale, che evidenzia in modo molto chiaro un aspetto fondamentale: i cosiddetti trattamenti anti-Covid non sono affatto dei vaccini come normalmente presentati, ma in realtà farmaci che, in assenza dei dovuti studi relativi alla farmacodinamica, farmacocinetica e tossicologia, sono “di fatto impiegati in maniera cieca e inconsapevole così da produrre conseguenze imprevedibili seppure apparentemente non riconducibili agli inoculi in plurime e ravvicinate dosi”.

Così scrivono gli avvocati Roberto De Petro e Giuseppe Mantia, facendo riferimento al sopracitato studio (che è stato condotto da Marco Cosentino, medico e professore di farmacologia all’Università degli studi dell’Insubria e dalla collega professoressa Franca Marino del Centro di Ricerca in Farmacologia Medica della stessa Università), sulla base del quale i due legali giungono a definire questi prodotti come “medicinali falsificati”.

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sinistra

L'invasione degli ultra-pedagogisti

Scuola democratica, universalismo e lotta di classe

di Marco Maurizi

SCUUOLA 1100x7331. Né concretezza, né utopia

Il recente volume di Christian Raimo, L’ultima ora. Scuola, democrazia, utopia (Ponte alle Grazie, Milano 2022) è un testo che rappresenta perfettamente i pregi, pochi, e i difetti, moltissimi, di tutta una schiera di aspiranti riformatori della scuola che si autodefiniscono progressisti e democratici. Tra i loro pregi sicuramente le buone intenzioni, il desiderio di migliorare un’istituzione che è “in crisi” da tempo (o forse, come suggerisce Raimo stesso, da sempre), l’attenzione al disagio giovanile, la preoccupazione per il razzismo e l’esclusione, la speranza che la scuola possa farsi argine alle vecchie e nuove diseguaglianze. Tra i loro difetti il non sapere assolutamente come realizzare tutto questo, tranne poche idee che o sono molto confuse o sono totalmente sbagliate.

Il libro di Raimo permette di dare un’occhiata a questo laboratorio di analisi e strumenti concettuali con cui il pedagogismo “di sinistra” affronta la realtà scolastica. Nonostante il progetto di un libro che vuole guardare da vicino il mondo della scuola senza perdere di vista l’orizzonte ideale di una società futuribile si può dire che esso fallisca miseramente il compito, non riuscendo ad essere né abbastanza concreto, né sufficientemente utopico. Il problema, come vedremo, è l’inadeguatezza del quadro sociologico di fondo: la totale incapacità dell’autore di cogliere le questioni di classe là ove si producono, nel meccanismo di autovalorizzazione del capitale, per ridurre il proprio “anticapitalismo” a vaghe suggestioni relative ad un non meglio identificato “classismo” o, addirittura, al “conformismo”. Questa lacuna di fondo determina, a cascata, tutti gli errori di prospettiva sul mondo della scuola e i tre grandi assenti di questo libro: il lavoro docente, la soggettività studentesca, l'universalità del sapere.

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volerelaluna

Psicopatologia del sistema neoliberista

di Ugo Zamburru

zaiufghy1. Ho scritto, recentemente, alcune riflessioni sulla connessione ineliminabile tra la psichiatria e il sistema in cui la sua attività si colloca (https://volerelaluna.it/societa/2022/11/21/la-psichiatria-non-e-unisola). Voglio qui approfondire il ragionamento collegandolo con il dibattito in corso nel Paese.

La Società italiana di psichiatria ha dichiarato che la pandemia lascerà un’eredità di 300.000 nuovi casi, a cui le attuali risorse dei Dipartimenti di salute mentale non sono in grado di dare una risposta terapeutica adeguata. I neuropsichiatri infantili e i pediatri parlano dell’aumento esponenziale dei casi di disturbi del comportamento alimentare e di autolesionismo e lamentano l’inadeguatezza del sistema sanitario. Intanto si riaccende il dibattito tra il modello medicocentrico, su base biologica, e quello psicodinamico e sociale. Ancora una volta non ne usciamo se non caliamo l’analisi all’interno del momento politico, storico, economico e culturale.

Nel 1995 il Dipartimento di Social Medicin di Harvard pubblicò un libro (World Mental Health: problems and priorities in low-income Countries) in cui per la prima volta si definivano le malattie mentali non come semplici problemi biologici di competenza medica indipendenti dal contesto, ma come sovradeterminate da variabili sociali, economiche, politiche e culturali. Nel momento in cui le diseguaglianze sociali, la povertà, un’iniqua redistribuzione del reddito, la classe sociale, il genere, le guerre, le catastrofi climatiche sono riconosciuti come determinanti sociali e fattori di rischio importanti per la salute mentale, ci troviamo di fronte a un bivio. Possiamo considerare le malattie mentali come fini a se stesse, l’espressione di una sofferenza di natura biologica, modello riduzionista che lavora solo sul sintomo e non sulle cause, o possiamo mettere in discussione il sistema stesso.

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neronot

Il canone antioccidentale

Quali storie possono salvarci dalla pulsione ecocida del capitalismo imperialista?

di Dario Bassani

pasted image 0Quando si evoca la cultura occidentale in astratto i casi sono due. Nel primo il tono è quasi religioso. Come nelle agiografie, si compila una Legenda aurea di quelle che si ritengono le maggiori opere dell’ingegno umano, i pilastri che sorreggono la civiltà occidentale: Cartesio, Bacon, Hegel, e i tanti altri nomi che sfilano in quelle grandi parate di pensatori che sono i manuali di storia della filosofia, sono i santi laici che ci schermano da una imprecisata barbarie a venire. Se poi ci spostiamo dalle humanities alle scienze dure, ecco la meraviglia che queste dovrebbero suscitare: siamo tutti polvere di stelle, ci dicono divulgatori e immagini motivazionali. Ma ogni documento di cultura è anche un documento di barbarie, e nella saggistica contemporanea si accumulano materiali per stilare una Legenda nera dell’Occidente. Secondo l’accusa, la cultura occidentale sarebbe responsabile del maggiore male dei nostri tempi: la crisi climatica.

In quest’ottica, l’estinzione a cui l’umanità sembra condannata non proverrebbe – o meglio, non proverrebbe solo – dallo sfruttamento capitalista della natura o dagli strapazzi della rivoluzione industriale. Troppo facile accusare economia e tecnologia: molto più difficile criticare le idee che hanno fornito alla civiltà occidentale un manuale di istruzioni per sterminare popolazioni, ecosistemi e per minare infine la possibilità stessa della vita umana sul pianeta. Come in una parabola, questo è l’insegnamento di La maledizione della noce moscata, il nuovo libro dello scrittore e antropologo Amitav Ghosh, edito da Neri Pozza. Il libro prosegue il percorso iniziato con La grande cecità, in cui Ghosh si domandava per quale ragione i romanzi non riuscissero a dare conto della crisi climatica senza sconfinare nella fantascienza. La maledizione della noce moscata ripercorre invece la genealogia colonialista, razzista, genocida ed ecocida del mondo contemporaneo e delle catastrofi che lo minacciano.

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sinistra 

Divide et Impera” Il grande complotto

di Luca Busca

Divide et Impera 1280x720Quasi tre anni di pandemia e nove mesi di guerra hanno completamente destabilizzato l’opinione pubblica, dividendola in due parti distinte e inconciliabili. Da un lato i tifosi del regime, dall’altro i dissidenti. La valanga di menzogne propagandistiche con cui i media hanno cercato di rendere plausibile l’inettitudine dell’establishment politico, hanno ulteriormente scosso i due schieramenti popolari. I sostenitori del regime si sono frammentati tra scettici, ciechi, sordi e muti, con infinite sfumature intermedie. Gli scettici hanno percepito qualche parziale incongruenza nell’operato del governo e dei vari comitati tecnici. I ciechi, si sa, non vedono, i sordi non sentono e i muti, pur vedendo e sentendo, non parlano, per loro è andato tutto bene: la pandemia, anche se l’Italia ha ottenuto i peggiori risultati al mondo, non poteva essere gestita meglio; la guerra; le sanzioni; la crisi energetica, quella economica e il caro bollette; i crimini contro l’umanità e gli attentati terroristici; la povertà dilagante e le disuguaglianze; le privatizzazioni; i condizionatori e i riscaldamenti spenti; i cambiamenti climatici; etc. sono risultati tutti palese responsabilità di Putin!

Non è andata meglio ai dissidenti, frazionati in parti infinitesimali tra chi non vota, perché non si fida di nessuno, perché “tanto sono tutti uguali”, perché “tanto non cambia mai nulla”, e chi vota per una forza antisistema, perché non è di destra né di sinistra, perché è di sinistra, perché è l’unica realmente no vax; oppure vota M5S nonostante sia ormai un partito completamente funzionale al sistema. In un momento così incerto e difficile il mistero acquista sempre un grande fascino. L’ignoto, così come l’inspiegabile, generano sgomento e insicurezza. Se le istituzioni, invece di promuovere la solidarietà, alimentano la paura al fine di perseguire un interesse diverso da quello comune, le teorie del complotto, la stregoneria, la magia e la superstizione prendono il sopravvento.

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sinistra

Dall’emergenza pandemica all’emergenza permanente

di Assemblea Militante

rtcytvybun1. Covid-19: tra realtà e finzione

La pandemia di Covid-19 è stata presentata da tutti i governi e i media del mondo, sotto la guida dell’OMS, come una nuova terribile malattia in grado di provocare decine di milioni di morti. La malattia è reale, e reale è anche il virus che la provoca, sulla cui origine, peraltro, si sono aperti scorci che ne rendono sempre più probabile la creazione in laboratori sotto guida Usa. La sua gravità è stata, in ogni caso, fortemente esagerata. Chi continua a baloccarsi con la narrazione mainstream della “pandemia terribile e incontrollabile”, ripetendo come le preghiere del rosario le cifre ufficiali sui morti e sulla letalità più o meno alta della malattia, ignora a bella posta che è ormai impossibile stabilirne la letalità oggettiva, poiché questa è indissociabile dalla sua gestione terroristica e criminale. La letalità è stata resa più alta - sia sul piano dell’impatto reale della malattia che della sua rappresentazione scientifico-mediatica - attraverso una serie di misure assunte, con poche variazioni, quasi dappertutto:

• negazione delle cure: nonostante migliaia di medici in tutto il mondo abbiano fin da subito adottato efficaci rimedi farmacologici, sono stati imposti agli apparati sanitari i protocolli tachipirina e vigile attesa, tramite i quali migliaia di pazienti sono finiti in ospedale, dove le pratiche di “cura” (imposte da protocolli ministeriali) non hanno fatto altro che accompagnarne alla morte un grande numero;

• conteggio di decesso per covid di chiunque sia positivo a un test che la stessa OMS, nel sito ufficiale, indica (per ripararsi da eventuali responsabilità penali) come strumento che da solo non fornisce diagnosi.

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lafionda

Medicus curat, natura sanat

di Mattia Cattaneo

studiare medicinaÈ preferibile non andare dal medico quando si sta bene oppure sarebbe meglio andarci lo stesso per farci prescrivere qualche esame di controllo preventivo? È meglio essere in salute – “sentirsi bene” – o piuttosto non stare male? E chi sta bene ha il dovere di attestare pubblicamente il suo benessere? E chi sta male è da giudicare inferiore – sotto molteplici aspetti – rispetto a chi sta meglio? Come conciliare il pubblico dovere di non nuocere agli altri con il diritto privato alla salute personale? E quanto vale una “salute” perseguita anche a costo del benessere individuale? Queste, tra le altre, sono alcune domande che credo sia utile nuovamente porre sul tavolo del discorso, soprattutto dopo i recenti fatti di cronaca che hanno riattualizzato per un momento la questione sanitaria. Ma prima di tutto, cosa si deve intendere per “salute”?

Non di certo quello che ne diceva il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella parlando all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Pavia[1]: trattare «La salute come bene pubblico» è un modo per far compiere all’idea di “salute” uno scivolamento di piano silenzioso ed assolutamente imperdonabile: è lo sdoganamento impudico e sfacciato della capitalizzazione del benessere individuale. Paragonare infatti la salute ad un bene – invece che, come sarebbe più opportuno, trattarla secondo il concetto di ben-essere – non è altro che un modo per ribadire quanto questo stato, cioè lo stato di salute, sia oggigiorno divenuto un vero e proprio status.

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sinistra

Valutazione, misurazione e conflitto

di Marco Maurizi

shutterstock 691408807Esiste un problema relativo alla valutazione e alla misurazione del sapere nella scuola? E da cosa dipende? La misurazione implica sempre una qualche forma di traduzione del qualitativo nel quantitativo, riconduce il diffuso e variabile a criteri di uniformità e univocità. Come ho cercato di mostrare qui ( https://marcomaurizi74.wordpress.com/2022/09/21/la-contraddizione-qualitativa-fondamentale-del-capitalismo/ ) il problema del qualitativo può essere inteso razionalmente non come ciò che è vagamente e fumosamente altro dai meccanismi di quantificazione e misurazione bensì come ciò che esprime un conflitto interno al processo di razionalizzazione capitalistico. In questo modo il qualitativo si mostra come espressione di una contraddizione immanente alla forma della ragione e dunque espressione di interessi legittimi, a loro volta razionali, universalizzabili, che però non trovano spazio nel modo in cui la società di classe riduce dall'alto e distorce, in senso particolaristico, quei meccanismi di ordinamento e manipolazione della realtà.

Quando si parla di valutazione e mondo della scuola questo aspetto della questione viene completamente eluso e tutto si muove in un mondo ideale, astratto, dove quelle dinamiche di classe e il loro effetto distorsivo sui processi di quantificazione improvvisamente non esistono più. Si predica, da un lato, la pura e semplice celebrazione tecnocratica della misurabilità assoluta del sapere (i test) con la conseguente parcellizzazione dell’insegnamento in parti perfettamente e aprioristicamente quantificabili: il processo di apprendimento ridotto a catena di montaggio; oppure, in senso opposto, la valutazione diventa uno dei mali della scuola, una forma di potere maligno in mano ai docenti che occorrerebbe quanto prima sottrarre loro per far emergere altro, un vago e indistinto altro, qualitativamente contrapposto ai freddi numeri scarabocchiati dagli insegnanti.

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cumpanis

“La modernizzazione cinese: percorsi, successi e sfide”

di Fosco Giannini

Verso la fine del 2021 l'Accademia delle Scienze Sociali del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (Chinese Academy of Social Sciences, CASS) chiese al nostro direttore, compagno Fosco Giannini, di scrivere un libro, per la Cina, sul nuovo sviluppo economico cinese, sul "socialismo dai caratteri cinesi". Il libro, scritto da Giannini prima del XX Congresso del Partito Comunista Cinese, celebratosi dal 16 al 22 ottobre 2022, sarà tra poco, sia in cinese che in inglese, nelle librerie di Pechino. Il titolo del libro è "La modernizzazione cinese: percorsi, successi e sfide". Di questo libro di Fosco Giannini anticipiamo di seguito uno dei capitoli

cina modernizzazione socialistaLa modernizzazione, lo sviluppo delle forze produttive

Apriamo questo capitolo sulla “modernizazzione della Cina” attraverso una citazione del grande filosofo marxista italiano Domenico Losurdo, tratta da un intervento che lo stesso Losurdo svolse al Forum europeo del 2016 dal titolo “La via cinese e il contesto internazionale”. L’intervento di Losurdo aveva come titolo “Washington consensus o Beijing consensus?'”. In un passaggio del suo intervento il grande filosofo italiano così si esprimeva: “La guerra di posizione condotta dalla classe dirigente del Partito Comunista Cinese ha visto negli ultimi 40 anni di Riforme e Apertura – nel contesto del più grande sviluppo economico della storia dell’umanità – 800 milioni di cinesi affrancarsi dalla povertà, un fenomeno che è stato definito dalla Banca Mondiale come uno dei più grandi racconti della storia dell’umanità. Di questi 800 milioni, 60 sono usciti dalla condizione di povertà soltanto negli ultimi 5 anni. Si tratta evidentemente di una lotta di classe che procede in direzione opposta rispetto a quella condotta in Occidente, dove assistiamo ad un processo inverso nel quale si determina un allargamento sempre maggiore della forbice sociale tra ricchi e poveri”.

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cumpanis

Scuola italiana: “revisionismo storico” e pratica anti-didattica

di Salvatore Distefano* 

A proposito della lettera del ministro dell’Istruzione e del Merito alle studentesse e agli studenti

IMMAGINE ARTICOLO DI SALVATORE Disrefano ScuolaIl 9 novembre solo in Italia (nessun altro Paese europeo infatti lo festeggia) si celebra il “giorno della libertà”, in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino, giorno istituito con la Legge 15 aprile 2005, n. 61, all’epoca dunque del governo Berlusconi.

A tal proposito, il ministro dell’“Istruzione e del Merito” (ora si chiama così) ha ritenuto di scrivere una lettera indirizzata agli studenti e ha colto l’occasione per salutare tutto il personale delle scuole, evitando, chissà perché, di citare esplicitamente i docenti. Giusto quei docenti che dovranno stare molto attenti a queste iniziative, per ora solo epistolari, che hanno lo scopo non solo di stare dentro lo scontro politico, ma anche di raggiungere due obiettivi: il primo, ampliare a dismisura nella scuola italiana la quantità di “revisionismo storico”, peraltro già sparso a piene mani in questi anni; il secondo, continuare la pratica anti-didattica di “(ab)uso pubblico della storia”, che trova concrezione nell’attaccare ossessivamente tutto ciò che a che fare con la democrazia, la sinistra, il progresso, l’esperienza di altri popoli non occidentali che hanno tentato, tentano e tenteranno con grande fatica di trovare una strada di liberazione e di avanzamento. Si continua, peraltro, a riaffermare una concezione di superiorità dell’Occidente (unipolarismo versus multipolarismo) in salsa eurocentrica, non cogliendo i danni che questa ideologia ha arrecato in passato e la improponibilità di questa visione in un contesto che definiremmo di “tramonto dell’Occidente” e di suicidio dell’Europa. Peraltro, in questa occasione non mi soffermerò sugli orrori del colonialismo che ha scandito la storia dell’Occidente e sulle due guerre mondiali da esso scatenate.

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sinistra

Azzurro

di lorenzo merlo

Schermata del 2022 11 12 14 24 52Il potere della comunicazione permette a chi lo detiene di pensare di guidare il mondo. È sempre stato così, ma l’epoca digitale e la relativa capacità tecnologica consentono ai potentati privati di realizzare un’uniformità dell’informazione che permetterà loro di dirigerlo verso lidi che non potremo scegliere, navigando su barconi di cui saremo sguatteri.

Qualche considerazione relativa a La Grande Narrazione, l’ultimo libro di Klaus Schwab, e al linguaggio con il quale espone le idee del Great Reset. Che fa della trasparenza il suo cavallo di battaglia, anzi, il suo vischio per catturare le ignare e innocenti mosche che, in grande maggioranza, siamo.

 

L’intento

Incalzante. Quattro libri (1) in sei anni. Dedicati a come è opportuno – secondo loro – dirigere il mondo. Loro sono i potentati della terra. Quelli in prima pagina su tutti i giornali dei complottisti. Sono entità potenzialmente volatili, ma ferree quando radunate intorno al miele a causa di un comune intento: dirigere il mondo appunto. Intento che ha tutti i riflessi sociali e filantropici possibili immaginabili – possiedono la comunicazione, è normale li realizzino quando, quanto e come utile all’abbacinante scopo diversivo per il quale sono messi in circolazione – ma che è mosso dalla soddisfazione del potere. La stessa che rende creativo e vivace l’aguzzino finché la vittima non lo supplica di smettere.

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lacausadellecose

Sul movimento internazionale di Halloween oggi

di Michele Castaldo

2022 morti halloween 1200I nodi stanno venendo al pettine tutti insieme, pochi se n’avvedono realmente per stupidità, mentre quelli che difendono assurdi interessi di “classe”, si ostinano a non volerli vedere.

A Seul nel quartiere di Itaewon si erano dati appuntamento per festeggiare la festa di Halloween circa centomila giovani. Si tratta di un quartiere simile a Trastevere in Roma con viuzze come veri e propri budelli. Nella calca generale, giocando a spingere per poter procedere perché si stazionava, tanta era la folla, si sviluppa una ressa e nel fuggi fuggi generale muoiono 154 persone, quasi tutti coreani, 97 donne e 57 uomini. Dopo qualche giorno Seul annuncia di aver lanciato un missile nello spazio in risposta a quello della Corea del nord di qualche mese prima. Una festa finita in tragedia e l’attenzione si sposta sul missile. Cose dell’altro mondo? No, cose di questo mondo.

Dopo il disastro ci si interroga sulle responsabilità e fra tante chiacchiere inutili si scopre che ben 7500 poliziotti erano stati dislocati in altri punti della città a controllare “facinorosi” estremisti di sinistra, una manifestazione di lavoratori dei trasporti, alcune sigle sindacali. E il capo della polizia che dice: « non siamo preparati a gestire eventi che nessuno organizza », quelli della baldoria, mentre sono ben attrezzati, come in ogni altra parte del mondo, a reprimere chi protesta per necessità primarie come il lavoro, la casa, la salute ecc. Dunque teniamo distinti i due scenari: da una parte si tenta di operare un controllo capillare, dall’altra parte di lasciar fare. C’è libertà dell’individuo da garantire. Se scoppia un fuggi fuggi e muoiono nella ressa 154 persone si portano bare, fiori e lumini, e la giostra continua a girare.

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sinistra

Dissenso informato

Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili 

Introduzione di Niccolò Bertuzzi, Elisa Lello

AA.VV.: Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili, a cura di Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi, Castelvecchi, 2022

maxresdefaultnhygfvInformazione: “somministrare” con prudenza

«Bisogna trovare delle modalità meno […] democratiche […] nella somministrazione dell’informazione»; «In una situazione di guerra […] si accettano delle limitazioni alla libertà». Queste parole, già ricordate nella prefazione di Vittorio Agnoletto e che suonerebbero inquietanti persino se pronunciate da un comune cittadino, sono state utilizzate il 27 novembre 2021 da Mario Monti, in prima serata durante la nota trasmissione In Onda, su La7. Si riferivano – è doveroso precisarlo a qualche mese di distanza – all’emergenza Covid-19, e non a più recenti scenari bellici. Il ragionamento offerto dal professor Monti in quella sede era piuttosto articolato e, nonostante i tentativi del senatore a vita di ricalibrare il tiro con comunicati stampa riparatori, è difficile imputare la sua esternazione a un fraintendimento. Per cinque minuti abbondanti, attorniato da statue antiche e calici di vetro (una scenografia effettivamente molto adatta), Monti presentava la sua tesi autoritaria di fronte agli sguardi attoniti dei conduttori in studio.

Le frasi di Monti hanno provocato un certo dibattito, e le critiche non sono mancate. Vogliamo fermarci brevemente su due aspetti. In primo luogo il parallelo bellico. Nei giorni in cui Monti pronunciava queste parole eravamo nel pieno della recrudescenza del virus, con la variante Omicron che spopolava in Italia e nel resto d’Europa. Le sirene del conflitto fra Russia e Ucraina erano relegate a chi si interessasse di relazioni internazionali e geopolitica. Nessuna guerra si affacciava realmente nel dibattito pubblico.

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sinistra

Dissenso informato

Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili 

Prefazione 

di Vittorio Agnoletto

AA.VV.: Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili, a cura di Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi, Castelvecchi, 2022

maxresdefaultnhygfv«Non in televisione e non in prima serata, professore». Con queste parole Beppe Severgnini interrompe il prof. Andrea Crisanti che, la sera del 26 novembre 2021, durante la trasmissione Otto e mezzo, espone le sue perplessità sulla vaccinazione anti-Covid per i bambini; perplessità dovute alle limitate informazioni allora a disposizione della comunità scientifica. Severgnini insiste: «Ci sono i convegni e i congressi per dire certe cose; se voi le ripetete in prima serata, la gente si spaventa e non capisce più niente, mi creda».

27 novembre 2021. Il senatore a vita Mario Monti, durante la trasmissione In Onda, dichiara: «È una guerra, ma non abbiamo minimamente usato in nessun Paese una politica di comunicazione adatta alla guerra e forse oggi non si riesce più, anche se ci fosse una guerra vera, ad avere una comunicazione come quella che si aveva nel caso di guerre…»; «… La comunicazione di guerra significa che c’è un dosaggio dell’informazione […] bisogna trovare delle modalità meno, posso dire democratiche secondo per secondo…»; «In una situazione di guerra […] si accettano delle limitazioni alla libertà». La conduttrice Concita De Gregorio gli domanda chi dovrebbe decidere come dosare l’informazione; la risposta è netta: «… Il governo, ispirato, nutrito, istruito dalle autorità sanitarie».

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kamomodena

«Un po’ di ansietta, ragazzi?»

Per una lettura politica della condizione giovanile

di Antonio Alia

Di ansia individualizzazioneStare in pace con sé, oggi, vuol dire entrare in guerra con il mondo».

Mario Tronti, Dello spirito libero.

Un bel mondo di merda, non c’è dubbio. Che la guerra sta portando sull’orlo della crisi di nervi. O viceversa.

Guerra. Crisi. Nervi. Dei primi due abbiamo già parlato. Il mondo di domani e il destino della globalizzazione; i figli della crisi e la scuola di oggi. Era giunta l’ora di parlare di nervi. Ansia, angoscia, sofferenza mentale. Un vissuto sempre più diffuso, quasi pandemico. Che sembra attanagliare soprattutto i giovani. O che essi – grazie alla loro età, unita a una maggiore consapevolezza e a una meno pressante assuefazione – riescono a far emergere in modo più radicale. Perché loro necessità, bisogno. Chi ci ha raggiunti, nonostante la stanchezza, le pressioni e l’ansia di un quotidiano senza tregua già a sedici anni, lo ha fatto non a caso, evidentemente.

Abbiamo voluto provare a costruire un punto di vista di parte. Il metodo che sempre ci muove: mettere in prospettiva, produrre discorso politico, stimolare formule organizzative. Ma prima di tutto, inchiestare. Individuare le domande, saper ascoltare. Tentare di trovare le risposte nel processo. Ci interessava una lettura politica dell’ansia, legata alle trasformazioni produttive, all’individualizzazione del disagio, alle nuove logiche del comando. Andare dallo psicologo va benissimo, ma non può essere una soluzione per problemi politici. Denunciare la catastrofe siamo capaci tutti, il difficile è capire con chi dobbiamo prendercela. Invece di diventare specialisti del malessere, rendere un’arma il punto di vista – lo sguardo parziale di chi, come militante politico, può rovesciare il proprio destino.

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jacobin

La società piatta

di Vincenzo Scalia

L'ultimo stadio dell'ideologia della sicurezza è la delazione di massa: gli individui competono tra di loro in un conflitto orizzontale per guadagnarsi lo status di vittime e chiedere protezione

esercito jacobin italia 1320x481Negli ultimi trent’anni, la questione della sicurezza, ha colonizzato l’agenda pubblica italiana, fino a culminare nella vittoria, nelle due ultime tornate elettorali, di forze politiche e schieramenti che fanno di legge e ordine la loro bandiera. In realtà, dietro il securitarismo, allignano questioni molto più complesse delle manette facili, che portano a interrogarsi sui fondamenti e sulla solidità degli assetti sociali e politici attuali. L’ultimo lavoro di Tamar Pitch, Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva (Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2022), costituisce un valido strumento attorno al quale articolare una riflessione demistificatoria delle tematiche della sicurezza.

Sin dalla metà degli anni Ottanta, assistiamo allo slittamento di significato del termine sicurezza che, dall’indicare una condizione sociale, passa a essere focalizzato sull’incolumità individuale, compiendo la traslazione che Alessandro Baratta definiva «dalla sicurezza dei diritti al diritto alla sicurezza» (Alessandro Baratta in Anastasia, S., Palma, M., La bilancia e la misura, Franco Angeli, Milano, 2001): l’Italia assimila con un decennio di ritardo questo cambiamento, che in Gran Bretagna, sin dai primi anni del governo di Margaret Thatcher, ha avviato progetti di prevenzione situazionale, ovvero mirati a rendere asettico l’ambiente esterno attraverso illuminazione pubblica e arredi urbani contro le «classi pericolose». In Francia, il governo socialista, ha promosso progetti ad ampio raggio di ristrutturazione urbana delle banlieues, senza tenere conto della questione  sociale. Oltreoceano, il processo di securitarizzazione, è stato molto più marcato: da un lato, attorno alla privatizzazione della sicurezza, si è gradualmente sviluppato un mercato di polizie private e gated cities, ovvero le città fortezza dove i condomini votano addirittura se consentire alla madre di uno dei residenti di entrare nel complesso residenziale .