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sinistra

Iran: quale rivoluzione?

A un anno dalla morte di Masha Amini

di Alessandro Mantovani

Donne Iran 2.jpgUn anno è passato dalla scintilla che ha innescato la più recente e imponente ondata di manifestazioni contro il regime iraniano. L’impressionante movimento, che ha visto migliaia di proteste coinvolgenti più di 160 città, come si sa, è stato iniziato dalle donne e questo è un fatto di enorme importanza non solo per l’Iran e i paesi islamici, ma si può ben dire alla scala internazionale. Non in quanto sia il primo movimento che veda le donne protagoniste (altri ve ne sono stati), ma in quanto un movimento femminile per i propri diritti ha fatto da battistrada, da detonatore a una mobilitazione che si è estesa a più ampi strati popolari e anche proletari, dapprima in solidarietà con le donne, poi e sempre più con rivendicazioni generali che si riassumono nella richiesta della fine del regime degli ayatollah.

Decine di migliaia di persone, in maggioranza giovani (soprattutto ragazze, spesso appoggiate dai loro coetanei o familiari maschi), si sono riversate nelle piazze con gesti altamente simbolici e mai riscontrati in precedenza, bruciando lo hjiab e tagliando i capelli in pubblico.

Altro fatto di estrema rilevanza è che subito dopo le donne, a ribollire siano state le minoranze etniche, i curdi, i turchi, gli arabi, i baluci, e che ciò, forse per la prima volta, abbia creato nella società persiana (dove il nazionalismo ha sempre potuto far leva sul timore di una disgregazione dello stato per linee etniche) un afflato di solidarietà e simpatia verso tali minoranze, ossia un riconoscimento della loro situazione di oppressione. Non per nulla il movimento è esploso dapprima nel Kurdistan iraniano: Masha Amini, la giovane la cui morte tra le grinfie della “polizia morale” ha acceso la miccia della rivolta, era curda, doppiamente esclusa quindi dai diritti civili, e l’accanimento dei suoi aguzzini contro di lei non è stato certo estraneo a questa identità).

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lavoroesalute

Vita, terra e libertà per la Palestina

Alba Vastano intervista Bassam Saleh, giornalista palestinese

immagine 70.png“Il conflitto c’è sempre stato, non solo dal 7 ottobre, tra il popolo palestinese e la potenza occupante. Una potenza sostenuta e appoggiata dall’Occidente capeggiato dagli Usa, per tenere tutta la regione del Medio Oriente in stato di instabilità e avere l’egemonia sulle risorse naturali, per la posizione geopolitica, quindi al servizio del capitalismo malvagio, ai produttori e fabbricanti di armi. Sono gli interessi dell’imperialismo americano e occidentale che perseguitano il popolo palestinese, vogliono togliere il diritto di resistere per esistere e vivere libero come tutti i popoli” ( Bassam Saleh)

A Gaza è in atto un genocidio, il massacro di un popolo in sofferenza da decine di anni, privato dei basilari diritti umani. Un popolo che per Netanyahu, primo ministro di Israele, e per i suoi seguaci non deve avere un territorio, né identità giuridica, né indipendenza, né alcuna forma autonoma di sostentamento. Nulla che gli consenta una vita dignitosa e il diritto di essere riconosciuti come popolo di uno Stato indipendente. il massacro in atto oggi con l’escalation dell’invasione a terra della Striscia di Gaza sta mietendo continuamente vittime fra i civili. I media ci presentano ogni minuto la visione di piccole vittime straziate sotto i bombardamenti.

Le piccole vittime palestinesi si sommano alle decine di giovanissime vittime israeliane causate da Hamas. ‘L’Unicef denuncia che oltre 2300 bambini sarebbero stati uccisi in due settimane di bombardamenti a Gaza. Più di 5300 sarebbero stati invece feriti’.. Adele Khodr, direttore generale Unicef per il Medio oriente e il Nord Africa denuncia“L’uccisione e la mutilazione di minori, gli attacchi su ospedali e scuole e la negazione dell’accesso umanitario costituiscono gravi violazioni dei diritti dei bambini. L’umanità deve prevalere”.

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sinistra

Mille nomi per Lady Society

di Patrizio Paolinelli

Le immagini della società orientano il modo in cui individui e gruppi interpretano il mondo in cui vivono. Ma come orientarsi quando tali immagini si moltiplicano senza sosta? Mille nomi per Lady Society costituisce un iniziale tentativo di risposta. Allo scopo fa un primo punto della situazione, problematizza la proliferazione di immagini della società e sollecita l’apertura di nuovi spazi di comunicazione tra la sociologia e il suo oggetto di studio.

  1. silhouette arte concettuale psiche umane.jpgLavoro di nominazione

Il nome è un’immagine. Società arretrata. Ecco un nome attribuito a una popolazione umana osservata dalle scienze sociali. Il nome presenta il vantaggio di “fotografare” tale popolazione colta in un determinato spazio-tempo. Tra le discipline che hanno la legittimità di coniare nomi per identificare una società la sociologia si è conquistata da tempo il posto d’onore. Ieri come oggi i sociologi analizzano le società e individuano dei tipi. Ai tipi di società impongono un nome con cui rimandano a un’immagine sintetica in modo da qualificarli e stabilire delle differenze: società agricola, società industriale; società tradizionale, società moderna; società di massa, società individualizzata e così via.

Il nome è un evento. E l’evento è il libro con cui si attribuisce un nuovo nome alla società. Il libro può avere diversi destini determinati dalle porte girevoli con cui il testo entra ed esce dai circuiti di lettori specializzati e da quelli dei lettori non specializzati. Due casi: un libro può registrare più vendite fuori che dentro la comunità scientifica e suscitare un’attenzione elevata nelle pagine culturali del mondo dell’informazione; oppure può registrare poche vendite tra il pubblico dei non addetti ai lavori, ma godere di un’alta attenzione del mondo universitario e di un’attenzione relativa del mondo dell’informazione. Si tratta di due tipi di successo che possono essere analizzati da diversi punti di vista: commerciale, culturale, politico.

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lafionda

Sul risveglio del “mostruoso”

di Francesco Prandel

itten.jpgÈ mai possibile tracciare una vera distinzione tra i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di informazione e di divertimento, e come agenti di manipolazione e di indottrinamento?

Herbert Marcuse

Nei circuiti elettrici come nell’atmosfera, la polarizzazione dovuta all’accumularsi di cariche di segno opposto ingenera tensioni. Nella misura in cui si avvicinano a una certa soglia, queste tensioni preludono a scariche elettriche violente e incontrollabili.

Negli ultimi tre anni il servizio offerto dalla maggior parte dei media ha subito un mutamento che non è passato inosservato. A partire da 2020 la polarizzazione dell’informazione – una sua caratteristica certamente tipica, che presenta oscillazioni storiche – è cresciuta in maniera vistosa. Parallelamente, e in modo altrettanto evidente, si sono polarizzate le vedute dei vertici istituzionali, della classe dirigente, dell’uomo della strada. Indipendentemente da come la pensano, presumo che in molti abbiano avvertito gli sbalzi di tensione che ne sono conseguiti. Chi con la pandemia, chi con la guerra in Ucraina, chi con quello che sta accadendo in Medio Oriente, in tanti hanno osservato la crescente tendenza dell’informazione generalista ad amplificare certe campane e a silenziarne altre. Così, nel mentre un pezzo di società – di cui fa parte quella che conta – si arrocca su una posizione, l’altro si barrica dietro alla posizione antipodale.

Si potrebbe obiettare che non c’è niente di nuovo sotto il sole, che l’informazione è sempre stata più o meno tendenziosa, che le spaccature sociali sono una costante storica. È vero.

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lafionda

L’intelligenza artefatta

di Leonardo Noschese

abstract orange blue light effects illustration generative ai 438099 20292.jpgNella storia umana, l’innovazione tecnologica è una costante. Dalle punte di selce alle sonde spaziali, l’umanità ha sempre realizzato strumenti e macchine (dal greco antico μαχανά: mechanè). Spesso, con conseguenze più ampie di quelle previste. La stampa è nata per abbassare i costi dei documenti scritti, ma è divenuta soprattutto uno straordinario propulsore culturale. L’utilizzo dell’energia elettrica ha consentito l’illuminazione notturna, ma ha portato anche a nuove possibilità di socializzazione. Molte tecnologie hanno avuto effetto non solo sulla prosperità di chi le ha adottate, ma anche sul suo modo di comunicare, di pensare e di agire.

Pertanto, ora che ci troviamo di fronte a quell’innovazione dirompente che comunemente viene chiamata Intelligenza Artificiale, attorno alla quale sono nati tanti entusiasmi quante paure, è utile interrogarsi su cosa effettivamente essa sia e su cosa possa rappresentare per l’umano. Perché forse, nel dibattito attuale e spesso polarizzato, ci sono aspetti che non stiamo guardando.

 

Definizione

L’IA viene spesso descritta come un sistema in grado di assolvere funzioni riconosciute come umane, quali il compiere azioni complesse, il ragionare o l’interagire linguisticamente. A questa definizione si associano i moderni Chatterbot, quali Bard o ChatGPT, ma è proprio tale paragone a rivelare quanto essa sia fuorviante.

Il primo Chatterbot mai realizzato, ELIZA, risale al 1966 e venne descritto dal suo creatore J. Weizenbaum come l’imitazione parodistica di un terapeuta. Traendo spunto dall’approccio psicoterapico di Carl Rogers, ELIZA venne programmata per rispondere alle domande riformulando le stesse frasi dell’utente (“Oggi mi sento giù di morale.” – “Raccontami. Perché ti senti giù di morale?”).

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paroleecose2

A cosa serve ricordare? Di memoriali, guerre e, si parva licet, angeli della storia

di Matteo Bortolini

memoriale.jpgNon resta più ricordo degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito.

Qoelet 1:11.

Ogni mattina accompagno a scuola Ester Emilia e torno verso il centro. Ogni mattina supero la folla di liceali che aspettano la campanella fumando e chiacchierando e attraverso il ponte della stazione. Ogni mattina, fermo al semaforo di via Carracci, incontro il memoriale della Shoah di Bologna[1]. Sta lì dal 27 gennaio 2016. Un’ampia piazza chiara dominata da due grandi parallelepipedi rossastri divisi da un passaggio che si fa sempre più stretto via via che dalla periferia si cammina verso il centro città[2]. Scabro e compatto all’esterno, al suo interno il memoriale rivela una serie di alloggiamenti che rimandano ai letti a castello che abbiamo visto coi nostri occhi ad Auschwitz e Mauthausen[3]. Per chi percorre il memoriale tra i due blocchi, la luce viene dalla stazione, la Bolognina rimane alle spalle.

Il luogo, ha spiegato il presidente della Comunità Ebraica Daniele De Paz il giorno dell’inaugurazione, non è casuale. Shoah e strage di Bologna sono due momenti in cui la dignità umana è stata umiliata. Pur nella loro differenza abissale, i due eventi contribuiscono a costruire una medesima coscienza e un medesimo sentire. “La memoria,” ha detto De Paz alla cerimonia, “è universale, perché appartiene a tutti ed è essa stessa identità”. Da quel momento in poi ricordare la Shoah a Bologna diventa parte dell’identità cittadina e insieme (e senza cesura) una riflessione universale[4]. Perché, a ben vedere, il movimento della parola incarnata nell’acciaio va dal singolare—quell’evento, devastante nella sua unicità—al generale—una riflessione su cosa può significare “essere umani”—che si sofferma su un’altra singolarità—la memoria delle stragi di Bologna.

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roars

Elogio dei reietti

di Martina Bastianello

I Magnifici 7: 1. La Lezione frontale, 2. Il Libro-libro, 3. I Contenuti (volevo solo insegnare i Fenici…), 4. L’Alfabeto, 5. Distillati, 6. La Cartina muta, 7. W “I Mona”! (senza certificazione)

magnifici 7.png1. La Lezione frontale.

Non potevo che iniziare da Lei. Da oltre vent’anni – da quando, in buona sostanza, ho iniziato le prime supplenze – Lei viene bistrattata, offesa, vituperata, considerata fonte di sciagure: alla stregua della bella Elena – responsabile d’aver scatenato la guerra di Troia – la Lezione frontale pare abbia inflitto infiniti lutti… non agli Achei, questa volta, ma a generazioni di sfortunati studenti. Sembra che tutti, insomma, siano convinti che sia arrivato, oggi, il momento di liberarsi definitivamente della scellerata: la maggioranza dei genitori, dei docenti, dei formatori, degli opinionisti, delle aziende e dei rappresentanti del Miur forma un nutrito quanto deciso plotone di esecuzione.

Ma con chi/con cosa se la prende chi se la prende con la Lezione frontale?

“Se la prende con un fantoccio, uno spettro, un nemico costruito appositamente per poterlo combattere”, mi sono risposta – sempre più allibita – nel corso degli anni. Forse è arrivato il momento di condividere la mia risposta, sperando che a essa si unisca un nutrito coro di risposte affini.

Primo: la Frontalità è un valore che solo i valorosi riconoscono come tale e proteggono. Per stare di fronte a qualcuno (agli studenti, nel nostro caso) ci vuole coraggio perché ci stai solo, tutto intero, con quel poco che ti sembra di sapere e quell’oceano di non-sapere che ti circonda e preme da ogni lato. Ci stai con il tuo corpo (faccia struccata, calvizie incipiente, rughe, pancetta da birra, calze smagliate, patta semiaperta…); ci stai con la tua voce che è lo strumento (scordato, stridente, tremulo, sfiancato) che racconta storie, snocciola dati, propone metafore, presenta teorie, richiama, rimprovera, elogia, interroga, grida e sussurra.

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iltascabile

Sogni algoritmici di intelligenze disincarnate

di Diego Viarengo

Una riflessione sul rapporto tra macchine, corpo, esperienza e limiti dell’IA

IA 3.jpgAd Hollywood sceneggiatori e attori erano in sciopero: oltre che per questioni economiche, hanno protestato contro l’uso indiscriminato dell’intelligenza artificiale nel cinema e nelle arti. Ciò che rivendicavano è il ruolo del corpo nel lavoro creativo, un ruolo minacciato dagli algoritmi. Sostituire il corpo, parti del corpo, è infatti il cuore del concetto di intelligenza artificiale. Anzi, come scrive il filosofo Daniel Dennett in Dai Batteri a Bach (2018), è il suo assunto operativo classico:

L’assunto operativo classico dell’intelligenza artificiale è sempre stato che ogni organo vivente è in realtà soltanto un sofisticato dispositivo basato sul carbonio che può essere rimpiazzato, un pezzo alla volta o tutto insieme, da un sostituto non vivente che ha lo stesso profilo di input e output – fa tutte le stesse cose e solo quelle con gli stessi input e nello stesso tempo senza perdite di funzionalità.

Se ogni parte del corpo umano può essere sostituita da un analogo non vivente con almeno pari prestazioni, la parte più interessante – e più difficile – da sostituire è il cervello. Del resto se il cervello è come immagina Dennett un “elaboratore di informazioni”, l’informazione è indifferente alla propria consistenza, “neutrale rispetto al mezzo” che la esprime. Una delle idee popolari nella nostra epoca è che il cervello faccia quello che fa un computer, solo che è costruito di materiale organico. Per esempio Richard Masland, neurobiologo specializzato negli organi della vista, ha pochi dubbi e in Lo sappiamo quando lo vediamo (2021) si fa portavoce della comunità scientifica: “io, come quasi tutti gli scienziati, penso che il cervello sia un computer”.

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roars

Ologramma 4.0

di Martina Bastianello

ologramma.jpg1. Premessa sentimental-metodologica

Ricordate gli ologrammi in 2D inflazionati negli anni Ottanta? Ci troviamo davanti una figura che se osserviamo da una posizione frontale presenta determinate caratteristiche, ma se la osserviamo assumendo un punto di vista laterale, cambia. Ricordo alcuni santini cangianti (spuntavano dalle borsette delle nonne) con il santo di turno che si presentava a mani giunte se osservato frontalmente, benedicente se osservato lateralmente. Con il Piano Scuola 4.0 succede qualcosa di simile: guardato frontalmente può apparire come un’occasione imperdibile, facendo slittare la prospettiva la visione cambia. E la seconda immagine, quella che si produce grazie allo slittamento laterale, diffonde un bagliore inquietante. L’inquietudine si amplifica quando considero che in questi mesi – da quando cioè il testo del Piano Scuola 4.0 ha cominciato a circolare nelle scuole – non si è delineata alcuna reazione degna di nota tra i docenti.

Stupita dal silenzio e dalla mancata reazione del corpo docente, ho cercato comunque di confrontarmi con i colleghi poiché non riuscivo e non riesco a capacitarmi di questo atteggiamento: il Piano Scuola 4.0 è il testo che accompagna e contestualizza la gestione dei fondi PNRR destinati alle scuole, fondi che, è bene ricordarlo, non sono una vincita alla lotteria, ma un ulteriore aggravio del nostro debito. Chi ha letto il documento con un minimo di attenzione sa bene che quel testo esplicita non solo il modo in cui devono essere spesi quei fondi, ma veicola chiaramente una determinata visione della Scuola, visione che si può condividere o criticare, ma che nel corso di questi mesi non è mai stata discussa, visione rispetto alla quale non si è aperto alcun confronto.

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lantidiplomatico

Perché i nostri movimenti di massa popolari falliscono

di Chris Hedges – Scheerpost

720x410c50.jpgDal 2010 fino alla pandemia globale del 2020 ci sono stati dieci anni di rivolte popolari. Queste rivolte hanno scosso le fondamenta dell’ordine globale. Hanno denunciato la dominazione delle corporation, i tagli delle politiche di austerità e chiesto giustizia economica e diritti civili. Ci sono state proteste a livello nazionale negli Stati Uniti incentrate sugli accampamenti Occupy durate 59 giorni. Ci sono state sollevazioni popolari in Grecia, Spagna, Tunisia, Egitto, Bahrein, Yemen, Siria, Libia, Turchia, Brasile, Ucraina, Hong Kong, Cile, la Rivoluzione delle candele della Corea del Sud. Politici screditati furono cacciati dalle loro cariche in Grecia, Spagna, Ucraina, Corea del Sud, Egitto, Cile e Tunisia. Le riforme, o almeno la loro promessa, ha dominato il discorso pubblico. Sembrava annunciare una nuova era.

Poi la reazione negativa. Le aspirazioni dei movimenti popolari furono schiacciate. Il controllo statale e la disuguaglianza sociale si espansero. Non c'è stato alcun cambiamento significativo. Nella maggior parte dei casi le cose sono peggiorate. L’estrema destra è emersa trionfante.

Quello che è successo? In che modo un decennio di proteste di massa che sembravano annunciare l’apertura democratica, la fine della repressione statale, l’indebolimento del dominio delle multinazionali e delle istituzioni finanziarie e un’era di libertà si sono trasformati in un ignominioso fallimento? Che cosa è andato storto? Come hanno fatto gli odiati banchieri e politici a mantenere o riprendere il controllo? Quali sono gli strumenti efficaci per liberarci dal dominio aziendale?

Vincent Bevins nel suo nuovo libro “If We Burn: The Mass Protest Decade and the Missing Revolution” racconta come abbiamo fallito su diversi fronti.

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chartasporca

Educazione e violenza: parliamone. Alcuni elefanti nella stanza

di Andrea Muni
Judit y Holofernes por Caravaggio 1536x1161.jpg

La morale insegnata senza precauzioni diventa una cattedrale deserta che [gli educati] temono, e di cui spaccano le vetrate, in spregio a questa vita collettiva che li esclude
(F. Deligny)

Che sorpresa! La gente – repressa, isolata, stordita da droghe legali, inselvatichita dallo sfruttamento e da tre anni di reclusioni – è “tendenzialmente” più infelice e più violenta

Sembra difficile negare che dal presunto ritorno alla normalità post-covid gli episodi di violenza siano in drammatico ed esponenziale aumento. Dai dati Eurispes del 2022 sui crimini violenti a quelli di Federfarma sull’abuso diffuso di psicofarmaci (per tacere di alcol e droghe), arrivando fino alle aberranti notizie della recentissima attualità, sono fin troppi gli indicatori di una vera e propria escalation. Non si tratta di allarmismo, ma dell’urgenza di inquadrare un fenomeno che, purtroppo, non si esaurirà nel giro di qualche mese. La violenza di genere, purtroppo sempre in auge, è senza dubbio l’ambito in cui ne vediamo emergere il lato più spaventoso, frequente e giustamente mediatizzato. Un secondo importante ambito di esacerbazione della violenza riguarda invece la zona grigia delle lesioni personali – dai furti violenti alle estorsioni, dalla gelosia (non solo sentimentale, ma anche in famiglia, tra compagni di lavoro o tra amici) alle aggressioni per futili motivi, dalle risse al bar o in discoteca ai litigi tra vicini e automobilisti per precedenze o parcheggi “rubati”. In terzo luogo troviamo il dato sugli omicidi volontari e preterintenzionali rilasciati dal Viminale il 23 luglio di quest’anno, che segnala un incremento del 4%.

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guerredirete.png

C’era una volta un chatbot

di Andrea Daniele Signorelli

Joseph Weizenbaum acts out Eliza at a computer with printing output photograph 1966.pngTra i tanti ruoli che ChatGPT ha rapidamente iniziato ad assumere nelle vite dei milioni di utenti che lo utilizzano su base quasi quotidiana, ce n’è uno probabilmente inatteso. Per molti, il sistema di OpenAI con cui è possibile conversare su ogni argomento, e spesso in maniera convincente, è diventato un amico, un confidente. Addirittura uno psicologo. Una modalità non prevista (almeno esplicitamente) da OpenAI, ma scelta da un numero non trascurabile di utenti, che si relazionano a ChatGPT come se davvero fosse un analista. Per impedire un utilizzo giudicato (per ragioni che vedremo meglio più avanti) improprio e pericoloso, OpenAI impedisce al suo sistema di intelligenza artificiale generativa di offrire aiuto psicologico, che infatti di fronte a richieste di questo tipo si limita a fornire materiale utile da consultare. Ciò però non ha fermato gli “utenti-pazienti” che, su Reddit, si scambiano trucchi e tecniche per sbloccare ChatGPT affinché fornisca loro consigli psicologici.

 

Joseph Weizenbaum e il suo chatbot ELIZA

Un risvolto che potrebbe sorprendere molti. Uno dei pochi che sicuramente non si sarebbe sorpreso e che avrebbe avuto moltissimo da dire sull’argomento è Joseph Weizenbaum, scienziato informatico e docente al MIT di Boston, scomparso nel 2008. Colui che già parecchi decenni prima della sua morte aveva preconizzato – o meglio, affrontato e approfondito in prima persona – molti degli aspetti che portano le persone a relazionarsi in maniera intima con le macchine e le cause di questo comportamento.

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lantidiplomatico

La pedagogia del potere: come le classi dominanti operano per impedirti di comprendere chi comanda

di Chris Hedges*

720x410c507unb3w.jpgMi trovo in un'aula di un carcere di massima sicurezza. È la prima lezione del semestre. Ho di fronte 20 studenti. Hanno trascorso anni, a volte decenni, in prigione. Provengono da alcune delle città e comunità più povere del paese. La maggior parte di loro sono persone di colore.

Nei prossimi quattro mesi studieranno filosofi politici come Platone, Aristotele, Thomas Hobbes, Niccolò Machiavelli, Friedrich Nietzsche, Karl Marx e John Locke, quelli spesso liquidati come anacronistici dalla sinistra culturale.

Non è che le critiche rivolte a questi filosofi siano errate. Erano accecati dai loro pregiudizi, come noi siamo accecati dai nostri. Avevano l'abitudine di elevare la propria cultura al di sopra delle altre. Spesso difendevano il patriarcato, potevano essere razzisti e, nel caso di Platone e Aristotele, appoggiavano una società schiavistica.

Cosa possono dire questi filosofi sui problemi che affrontiamo: il dominio aziendale globale, la crisi climatica, la guerra nucleare e un universo digitale in cui le informazioni, spesso manipolate e talvolta false, viaggiano istantaneamente in tutto il mondo? Questi pensatori sono reliquie antiquate? Nessuno nella facoltà di medicina legge testi medici del 19 ° secolo. La psicoanalisi è andata oltre Sigmund Freud. I fisici sono passati dalla legge del movimento di Isaac Newton alla relatività generale e alla meccanica quantistica. Gli economisti non sono più radicati a John Stuart Mill.

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 lavoroesalute

Malanova. La violenza sulle donne ha origine da un archetipo primordiale

di Alba Vastano

Malanova 4.jpgMalanova in dialetto calabrese vuol significare cattiva notizia, sventura. Per la gente di San Martino di Taurianova (frazione di Taurianova-Reggio Calabria) Anna Maria Scarfò era ‘la malanova’. Era la puttana che se l’è cercata. Anna Maria non voleva essere omertosa e aveva denunciata il branco composto da tre aguzzini che per tre anni avevano abusato sessualmente di lei. Aveva tredici anni all’epoca e nessuno che le mostrasse attenzione quando, terrorizzata, raccontava l’accaduto. Le era stata sottratta, da un branco di uomini infami, l’adolescenza, la dignità e il sorriso. Infine, con la forza della disperazione, ha uno scatto di ribellione e denuncia i suoi aguzzini. Avviene quando intuisce che anche la sorellina minore, l’affetto più caro che ha, sta per finire nelle grinfie di quelle belve.

E così denuncia alle forze dell’ordine gli abusi subiti. Interviene un’avvocatessa, di quelle tenaci quando si tratta di difendere le donne abusate e riesce a mandare al gabbio gli infami, dopo un lungo processo che si conclude con la condanna degli aguzzini. Anna Maria, però, continuerà a pagarla cara. Tutto il paese le si rivolta contro ed emette una sentenza assurda: ‘Anna Maria ha screditato l’onore dei suoi paesani’. La giovane inizia a ricevere minacce continue, anche di morte ed è costretta, a causa di stalking a lasciare il paese. Dal 2010 vive sotto scorta per proteggersi da nuove minacce, dopo essere stata abusata per più volte sia fisicamente dai suoi stupratori che moralmente dalla gente omertosa del paesello natìo.

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contropiano2

L’AI non è un Paese per pochi

di Carola Frediani*

Pubblichiamo qui l’introduzione di Carola Frediani al primo e-book di Guerre di rete, dedicato all’intelligenza artificiale, dal titolo Generazione AI. Per ricevere l’e-book basta seguire le indicazioni sul sito (che aveva avviato un crowfunding anche a questo scopo).

ai paese per pochi.pngPer anni, agli occhi del grande pubblico e dei media, il termine intelligenza artificiale (IA o all’inglese AI, Artificial Intelligence) ha avuto lo stesso fascino e la medesima concretezza dell’espressione Big Data. Un guscio utile per convegni e paper, con pochi effetti visibili sul quotidiano o la società.

Poi nell’autunno 2022 sono arrivati ChatGPT, la corsa al lancio di prodotti basati su AI generativa, la possibilità di giocare o sperimentare con una miriade di strumenti – spuntati come funghi giorno dopo giorno – e la competizione fra le grandi aziende tech per rilanciare i propri servizi all’insegna di questa tecnologia.

È così iniziato un ciclo industriale e mediatico, fatto di annunci, investimenti, hype e dichiarazioni di ricercatori, che ha alzato una cortina fumogena su quel che è nuovo e quel che esiste da tempo; su quel che è rivoluzionario e quello che invece è reazionario; sui rischi effettivi e quelli presunti; su chi fa progredire il settore e chi è pronto a speculare; su chi trarrà vantaggio e chi verrà sfruttato.

Siccome le cortine fumogene non fanno mai bene all’informazione occorre ripartire dunque da alcuni elementi fondamentali. Quali sono le aziende in gioco e quale il ruolo di multinazionali consolidate come Microsoft, Google, Facebook? Quali elementi sono di novità e quali rischiano di essere gonfiati dalla grancassa che si è sviluppata attorno al settore? Che ruolo hanno la società civile, la politica, gli Stati di fronte a un panorama fatto di aziende private, concentrazione geografica, nonché di ricercatori in netto contrasto fra di loro sulla capacità, l’impatto e i rischi conseguenti a questa rivoluzione, sempre che si possa definire in tal modo?

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roars

Il falso miracolo dell’università italiana dopo un quindicennio di riforme

di Alberto Baccini

gatto mammone3.jpgSono ormai passati oltre 10 anni dalla riforma dell’università italiana nota come legge Gelmini (L. 240/2010). Essa ha dispiegato pienamente i suoi effetti, modificando in modo profondo il funzionamento del sistema universitario italiano. Ci sono ormai diversi elementi fattuali e analisi che permettono di tentare un bilancio degli effetti della riforma. In particolare ci sono ormai dati ed analisi che permettono di mettere nella giusta luce critica la ‘storia’ ufficiale della riforma Gelmini e dei suoi effetti.

 

La preparazione

La riforma Gelmini fu preceduta da una campagna di stampa che preparò il terreno all’accoglimento della legge. Almeno a partire dal 2005 iniziarono a susseguirsi nei maggiori quotidiani italiani articoli che dipingevano l’università italiana come ostaggio di una corporazione di baroni schierati a difesa di professori assenteisti (Petrovich, 2022). Nel 2006, l’allora ministro dell’università e della ricerca Fabio Mussi (Partito Democratico della Sinistra) dichiarava in una intervista che “l’università è un bordello” (QN, 20/09/2006) annunciando prossimi provvedimenti per modificare la governance delle università e introdurre la “valutazione del merito”. Due anni dopo, su il Tempo Silvio Berlusconi si scagliava contro i privilegi e gli sprechi annunciando: “basta baroni all’università” (06/11/2008). A fare da background alla discussione pubblica c’era un fiorente filone di letteratura, dedicata in gran parte agli scandali nei concorsi (Carlucci & Castaldo, 2009). In questa letteratura l’università italiana veniva variamente aggettivata: “università dei tre tradimenti” (Simone, 2000), era “malata e denigrata” (Regini, 2009), “truccata” (Perotti, 2008), “in declino” (Monti, 2007), “irriformabile” (Gagliarducci et al., 2005).

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carmilla

Note brevi (e inconcludenti) sulla violenza giovanile

di Giovanni Iozzoli

note violenza giovanile.jpgChe pena. Che desolazione. L’oppressione interiore dell’impotenza; il senso di inutilità della riflessione, della parola. Eppure pensare si deve, e continuare a parlare anche, essendo tra le poche cose che ancora ci distinguono dagli altri regni di natura. Da dove possiamo re-iniziare una discussione sulla condizione giovanile, senza rimasticare i luoghi comuni più triti, stanchi e inutili – mentre le tracce del cadavere del giovane musicista Giovanbattista Cutolo sono ancora sul selciato di p.zza Municipio, a Napoli, e l’orrore di Caivano è diventato palestra di ogni retorica sulle periferie nemiche da ricolonizzare?

I giovani e la violenza. Non c’è un punto di vista di classe o antagonista, su questa merda. Non c’è perché si fermerebbe alle enunciazioni di principio più eteree: la società capitalista produce mostri e devianza, ergo noi anticapitalisti abbiamo la coscienza a posto, non c’entriamo. Nel mondo ideale che sta nelle nostre teste, patriarcato, classismo, sessismo, machismo e tutto il Male del mondo, non esisteranno più, il giorno in cui avremo abbattuto l’idra imperialista. Come ogni corrente religiosa, guardiamo con scettica amarezza verso i samsara quotidiani che siamo costretti ad attraversare; e rimandiamo ad un mondo a venire il riscatto dei torti, delle brutture e delle nostre confuse ragioni.

Ma qui e ora, oggi, nel presente, questi esercizi retorici non bastano; dobbiamo andare più a fondo col nostro sguardo – imitando la spietatezza degli assassini -, se non vogliamo ridurci a giaculatorie ed esorcismi di segno opposto a quelli reazionari. I quali sognano un mondo in cui una divisa e un fucile sorveglino ogni angolo di strada, ogni condominio; mentre noi ci culliamo nella speranza di un mondo in cui la violenza si estingua per magia, per consunzione, e il lupo e l’agnello vivano in pace nello stesso prato. Utopie reazionarie ed utopie umanitarie.

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labottegadelbarbieri

L’estate sta finendo, anche a scuola

di Autori Vari

 

La Neoscuola delle liberta.jpegLa Neoscuola delle libertà

di Daniela Di Pasquale

Qualche anno fa, il comico Corrado Guzzanti realizzò alcuni fortunati sketch televisivi in cui simulava gli spot elettorali della berlusconiana Casa delle Libertà, dove tutto si poteva fare liberamente, anche le più assurde indecenze, chiosando alla fine con il motto “È la Casa delle Libertà, facciamo un po’ come c…. ci pare”.

Ecco, quello che sta accadendo alla scuola italiana in questo periodo storico è più o meno la stessa cosa, presa d’assalto com’è da esperti pedagogisti di varia forma e natura che hanno aperto le porte a un libertarismo insulso, corredato da un buonismo indulgente senza senso. È iniziata l’era della Neoscuola delle libertà, dove si può fare un po’ come ci pare: è l’autonomia scolastica, bellezza! Tanto nessuno va a verificare se gli studi su cui si basano le elucubrazioni dei sedicenti esperti siano convalidate o meno da tutta la letteratura scientifica; è molto più comodo delegare la nostra cultura professionale e comunitaria ai teorici dell’apprendimento.

Oggi pochissimi osano contestare la degradazione della professionalità docente a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Agli insegnanti ci si rivolge come a dei profani e questa delega agli specialisti in ogni settore è diventata una sorta di religione di Stato, come scrisse Ivan Illich (che riprendo da Boarelli): ecco allora che il professionista-sacerdote impone soluzioni a chi non ha saputo nemmeno riconoscere il problema.

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lafionda

Vademecum alla riforma scolastica del PNRR

di Marco Bonsanto

itten.jpg§1. Tra pochi giorni prenderà avvio un nuovo anno scolastico. Ma la situazione che insegnanti, studenti e famiglie si ritroveranno a vivere sarà molto diversa da quella degli anni precedenti.

Nel silenzio pressoché totale di istituzioni, sindacati e organi di informazione sta infatti per entrare in vigore l’ennesima, distruttiva riforma della Scuola italiana, peggiore persino della “Buona Scuola” di Renzi.

Pianificata dal governo Draghi su mandato europeo e implementata in perfetta continuità dal Governo Meloni, fa parte a tutti gli effetti del PNRR, il piano straordinario di investimento dell’UE finalizzato a ridare fiato agli Stati membri provati dalla Pandemia. In realtà, il PNRR è un colossale piano di indebitamento delle nazioni europee, obbligate a trasformare le loro istituzioni, economie e società in direzione delle politiche sanitarie, alimentari, energetiche, digitali e, non ultime, anche belliche, decise dalle lobby d’Oltreoceano che detengono i brevetti delle relative tecnologie.

Mai come in questo frangente storico è risultato più palese l’asservimento delle élite nazionali ed europee agli interessi geopolitici statunitensi e all’avidità delle corporation che ormai ne detengono il controllo. Prima la Pandemia, ora la guerra contro la Russia, testimoniano senza mezzi termini l’assenza completa d’iniziativa e d’indipendenza dell’UE dagli interessi americani; ne svelano la funzione di “caporalato” nei confronti dei singoli Stati membri ridotti ormai a semplici colonie.

Ed è in questo contesto “neo-coloniale” che vanno lette le pesanti trasformazioni cui dà seguito il PNRR.

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kelebek3

God bless America

di Miguel Martinez

vanitas bruijn.jpgI

Dolce è il sonno del lavoratore, abbia egli poco o molto da mangiare; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire.

Libro dell’Ecclesiaste

Forse vi è arrivata voce della diffusione senza precedenti, della canzone Rich Men North of Richmond, lanciata senza alcun apparato o scopo commerciale da un giovane che canta sotto il nome di Oliver Anthony: del sud degli Stati Uniti, Oliver Anthony ha i problemi di una nazione intera – obeso, sottoccupato, con problemi di salute mentale forse legati anche a un incidente quando si fece male alla testa in un incidente in fabbrica.

Ho detto diffusione, e non successo.

Oliver Anthony vive in un camper, con moglie e due figli senza corrente elettrica: off the grid.

Dalla parte sua, solo un cane bianco e uno nero e Dio, cui ha promesso di non bere più, se fosse riuscito a comunicare il suo messaggio.

Ne nasce una canzone profondamente rivoluzionaria, come può essere tutto ciò che nasce da dentro, e non per gentile concessione dall’alto.

Chi ama profondamente l’America, odia l’impero americano.

Certo, noto nella canzone una battuta contro quelli che campano di sussidi, che non sorprende in chi li deve comunque mantenere con lavori tremendi, ma va visto nel contesto.

Ho venduto la mia anima lavorando tutto il giorno / facendo gli straordinari per quattro soldi / per potermene stare seduto qui e sprecare la mia vita / trascinarmi a casa e annegare i miei guai.

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lacausadellecose

Il povero cristo è sbottato d’odio

di Michele Castaldo

castaldo foto.jpgIl famoso adagio dice che se il dito indica la luna il fesso guarda il dito. Mai fu più appropriato quel detto alle circostanze attuali, ovvero allo sbottamento di un generale dell’esercito ex Folgore che non le manda a dire, ma che prende carta e penna e diviene un fiume in piena contro quello che non gli garba. Il personaggio ne ha per tutti: per gli omosessuali, per le lesbiche, per i matrimoni gay, per la fecondazione assistita, per gli abortisti, per la doppia genitorialità, per gli immigrati, per gli ambientalisti, per i ladri d’appartamenti, per gli zingari che rubano sugli autobus, per gli occupanti “abusivi” di case e così via. Ha dimenticato i comunisti, forse perché li ritiene ormai estinti, bontà sua.

Ovviamente è stato subito rimosso e ritenuto una variabile “impazzita” all’interno di una istituzione “sacra” come l’esercito, nel tentativo di salvare la faccia della Repubblica democratica fondata sul lavoro. A differenza dei tanti – volutamente – sempliciotti che sposano l’idea che un personaggio come Roberto Vannacci non possa in alcun modo rappresentare una parte considerevole del popolo italiano, chi scrive è meno ingenuo e – per così dire – più smaliziato e cerca di capire cosa muove dal sottofondo sociale che erutta dalla bocca del generale. Per un ragionamento molto semplice: o c’è una forza sotterranea che spinge verso l’alto in cerca di un cratere oppure il vulcano è spento. Come dire: è l’abc della fisica. Insomma «il troppo odio» che questo signore esprime non può essere il frutto di una sola persona e non a caso i fogliacci di destra lo cavalcano ben consapevoli che esprime un sottofondo reale presente nella società dopo 500 anni di dominio coloniale e imperialista.

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sinistra

Il corpo non è mio, e me lo gestisco io

di Paolo Bartolini

femministeSicuramente un pensiero della differenza è ancora necessario, forse mai come prima, data la tendenza del sistema tecno-capitalista a diluire ogni singolarità dentro il brodo indifferente del puro funzionamento (monetizzabile). Recentemente una bellissima intervista di Paola Tavella alla filosofa Adriana Cavarero, uscita per Il Foglio, ha suscitato il mio desiderio di aggiungere qualche nota che possa arricchire il dibattito intorno alla teoria gender. Quest’ultimo, quando non serve come diversivo per distogliere la nostra attenzione dai problemi ecosociali prodotti da un modello di sviluppo ipertrofico e criminale, testimonia nel presente un’urgenza diffusa che riguarda i percorsi individuativi di ciascuna/o. Parliamo di corpi in lotta, di corpi che amano, di soggettività attraversate da un senso drammatico (o talora più pacificato) di distanza tra ciò che si prova e il nostro “corpo ricevuto”. Ricevuto da chi ci ha messo al mondo e, simbolicamente, dall’intera specie che nelle sue occasioni individuali si figura, ripetendosi e variandosi nel corso dell’evoluzione.

La riproduzione sessuale pone innegabilmente la questione di sessi complementari che, nel necessitare l’uno dell’altra per generare una vita simile a sé ma non identica (Aristotele), uniscono le loro differenze per produrre quel Terzo che è il figlio o la figlia. Da questo non segue, per gli esseri umani, alcuna prescrizione “naturale” su cosa significhi essere donne e uomini, né un dogmatico divieto alle innumerevoli (ma non infinite) combinazioni amorose. L’identità di genere e l’orientamento sessuale vivono di quella enorme plasticità che caratterizza homo sapiens.

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labottegadelbarbieri

Diverso parere su Oppenheimer e la bomba degli USA

di Giorgio Ferrari

Sul Caso Di J Robert Oppenheimer Heinar KipphardtDubito che questo ultimo intervento – cfr H come Hiroshima, Oppenheimer e lingue biforcute – di cui non condivido nulla, se non il giudizio su Christopher Nolan, sia attribuibile a Vincenzo Miliucci (*).

Non so se chi lo ha scritto abbia visto il film (io non l’ho visto) e se la trama del film, a sua volta, abbia qualche corrispondenza con il profilo di Oppenheimer che si evince da questo testo, ma limitandomi alle cose che vi sono scritte, lo ritengo diseducativo e fuorviante.

Ci sono due eventi nella storia della II guerra mondiale che hanno segnato dei punti limite nella storia dell’umanità: i lager nazisti e l’uso della bomba atomica da parte degli Stati Uniti.

Del primo è stato detto e scritto praticamente tutto, risultandone una condanna definitiva in quanto rappresentazione del male assoluto.

Del secondo persiste invece una sorta di sospensione di giudizio (da parte degli storici e da una larga schiera di intellettuali) che va lentamente risolvendosi in una assoluzione per mancanza di prove o, secondo il diritto penale americano, per l’esistenza di ragionevoli dubbi.

Perché? Cosa c’è che impedisce di emettere, nei confronti del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, un verdetto analogo a quello applicato ai lager nazisti? Forse perché gli ebrei uccisi sono molto di più dei giapponesi? O forse perché a questi ultimi la morte è giunta istantaneamente, risparmiando loro quelle sofferenze che invece furono inflitte agli ebrei?

Non credo che siano questi i distinguo sufficienti ad impedire il pronunciamento di un giudizio, anche perché sofferenze atroci ci furono eccome per i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.

Trattandosi di “strategie di annientamento” viene da chiedersi -cinicamente – se non siano le “tecniche” impiegate a fare la differenza.

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cumpanis

L’origine dell’inferiorità della donna nella dialettica tra natura e cultura

di Alessandra Ciattini*

Immagine per home articolo CIATTININell’articolo si tenta di sciogliere il groviglio formato da fattori materiali e culturali su cui si è fondata l’inferiorità della donna, che nonostante le trasformazioni sociali più recenti non è stata ancora superata. Allo stesso tempo, si tenta di valorizzare la differenza femminile, non annullandola con l’applicazione dei diritti che valgono per l’uno e l’altro sesso. Tale valorizzazione consiste nel pieno riconoscimento della funzione riproduttiva della donna, che dovrebbe essere tutelata con istituzioni ad hoc per permetterle di partecipare in prima persona alla vita sociale, politica e culturale.

* * * *

Introduzione

Credo che oggi, dopo decenni di femminismo di vario genere, si possa affermare che esso nella sua complessità e mutevolezza costituisca ormai un’ideologia ufficiale adottata da tutte le forze politiche, con l’esclusione delle più retrive, che intendono deviare l’attenzione generale dalle questioni strutturali della società attuale (la subordinazione sempre più alienante dei salariati) al problema pur importante, ma non risolutivo, dei diritti umani. Per questa ragione ritengo che occorra concentrarsi sull’origine dell’inferiorità della donna per ricalibrare la sua reale natura politica, mostrando come alcuni aspetti primordiali abbiano continuato a influenzarla e come solo il realizzarsi di certe condizioni consentano la sua effettiva soluzione. Mi muoverò quindi sempre secondo lo schema interpretativo della continuità/rottura.

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lanatra di vaucan

Quando il capitalismo si è messo in quarantena

La crisi del Covid-19 secondo la critica del valore

di Afshin Kaveh

Anselm Jappe, Sandrine Aumercier, Clément Homs e Gabriel Zacarias: Capitalismo in quarantena. Pandemia e crisi globale, ombre corte, Verona 2021, pp. 128

www.mondadoristoreAl momento la prima parvenza di un dibattito pubblico sul Covid-19 – che poi si è a lungo perso polarizzandosi nel tracciare una linea di demarcazione tra chi, di fronte alla nascita, alla diffusione e alla gestione del virus si pretendeva ragionevole, accusando invece di irragionevolezza la fazione opposta e così viceversa – sembra oggi essersi completamente disinteressato di sé, svanendo nel nulla. Di quel poco che ha prodotto ciò che sembra cadere sempre di più nel dimenticatoio è l’accrescimento del livello di coscienza e consapevolezza che, successivamente a quella che riguardandoci indietro viene ricordata come “prima ondata”, sembrava già poter ridisegnare le pratiche necessarie verso vere e proprie rotture emancipatrici: la tragica portata dell’evento aveva illuminato determinati angoli bui della logica del funzionamento del modo di produzione capitalistico tanto che in un primo momento sembrava prendere piede una lettura abbastanza radicale della deforestazione, dell’agricoltura industriale, degli allevamenti intensivi, dell’inquinamento, degli scambi commerciali, della relazione animale umano, animale non-umano e natura e il nesso di questi specifici fattori alla malattia del Covid-19.

A questo proposito il libro Capitalismo in quarantena. Pandemia e crisi globale (ombre corte, Verona 2021, pp. 128) è uno strumento prezioso per poter riaccendere quella luce. Composto a più mani da alcuni dei membri redazionali della rivista francese Jaggernaut ruotante attorno alla corrente internazionale della “critica del valore”, Anselm Jappe, Sandrine Aumercier, Clément Homs e Gabriel Zacarias ne iniziarono la stesura in concomitanza al primo confinamento nel marzo 2020 e poco dopo, verso la fine di agosto, veniva stampato dalle edizioni Crise&Critique col titolo De virus Illustribus. Crise du coronavirus et épuisement structurel du capitalisme, mentre contemporaneamente veniva tradotto ed edito in Brasile come Capitalismo em quarentena, titolo poi ereditato sia dall’edizione uscita in Portogallo che da quella italiana.