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paroleecose2

The next thing: accelerazione tecnologica e digital divide ai tempi del Covid-19

di Serena Ciranna

La pandemia ha cambiato la nostra percezione del Web e messo in evidenza gli effetti della diseguaglianza generazionale nell’accesso al digitale. Se i principali esclusi e a rischio sono gli anziani, le nuove generazioni potrebbero essere le vittime di una assuefazione informazionale che li espone al pericolo della disattenzione

ConnectionsLa pandemia e l’accelerazione digitale

Nelle prime settimane d’isolamento forzato per rallentare il contagio del Covid-19, l’universo digitale ha subito un’improvvisa espansione. Le conseguenze si sono viste rapidamente sia nei contenuti prodotti online che al livello dell’infrastruttura. L’apparato era già lì, ma in pochi giorni ha dovuto reagire ad una domanda sempre più forte. Amazon è stata forse la sola impresa ad assumere impiegati in massa quando altre aziende mandavano i propri a casa. Dall’inizio della crisi, Facebook e la sua controllata WhatsApp, hanno rilevato un aumento del traffico del 50%. Applicazioni di collaborazione a distanza come Slack e Zoom hanno dovuto far fronte a una richiesta inedita. Costretti a fare i conti con l’intimità domestica, con i familiari o con la solitudine, con il tempo ritrovato o la noia, ci siamo rivolti alle tecnologie che avevamo a disposizione sempre più indiscriminatamente e per un ventaglio sempre più ampio di attività. Di conseguenza, il nostro modo di essere utenti di questi servizi è cambiato, non solo in termini di quantità ma di qualità. Dipendenti dalle notizie che venivano dall’esterno, confinati in casa, la nostra connessione a Internet è diventata in molti casi l’unico canale per lavorare, fare la spesa, tenere i contatti con amici e familiari lontani. I nostri dispositivi si sono popolati di applicazioni di cui molti non avevano mai sentito parlare prima, i contenuti pubblicitari sui social media si sono subito adattati a nuove forme di consumo – puntando sugli acquisti online e su prodotti specifici come l’abbigliamento da casa, gli e-books, applicazioni per fare esercizio tra le mura domestiche.

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mondocane

“Andrà tutto bene”. A chi? I fantastici quattro. Liberarsi degli eretici

di Fulvio Grimaldi

san bartolomeoPer Bill Gates i vaccini sono una filantropia strategica che nutre i suoi numerosi affari legati ai vaccini, compreso l’obiettivo di Microsoft di controllare un’identità digitale universale che gli assicurerebbe il controllo dittatoriale sulla politica sanitaria mondiale, punta di lancia dell’neoimperialismo tecnoscientifico multinazionale” (Robert Kennedy Jr.)

Prima regola, non credere a niente di quanto dice il governo” (George Carlin, umorista statunitense)

Robert Francis Kennedy Jr. è figlio di Robert F. Kennedy, ministro della Giustizia USA, assassinato il 6/6/1968, e nipote di John F. Kennedy, presidente USA, assassinato il 22/11/1963. Avvocato impegnato nella difesa dell’ambiente, oppositore della vaccinazione forzata, è fondatore e presidente della “Waterkeeper Alliance”, un’organizzazione non-profit per la difesa delle riserve d’acqua mondiali. Torneremo sulle sue posizioni.

E’ già successo e, ogni volta, è andata peggio. Stiamo facendo la fine dei pagani sotto Costantino e Teodosio, dei sassoni sotto Carlo Magno, dei catari-albigesi con papa Innocenzo III, degli ugonotti (protestanti) per due secoli fino a Luigi XIII e Luigi XIV (e ne sa qualcosa il mio antenato, Pierre de Gerbaulet, che si rifugiò in Vestfalia nel ‘600 e si fece cattolico). Per finire, limitandoci ai genocidi, all’eliminazione pressochè totale dei nativi d’America. A ognuna di queste pulizie etnico-religiose, ma essenzialmente, come oggi, politico-economiche, seguirono arretramenti civili, totalitarismi feroci, desertificazioni culturali, devastazioni morali e ritorni di barbarie. Ogni posizione che sfuggisse all’ordine era criminalizzata come “eretica” (αἱρετικός: “colui che sceglie”. Bello, no?). Protagonista, immancabilmente, l’apparato cristiano nelle sue varie denominazioni, principalmente cattolica. Prima da protagonista, poi da fiancheggiatore.

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lafionda

La scia dell’untore: privacy, ICT e virus non informatici

di Stefano Pietropaoli

photo 1488590528505 98d2b5aba04bL'attuale pandemia legata al COVID-19 sta incidendo radicalmente sulla salute e, in generale, sui comportamenti di una porzione sempre più ampia dell’umanità; ma sta rimodellando anche il ruolo che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione reciteranno nella vita di ognuno di noi.

Da una parte, l’industria dell’hardware sta accusando una battuta di arresto senza precedenti. All’ovvio calo delle vendite si aggiunge la contrazione della produzione di device (come dimostra il caso degli iPhone, prodotti in Cina), a sua volta affiancata dalla sostanziale situazione di stallo in cui si trova lo sviluppo strategico delle reti 5G. Dall’altra, sembra invece godere di un momento di straordinaria espansione la realizzazione di software edi soluzioni cloud-based.

All’isolamento fisico si sta contrapponendo una contiguità digitale che attraversa ogni aspetto della socialità: il lavoro diventa smart working, lo studio diventa e-learning, il commercio diventa digital commerce, la spesa diventa home delivery, le prestazioni professionali diventano on demand services, le riunioni diventano web conferences, e via dicendo in un tripudio anglofonico ormai non più arginabile.

In un simile scenario la vita sociale si muove dunque quasi esclusivamente in rete: flussi di dati di proporzioni incalcolabili (bigger data) mettono in connessione soggetti che altrimenti sarebbero sostanzialmente isolati, oltre che a livello fisico, anche sul piano comunicativo. Stiamo assistendo così a una digitalizzazione di traffici informativi senza precedenti, continuamente alimentata dal ricorso di massa a strumenti di cloud computing, alla condivisione via web di documenti, a videochiamate e teleconferenze.

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lacausadellecose

L’umanità tra paura, stupidità e follia

di Michele Castaldo

urlo munch originaleChi si occupa di questioni sociali dovrebbe essere sempre grato a chi esplicita con chiarezza le proprie intenzioni e la prospettiva per la quale lavora senza nasconderla in una foresta di chiacchiere; altrimenti detto: andare al cuore del problema e farsi intendere da tutti. Bisogna però ammettere che in una fase come quella attuale è molto complicato riuscire a rintracciare linee di tendenza chiare, perché molti “professoroni“ sono in preda al panico; per non parlare degli uomini di Stato che sbandano paurosamente come l’ubriaco che fa ritorno a casa barcollando a zig zag. Cerchiamo perciò, senza ululare alla luna, di rimanere lucidi nel tentativo innanzitutto di capire cosa abbiamo di fronte, di riuscire a rintracciare linee oggettive e soggettive per cercare poi di delineare un punto di vista in questo inizio di caos generale, perché non siamo ancora arrivati in fondo all’abisso.

Prendiamo in esame come campionatura della “classe” borghese, cioè della classe al “potere” dell’attuale modo di produzione.

A fine febbraio un nome altisonante come Carlo Rovelli, un fisico, dunque uno scienziato, sul Corriere della sera scriveva: «Il valore del Green Deal europeo è centrato sull’idea di trasformare la sfida ambientale in opportunità anche economica. Non è presentato come limite alla crescita ma come una nuova strategia di crescita». Eravamo allora prime notizie che giungevano da Wuhan e l’emerito scienziato si avventurava in una nuova proposta per una nuova crescita dell’economia.

Dopo poco più di un mese lo stesso scienziato pubblica sempre sul Corriere della sera (del 2 aprile) un articolo al cui cospetto l’urlo di Munch ci fa la figura dell’oca giuliva.

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tempofertile

Il controllo al tempo della paura. Cronache del crollo

di Alessandro Visalli

gioconda 1582120090849.jpg L’età moderna nasce dalla paura, c’è paura sempre ed ovunque[1]. È questa la enorme forza dalla quale scaturisce la soluzione liberale del “male minore”[2]. E dalla quale scaturisce l’affidamento al sistema della tecnoscienza, la cui prima e più essenziale incarnazione è il sanitario.

Dal clima di paura del XVI secolo scaturisce anche la ragione d’essere dello Stato nazionale, che esiste e pretende di avere il monopolio della forza in quanto e per quanto protegge dalle minacce che turbano l’esistenza delle persone. Dei sudditi, in una prima fase, dei cittadini, dopo. Viceversa, la scomparsa della centralità dello Stato, o la narrazione di tale scomparsa (dato che questo al massimo si ritira lontano dallo sguardo e dalle mani dei cittadini, divenuti troppo esigenti, da retrocedere per questa via a sudditi[3]) fa venire meno questa promessa.

Si tratta di una minaccia esistenziale quindi, per l’ordine sociale e per la vita organizzata. Una minaccia per qualunque ordine sociale, sia esso capitalista o no, occidentale o orientale, del nord e del sud. Per riferirsi ad un esempio storico, anche durante i processi di state-building del periodo della decolonizzazione (1945-75) è attraverso l’estensione di servizi sanitari che è stata spesso cementata la proposta di legittimazione del nuovo stato. Nell'attuale crisi mondiale derivante dalla pandemia da SARS-CoV-2 accade qualcosa di simile. Non è un caso che tutti i paesi del mondo, in pratica, abbiano avuto, con maggiore o minore reattività, lo stesso ciclo di risposta: scoperta-minimizzazione-attesa-allarme-misure di lock down. La ragione è che la vera minaccia non è solo alla vita di migliaia di cittadini, quanto alla funzione stessa dello stato di proteggerli.

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jacobin

La lotta di classe dietro la pandemia

di Luca De Crescenzo

Diversi esperti e Istituzioni sanitarie avevano previsto il rischio in cui siamo finiti. La realtà che stiamo vivendo non è allora un disastro naturale ma è frutto di precisi interessi di produzione e di governi che ne scaricano i rischi su chi lavora

coronavirus Rob Wallace Jacobin italia 1320x481L'Organizzazione Mondiale della Sanità l’aveva definita «inevitabile». Bill Gates, in una conferenza ora divenuta celebre, «il più grande rischio di catastrofe globale». Libri come Spillover di David Quamenn o Pandemics di Sonia Shah avevano documentato questo rischio approfonditamente. L’emergere di una pandemia globale dovuta a un «virus aereo simil-influenzale» (come recitava il documento dell’Oms) non stupisce quindi gli addetti ai lavori. Eppure ha colto impreparati quasi tutti i governi.

Il New York Times ha da poco pubblicato un reportage su una simulazione avvenuta a Novembre dell’anno scorso presso il Dipartimento della Salute statunitense. Lo scenario, chiamato «Crimson contagion», ipotizzava l’emergere di un virus respiratorio nato in Cina capace di diffondersi presto in giro per il mondo e ne misurava il probabile impatto in suolo americano. Il risultato catastrofico – 110 milioni di infetti e più di mezzo milione di morti – mostrava quanto «sottofinanziato, impreparato e scoordinato sarebbe il governo federale in una battaglia di vita o di morte contro un virus per cui non c’è un farmaco».

Non solo quindi avremmo dovuto sapere che una pandemia sarebbe emersa, ma anche che non eravamo preparati ad affrontarla. Lo scopriamo adesso guardando quanto sta avvenendo proprio nel paese più ricco del mondo, oggi al primo posto anche per numero di contagi dopo le minimizzazioni di Trump, gli errori clamorosi nello sviluppo di un proprio test dopo aver rifiutato quello predisposto dall’Oms, la mancanza di controllo centralizzato delle risorse con rincorsa dei diversi Stati per accaparrarsene, i costi esorbitanti di diagnosi e trattamenti (solo ora parzialmente corretti) che impediscono l’accesso alle cure, le protezioni sociali pressoché inesistenti per milioni di lavoratori che li costringono a lavorare anche se malati.

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze/ Fase 5: i movimenti sociali al tempo della quarantena

di Jack Orlando, Maurice Chevalier e Sandro Moiso

coronavirus in italy milan shutterstock editorial 10584951w“Quando l’acqua inizia a bollire…è da sciocchi spegnere il fuoco.” (Nelson Mandela)

“In situazioni di caos, crescono le opportunità per la libertà” (Abdullah Ocalan)

Abbiamo cominciato a ragionare su questa fase in senso strategico ormai un mese fa, cogliendo come questa epidemia sarebbe diventata uno spartiacque tra quella aberrante normalità che vivevamo e ciò che verrà dopo; abbiamo indicato che, in questo tempo di perenne emergenza, l’unica regola della militanza rivoluzionaria è saper abitare la catastrofe per coglierne il campo di possibilità (qui).

Abbiamo proceduto ad analizzare, allora, come questa crisi metta in discussione e demolisca molti degli assunti e delle posizioni consolidate fino a ieri; una catastrofe che non ha risparmiato alcuno spazio dell’agire umano e politico: dalle relazioni internazionali, al controllo sociale, alle relazioni, alla geopolitica, alla guerra o all’accumulazione di capitale. Tutto viene tritato a grande velocità e tutto, altrettanto velocemente, si rinnova buttando via ciò che è obsoleto.

Crediamo che i movimenti sociali non siano estranei a questo processo e che, certamente, non possano esserlo (chi ne rimane al di fuori, d’altronde, è più cera da museo che essere vivente). È all’analisi di questo altro elemento che vorremmo concentrarci adesso.

Nell’ultima settimana abbiamo assistito ad un rapidissimo espandersi del contagio a livello europeo e internazionale, con una forte accelerazione di processi geopolitici ed economici che sembravano premere ormai da un po’(qui).

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la citta futura

Messaggio ai medici e infermieri oltre la pandemia 

di Carla Filosa

Non è lo spirito di sacrificio che il sistema premia con i centesimi e loda con lusinghiere parole, ma è l’accoglimento forzato e inconsapevole del destino liberista che rende la professione medica un martirio e l’etica sociale una pratica straordinaria

72c467482339fb1363b4c01596c51a1f XLAl posto dell’occhiello, la citazione di una parte finale della poesia di B. Brecht, intitolata “Messaggio” [1] viene qui riportata all’inizio di queste brevi osservazioni sull’andamento della pandemia in atto, data la stretta attinenza ai problemi che ognuno di noi sta vivendo, quotidianamente assillati da informazioni contrastanti, in un disorientamento forse non voluto e comunque di impianto istituzionale assolutamente nuovo.

Il “Messaggio a medici e infermieri”

«Ora a voi, medici e infermieri. Pensiamo
che anche fra di voi ci debba essere qualcuno,
pochi forse, ma qualcuno sì, che
si rammenti dei doveri verso quelli
che hanno, come loro, apparenza umana. Invitiamo
costoro a sostenere i nostri ammalati
nella loro lotta contro le Mutue e le consuetudini ospedaliere
che riguardano la classe oppressa.

Impegnarvi in lotta con altri, con gli strumenti compiacenti
dello sfruttamento e dell’inganno. Vi chiediamo che questi
voi li consideriate come nemici vostri. Facendo questo
voi combattete solo la vostra propria battaglia contro i vostri sfruttatori
che ora vi minacciano di quella medesima fame
che ha fatto cadere il nostro compagno.
Lottate con noi!»

Il «compagno» della poesia riguardava un comunista ammalato di tubercolosi, abbandonato alla fame e all’umidità, cui giunge l’esortazione a lottare sia contro la malattia sia contro l’oppressione, che l’«hanno fatto ammalare». Oggi la tubercolosi, flagello durato fino al secondo dopoguerra, è stata confinata e quasi debellata nei Paesi sviluppati, mentre è ancora una delle prime cause di morte nei paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia con circa 2 milioni di morti l’anno.

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il rasoio di occam

La causa assente: tempo e lavoro all’epoca del coronavirus

di Fabio Vighi

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Nell’accelerare il processo implosivo del capitalismo globale, Covid-19 ci permette di toccare con mano il vuoto attorno a cui pulsa l’ormai sterile dialettica del capitale. Silenzioso e invisibile, il virus che oggi paralizza le nostre società contiene un piccolo frammento utopico proprio nell’incarnare il ‘grado zero’ della nostra condizione. A margine di sempre più improbabili resurrezioni neo-keynesiane o (peggio) neoliberiste, si avvicina una resa dei conti che converrebbe affrontare con spirito autenticamente critico piuttosto che (fingere di) ignorare

Pensare di poter fare ‘buon uso’ del Covid-19 è senz’altro un’illusione, oltre che offensivo per chi – come sempre le fasce sociali più deboli – muore, soffre e si appresta a fronteggiare una recessione devastante. Tuttavia, dobbiamo ammettere che il virus ci consegna un oggetto sempre più raro nella nostra epoca, ovvero un tempo almeno parzialmente liberato dalla ‘passione conformistica’ che ci lega al nostro mondo. Improvvisamente diventa possibile, in un certo senso inevitabile, sottrarci agli imperativi (o ‘aperitivi’) categorici che regolano le nostre vite. Alla fissità dello spazio in cui siamo costretti fa da contraltare una temporalità svincolata dai regimi di comportamento coattivo del turbocapitalismo post-industriale. Volente o nolente siamo obbligati a fermarci e ad ascoltare il silenzio di un mondo che, almeno per ora, non ci appartiene più.

 

1. L’evento-trauma

Se l’evento-coronavirus non può che essere percepito come trauma da intere popolazioni assoggettate alla disciplina economico-esistenziale del capitale, dobbiamo ugualmente provare a far tesoro dell’esperienza dello scacco.

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lavoroesalute

Covid-19, braccio di ferro con la paura e con l'Europa

Alba Vastano intervista Paolo Maddalena e Giovanni Russo Spena

“Attuare valide, unitarie (la salute, a differenza del danaro, è un bene eguale per tutti) e proporzionali misure restrittive delle libertà personali per salvaguardare la vita e la salute dei cittadini è pienamente legittimo, poiché, come insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale, il diritto fondamentale alla vita e alla salute prevale sugli altri diritti fondamentali” (Paolo Maddalena). - “ L’umano, anche se assolutamente libero, può essere limitato; l’opposto dell’assolutamente libero è il diritto. Il diritto configura, quindi, il limite, che è alla base degli ordinamenti costituzionali. Non vi è bisogno di auspicare poteri eccezionali contro l’emergenza, perché la democrazia costituzionale sa rispondere alle emergenze. Non vi è dubbio che concetti come diritto, libertà individuali, Stato di diritto sono sottoposti ad una dura pressione (Giovanni Russo Spena)

Maddalena Russo SpenaViviamo un incubo, sommersi da una realtà che non ci appartiene e che rifiutiamo. Il motivo è racchiuso in una parola: paura. Paura perché non conosciamo chi ha stravolto le nostre vite. Paura perché ci è dato di pensare che nessuno lo conosce. Eppure l’invisibile, per paradosso, è fisico, è presente, troppo presente. Una presenza minacciosa, ingombrante, infida, cinica che ha portato via già troppe vite e le ha portate via nel modo peggiore. Con la paura e da sole. Non una carezza di un loro caro, non un ultimo saluto, alcun conforto di fronte al male. Da sole con la paura e la solitudine davanti alla morte. Ѐ troppo ed è insopportabile. Questo maledetto signor ‘Chi?’ non si fa gestire da nessuno, nonostante tutti si affannino a localizzarlo e a darcene notizie. Il signor ‘Chi?” lo immaginiamo tutti, così come ce lo presentano, come fosse una corona di fiori purpurei. Un corona pronta a germogliare. Ѐ il look del demonio quando vuole impossessarsi di un corpo e distruggerlo. Proviamo ad abbatterla questa paura con il pensiero positivo di quanto avverrà dopo, di quando ci ritroveremo tutti nella nostra usuale socialità. E ci riprenderemo la nostra vita di sempre. Proviamo anche a capire cosa è accaduto e cosa accadrà. C’è solo un’arma per gestire la paura. Ѐ il buonsenso. Occorre solo il buonsenso.

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filosofiainmov

Il covid-19 bussa alla porta della barbarie, non del socialismo

di Paolo Ercolani

33116092530 b91112765d b 825x510Alain Badiou è uno dei filosofi più autorevoli e sicuramente rappresenta un motivo d’onore il fatto che abbia scritto un articolo per Filosofia in movimento.

Articolo in cui il pensatore marocchino analizza il contesto storico-sociale nell’epoca del Covid-19, proponendosi di utilizzare il metodo cartesiano di individuazione oggettiva dei fatti, così da «non comprendere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presenta così chiaramente e distintamente (si clairement et distinctement[1].

L’operazione mi sembra riuscita soltanto in parte, tanto da spingermi a intervenire per rimarcare alcuni punti che sono sfuggiti a Badiou, o che non ha proprio considerato oppure, sempre a mio avviso, interpretato male.

Possiamo schematizzare in tre tipologie gli elementi che collegano il Covid-19 all’umanità.

La prima è per così dire oggettiva: il virus colpisce l’uomo. Quella che Aristotele avrebbe chiamato la realtà «in atto».

La seconda è fisiologica, nel senso che evidenzia la natura comune che li unisce ancor prima che il primo si manifesti colpendo il secondo (la realtà «in potenza»). Ciò fin dalla radice semantica del nome: «virus» (che significava «veleno» in latino) evidenzia una comunanza con «vir» (che sempre in latino era uno dei termini con cui si definiva l’uomo). In questo senso il virus non è un elemento estraneo (ed esterno) all’umanità, che la colpisce alla maniera di una disgrazia tellurica (terremoto), bensì un elemento consustanziale all’umanità stessa, una tragedia che si inscrive nel quaderno per tanti versi a noi sconosciuto di quella che chiamiamo «vita».

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illatocattivo

Covid-19 e oltre

di Il Lato Cattivo

latocattivo Covid 19 def html immc324b9002ca670e6«Nulla l'uomo teme di più che essere toccato dall'ignoto»

(Elias Canetti)

In un mondo economicamente in avaria, ma politicamente stagnante, lo shock deve talvolta arrivare «dall'esterno», da fattori o eventi che inizialmente non sono né economici né politici e, all'occorrenza, nemmeno strettamente umani. Non che le epidemie possano dirsi fenomeni puramente biologici1, ma ci pare evidente che se quest'episodio dell'eterna lotta fra l'uomo e gli agenti patogeni, che oggi va sotto il nome di Covid-19, sta prendendo una piega così drammatica, ciò risulta dall'ambiente peculiare – quello sì, puramente sociale – in cui essa si svolge. Che una «tempesta perfetta» in ambito economico fosse in arrivo, lo si sapeva da tempo2. Che questa si sarebbe coniugata con una pandemia di vaste proporzioni, difficilmente lo si sarebbe potuto prevedere. Ciò introduce innegabilmente un elemento di novità nello scenario, la cui valutazione richiede prudenza e sangue freddo: troppe volte si è detto che nulla sarebbe più stato come prima per i più insulsi spostamenti di virgola. Vero è che il concreto modo di vita di una parte crescente della popolazione mondiale è già pesantemente intaccato (circa tre miliardi di confinati sulla carta al 25 marzo), e la tendenza andrà senza dubbio rafforzandosi. I pochi che ancora pensano di poter tornare al solito tran-tran dopo tre settimane di quarantena light passati su Netflix, resteranno delusi. Non solo e non tanto perché, in Italia come altrove (Francia, Spagna etc.), il famoso picco dei contagi si fa attendere, ma soprattutto perché il ritorno a una parvenza di normalità nell'attività economica e negli spostamenti quotidiani si farà a epidemia ancora in corso, imponendo considerevoli misure di monitoraggio e di messa in sicurezza al fine di scongiurare una seconda ondata di contagi e di decessi. Ciò vale in particolare per i paesi in cui la tentazione neo-malthusiana della «immunità di gregge» è stata variabilmente respinta.

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ilponte

Economia di guerra e Covid-19

di Luca Michelini

coronavirus 4937116 1920 1024x6831. Macron, Presidente della Repubblica Francese, si è spinto a invocare per l’emergenza Covid-19 la “mobilitazione generale”, “perché siamo in guerra”1. Si invoca, insomma, la creazione di una sorta di economia di guerra. Ciò che del resto sta accadendo in Italia e nel resto d’Europa con un ritardo forse colpevole (il caso inglese essendo il più sconcertante), è paragonabile a provvedimenti tipici di una economia di guerra, anche se le nostre massime autorità, il Presidente del Consiglio Conte e il Presidente della Repubblica Mattarella, hanno finora adottato toni assai più misurati di quelli usati da Macron. Nel recente decreto del Governo italiano, in ogni caso, compaiono disposizioni in merito ad eventuali “requisizioni”2, provvedimento tipico da economia di guerra. E non bisogna dimenticare che le economie di guerra, quando è il “nemico” a dettare la tempistica, nascono spesso con provvedimenti presi poco alla volta, sull’onda dell’emergenza e dei repentini cambiamenti di scenario, senza alcuna predisposizione precedente di una qualche effettiva rilevanza3. Siamo dunque agli esordi di una possibile economia di guerra, i cui sviluppi dipendono dall’evolversi della situazione sanitaria. Così almeno fu il caso dell’Italia nel corso della Prima Guerra Mondiale. E mi limito volutamente a questo esempio perché vittorioso nonostante tutto; cioè nonostante il fatto che è in questa guerra che hanno radici i turbamenti sociali che portarono alla dittatura fascista e dunque alla seconda guerra mondiale.

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doppiozero

La faccia nascosta dell’epidemia

di Antonio Vercellone

coronavirus 1 1050x551 1Molti sono i giornalisti e gli intellettuali che, negli ultimi tempi, si sono cimentati nel descrivere, spesso con dovizia di particolari, lo scenario che ci si presenterà dopo l’epidemia.

Queste analisi scontano necessariamente due limiti. Primo: le dimensioni di questa crisi non permettono di mantenere il distacco necessario a immaginarne ragionevolmente gli esiti. Secondo – ed è questo ciò che più rileva – tali esiti dipendono in gran parte dalla comprensione critica che, su ciò che sta accadendo, come collettività siamo in grado di costruire.

Ed è questo che dovrebbe allora occuparci e, soprattutto, preoccuparci.

La sensazione, infatti, è che l’emergenza stia legittimando una narrativa pericolosa, che reca come implicito il fatto che il solo metterla in discussione o problematizzarla rende colui che lo fa una specie di nemico della salute pubblica, che si sottrae a una tanto stucchevole quanto fittizia “unità nazionale”, alla quale saremmo tutti chiamati.

In altre parole, o uno si compra l’intera retorica di #iorestoacasa, dell’inno nazionale dai balconi, degli arcobaleni attaccati alle finestre e del quotidiano decreto del Governo (retorica sdoganata in modo più o meno nauseabondo da cantanti, presentatori e sportivi su canali social e tv) o si viene automaticamente tacciati di non aver compreso la gravità della situazione e di volersi sottrarre alle proprie responsabilità.

Ora: che questo virus rappresenti una tragedia immane e che i principi di solidarietà, prevenzione e precauzione impongano a ognuno di noi di restare in casa, di limitare gli spostamenti e di attuare le ormai note norme di distanziamento sociale, è un dato incontestabile, sul quale non si può che essere d’accordo. Si deve, tuttavia, poter dire che la narrativa attraverso cui queste necessità sono veicolate è a tratti scivolosa, pericolosa e non scevra di profonde criticità.

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commonware

Cittadino-consumatore e cittadino-paziente

Julia Page intervista Ugo Mattei

IMAGE 2020 03 05 093945L’emergenza Coronavirus ci ha sicuramente messo davanti ad uno scenario inedito. Tuttavia, la sua eccezionalità non sta tanto nella sua dimensione “emergenziale” - dispositivo, quello dello stato d’emergenza, ormai rodato da diversi anni in Occidente, tra terrorismo, terremoti ecc. - quanto piuttosto nel suo carattere sanitario. Questa peculiarità sembra aver fatto sì che l’asse del discorso si sia spostato tutto dal piano politico a quello scientifico, con la conseguente assunzione, da parte delle istituzioni dell’industria tecnoscientifica - incarnate nell’OMS o nella Protezione Civile italiana - di un ruolo immediatamente politico. E l’eliminazione del dato politico dall’equazione, con uno schiacciamento sull’approccio scientifico, fa sì che i processi di individualizzazione della popolazione vengano sempre più esacerbati in chiave di “colpa” e responsabilità: un po’ come accade con il discorso ambientalista, il nemico non è più individuato verticalmente, ma orizzontalmente. E così, nemico è il runner, il vicino che non sta in casa, e - procedendo per analogia - chi non fa la raccolta differenziata. Il dominio della Scienza, poi, sembra aver esasperato anche un altro aspetto, che è quello che interessa il binomio Libertà/Sicurezza: se nell’ordine del discorso capitalistico tanto l’una quanto l’altra assumono il carattere di merce, l’emergenza Coronavirus sembra aver generato la situazione paradossale in cui tutti finiscono per prediligere la merce-sicurezza rispetto alla merce-libertà.

Quello che è certo, è che il virus non è stato la causa, bensì l’elemento di accelerazione di processi già in atto, dal disfacimento delle istituzioni sovranazionali - una su tutte l’Europa, e più in generale un ripensamento della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta - ai processi di individualizzazione delle soggettività. Ne abbiamo parlato con Ugo Mattei, docente di Diritto Internazionale presso l’Università di Torino.

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coniarerivolta

Il mito del conflitto generazionale e la realtà del conflitto di classe

di coniarerivolta

simpson87yL’emergenza sanitaria di queste settimane, come avviene in tutti gli stati emergenziali, sta mostrando in tutta la sua crudezza alcuni tratti tipici della nostra organizzazione economica e sociale. Gli effetti devastanti dell’austerità sul sistema sanitario rivelano in modo brutale cosa significhi davvero la logica della scarsità delle risorse imposta dalle politiche economiche degli ultimi decenni. A fronte di una disponibilità limitata di posti di terapia intensiva occorre, come in un’economia di guerra, effettuare delle scelte e sacrificare il più vecchio o il già malato, colui che avrà meno possibilità di sopravvivenza a favore del più giovane e sano. La scarsità delle risorse, non certo naturale o da deficit tecnologico, ma imposta da anni di politiche di austerità, impone una logica di sapore darwinista di selezione del soggetto da salvare, contrapponendo giovani e vecchi e sani e malati.

Questa apparente contrapposizione non è limitata, però, al campo della salute. Da molti anni il dibattito pubblico è permeato di una retorica che è divenuta quasi costitutiva del nostro modo di pensare: quella di un inevitabile conflitto economico intergenerazionale tra giovani e anziani, per la spartizione di risorse economiche scarse, nel tempo della crisi demografica irreversibile dell’occidente.

Il presupposto oggettivo di questa idea è l’esistenza di un’indubbia crisi demografica che nei paesi europei, e più in generale nel mondo industrializzato, ha avuto inizio negli anni ’70-’80 del secolo scorso e si manifesta come crescente squilibrio anagrafico tra giovani e vecchi, con la crescita degli ultimi e la diminuzione dei primi.

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lantidiplomatico

“Il Covid-19 è un coltello che è finito nelle mani delle Élite per raggiungere un loro vecchio scopo: arrivare ad un potere assoluto e totalitario”

Francesco Guadagni intervista Fulvio Grimaldi

Secondo il giornalista e documentarista Fulvio Grimaldi, “la Storia ci dirà che questo coltello verrà utilizzato per degli scopi che si sono sempre ripromessi le élite, cioè arrivare ad un potere assoluto, totalitario. Ristabilire un nuovo paradigma sociale, che veda una riduzione dell’autonomia, dell’autodeterminazione da parte delle masse, e una concentrazione di potere e di ricchezza al vertice”

bef26f249887a022e6e0831fe995f4b9Fulvio Grimaldi nella sua carriera giornalistica ha lavorato per la Radio, BBC di Londra, RAI, ha scritto su Lotta Continua, Vie Nuove, Liberazione. Noti i suoi documentari sui fronti di guerra, Iraq, Palestina, Siria, Eritrea, oltre che in Venezuela, Messico, Iran. In questa intervista abbiamo analizzato con Grimaldi la problematica Covid-19, sotto vari aspetti: mediatici, economici e geopolitici.

* * * *

Pandemia Covid-19, C'è stata per te una manipolazione mediatica, di dati, sulla percezione del pericolo, se sì, per quale ragione secondo te? Rispetto per esempio all’influenza "Spaziale" del 1970 che in Italia provocò 20.000 morti e 13 milioni di persone a letto di cui in pochi si ricordano. Oggi perché c’è un approccio diverso?

Neanche 2 anni fa ci fu questo panico. Nel 2018, un articolo del Corriere della Sera denunciava il caos totale della Sanità per l’arrivo dell’influenza. C’era la stessa catastrofe sanitaria, mancanza di personale, attrezzature, una categoria falcidiata dai tagli nel corso degli ultimi 30 anni che non riusciva ad affrontare l’immane numero di contagiati da influenza “normale”.

Non voglio dire che il Covid-19 sia il risultato di una pianificazione lucida e programmata, per quanto ci sarebbero elementi che lo farebbero pensare, perché c’è una storia di crimini programmati lucidamente, con provocazioni mondiali per raggiungere certi fini, a partire dall’11 settembre al Golfo del Tonchino.

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze / fase 4: pandemia, crisi, clima e guerra

di Sandro Moiso, Jack Orlando e Maurice Chevalier

sciopero 43 3We can do it together” (Boris Johnson)

“Nous somme en guerre” (Emmanuel Macron)

“Ci sono guerre che possono essere vinte soltanto con la disciplina collettiva. La Francia deve accantonare il suo ribellismo” (Le Parisien, 17 marzo 2020)

“Salvare l’economia” (Les Echos, 18 marzo 2020)

“No society can safeguard public health for long at the cost of its economic health.”

(The Wall Street Journal, 20 marzo 2020)

“La paura della gente si può trasformare in rabbia” (Maurizio Landini)

“E’ la guerra. Tutto è più immediato” (Perfidia – James Ellroy)

Per una volta iniziamo la nostra cronaca da oltre frontiera. Prendendoci, oltretutto, la libertà di modificare parzialmente i nomi dei quattro cavalieri dell’Apocalisse.

Quello che salta subito agi occhi ovunque, dalla Francia agli Stati Uniti passando per l’Australia, è che per i governi e i media la preoccupazione più importante fino ad ora è stata quella di salvaguardare economia, produzione e profitti.

Come al solito gli americani sono i più pragmatici ed espliciti, motivo per cui il Wall Street Journal può tranquillamente ratificare, nell’editoriale redazionale del 20 marzo, che nessuna società può salvaguardare a lungo la salute pubblica al costo di minare quella economica. Chiaro abbastanza no? Ma se l’organo per eccellenza del capitalismo e della finanza americana lo afferma con chiarezza, anche qui da noi non sono mancate le spinte in tale direzione. L’abbiamo misurato con l’enorme ritardo con cui il governo degli ominicchi e degli abbracci è giunto a decretare una chiusura vaga e fumosa che lascia non pochi dubbi sulla sua reale entità, evitata a ogni costo fino all’ultimo momento e poi, una volta varata, posticipata per dare una nuova mano agli squali di Confindustria.

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operaviva

La sfida politica della pandemia

di Pierre Dardot, Christian Laval

Per Pierre Dardot e Christian Laval, autori di «Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo» (DeriveApprodi, 2015), la pandemia Covid-19 mette alla prova la capacità delle strategie politico-economiche che dovrebbero fronteggiarla. «Quello che stiamo vivendo lascia intravedere quello che, con la crisi ambientale in atto, ci attende nei prossimi decenni se la struttura economico- politica globale non dovesse cambiare»

Alfredo Jaar Be Afraid of the Enormity of the Possible 2015 940x704La pandemia di Covid-19 è una crisi sanitaria, economica e sociale globale ad un livello extra- ordinario. Poche situazioni storiche possono essere paragonate, perlomeno negli ultimi decenni. Questa tragedia, da subito, è un banco di prova per tutta l’umanità. Prova nel senso duplice della parola: dolore, rischio e pericolo in un senso; prova, valutazione e giudizio dall’altro. Quella che la pandemia mette alla prova è la capacità delle organizzazioni politico-economiche di far fronte a un problema globale legato alle interdipendenze individuali o in altri termini a tutto quello che riguarda la vita sociale nelle sue forme più elementari. Come una distopia che sarebbe diventata la realtà, ciò che stiamo vivendo lascia intravedere ciò che, con il cambiamento climatico, attende l’umanità tra qualche decennio se la struttura economico-politica del mondo non dovesse cambiare rapidamente e in maniera radicale.

 

Una risposta di Stato a una crisi globale?

Prima osservazione: da una parte e dall’altra, si predispongono volontari della sovranità dello Stato nazione come risposta all’epidemia globale secondo due modalità più o meno complementari e articolate nei vari paesi: da un lato, ci si affida allo Stato per prendere delle misure autoritarie di limitazione dei contatti con la messa in atto del noto «stato d’emergenza» (dichiarato o meno), come in Italia, Spagna e Francia; dall’altro lato, ci si attende che lo Stato protegga i cittadini dall’importazione di un virus che arriva dall’estero.

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tempofertile

Disorganizzazione e riorganizzazione. Coronavirus e cronache del crollo

di Alessandro Visalli

JeremyMann NYC40 2018 oilonpanel 48x48in. 31000Il DPCM 22 marzo 2020 ha compiuto un ulteriore e forse decisivo passo verso il blocco di ogni attività produttiva nel paese. Ancora una volta siamo un passo avanti di ogni altro paese occidentale, un passo verso un baratro o verso la soluzione della crisi. Dopo una lunga trattativa con i sindacati, che volevano una chiusura molto più ampia, e le altre componenti del mondo industriale, che la volevano minore, si è deciso di chiudere. Quindi saranno arrestate tutta la filiera dei metalli, il noleggio automezzi, parte dell’industriale metalmeccanica, parte del tessile, l’attività estrattiva (meno quella degli idrocarburi), il settore delle costruzioni, la fabbricazione di mobili, etc. Tutti settori che andranno ad aggiungersi al commercio che era stato già fermato.

Restano aperti gli studi professionali, la stampa, i tabaccai, la filiera agroindustriale, e la fabbricazione di macchine al suo servizio, parte del tessile, la chimica e la farmaceutica, il settore elettrico e la relativa componentistica, il settore della depurazione ed igiene, i contact center, tutte le attività di trasporto connesse, le attività finanziarie, la ricerca, riparazioni e manutenzioni, aerospazio e difesa.

Il Presidente Conte ha detto, in sostanza, che resteranno chiuse le attività “non necessarie” e che lo Stato fornirà tutto l’aiuto che serve.

Un sistema produttivo ed economico altamente finanziarizzato e interconnesso, come quello che ci ha lasciato in dote la mondializzazione degli ultimi trenta anni è come un calice di cristallo. Esile, elegante, sottile, durissimo e fragile.

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sebastianoisaia

A che punto è l'incubo

di Sebastiano Isaia

manis1. Il salto non è evolutivo…

La virologa Ilaria Capua, ultimamente molto presente sui media nazionali, dà un’interpretazione storico-sociale della pandemia che sta investendo l’intero pianeta che trovo molto interessante, sebbene questa interpretazione risulti appesantita dal suo peculiare approccio scientista ai fenomeni sociali. Per molti aspetti la scienziata non fa che ripetere quanto aveva scritto qualche giorno fa Mario Tozzi sulla Stampa di Torino e da me citato nel precedente post. Dal mio punto di vista le tesi esposte dai due personaggi è molto significativa perché mostrano la natura essenzialmente sociale dell’attuale crisi sanitaria, ossia la sua profonda e ramificata radice capitalistica – parlare di una generica “globalizzazione” e tirare in ballo un altrettanto generica prassi tecnoscientifica non coglie il cuore del problema e anzi contribuisce a rendere difficile la sua individuazione. Ma questa è una “problematica” che spetta all’anticapitalista affrontare.

Veniamo alla dottoressa Capua, intervistata da Raffaele Alberto Ventura per Le grand continent:

«L’esperienza delle precedenti pandemie bastava a immaginare questo scenario. Tuttavia si tratta di fenomeni che toccano una tale quantità di sfere, da quelle naturali a quelle sociali, con innumerevoli ramificazioni, che per affrontarli un approccio interdisciplinare è fondamentale. Nel mio libro Salute Circolare mi ero precisamente concentrata sugli squilibri globali che rendono sempre più probabili simili scenari. In un certo senso, questa pandemia la stavamo tutti aspettando. […]

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la citta futura

Sacrifici e classi sociali

di Carla Filosa

Il sacrificio individuale della quarantena da Coronavirus, sebbene coinvolga popolazioni del mondo intero, non può definirsi collettivo in quanto gestito in modo differente dai vari governi e analogamente subìto dalle masse, non già comunità, ma somma di individui

2ea7bf7f3b1670977aa6b5b00fc6b7f0 XLIl tema del sacrificio è senz’altro accattivante e, in un momento come questo di “sacrificio” più o meno volontario della propria libertà personale da scambiare col contenimento di un virus altamente nocivo, può attirare ancor più l’interesse a saperne di più.

L’argomento a cui però si fa qui riferimento è trattato in un articolo a firma di Luigino Bruni su Avvenire (14 marzo), dal titolo “Ambiguo è il sacrificio”. In questa sede il tema sviluppato non avrebbe suscitato alcuna particolare attenzione se non fosse stato per la citazione di Marx, all’interno di una visione teorica del tutto arbitraria, tanto più in quanto alla fine sembra strizzare l’occhio nel denunciare l’ipocrisia capitalistica che usa parole sostitutive della realtà: “la bella parola sacrificio copre la brutta parola sfruttamento”.

Qui non si intende entrare nel merito dell’uso religioso del sacrificio, così come la storia umana ce l’ha consegnato, sparso in vari continenti ed epoche differenti, bensì ribadire che, non solo la matrice religiosa, ma anche quella ideologica e politica della storia umana, vede il suo inizio promosso dalla creazione di mezzi atti a soddisfare i bisogni immediati dell’esistenza, quali cibo, acqua, riparo abitativo, vestiario, ecc., cui sono seguiti poi sempre nuovi bisogni. L’articolo di Avvenire sembra peraltro riecheggiare le ricerche che sulla fine dell’800 furono effettuate sui popoli primitivi per dare alla vita religiosa una preminenza sulla vita pratica, profana ed economica, per caldeggiare il procedere di un progresso economico da presupposti sacrali quale base e origine di ogni altra manifestazione.

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lanatra di vaucan

La quarantena del geo-capitalismo.

Corpi, virus, natura e valore

di Dario Padovan

Corsaire Shipwreck by Gustav Dore circa 1860E’ bastata una settimana per smentire Giorgio Agamben e tutti coloro che hanno pensato con lui che questo virus fosse l’invenzione di un capitalismo sempre più aggressivo e autoritario, cosa peraltro vera, volta ad estendere “stati di eccezione” – destinati a trasformarsi in una vera e propria militarizzazione – a crescenti porzioni di popolazione mondiale. L’evolvere della crisi ha dato ragione ad Agamben nella misura in cui lo stato di emergenza è stato esteso a tutto il paese, ma ha completamento smentito l’idea di una epidemia inventata che sarebbe alla base della giustificazione dello stato di eccezione nazionale proclamato dal governo. Ma questo non perché il virus non possa essere stato sintetizzato da qualche parte, in qualche segreto laboratorio dedito alla manipolazione della natura e delle sue profonde architetture genetiche, ma perché le sue conseguenze sono l’esatto contrario di quello che è stato detto fin qui da molti sinceri critici e oppositori del capitalismo. La “logica dell’eccezione”, che quindi eccede e muta radicalmente lo stato di normalità e conservazione della vita sociale, è stata applicata a una situazione di concreta minaccia che sta generando conseguenze molto più profonde del semplice peana di chi ritiene che le nostre libertà di consumatori sovrani appagati dalla logica della merce siano violate. Il dilemma hobbesiano tra libertà e sicurezza che Agamben evoca alla fine del suo breve articolo, forse è un po’ più complicato di quanto possa sembrare.

In realtà quello che sta avvenendo con un virus che si presenta più violento di quanto sembrasse all’inizio, nonostante il suo Ro di 2 (ma alcuni indicano un Ro di 4.1 ossia la potenzialità media di ogni contagiato di infettare altre quattro persone), implica molte interessanti riflessioni.

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Coordinamenta2

La rabbia non ha più radici?

di Elisabetta Teghil

rabbia[…] il legame che intercorre tra ideologia e ordine sociale, produzione e riproduzione risulta tutt’altro che stabile, consentendo la possibilità di rifiutare il consenso, romperlo e annullarlo, impedendo il respingimento o il riassorbimento della resistenza nel sistema […]
Federica Paradiso, Le radici della rabbia, Red Star Press, Roma 2014

La città è blindata, la società è blindata, dobbiamo stare tutti/e a casa per paura del contagio da coronavirus. Gli appelli si susseguono, i decreti si rincorrono, uno più vincolante dell’altro, uno più autoritario dell’altro. Non possiamo uscire nemmeno a piedi se non per necessità dimostrabili, non possiamo dare la mano a nessuno e tanto meno abbracciare nessuno, non possiamo uscire dalle nostre case, dobbiamo mantenere la distanza di sicurezza di almeno di un metro da ogni altro essere umano, non possiamo neppure andare a trovare i nostri cari, non parliamo poi di spostarci fuori città o di circolare per il territorio. I messaggi arrivano tamburellanti attraverso i mezzi di comunicazione di massa. La sera poi non circola assolutamente nessuno solo le volanti della polizia o le pantere dei carabinieri o le macchine della municipale che fermano chi è sorpreso fuori casa e deve perciò giustificarsi pena una denuncia penale e una multa salata. Gli elicotteri ronzano sulle nostre teste. Ma siamo per caso in guerra? C’è il coprifuoco? Cosa giustifica provvedimenti tanto forti di controllo militare?

Un virus, il coronavirus per l’appunto che, dati del 18 marzo 2020 alle ore 18 pubblicati sul portale governativo, ha provocato finora in tutta Italia 28.710 casi di positività accertati, di cui 14.363 ricoverati e di questi 2257 in terapia intensiva, 2978 decessi e 4025 guariti. L’epicentro è in Lombardia e in particolare a Bergamo. La stragrande maggioranza delle morti riguarda pazienti in età molto avanzata e/o con altre patologie in atto, con le eccezioni che ci sono sempre.

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mondocane

Nord: massimo inquinamento d’Europa + tagli Sanità + influenza = 3.400 morti

di Fulvio Grimaldi

La storia nerissima – e ignorata - di chi ci ha portato fin qui

big pharma ZapiroUna (sola) voce dal sen fuggita

“Essere eretici. Avere il coraggio e la modestia di mettere in discussione tutto e onorare il dubbio”. "Questa è un’infezione che fa ammalare il 10% degli infettati e provoca la morte non come causa primaria” (Maria Rita Gismondo, direttore Microbiologia clinica e Virologia Ospedale Sacco, Milano). Ma la Polizia Postale sta arrivando….

 

E meno male che c’è l’ISS, antidoto ai mediauntori

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_17_marzo-v2.pdf Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, momento eccezionale di sobrietà contro i trombettieri e tamburoni dell’OMS e suoi banditori. Non risulta epidemia da Coronavirus. Gli autori del rapporto verranno puniti per fake news?? Gli manderanno l’esercito? Oppure, a neutralizzare questi sabotatori, arriverà l’anatema dell’uomo-vaccino Burioni, o dell’uomo OMS, Ricciardi, se questa trova un attimo fuori dagli schermi?

 

Ma se la Cina, ma se i sanitari…

Registrato che al 20 marzo in Italia siamo a oltre 3000 morti di polmonite, cardiopatie, tumore, diabete, epatite, influenza normale (sempre meno degli altri anni, secondo l’Istituto Superiore di Sanità), tutti attribuiti dai solerti contabili della Protezione Civile e dai propagandisti mediatici al Covid-19, invece responsabile solo dell’08% (ISS)), per prima cosa rispondo ad alcune obiezioni e contestazioni.