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coniarerivolta

Il mito del conflitto generazionale e la realtà del conflitto di classe

di coniarerivolta

simpson87yL’emergenza sanitaria di queste settimane, come avviene in tutti gli stati emergenziali, sta mostrando in tutta la sua crudezza alcuni tratti tipici della nostra organizzazione economica e sociale. Gli effetti devastanti dell’austerità sul sistema sanitario rivelano in modo brutale cosa significhi davvero la logica della scarsità delle risorse imposta dalle politiche economiche degli ultimi decenni. A fronte di una disponibilità limitata di posti di terapia intensiva occorre, come in un’economia di guerra, effettuare delle scelte e sacrificare il più vecchio o il già malato, colui che avrà meno possibilità di sopravvivenza a favore del più giovane e sano. La scarsità delle risorse, non certo naturale o da deficit tecnologico, ma imposta da anni di politiche di austerità, impone una logica di sapore darwinista di selezione del soggetto da salvare, contrapponendo giovani e vecchi e sani e malati.

Questa apparente contrapposizione non è limitata, però, al campo della salute. Da molti anni il dibattito pubblico è permeato di una retorica che è divenuta quasi costitutiva del nostro modo di pensare: quella di un inevitabile conflitto economico intergenerazionale tra giovani e anziani, per la spartizione di risorse economiche scarse, nel tempo della crisi demografica irreversibile dell’occidente.

Il presupposto oggettivo di questa idea è l’esistenza di un’indubbia crisi demografica che nei paesi europei, e più in generale nel mondo industrializzato, ha avuto inizio negli anni ’70-’80 del secolo scorso e si manifesta come crescente squilibrio anagrafico tra giovani e vecchi, con la crescita degli ultimi e la diminuzione dei primi.

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lantidiplomatico

“Il Covid-19 è un coltello che è finito nelle mani delle Élite per raggiungere un loro vecchio scopo: arrivare ad un potere assoluto e totalitario”

Francesco Guadagni intervista Fulvio Grimaldi

Secondo il giornalista e documentarista Fulvio Grimaldi, “la Storia ci dirà che questo coltello verrà utilizzato per degli scopi che si sono sempre ripromessi le élite, cioè arrivare ad un potere assoluto, totalitario. Ristabilire un nuovo paradigma sociale, che veda una riduzione dell’autonomia, dell’autodeterminazione da parte delle masse, e una concentrazione di potere e di ricchezza al vertice”

bef26f249887a022e6e0831fe995f4b9Fulvio Grimaldi nella sua carriera giornalistica ha lavorato per la Radio, BBC di Londra, RAI, ha scritto su Lotta Continua, Vie Nuove, Liberazione. Noti i suoi documentari sui fronti di guerra, Iraq, Palestina, Siria, Eritrea, oltre che in Venezuela, Messico, Iran. In questa intervista abbiamo analizzato con Grimaldi la problematica Covid-19, sotto vari aspetti: mediatici, economici e geopolitici.

* * * *

Pandemia Covid-19, C'è stata per te una manipolazione mediatica, di dati, sulla percezione del pericolo, se sì, per quale ragione secondo te? Rispetto per esempio all’influenza "Spaziale" del 1970 che in Italia provocò 20.000 morti e 13 milioni di persone a letto di cui in pochi si ricordano. Oggi perché c’è un approccio diverso?

Neanche 2 anni fa ci fu questo panico. Nel 2018, un articolo del Corriere della Sera denunciava il caos totale della Sanità per l’arrivo dell’influenza. C’era la stessa catastrofe sanitaria, mancanza di personale, attrezzature, una categoria falcidiata dai tagli nel corso degli ultimi 30 anni che non riusciva ad affrontare l’immane numero di contagiati da influenza “normale”.

Non voglio dire che il Covid-19 sia il risultato di una pianificazione lucida e programmata, per quanto ci sarebbero elementi che lo farebbero pensare, perché c’è una storia di crimini programmati lucidamente, con provocazioni mondiali per raggiungere certi fini, a partire dall’11 settembre al Golfo del Tonchino.

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze / fase 4: pandemia, crisi, clima e guerra

di Sandro Moiso, Jack Orlando e Maurice Chevalier

sciopero 43 3We can do it together” (Boris Johnson)

“Nous somme en guerre” (Emmanuel Macron)

“Ci sono guerre che possono essere vinte soltanto con la disciplina collettiva. La Francia deve accantonare il suo ribellismo” (Le Parisien, 17 marzo 2020)

“Salvare l’economia” (Les Echos, 18 marzo 2020)

“No society can safeguard public health for long at the cost of its economic health.”

(The Wall Street Journal, 20 marzo 2020)

“La paura della gente si può trasformare in rabbia” (Maurizio Landini)

“E’ la guerra. Tutto è più immediato” (Perfidia – James Ellroy)

Per una volta iniziamo la nostra cronaca da oltre frontiera. Prendendoci, oltretutto, la libertà di modificare parzialmente i nomi dei quattro cavalieri dell’Apocalisse.

Quello che salta subito agi occhi ovunque, dalla Francia agli Stati Uniti passando per l’Australia, è che per i governi e i media la preoccupazione più importante fino ad ora è stata quella di salvaguardare economia, produzione e profitti.

Come al solito gli americani sono i più pragmatici ed espliciti, motivo per cui il Wall Street Journal può tranquillamente ratificare, nell’editoriale redazionale del 20 marzo, che nessuna società può salvaguardare a lungo la salute pubblica al costo di minare quella economica. Chiaro abbastanza no? Ma se l’organo per eccellenza del capitalismo e della finanza americana lo afferma con chiarezza, anche qui da noi non sono mancate le spinte in tale direzione. L’abbiamo misurato con l’enorme ritardo con cui il governo degli ominicchi e degli abbracci è giunto a decretare una chiusura vaga e fumosa che lascia non pochi dubbi sulla sua reale entità, evitata a ogni costo fino all’ultimo momento e poi, una volta varata, posticipata per dare una nuova mano agli squali di Confindustria.

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operaviva

La sfida politica della pandemia

di Pierre Dardot, Christian Laval

Per Pierre Dardot e Christian Laval, autori di «Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo» (DeriveApprodi, 2015), la pandemia Covid-19 mette alla prova la capacità delle strategie politico-economiche che dovrebbero fronteggiarla. «Quello che stiamo vivendo lascia intravedere quello che, con la crisi ambientale in atto, ci attende nei prossimi decenni se la struttura economico- politica globale non dovesse cambiare»

Alfredo Jaar Be Afraid of the Enormity of the Possible 2015 940x704La pandemia di Covid-19 è una crisi sanitaria, economica e sociale globale ad un livello extra- ordinario. Poche situazioni storiche possono essere paragonate, perlomeno negli ultimi decenni. Questa tragedia, da subito, è un banco di prova per tutta l’umanità. Prova nel senso duplice della parola: dolore, rischio e pericolo in un senso; prova, valutazione e giudizio dall’altro. Quella che la pandemia mette alla prova è la capacità delle organizzazioni politico-economiche di far fronte a un problema globale legato alle interdipendenze individuali o in altri termini a tutto quello che riguarda la vita sociale nelle sue forme più elementari. Come una distopia che sarebbe diventata la realtà, ciò che stiamo vivendo lascia intravedere ciò che, con il cambiamento climatico, attende l’umanità tra qualche decennio se la struttura economico-politica del mondo non dovesse cambiare rapidamente e in maniera radicale.

 

Una risposta di Stato a una crisi globale?

Prima osservazione: da una parte e dall’altra, si predispongono volontari della sovranità dello Stato nazione come risposta all’epidemia globale secondo due modalità più o meno complementari e articolate nei vari paesi: da un lato, ci si affida allo Stato per prendere delle misure autoritarie di limitazione dei contatti con la messa in atto del noto «stato d’emergenza» (dichiarato o meno), come in Italia, Spagna e Francia; dall’altro lato, ci si attende che lo Stato protegga i cittadini dall’importazione di un virus che arriva dall’estero.

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tempofertile

Disorganizzazione e riorganizzazione. Coronavirus e cronache del crollo

di Alessandro Visalli

JeremyMann NYC40 2018 oilonpanel 48x48in. 31000Il DPCM 22 marzo 2020 ha compiuto un ulteriore e forse decisivo passo verso il blocco di ogni attività produttiva nel paese. Ancora una volta siamo un passo avanti di ogni altro paese occidentale, un passo verso un baratro o verso la soluzione della crisi. Dopo una lunga trattativa con i sindacati, che volevano una chiusura molto più ampia, e le altre componenti del mondo industriale, che la volevano minore, si è deciso di chiudere. Quindi saranno arrestate tutta la filiera dei metalli, il noleggio automezzi, parte dell’industriale metalmeccanica, parte del tessile, l’attività estrattiva (meno quella degli idrocarburi), il settore delle costruzioni, la fabbricazione di mobili, etc. Tutti settori che andranno ad aggiungersi al commercio che era stato già fermato.

Restano aperti gli studi professionali, la stampa, i tabaccai, la filiera agroindustriale, e la fabbricazione di macchine al suo servizio, parte del tessile, la chimica e la farmaceutica, il settore elettrico e la relativa componentistica, il settore della depurazione ed igiene, i contact center, tutte le attività di trasporto connesse, le attività finanziarie, la ricerca, riparazioni e manutenzioni, aerospazio e difesa.

Il Presidente Conte ha detto, in sostanza, che resteranno chiuse le attività “non necessarie” e che lo Stato fornirà tutto l’aiuto che serve.

Un sistema produttivo ed economico altamente finanziarizzato e interconnesso, come quello che ci ha lasciato in dote la mondializzazione degli ultimi trenta anni è come un calice di cristallo. Esile, elegante, sottile, durissimo e fragile.

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sebastianoisaia

A che punto è l'incubo

di Sebastiano Isaia

manis1. Il salto non è evolutivo…

La virologa Ilaria Capua, ultimamente molto presente sui media nazionali, dà un’interpretazione storico-sociale della pandemia che sta investendo l’intero pianeta che trovo molto interessante, sebbene questa interpretazione risulti appesantita dal suo peculiare approccio scientista ai fenomeni sociali. Per molti aspetti la scienziata non fa che ripetere quanto aveva scritto qualche giorno fa Mario Tozzi sulla Stampa di Torino e da me citato nel precedente post. Dal mio punto di vista le tesi esposte dai due personaggi è molto significativa perché mostrano la natura essenzialmente sociale dell’attuale crisi sanitaria, ossia la sua profonda e ramificata radice capitalistica – parlare di una generica “globalizzazione” e tirare in ballo un altrettanto generica prassi tecnoscientifica non coglie il cuore del problema e anzi contribuisce a rendere difficile la sua individuazione. Ma questa è una “problematica” che spetta all’anticapitalista affrontare.

Veniamo alla dottoressa Capua, intervistata da Raffaele Alberto Ventura per Le grand continent:

«L’esperienza delle precedenti pandemie bastava a immaginare questo scenario. Tuttavia si tratta di fenomeni che toccano una tale quantità di sfere, da quelle naturali a quelle sociali, con innumerevoli ramificazioni, che per affrontarli un approccio interdisciplinare è fondamentale. Nel mio libro Salute Circolare mi ero precisamente concentrata sugli squilibri globali che rendono sempre più probabili simili scenari. In un certo senso, questa pandemia la stavamo tutti aspettando. […]

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la citta futura

Sacrifici e classi sociali

di Carla Filosa

Il sacrificio individuale della quarantena da Coronavirus, sebbene coinvolga popolazioni del mondo intero, non può definirsi collettivo in quanto gestito in modo differente dai vari governi e analogamente subìto dalle masse, non già comunità, ma somma di individui

2ea7bf7f3b1670977aa6b5b00fc6b7f0 XLIl tema del sacrificio è senz’altro accattivante e, in un momento come questo di “sacrificio” più o meno volontario della propria libertà personale da scambiare col contenimento di un virus altamente nocivo, può attirare ancor più l’interesse a saperne di più.

L’argomento a cui però si fa qui riferimento è trattato in un articolo a firma di Luigino Bruni su Avvenire (14 marzo), dal titolo “Ambiguo è il sacrificio”. In questa sede il tema sviluppato non avrebbe suscitato alcuna particolare attenzione se non fosse stato per la citazione di Marx, all’interno di una visione teorica del tutto arbitraria, tanto più in quanto alla fine sembra strizzare l’occhio nel denunciare l’ipocrisia capitalistica che usa parole sostitutive della realtà: “la bella parola sacrificio copre la brutta parola sfruttamento”.

Qui non si intende entrare nel merito dell’uso religioso del sacrificio, così come la storia umana ce l’ha consegnato, sparso in vari continenti ed epoche differenti, bensì ribadire che, non solo la matrice religiosa, ma anche quella ideologica e politica della storia umana, vede il suo inizio promosso dalla creazione di mezzi atti a soddisfare i bisogni immediati dell’esistenza, quali cibo, acqua, riparo abitativo, vestiario, ecc., cui sono seguiti poi sempre nuovi bisogni. L’articolo di Avvenire sembra peraltro riecheggiare le ricerche che sulla fine dell’800 furono effettuate sui popoli primitivi per dare alla vita religiosa una preminenza sulla vita pratica, profana ed economica, per caldeggiare il procedere di un progresso economico da presupposti sacrali quale base e origine di ogni altra manifestazione.

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lanatra di vaucan

La quarantena del geo-capitalismo.

Corpi, virus, natura e valore

di Dario Padovan

Corsaire Shipwreck by Gustav Dore circa 1860E’ bastata una settimana per smentire Giorgio Agamben e tutti coloro che hanno pensato con lui che questo virus fosse l’invenzione di un capitalismo sempre più aggressivo e autoritario, cosa peraltro vera, volta ad estendere “stati di eccezione” – destinati a trasformarsi in una vera e propria militarizzazione – a crescenti porzioni di popolazione mondiale. L’evolvere della crisi ha dato ragione ad Agamben nella misura in cui lo stato di emergenza è stato esteso a tutto il paese, ma ha completamento smentito l’idea di una epidemia inventata che sarebbe alla base della giustificazione dello stato di eccezione nazionale proclamato dal governo. Ma questo non perché il virus non possa essere stato sintetizzato da qualche parte, in qualche segreto laboratorio dedito alla manipolazione della natura e delle sue profonde architetture genetiche, ma perché le sue conseguenze sono l’esatto contrario di quello che è stato detto fin qui da molti sinceri critici e oppositori del capitalismo. La “logica dell’eccezione”, che quindi eccede e muta radicalmente lo stato di normalità e conservazione della vita sociale, è stata applicata a una situazione di concreta minaccia che sta generando conseguenze molto più profonde del semplice peana di chi ritiene che le nostre libertà di consumatori sovrani appagati dalla logica della merce siano violate. Il dilemma hobbesiano tra libertà e sicurezza che Agamben evoca alla fine del suo breve articolo, forse è un po’ più complicato di quanto possa sembrare.

In realtà quello che sta avvenendo con un virus che si presenta più violento di quanto sembrasse all’inizio, nonostante il suo Ro di 2 (ma alcuni indicano un Ro di 4.1 ossia la potenzialità media di ogni contagiato di infettare altre quattro persone), implica molte interessanti riflessioni.

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Coordinamenta2

La rabbia non ha più radici?

di Elisabetta Teghil

rabbia[…] il legame che intercorre tra ideologia e ordine sociale, produzione e riproduzione risulta tutt’altro che stabile, consentendo la possibilità di rifiutare il consenso, romperlo e annullarlo, impedendo il respingimento o il riassorbimento della resistenza nel sistema […]
Federica Paradiso, Le radici della rabbia, Red Star Press, Roma 2014

La città è blindata, la società è blindata, dobbiamo stare tutti/e a casa per paura del contagio da coronavirus. Gli appelli si susseguono, i decreti si rincorrono, uno più vincolante dell’altro, uno più autoritario dell’altro. Non possiamo uscire nemmeno a piedi se non per necessità dimostrabili, non possiamo dare la mano a nessuno e tanto meno abbracciare nessuno, non possiamo uscire dalle nostre case, dobbiamo mantenere la distanza di sicurezza di almeno di un metro da ogni altro essere umano, non possiamo neppure andare a trovare i nostri cari, non parliamo poi di spostarci fuori città o di circolare per il territorio. I messaggi arrivano tamburellanti attraverso i mezzi di comunicazione di massa. La sera poi non circola assolutamente nessuno solo le volanti della polizia o le pantere dei carabinieri o le macchine della municipale che fermano chi è sorpreso fuori casa e deve perciò giustificarsi pena una denuncia penale e una multa salata. Gli elicotteri ronzano sulle nostre teste. Ma siamo per caso in guerra? C’è il coprifuoco? Cosa giustifica provvedimenti tanto forti di controllo militare?

Un virus, il coronavirus per l’appunto che, dati del 18 marzo 2020 alle ore 18 pubblicati sul portale governativo, ha provocato finora in tutta Italia 28.710 casi di positività accertati, di cui 14.363 ricoverati e di questi 2257 in terapia intensiva, 2978 decessi e 4025 guariti. L’epicentro è in Lombardia e in particolare a Bergamo. La stragrande maggioranza delle morti riguarda pazienti in età molto avanzata e/o con altre patologie in atto, con le eccezioni che ci sono sempre.

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mondocane

Nord: massimo inquinamento d’Europa + tagli Sanità + influenza = 3.400 morti

di Fulvio Grimaldi

La storia nerissima – e ignorata - di chi ci ha portato fin qui

big pharma ZapiroUna (sola) voce dal sen fuggita

“Essere eretici. Avere il coraggio e la modestia di mettere in discussione tutto e onorare il dubbio”. "Questa è un’infezione che fa ammalare il 10% degli infettati e provoca la morte non come causa primaria” (Maria Rita Gismondo, direttore Microbiologia clinica e Virologia Ospedale Sacco, Milano). Ma la Polizia Postale sta arrivando….

 

E meno male che c’è l’ISS, antidoto ai mediauntori

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_17_marzo-v2.pdf Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, momento eccezionale di sobrietà contro i trombettieri e tamburoni dell’OMS e suoi banditori. Non risulta epidemia da Coronavirus. Gli autori del rapporto verranno puniti per fake news?? Gli manderanno l’esercito? Oppure, a neutralizzare questi sabotatori, arriverà l’anatema dell’uomo-vaccino Burioni, o dell’uomo OMS, Ricciardi, se questa trova un attimo fuori dagli schermi?

 

Ma se la Cina, ma se i sanitari…

Registrato che al 20 marzo in Italia siamo a oltre 3000 morti di polmonite, cardiopatie, tumore, diabete, epatite, influenza normale (sempre meno degli altri anni, secondo l’Istituto Superiore di Sanità), tutti attribuiti dai solerti contabili della Protezione Civile e dai propagandisti mediatici al Covid-19, invece responsabile solo dell’08% (ISS)), per prima cosa rispondo ad alcune obiezioni e contestazioni.

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ilponte

Mutanti e replicanti

di Lanfranco Binni

Pris763Dovremo occuparci a lungo, e con tempi sempre più ravvicinati tra un’epidemia e l’altra, delle mutazioni virali indotte dai cambiamenti climatici, provocati a loro volta dalle devastazioni del capitalismo terminale. Anzi, saranno i nuovi virus ignoti a occuparsi della specie umana. Non è vero, se mai lo è stato, che natura non facit saltus: il “salto di specie” virale da animali a umani in condizioni di nuove necessità (tutte le specie si difendono), stravolge i percorsi apparentemente lineari della storia umana.

Sull’origine dell’attuale epidemia attribuita a uno dei tanti virus della categoria “coronavirus” non sappiamo molto, ne conosciamo alcuni focolai che si stanno connettendo a livello globale, e nei suoi percorsi attraverso i continenti il virus Covid-19 assume caratteristiche diverse, interagendo con i diversi ambienti naturali e antropici. Ne vediamo gli effetti sanitari, economici, culturali e politici, mentre le vere cause sono ignorate dagli assetti istituzionali delle società. Le risposte sanitarie sono antiche, e sono ancestrali le paure. Un’epidemia che si sta trasformando in pandemia viene affrontata come questione esclusivamente sanitaria, e il metodo è lo stesso con cui furono affrontate le epidemie storiche (la “peste nera” che devastò l’Europa medievale, la “spagnola” negli anni della Prima guerra mondiale, fino all’Hiv, a Ebola, e a tante altre forme di mutazioni virali in corso nel mondo, in ogni continente: il contenimento del contagio, fino all’isolamento e alla medicalizzazione degli infetti, nella speranza di sconfiggere la malattia con vaccini sempre in ritardo rispetto alle emergenze, e soprattutto contando su una sua remissione più o meno spontanea e ignota quanto le sue improvvise e imprevedibili manifestazioni.

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contropiano2

“Shut in economy”. Scenari distopici per il dopo pandemia

di Redazione Contropiano

futuroOggi siamo immersi e costretti a vivere le nostre giornate nel tentativo di ridurre e sconfiggere la pandemia del coronavirus. Lo siamo nel nostro e in decine di altri paesi. Sotto i nostri occhi sono cambiate rapidamente abitudini, parametri di riferimento ma anche fattori strutturali dell’economia, della società e della civiltà del dopoguerra. Abbiamo detto che ci sarà un prima e un dopo immensamente diversi tra loro e nulla sarà come prima.

Ma alle domande sul dopo emergenza si può rispondere in modi molto diversi. Noi agiamo per una cambiamento radicale delle priorità e dei rapporti sociali che hanno determinato le nostre vite da decenni, sicuramente vogliamo seppellire il modello sociale capitalista emerso dagli anni ’80, quelli in cui il sanguinoso dogma liberista decretò che “non esiste la società, esistono gli individui” e che quindi è il mercato e la competitività che regolano e autoregolano i rapporti sociali.

Altri, e non sono nè saranno nostri compagni di strada, cominciano a individuare un modello di relazioni sociali e di produzione che salvaguardino questo dogma adeguandolo però alle nuove condizioni, anzi cercando di mettere a loro vantaggio le nuove condizioni. Il futuro che disegnano è segnato da una accentuazione delle disuguaglianze ancora maggiore, rese più dolorose anche dai fattori climatici e patologici che viene sintetizzata come Shut in Economy. E delineano quelli che possiamo definire come scenari distopici, cioè di una immagine piuttosto inquietante del futuro che però è solo una anticipazione della realtà.

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nuovadirezione

Coronavirus. Chi è il vero nemico?

di Carlo Formenti

b1eff514 d0e0 4966 a864 84c5c67c31e2La crisi mondiale che stiamo affrontando ha una portata superiore persino a quella della grande crisi del 2008. Grazie alla lotta contro un nemico terribile stiamo riscoprendo un senso di solidarietà e uno spirito comunitario che negli ultimi decenni sembravano essere quasi del tutto spariti. Ma qual è la vera natura di questo nemico: siamo effettivamente di fronte a una minaccia puramente biologica, a una catastrofe naturale al pari di un terremoto, oppure la realtà è più complessa? Per sciogliere il dubbio occorre rispondere a tre domande: 1) da dove vengono le pandemie; 2) perché le reazioni a questa minaccia cambiano significativamente da un Paese all’altro; 3) se davvero, come molti dicono, dopo questa crisi nulla sarà come prima, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro e soprattutto in che direzione dobbiamo lavorare perché si tratti di un futuro migliore.  

 

  1. Da dove vengono le pandemie

Si dibatte sugli effetti economici dell’epidemia del covid19 ma nessuno ragiona seriamente su come simili eventi si producono. Ci si limita a prendere atto che si presentano ciclicamente, come le crisi economiche, con ritmi e modalità imprevedibili, e anche da questo punti di vista si evocano analogie con le crisi economiche. In realtà le relazioni fra i due ordini di fenomeni vanno al di là di una semplice analogia: infatti, se la “naturalizzazione” delle crisi economiche non può non apparire sospetta a chi non si accontenta delle narrazioni neoliberiste, nemmeno le pandemie andrebbero analizzate come eventi puramente biologici, privi di relazioni con il contesto socioeconomico in cui si sviluppano.

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contropiano2

Paradossi e tragedie del coronavirus

di Italo Nobile

peste austerityL’alto tasso di letalità italiano

Si era già detto che l’indice di letalità del nuovo coronavirus fosse probabilmente più basso di quanto calcolato sulla base dei dati ufficiali, dal momento che molti casi infetti non sono stati contabilizzati[1]. Ciò implica che la contagiosità è maggiore e/o il virus sta circolando da molto più tempo. Questo, per quanto riguarda il preoccupante dato italiano, potrebbe sollevare domande sull’origine stessa del virus qui operante e sul suo percorso (sia in termini di mutazioni, sia in termini di circolazione). Si è già parlato dello strano aumento di polmoniti avvenuto negli ultimi anni[2] e del fatto che in realtà le statistiche non riescano a dare elementi sufficienti per spiegarne scientificamente i motivi[3].

Facendo un paragone con la South-Corea, l’indice di letalità al momento attuale da noi è il 7,71%, da loro lo 0,97%[4]. Può essere che i sudcoreani abbiano contabilizzato quasi tutti i casi infetti, mentre noi abbiamo decine di migliaia di infetti anonimi e a piede libero. Tuttavia i sudcoreani hanno gestito sino ad alcuni giorni fa quasi il doppio dei nostri infetti e il tasso di letalità giocava comunque di molto a nostro sfavore. Possiamo andare a vedere come stanno classificando gli infetti? Come li stanno distribuendo in una logica di contenimento sanitario sia del contagio che della virulenza del virus? Come li stanno curando?

Si può pensare che i sudcoreani abbiano rallentato subito il contagio. Come? Pare che i test siano stati lì fatti anche agli automobilisti per strada, intervenendo così anche quando non fossero comparsi i sintomi[5]. Il sistema di controllo è stato talmente pervasivo da generare altri inconvenienti sociali[6].

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze /fase 3: poi fu la volta delle fabbriche e della classe operaia…

di Sandro Moiso, Jack Orlando e Maurice Chevalier

operai in bilico«Vediamo tutti quegli attori e cantanti che in tv o sui social, belli come il sole, invitano sorridendo la gente a restare a casa. Ma un operaio come fa? […] noi ci sentiamo in trappola e ci chiediamo: perché io sono qui?» (un operaio brianzolo a «Repubblica»)

Già perché siamo qui? In fabbrica, chiusi in casa, in quarantena oppure in ospedali che stanno per scoppiare ? E’ quello che molti iniziano a chiedersi, come in un romanzo di Stephen King oppure in un’ennesima serie prequel o sequel di “The Walking Dead”.

Conosciamo intanto l’unica risposta certa che il governo degli ominicchi e dei quaquaraquà sembra voler e saper fornire: poteri di polizia dati per decreto all’esercito che pattuglia le strade e ulteriori misure restrittive per tutti i cittadini, perché «dopo l’emergenza sanitaria e quella economica, il governo teme possa scoppiare anche quella della sicurezza pubblica, come successo nelle carceri. Dunque è necessario prepararsi in tempo, e cominciare a pensare a piani d’azione per le foze dell’ordine e, nel caso, per l’esercito. La rivolta delle carceri è stato solo un antipasto di quello che potrebbe accadere in caso di diffusione incontrollata dell’agente patogeno. Nelle regioni, il timore è che un’escalation dell’epidemia crei disordini. Negli ospedali, nei supermercati, nelle piazze. “Bisogna essere pronti ovunque e cercare di coinvolgere maggiormente i militari- spiega una voce autorevole di Palazzo Chigi- Senza allarmare la popolazione, ma senza farsi trovare impreparati per l’ennesima volta”». Come si afferma in un articolo di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, In che Stato siamo, sull’Espresso n° 12 del 15 marzo 2020.

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sinistra

Appunti di ricerca sulla crisi da coronavirus (in progress)

di Raffaele Sciortino

IMG20200317173222240 900 700Di fronte alla diffusione repentina del coronavirus ci sarebbe da indagare a fondo su cosa avviene in ambito sociale, il terreno principale della presa di coscienza delle modalità di funzionamento del sistema e dello sviluppo di eventuali scintille di mobilitazione. Ciò va visto nei due sensi: non solo come dall’alto viene o può essere utilizzata, a date condizioni, l’emergenza reale - ma anche come essa inizia a smuovere, in maniera drammatica come ogni vera crisi, le acque fin qui stagnanti di una società traumatizzata da dieci anni di crisi rimettendo in moto la testa della gente comune, non tutta disponibile a ricette neomalthusiane e a privilegiare l’economia sopra tutto.

Innanzitutto, andrebbe rivalutata una lettura “oggettivista” di quanto sta avvenendo, da riportare alle contraddizioni sistemiche, si diceva un tempo, del capitalismo globalizzato, comprensive di un rapporto a dir poco distorto con la natura. Dalla Cina che deve scontare una crescita iper-accelerata per recuperare un po’ rispetto ai paesi imperialisti e oggi si trova con un ambiente devastato e un sistema sociale e sanitario ai limiti.1 All’Occidente, al tempo di legami sociali allentatissimi, industrializzazione della vita ai massimi e sistemi sanitari privatizzati o semiprivatizzati: ne vedremo delle belle negli States se, come pare, dovesse diffondersi anche lì; in Italia l'atteggiamento iniziale dei governatori leghisti del nord, ma con dentro anche il progressista Sala di Milano non si ferma, è stato tutto in termini di difesa dell'economia veneto-lumbard, con l’appoggio dei gruppi di interesse economici e dei sindacati2, con perdita che potrebbe diventare secca di legittimità a favore addirittura del Pd (!), pur co-responsabile del sistema formigoniano, mentre la gestione da parte del “Partito del Presidente” finora non viene giudicata male da parte della gente, anzi, quanto alla stretta , dopo tentennamenti, verso il modello “cinese” di risposta al virus (cui ora sembra con un voltafaccia accodarsi parzialmente anche il mondo economico nella speranza che la Ue conceda ulteriore debito)3.

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze /fase 2: prima venne il carcere…

di Sandro Moiso e Jack Orlando

carceri 1L’avevamo anticipato una settimana fa: di fronte ad un’epidemia di una certa e inaspettata gravità questo stato non avrebbe saputo rispondere che con la militarizzazione e la repressione.

I dodici morti1 e gli innumerevoli feriti tra i detenuti rivoltosi del carcere di Modena e di Rieti e in tutte le altre case di reclusione che sono esplose tra domenica e lunedì, ne sono la palese conferma.

Mentre i media asserviti cercano di avvallare l’ipotesi, sia a Modena che a Rieti, che i detenuti siano morti tutti, o quasi, per overdose, è un governo paralizzato a tutti i livelli quello che finge di saper traghettare i cittadini verso una lontana e, per ora, invisibile riva di salvezza. Un governo che sa mostrare, ma solo in alcuni casi, il pugno di ferro, mentre, in realtà, i suoi rappresentanti centrali, regionali e locali non fanno altro che aggravare il probabile naufragio e, memori della gloria del comandante Schettino, cercano di accaparrarsi le lance di salvataggio dichiarandosi in quarantena per aver acquisito il virus Covid-19 o invocando misure “cilene” più che “cinesi”.

Ed è in conclusione di un lunedì che conta blocchi stradali, evasioni di massa, sparatorie in strada e scontri per riprendere possesso delle carceri in mano ai rivoltosi, che Giuseppe Conte appare per parlare alla Nazione. Da tiepido uomo d’ufficio prova goffamente a vestire i panni del minuteman mentre dichiara con aria grave che d’ora in avanti tutta l’Italia sarà zona rossa. Le misure stringenti che già hanno investito il nord ora dilagheranno fino all’estremo sud.

Ma a ben guardare, nonostante l’avanzare incessante del virus, a preoccupare veramente tutto l’arco parlamentare, mai così unito come in questi giorni, è un altro tipo di contagio: è l’epidemia della conflittualità sociale che fa scendere gocce di sudore freddo lungo le schiene dei padroni.

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quieora

La falsa apocalisse, e la vera

di Marcello Tarì

0.4 1024x682Sono passati lustri oramai da quando è cominciata l’invasione di film, romanzi, serie tv, articoli di giornale e, primi tra tutti, di saggi scientifici che dipingono il mondo come in preda agli ultimi tragici singulti prima della sua fine, data per certa e molto vicina – il colpo finale verrà dalla crisi climatica, quella economica o da quella sanitaria? dalla guerra o dalla distruzione dell’ambiente? -, così che si può parlare oggi di un vero e proprio pattern apocalittico dominante a livello globale. È una delle conseguenze, questa, di una potente offensiva spirituale portata avanti dai padroni del mondo negli ultimi secoli. L’Apocalisse da voce profetica degli ultimi è diventata un affare redditizio, essa ha paradossalmente raggiunto lo status di un valore aggiunto alla merce: la vertigine della distruzione e la valorizzazione della paura che porta con sé la impreziosiscono. Non sia mai che anche The end non venga pagata dai sudditi a peso d’oro.

Non importa quanto stupida, ridicola o di cattivo gusto possa sembrare la moda di parlare con studiato cinismo di ogni «piaga» che si abbatte sul mondo, come accade in molti libri «apocalittici» che passano per alternativi (ma a cosa?), perché l’importante è lo Spettacolo che promette e fomenta. Ma, oltre che merce, è anche diventata una tecnologia di governo la quale, tramite la gestione manageriale della paura, consente di paralizzare la popolazione relegandola a mera spettatrice impotente della catastrofe. D’altra parte al governo neoliberale non serve produrla in prima persona, gli è sufficiente agire sui suoi effetti. Guardatevi attorno… Anche se sarebbe un errore pensare che non abbia alcun ruolo nella distruzione, basti pensare a un Bolsonaro e alla sprezzo con il quale il suo governo e le imprese che ci lucrano sopra stanno devastando coscientemente l’Amazzonia.

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sinistra

Covid-19 come sintomo: note sulla produzione di un virus

di Fabio Vighi*

PESTEComprensibilmente in questi giorni si parla molto dei sintomi del Covid-19 (tosse secca, febbre alta, ecc.). Si discute invece molto meno del virus come sintomo. Diciamo allora che per intervenire sui sintomi del virus occorre non solo avere conoscenze scientifiche mirate, ma anche mettere in atto una riflessione seria sulle cause strutturali del suo scatenamento globale e, con queste, delle possibilità di cambiamento che l’emergenza, almeno teoricamente, ci dischiude. Se l’informazione mainstream, interessata innanzitutto a produrre panico, si concentra sul tema del contenimento dell’epidemia e delle sue conseguenze psicologiche, sociali e economiche (evidentemente non si parla d’altro che di gestione del fronte emergenziale), riflettere sulle cause può portare a una serie di considerazioni tutt’altro che secondarie.

L’ipotesi più accreditata è che, per quanto non si possa dire con precisione dove e in quali circostanze, la gestazione del Covid-19 sia avvenuta a margine di processi produttivi invasivi di tipo agro-industriale. Come sottolineato dal biologo evoluzionista Rob Wallace,1 i luoghi d’origine dei coronavirus (Mers e Sars) e di patogeni simili come l’Ebola, sono quelli di un’industria agro-economica sempre più aggressiva, che devasta interi ecosistemi mettendo in esplosiva relazione tra loro animali privati del loro habitat, allevamenti intensivi di bestiame, e periferie urbane a alta densità abitativa e scadenti condizioni igienico-sanitarie. In termini tecnici, si tratta di malattie zoonotiche, ovvero trasmesse, direttamente o indirettamente, dagli animali all’essere umano. Non per nulla molti di questi virus portano il nome di animali, per esempio l’aviaria, la suina o i cosiddetti arbovirus (trasmessi da artropodi, generalmente zecche o zanzare, tra cui lo Zika-virus).

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comuneinfo

Alla fine il mostro è alla porta

di Mike Davis

Nei prossimi giorni il virus potrebbe devastare le baraccopoli di Africa e Asia, ma il pericolo per i poveri globali è stato quasi totalmente ignorato da media e governi occidentali. Intanto negli Usa sta per abbattersi un “Katrina sanitario”. Già la “semplice” influenza stagionale del 2018 ha sovraccaricato gli ospedali dopo vent’anni di tagli: milioni di lavoratori a basso salario, precari privi di assicurazione, disoccupati e senzatetto saranno gettati ai lupi. Su quanto sta per accadere negli slum e negli Usa scrive Mike Davis, secondo il quale il principale problema resta Big Pharma che preferisce dedicarsi ai farmaci che provocano dipendenza e alle cure dell’impotenza maschile invece di favorire l’accesso ai salvavita e la ricerca. È questo il tempo per spezzare il potere del monopolio dei farmaci e quello dell’assistenza sanitaria a fini di lucro

Screenshot from 2020 03 18 10 59 32Il Covid-19 è alla fine il mostro alla porta. Ricercatori stanno lavorando giorno e notte per identificare l’epidemia ma hanno di fronte tre grandi sfide.

 

Tre sfide

Innanzitutto la continua penuria o indisponibilità di kit di test ha fatto svanire ogni speranza di contenimento. Inoltre sta impedendo stime accurate di parametri chiave quali il tasso di riproduzione, la dimensione della popolazione infetta e il numero delle infezioni benigne. La conseguenza è un caos di cifre.

Ci sono, tuttavia, dati più affidabili sull’impatto del virus su certi gruppi di alcuni paesi. È molto pauroso. L’Italia, ad esempio, riferisce una percentuale impressionante del 23 per cento di morti tra i maggiori di 65 anni; in Gran Bretagna la percentuale è oggi del 18 per cento. L’”influenza corona” che Trump rifiuta, è un pericolo senza precedenti per le popolazioni geriatriche, con un potenziale pedaggio di morti dell’ordine di milioni.

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effimera

Coronavirus: lo spettacolo di un’epidemia che non ha avuto luogo

di Gianpaolo Cherchi

Angela Loveday 1200x803Quando l’emergenza Coronavirus sarà cessata (si spera, ovviamente, molto presto) e le nostre vite verranno restituite alla loro normalità, la domanda che dovremo farci dovrà essere la seguente: ha avuto veramente luogo un’epidemia di Coronavirus?

Ciò che abbiamo vissuto è stata una reale situazione di emergenza sanitaria o abbiamo piuttosto assistito ad uno spettacolo in cui fatti, numeri, statistiche, opinioni contrastanti e informazioni contraddittorie si sono accavallati con una velocità impressionante, dando luogo ad una situazione irreale? Che ruolo ha giocato, nelle misure estreme varate dal governo, l’informazione?

La velocità con cui hanno circolato le notizie in continuo aggiornamento sul contagio, la viralità con cui sono proliferate le opinioni contrastanti dei tecnici e degli esperti, l’eccezionalità delle soluzioni politiche adottate, sono tutti elementi che non possono esimerci da una riflessione sul ruolo tutt’altro che secondario che è stato giocato dalla percezione del fenomeno, o meglio sarebbe dire dalla sua spettacolarizzazione. Un punto soltanto sfiorato nel dibattito, spesso appena accennato quando non clamorosamente mancato o imperdonabilmente taciuto, mai approfondito a sufficienza. È quanto ci si propone di fare, invece, in questo articolo.

 

Percezione

È in relazione ai suoi studi sul rapporto tra velocità e politica che Paul Virilio introduce il concetto di logistica della percezione, pilastro fondamentale nella sua dromologia, o “scienza della velocità”. Il termine logistica non è casuale: oggetto di indagine del teorico francese è l’insieme delle operazioni di reperimento, catalogazione e distribuzione applicabili non alle persone e alle cose che fanno parte della realtà (si potrebbe dire alle merci, ma non lo diremo), quanto alle percezioni della realtà stessa, alle sue immagini (anch’esse, appunto, merci).

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quieora

Il coronavirus e lo stato di eccezione individuale

di Fulvius Styx

Untitled 3 2000x1200a«Il potere è dominio: può solo vietare e imporre l’obbedienza.»

Michel Foucault

A chi crede ancora, lungo tutto lo spettro politico, che i nostri imperi si preoccupino realmente della loro popolazione — «stavolta vogliono davvero il nostro bene» — o, detta altrimenti, che i nostri imperi non nutrano alcun interesse in questa crisi sanitaria, ci permettiamo di rispondere aggiungendo qualche riga all’eccellente descrizione fornita da Agamben sul Manifesto qualche giorno fa.

Promemoria per gli studenti della prima fila: il modello di contratto sociale che ha maggiormente ispirato e tuttora ispira la rete di potere non è quello di Jean-Jacques Rousseau, ma quello del Leviatano di Thomas Hobbes. Un’opera che ha dato vita ad altre correnti, tra cui quella utilitarista — alla quale dobbiamo il Panopticon di Jeremy Bentham. Questo brillante trattato di urbanistica (Il Panopticon!), in mano ai nostri governanti, ha partorito la maggior parte dell’architettura carceraria, ma anche di quella scolastica. Ma forse siete poco interessati alla scienza politica e all’urbanismo carcerario, e vi starete chiedendo: «che rapporto ci sarà mai tra il contratto sociale e l’aspetto terrorizzante di questa nuova influenza?»

Promemoria per gli studenti dell’ultima fila: l’etimologia di «strategia» viene da «strategemma» («complottista!»), e dovrebbe portarci a considerare un’evidenza: che l’astuzia dell’avversario è sempre relativa, e si definisce sempre in rapporto alle nostre qualità percettive — alla nostra capacità cioè di leggere tra le righe nei discorsi dei governanti e dei loro galoppini senza qualità.

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lacausadellecose

Il virus dell’uomo capitalistico

di Michele Castaldo

corValter Veltroni, consumato uomo politico italiano, ex sindaco di Roma nonché intellettuale e scrittore, in un fondo sul Corriere della sera di giovedì 12 marzo, in una perentoria affermazione include una capziosa domanda: «Ma questo virus - qualcuno un giorno ci dirà con certezza da dove è sbucato? – cambia la storia».

Concediamo il beneficio della buona fede al signor Veltroni e gli consigliamo di leggere qualche buon saggio su come si sono sviluppati certi virus negli ultimi 250 anni. Potrebbe leggere qualcosa di Richard Levins, biologo, matematico e filosofo, oppure di Robert G. Wallace, sennò di Laura Spinney che scrive, tra il saggio e il romanzo, un testo di estremo interesse al riguardo. Questo, ripeto, se in buona fede intende veramente comprendere la natura di certi virus e farsi un’idea più precisa da dove potrebbe provenire l’attuale coronavirus. Se in malafede, lo lasciamo in balia degli eventi e in compagnia della sua ignoranza.

Ma a parte il dubbio sulla provenienza del virus, a Valter Veltroni va riconosciuto il merito di una intuizione brillante, quando afferma: «Ma questo virus cambierà la storia». Si, questo virus cambierà la storia, dunque la percezione è che ci troviamo di fronte a un fatto storico straordinario.

Dal momento che Veltroni non è uno qualsiasi e ancor meno lo è il Corriere della sera, giornale storico della borghesia italiana, dobbiamo dedurne che sua eccellenza l’Establishment sta tremando di fronte a un fenomeno con caratteristiche poco controllabili e poco gestibili; e che per esorcizzare la paura comincia a pensare al «dopo-virus», cercando di farsi coraggio dando fondo alle proprie risorse di ottimismo italico. Diamine, siamo un grande paese con una storia straordinaria alle spalle!

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ilpungolorosso

Il “cigno nero” e’ qui. Crisi, guerra e prospettive dello scontro di classe

di *

Che sia il canto del cigno del capitalismo decadente!

black swanUn castello di carte

Sotto la sferza dell’epidemia di coronavirus, una nuova crisi produttiva e finanziaria del sistema capitalistico internazionale è tornata a farsi estremamente vicina e, mai termine fu più appropriato, virulenta.

Se a dar fuoco alle polveri nel 2007/2008 sono stati i mutui sub-prime, oggi è il covid-19 ad aprire le danze, cioè uno shock esogeno, anche se tale aggettivo è corretto solo se utilizzato in senso stretto, cioè prescindendo da tutte le devastazioni che il modo di produzione capitalistico ha inferto all’ambiente naturale, nel senso più ampio del termine e che, negli ultimi decenni, si sono estese e approfondite con una progressione esponenziale.

In ogni caso, il coronavirus ha svolto la funzione di detonatore di contraddizioni e problemi che l’economia capitalistica porta in grembo da tempo e che, a dispetto del suo andamento ciclico – fatto di recessioni/crisi finanziarie e riprese successive e nonostante la situazione diversa in cui si collocano le differenti aree – si caratterizza per una difficoltà crescente della riproduzione capitalistica a scala globale, che ha la sua radice nella crescente difficoltà di valorizzazione, della quale i più sofisticati artifici della finanza speculativa e l’impiego di tutte le risorse delle Banche Centrali, capaci di creare denaro – ma non valore – dal nulla non riescono a venire a capo.

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eticaeconomia

Le pandemie come fallimento istituzionale

di Maurizio Franzini

Untitled 9 1250x884“Molti dei più grandi mali del nostro tempo sono il frutto del rischio, dell’incertezza e dell’ignoranza.” Così scriveva, quasi un secolo fa, nel 1926, Keynes nel suo The End of Laissez-Faire. Queste sue parole sembrano appropriate per riflettere sul grande male di questi giorni, la pandemia da corona virus, ed è così anche considerando quelle che immediatamente le precedono: “la cosa importante per il governo non è fare le cose che gli individui già fanno, né è farle un po’ meglio o un po’ peggio; ma è fare le cose che nessuno fa…”. Proviamo a vedere cosa c’entra tutto questo con la pandemia da corona virus, iniziando da qualche riferimento storico.

È stato osservato da G. Yamey et al. su The Lancet che rispetto alle pandemie si susseguono cicli di panico e cicli di indifferenza, se non proprio – aggiungo io – di serena incoscienza. Il riferimento non è ai singoli individui ma ai governi e, più in generale, alle istituzioni che in vario modo sono collegate alle pandemie.  Restando su un orizzonte temporale breve, rispetto alla storia secolare delle pandemie, si può ricordare che, stando a quanto riporta F. M. Snowden nel suo libro Epidemics and Society (Yale University Press, 2019, p. 23) alla fine degli anni ’60 il clima di euforia, a livello globale, rispetto alla capacità di combattere le epidemie era tale che le Università di Yale e Harvard chiusero i dipartimenti universitari sulle malattie infettive. Da allora, come è noto, non sono affatto mancate epidemie e pandemie e, soprattutto, non sono mancati veri e propri gridi di allarme provenienti da diversi ambiti scientifici.