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nuovadirezione

Coronavirus. Chi è il vero nemico?

di Carlo Formenti

b1eff514 d0e0 4966 a864 84c5c67c31e2La crisi mondiale che stiamo affrontando ha una portata superiore persino a quella della grande crisi del 2008. Grazie alla lotta contro un nemico terribile stiamo riscoprendo un senso di solidarietà e uno spirito comunitario che negli ultimi decenni sembravano essere quasi del tutto spariti. Ma qual è la vera natura di questo nemico: siamo effettivamente di fronte a una minaccia puramente biologica, a una catastrofe naturale al pari di un terremoto, oppure la realtà è più complessa? Per sciogliere il dubbio occorre rispondere a tre domande: 1) da dove vengono le pandemie; 2) perché le reazioni a questa minaccia cambiano significativamente da un Paese all’altro; 3) se davvero, come molti dicono, dopo questa crisi nulla sarà come prima, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro e soprattutto in che direzione dobbiamo lavorare perché si tratti di un futuro migliore.  

 

  1. Da dove vengono le pandemie

Si dibatte sugli effetti economici dell’epidemia del covid19 ma nessuno ragiona seriamente su come simili eventi si producono. Ci si limita a prendere atto che si presentano ciclicamente, come le crisi economiche, con ritmi e modalità imprevedibili, e anche da questo punti di vista si evocano analogie con le crisi economiche. In realtà le relazioni fra i due ordini di fenomeni vanno al di là di una semplice analogia: infatti, se la “naturalizzazione” delle crisi economiche non può non apparire sospetta a chi non si accontenta delle narrazioni neoliberiste, nemmeno le pandemie andrebbero analizzate come eventi puramente biologici, privi di relazioni con il contesto socioeconomico in cui si sviluppano.

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contropiano2

Paradossi e tragedie del coronavirus

di Italo Nobile

peste austerityL’alto tasso di letalità italiano

Si era già detto che l’indice di letalità del nuovo coronavirus fosse probabilmente più basso di quanto calcolato sulla base dei dati ufficiali, dal momento che molti casi infetti non sono stati contabilizzati[1]. Ciò implica che la contagiosità è maggiore e/o il virus sta circolando da molto più tempo. Questo, per quanto riguarda il preoccupante dato italiano, potrebbe sollevare domande sull’origine stessa del virus qui operante e sul suo percorso (sia in termini di mutazioni, sia in termini di circolazione). Si è già parlato dello strano aumento di polmoniti avvenuto negli ultimi anni[2] e del fatto che in realtà le statistiche non riescano a dare elementi sufficienti per spiegarne scientificamente i motivi[3].

Facendo un paragone con la South-Corea, l’indice di letalità al momento attuale da noi è il 7,71%, da loro lo 0,97%[4]. Può essere che i sudcoreani abbiano contabilizzato quasi tutti i casi infetti, mentre noi abbiamo decine di migliaia di infetti anonimi e a piede libero. Tuttavia i sudcoreani hanno gestito sino ad alcuni giorni fa quasi il doppio dei nostri infetti e il tasso di letalità giocava comunque di molto a nostro sfavore. Possiamo andare a vedere come stanno classificando gli infetti? Come li stanno distribuendo in una logica di contenimento sanitario sia del contagio che della virulenza del virus? Come li stanno curando?

Si può pensare che i sudcoreani abbiano rallentato subito il contagio. Come? Pare che i test siano stati lì fatti anche agli automobilisti per strada, intervenendo così anche quando non fossero comparsi i sintomi[5]. Il sistema di controllo è stato talmente pervasivo da generare altri inconvenienti sociali[6].

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze /fase 3: poi fu la volta delle fabbriche e della classe operaia…

di Sandro Moiso, Jack Orlando e Maurice Chevalier

operai in bilico«Vediamo tutti quegli attori e cantanti che in tv o sui social, belli come il sole, invitano sorridendo la gente a restare a casa. Ma un operaio come fa? […] noi ci sentiamo in trappola e ci chiediamo: perché io sono qui?» (un operaio brianzolo a «Repubblica»)

Già perché siamo qui? In fabbrica, chiusi in casa, in quarantena oppure in ospedali che stanno per scoppiare ? E’ quello che molti iniziano a chiedersi, come in un romanzo di Stephen King oppure in un’ennesima serie prequel o sequel di “The Walking Dead”.

Conosciamo intanto l’unica risposta certa che il governo degli ominicchi e dei quaquaraquà sembra voler e saper fornire: poteri di polizia dati per decreto all’esercito che pattuglia le strade e ulteriori misure restrittive per tutti i cittadini, perché «dopo l’emergenza sanitaria e quella economica, il governo teme possa scoppiare anche quella della sicurezza pubblica, come successo nelle carceri. Dunque è necessario prepararsi in tempo, e cominciare a pensare a piani d’azione per le foze dell’ordine e, nel caso, per l’esercito. La rivolta delle carceri è stato solo un antipasto di quello che potrebbe accadere in caso di diffusione incontrollata dell’agente patogeno. Nelle regioni, il timore è che un’escalation dell’epidemia crei disordini. Negli ospedali, nei supermercati, nelle piazze. “Bisogna essere pronti ovunque e cercare di coinvolgere maggiormente i militari- spiega una voce autorevole di Palazzo Chigi- Senza allarmare la popolazione, ma senza farsi trovare impreparati per l’ennesima volta”». Come si afferma in un articolo di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, In che Stato siamo, sull’Espresso n° 12 del 15 marzo 2020.

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sinistra

Appunti di ricerca sulla crisi da coronavirus (in progress)

di Raffaele Sciortino

IMG20200317173222240 900 700Di fronte alla diffusione repentina del coronavirus ci sarebbe da indagare a fondo su cosa avviene in ambito sociale, il terreno principale della presa di coscienza delle modalità di funzionamento del sistema e dello sviluppo di eventuali scintille di mobilitazione. Ciò va visto nei due sensi: non solo come dall’alto viene o può essere utilizzata, a date condizioni, l’emergenza reale - ma anche come essa inizia a smuovere, in maniera drammatica come ogni vera crisi, le acque fin qui stagnanti di una società traumatizzata da dieci anni di crisi rimettendo in moto la testa della gente comune, non tutta disponibile a ricette neomalthusiane e a privilegiare l’economia sopra tutto.

Innanzitutto, andrebbe rivalutata una lettura “oggettivista” di quanto sta avvenendo, da riportare alle contraddizioni sistemiche, si diceva un tempo, del capitalismo globalizzato, comprensive di un rapporto a dir poco distorto con la natura. Dalla Cina che deve scontare una crescita iper-accelerata per recuperare un po’ rispetto ai paesi imperialisti e oggi si trova con un ambiente devastato e un sistema sociale e sanitario ai limiti.1 All’Occidente, al tempo di legami sociali allentatissimi, industrializzazione della vita ai massimi e sistemi sanitari privatizzati o semiprivatizzati: ne vedremo delle belle negli States se, come pare, dovesse diffondersi anche lì; in Italia l'atteggiamento iniziale dei governatori leghisti del nord, ma con dentro anche il progressista Sala di Milano non si ferma, è stato tutto in termini di difesa dell'economia veneto-lumbard, con l’appoggio dei gruppi di interesse economici e dei sindacati2, con perdita che potrebbe diventare secca di legittimità a favore addirittura del Pd (!), pur co-responsabile del sistema formigoniano, mentre la gestione da parte del “Partito del Presidente” finora non viene giudicata male da parte della gente, anzi, quanto alla stretta , dopo tentennamenti, verso il modello “cinese” di risposta al virus (cui ora sembra con un voltafaccia accodarsi parzialmente anche il mondo economico nella speranza che la Ue conceda ulteriore debito)3.

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze /fase 2: prima venne il carcere…

di Sandro Moiso e Jack Orlando

carceri 1L’avevamo anticipato una settimana fa: di fronte ad un’epidemia di una certa e inaspettata gravità questo stato non avrebbe saputo rispondere che con la militarizzazione e la repressione.

I dodici morti1 e gli innumerevoli feriti tra i detenuti rivoltosi del carcere di Modena e di Rieti e in tutte le altre case di reclusione che sono esplose tra domenica e lunedì, ne sono la palese conferma.

Mentre i media asserviti cercano di avvallare l’ipotesi, sia a Modena che a Rieti, che i detenuti siano morti tutti, o quasi, per overdose, è un governo paralizzato a tutti i livelli quello che finge di saper traghettare i cittadini verso una lontana e, per ora, invisibile riva di salvezza. Un governo che sa mostrare, ma solo in alcuni casi, il pugno di ferro, mentre, in realtà, i suoi rappresentanti centrali, regionali e locali non fanno altro che aggravare il probabile naufragio e, memori della gloria del comandante Schettino, cercano di accaparrarsi le lance di salvataggio dichiarandosi in quarantena per aver acquisito il virus Covid-19 o invocando misure “cilene” più che “cinesi”.

Ed è in conclusione di un lunedì che conta blocchi stradali, evasioni di massa, sparatorie in strada e scontri per riprendere possesso delle carceri in mano ai rivoltosi, che Giuseppe Conte appare per parlare alla Nazione. Da tiepido uomo d’ufficio prova goffamente a vestire i panni del minuteman mentre dichiara con aria grave che d’ora in avanti tutta l’Italia sarà zona rossa. Le misure stringenti che già hanno investito il nord ora dilagheranno fino all’estremo sud.

Ma a ben guardare, nonostante l’avanzare incessante del virus, a preoccupare veramente tutto l’arco parlamentare, mai così unito come in questi giorni, è un altro tipo di contagio: è l’epidemia della conflittualità sociale che fa scendere gocce di sudore freddo lungo le schiene dei padroni.

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quieora

La falsa apocalisse, e la vera

di Marcello Tarì

0.4 1024x682Sono passati lustri oramai da quando è cominciata l’invasione di film, romanzi, serie tv, articoli di giornale e, primi tra tutti, di saggi scientifici che dipingono il mondo come in preda agli ultimi tragici singulti prima della sua fine, data per certa e molto vicina – il colpo finale verrà dalla crisi climatica, quella economica o da quella sanitaria? dalla guerra o dalla distruzione dell’ambiente? -, così che si può parlare oggi di un vero e proprio pattern apocalittico dominante a livello globale. È una delle conseguenze, questa, di una potente offensiva spirituale portata avanti dai padroni del mondo negli ultimi secoli. L’Apocalisse da voce profetica degli ultimi è diventata un affare redditizio, essa ha paradossalmente raggiunto lo status di un valore aggiunto alla merce: la vertigine della distruzione e la valorizzazione della paura che porta con sé la impreziosiscono. Non sia mai che anche The end non venga pagata dai sudditi a peso d’oro.

Non importa quanto stupida, ridicola o di cattivo gusto possa sembrare la moda di parlare con studiato cinismo di ogni «piaga» che si abbatte sul mondo, come accade in molti libri «apocalittici» che passano per alternativi (ma a cosa?), perché l’importante è lo Spettacolo che promette e fomenta. Ma, oltre che merce, è anche diventata una tecnologia di governo la quale, tramite la gestione manageriale della paura, consente di paralizzare la popolazione relegandola a mera spettatrice impotente della catastrofe. D’altra parte al governo neoliberale non serve produrla in prima persona, gli è sufficiente agire sui suoi effetti. Guardatevi attorno… Anche se sarebbe un errore pensare che non abbia alcun ruolo nella distruzione, basti pensare a un Bolsonaro e alla sprezzo con il quale il suo governo e le imprese che ci lucrano sopra stanno devastando coscientemente l’Amazzonia.

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sinistra

Covid-19 come sintomo: note sulla produzione di un virus

di Fabio Vighi*

PESTEComprensibilmente in questi giorni si parla molto dei sintomi del Covid-19 (tosse secca, febbre alta, ecc.). Si discute invece molto meno del virus come sintomo. Diciamo allora che per intervenire sui sintomi del virus occorre non solo avere conoscenze scientifiche mirate, ma anche mettere in atto una riflessione seria sulle cause strutturali del suo scatenamento globale e, con queste, delle possibilità di cambiamento che l’emergenza, almeno teoricamente, ci dischiude. Se l’informazione mainstream, interessata innanzitutto a produrre panico, si concentra sul tema del contenimento dell’epidemia e delle sue conseguenze psicologiche, sociali e economiche (evidentemente non si parla d’altro che di gestione del fronte emergenziale), riflettere sulle cause può portare a una serie di considerazioni tutt’altro che secondarie.

L’ipotesi più accreditata è che, per quanto non si possa dire con precisione dove e in quali circostanze, la gestazione del Covid-19 sia avvenuta a margine di processi produttivi invasivi di tipo agro-industriale. Come sottolineato dal biologo evoluzionista Rob Wallace,1 i luoghi d’origine dei coronavirus (Mers e Sars) e di patogeni simili come l’Ebola, sono quelli di un’industria agro-economica sempre più aggressiva, che devasta interi ecosistemi mettendo in esplosiva relazione tra loro animali privati del loro habitat, allevamenti intensivi di bestiame, e periferie urbane a alta densità abitativa e scadenti condizioni igienico-sanitarie. In termini tecnici, si tratta di malattie zoonotiche, ovvero trasmesse, direttamente o indirettamente, dagli animali all’essere umano. Non per nulla molti di questi virus portano il nome di animali, per esempio l’aviaria, la suina o i cosiddetti arbovirus (trasmessi da artropodi, generalmente zecche o zanzare, tra cui lo Zika-virus).

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comuneinfo

Alla fine il mostro è alla porta

di Mike Davis

Nei prossimi giorni il virus potrebbe devastare le baraccopoli di Africa e Asia, ma il pericolo per i poveri globali è stato quasi totalmente ignorato da media e governi occidentali. Intanto negli Usa sta per abbattersi un “Katrina sanitario”. Già la “semplice” influenza stagionale del 2018 ha sovraccaricato gli ospedali dopo vent’anni di tagli: milioni di lavoratori a basso salario, precari privi di assicurazione, disoccupati e senzatetto saranno gettati ai lupi. Su quanto sta per accadere negli slum e negli Usa scrive Mike Davis, secondo il quale il principale problema resta Big Pharma che preferisce dedicarsi ai farmaci che provocano dipendenza e alle cure dell’impotenza maschile invece di favorire l’accesso ai salvavita e la ricerca. È questo il tempo per spezzare il potere del monopolio dei farmaci e quello dell’assistenza sanitaria a fini di lucro

Screenshot from 2020 03 18 10 59 32Il Covid-19 è alla fine il mostro alla porta. Ricercatori stanno lavorando giorno e notte per identificare l’epidemia ma hanno di fronte tre grandi sfide.

 

Tre sfide

Innanzitutto la continua penuria o indisponibilità di kit di test ha fatto svanire ogni speranza di contenimento. Inoltre sta impedendo stime accurate di parametri chiave quali il tasso di riproduzione, la dimensione della popolazione infetta e il numero delle infezioni benigne. La conseguenza è un caos di cifre.

Ci sono, tuttavia, dati più affidabili sull’impatto del virus su certi gruppi di alcuni paesi. È molto pauroso. L’Italia, ad esempio, riferisce una percentuale impressionante del 23 per cento di morti tra i maggiori di 65 anni; in Gran Bretagna la percentuale è oggi del 18 per cento. L’”influenza corona” che Trump rifiuta, è un pericolo senza precedenti per le popolazioni geriatriche, con un potenziale pedaggio di morti dell’ordine di milioni.

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effimera

Coronavirus: lo spettacolo di un’epidemia che non ha avuto luogo

di Gianpaolo Cherchi

Angela Loveday 1200x803Quando l’emergenza Coronavirus sarà cessata (si spera, ovviamente, molto presto) e le nostre vite verranno restituite alla loro normalità, la domanda che dovremo farci dovrà essere la seguente: ha avuto veramente luogo un’epidemia di Coronavirus?

Ciò che abbiamo vissuto è stata una reale situazione di emergenza sanitaria o abbiamo piuttosto assistito ad uno spettacolo in cui fatti, numeri, statistiche, opinioni contrastanti e informazioni contraddittorie si sono accavallati con una velocità impressionante, dando luogo ad una situazione irreale? Che ruolo ha giocato, nelle misure estreme varate dal governo, l’informazione?

La velocità con cui hanno circolato le notizie in continuo aggiornamento sul contagio, la viralità con cui sono proliferate le opinioni contrastanti dei tecnici e degli esperti, l’eccezionalità delle soluzioni politiche adottate, sono tutti elementi che non possono esimerci da una riflessione sul ruolo tutt’altro che secondario che è stato giocato dalla percezione del fenomeno, o meglio sarebbe dire dalla sua spettacolarizzazione. Un punto soltanto sfiorato nel dibattito, spesso appena accennato quando non clamorosamente mancato o imperdonabilmente taciuto, mai approfondito a sufficienza. È quanto ci si propone di fare, invece, in questo articolo.

 

Percezione

È in relazione ai suoi studi sul rapporto tra velocità e politica che Paul Virilio introduce il concetto di logistica della percezione, pilastro fondamentale nella sua dromologia, o “scienza della velocità”. Il termine logistica non è casuale: oggetto di indagine del teorico francese è l’insieme delle operazioni di reperimento, catalogazione e distribuzione applicabili non alle persone e alle cose che fanno parte della realtà (si potrebbe dire alle merci, ma non lo diremo), quanto alle percezioni della realtà stessa, alle sue immagini (anch’esse, appunto, merci).

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quieora

Il coronavirus e lo stato di eccezione individuale

di Fulvius Styx

Untitled 3 2000x1200a«Il potere è dominio: può solo vietare e imporre l’obbedienza.»

Michel Foucault

A chi crede ancora, lungo tutto lo spettro politico, che i nostri imperi si preoccupino realmente della loro popolazione — «stavolta vogliono davvero il nostro bene» — o, detta altrimenti, che i nostri imperi non nutrano alcun interesse in questa crisi sanitaria, ci permettiamo di rispondere aggiungendo qualche riga all’eccellente descrizione fornita da Agamben sul Manifesto qualche giorno fa.

Promemoria per gli studenti della prima fila: il modello di contratto sociale che ha maggiormente ispirato e tuttora ispira la rete di potere non è quello di Jean-Jacques Rousseau, ma quello del Leviatano di Thomas Hobbes. Un’opera che ha dato vita ad altre correnti, tra cui quella utilitarista — alla quale dobbiamo il Panopticon di Jeremy Bentham. Questo brillante trattato di urbanistica (Il Panopticon!), in mano ai nostri governanti, ha partorito la maggior parte dell’architettura carceraria, ma anche di quella scolastica. Ma forse siete poco interessati alla scienza politica e all’urbanismo carcerario, e vi starete chiedendo: «che rapporto ci sarà mai tra il contratto sociale e l’aspetto terrorizzante di questa nuova influenza?»

Promemoria per gli studenti dell’ultima fila: l’etimologia di «strategia» viene da «strategemma» («complottista!»), e dovrebbe portarci a considerare un’evidenza: che l’astuzia dell’avversario è sempre relativa, e si definisce sempre in rapporto alle nostre qualità percettive — alla nostra capacità cioè di leggere tra le righe nei discorsi dei governanti e dei loro galoppini senza qualità.

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lacausadellecose

Il virus dell’uomo capitalistico

di Michele Castaldo

corValter Veltroni, consumato uomo politico italiano, ex sindaco di Roma nonché intellettuale e scrittore, in un fondo sul Corriere della sera di giovedì 12 marzo, in una perentoria affermazione include una capziosa domanda: «Ma questo virus - qualcuno un giorno ci dirà con certezza da dove è sbucato? – cambia la storia».

Concediamo il beneficio della buona fede al signor Veltroni e gli consigliamo di leggere qualche buon saggio su come si sono sviluppati certi virus negli ultimi 250 anni. Potrebbe leggere qualcosa di Richard Levins, biologo, matematico e filosofo, oppure di Robert G. Wallace, sennò di Laura Spinney che scrive, tra il saggio e il romanzo, un testo di estremo interesse al riguardo. Questo, ripeto, se in buona fede intende veramente comprendere la natura di certi virus e farsi un’idea più precisa da dove potrebbe provenire l’attuale coronavirus. Se in malafede, lo lasciamo in balia degli eventi e in compagnia della sua ignoranza.

Ma a parte il dubbio sulla provenienza del virus, a Valter Veltroni va riconosciuto il merito di una intuizione brillante, quando afferma: «Ma questo virus cambierà la storia». Si, questo virus cambierà la storia, dunque la percezione è che ci troviamo di fronte a un fatto storico straordinario.

Dal momento che Veltroni non è uno qualsiasi e ancor meno lo è il Corriere della sera, giornale storico della borghesia italiana, dobbiamo dedurne che sua eccellenza l’Establishment sta tremando di fronte a un fenomeno con caratteristiche poco controllabili e poco gestibili; e che per esorcizzare la paura comincia a pensare al «dopo-virus», cercando di farsi coraggio dando fondo alle proprie risorse di ottimismo italico. Diamine, siamo un grande paese con una storia straordinaria alle spalle!

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ilpungolorosso

Il “cigno nero” e’ qui. Crisi, guerra e prospettive dello scontro di classe

di *

Che sia il canto del cigno del capitalismo decadente!

black swanUn castello di carte

Sotto la sferza dell’epidemia di coronavirus, una nuova crisi produttiva e finanziaria del sistema capitalistico internazionale è tornata a farsi estremamente vicina e, mai termine fu più appropriato, virulenta.

Se a dar fuoco alle polveri nel 2007/2008 sono stati i mutui sub-prime, oggi è il covid-19 ad aprire le danze, cioè uno shock esogeno, anche se tale aggettivo è corretto solo se utilizzato in senso stretto, cioè prescindendo da tutte le devastazioni che il modo di produzione capitalistico ha inferto all’ambiente naturale, nel senso più ampio del termine e che, negli ultimi decenni, si sono estese e approfondite con una progressione esponenziale.

In ogni caso, il coronavirus ha svolto la funzione di detonatore di contraddizioni e problemi che l’economia capitalistica porta in grembo da tempo e che, a dispetto del suo andamento ciclico – fatto di recessioni/crisi finanziarie e riprese successive e nonostante la situazione diversa in cui si collocano le differenti aree – si caratterizza per una difficoltà crescente della riproduzione capitalistica a scala globale, che ha la sua radice nella crescente difficoltà di valorizzazione, della quale i più sofisticati artifici della finanza speculativa e l’impiego di tutte le risorse delle Banche Centrali, capaci di creare denaro – ma non valore – dal nulla non riescono a venire a capo.

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eticaeconomia

Le pandemie come fallimento istituzionale

di Maurizio Franzini

Untitled 9 1250x884“Molti dei più grandi mali del nostro tempo sono il frutto del rischio, dell’incertezza e dell’ignoranza.” Così scriveva, quasi un secolo fa, nel 1926, Keynes nel suo The End of Laissez-Faire. Queste sue parole sembrano appropriate per riflettere sul grande male di questi giorni, la pandemia da corona virus, ed è così anche considerando quelle che immediatamente le precedono: “la cosa importante per il governo non è fare le cose che gli individui già fanno, né è farle un po’ meglio o un po’ peggio; ma è fare le cose che nessuno fa…”. Proviamo a vedere cosa c’entra tutto questo con la pandemia da corona virus, iniziando da qualche riferimento storico.

È stato osservato da G. Yamey et al. su The Lancet che rispetto alle pandemie si susseguono cicli di panico e cicli di indifferenza, se non proprio – aggiungo io – di serena incoscienza. Il riferimento non è ai singoli individui ma ai governi e, più in generale, alle istituzioni che in vario modo sono collegate alle pandemie.  Restando su un orizzonte temporale breve, rispetto alla storia secolare delle pandemie, si può ricordare che, stando a quanto riporta F. M. Snowden nel suo libro Epidemics and Society (Yale University Press, 2019, p. 23) alla fine degli anni ’60 il clima di euforia, a livello globale, rispetto alla capacità di combattere le epidemie era tale che le Università di Yale e Harvard chiusero i dipartimenti universitari sulle malattie infettive. Da allora, come è noto, non sono affatto mancate epidemie e pandemie e, soprattutto, non sono mancati veri e propri gridi di allarme provenienti da diversi ambiti scientifici.

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italiaeilmondo

Epidemia coronavirus, due approcci strategici a confronto

di Roberto Buffagni

light 1097599 1920 945x630Propongo una ipotesi in merito ai diversi stili strategici di gestione dell’epidemia adottati in Europa e altrove. Sottolineo che si tratta di una pura ipotesi, perché per sostanziarla ci vogliono competenze e informazioni statistiche, epidemiologiche, economiche che non possiedo e non si improvvisano. Sono benvenute le critiche e le obiezioni anche radicali.

L’ipotesi è la seguente: lo stile strategico di gestione dell’epidemia rispecchia fedelmente l’etica e il modo di intendere interesse nazionale e priorità politiche degli Stati e, in misura minore, anche delle nazioni e dei popoli. La scelta dello stile strategico di gestione è squisitamente politica.

Gli stili strategici di gestione sono essenzialmente due:

  1. Non si contrasta il contagio, si punta tutto sulla cura dei malati (modello tedesco, britannico, parzialmente francese)
  2. Si contrasta il contagio contenendolo il più possibile con provvedimenti emergenziali di isolamento della popolazione (modello cinese, italiano, sudcoreano).

Chi sceglie il modello 1 fa un calcolo costi/benefici, e sceglie consapevolmente di sacrificare una quota della propria popolazione. Questa quota è più o meno ampia a seconda delle capacità di risposta del servizio sanitario nazionale, in particolare del numero di posti disponibili in terapia intensiva. A quanto riesco a capire, infatti, il Coronavirus presenta le seguenti caratteristiche: alta contagiosità, percentuale limitata di esiti fatali (diretti o per complicanze), ma percentuale relativamente alta (intorno al 10%, mi pare) di malati che abbisognano di cure nei reparti di terapia intensiva. Se così stanno le cose, in caso di contagio massiccio della popolazione – in Germania, ad esempio, Angela Merkel prevede un 60-70% di contagiati – nessun servizio sanitario nazionale sarà in grado di prestare le cure necessarie a tutta la percentuale di malati da ricoverarsi in T.I., una quota dei quali viene così condannata a morte in anticipo.

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sinistra

Specchi lontani e vicini: la malattia come evento e come rappresentazione

di Eros Barone

leopar30Qui mira e qui ti specchia, / secol superbo e sciocco, / che il calle insino allora / dal risorto pensier segnato innanti / abbandonasti, e volti addietro i passi, / del ritornar ti vanti, / e procedere il chiami. / Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti, / di cui lor sorte rea padre ti fece, / vanno adulando, ancora / ch’a ludibrio talora / t’abbian fra sé... libertà vai sognando, e servo a un tempo / vuoi di nuovo il pensiero...
Giacomo Leopardi, Da La ginestra.1

1. Una storia, più storie

La diffusione del coronavirus e il clima di allarme e di mobilitazione che il fenomeno in corso sta scatenando nel mondo e segnatamente nel nostro paese costringe a riconoscere nell’esperienza della malattia una dimensione largamente presente, e quindi cruciale, nella vita delle generazioni umane. In effetti, chi si avvicina alla storia del passato è inesorabilmente colpito dall’onnipotenza della malattia. Essa, del resto, ha sempre costituito uno dei passaggi obbligati della narrazione storica e della reinvenzione letteraria, da Tucidide ai cronisti medievali, da Boccaccio al Manzoni, senza dimenticare due classici del Novecento come La montagna incantata di Thomas Mann e La peste di Albert Camus.

Manifestazione del male e nel contempo inquietante metafora del male, la malattia rappresenta e simboleggia quel sentimento di insicurezza che, già ben presente e radicato nelle età antica, medievale e moderna, costituisce, ad onta delle rimozioni e a dispetto della scotomizzazione, il fulcro della sensibilità contemporanea nell’epoca del tardo capitalismo e della sua cronica “crisi generale”.

Endemica debolezza fisica, epidemie, pandemie, tubercolosi, malaria, malattie della pelle e malattie nervose, malformazioni di tutti i generi, mutilazioni, e, su tutto, la peste e la lebbra: la storia di queste fattispecie nosologiche è connessa in modo inestricabile con quella delle società, ed è un intreccio molteplice.

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badialetringali

Il disastro della nuova scuola

E il compito di restaurare l’istruzione pubblica

di Paolo Di Remigio, Fausto Di Biase

Schermata 2019 01 19 alle 00.08.34Le riforme attuate nella scuola italiana ed europea negli ultimi trent’anni contrastano in modo così risoluto con la natura della didattica da poter essere comprese soltanto come effetti del contemporaneo rivolgimento politico. Sconfitto l’«impero del male», l’oligarchia economica occidentale, quella che ispira i documenti degli organismi internazionali e parla attraverso i giornali, ha potuto finalmente rompere l’alleanza più onerosa, quella con le masse; ha dunque indebolito gli Stati e sottratto loro il controllo delle banche centrali per indebitarli e abbattere la spesa sociale, e ha introdotto la mobilità dei capitali, delle merci e delle persone per colpire il lavoro. Il diffondersi della disoccupazione ha falcidiato i salari, precarizzato i contratti dei lavoratori e annientato le loro organizzazioni. Sindacalisti e politici di sinistra hanno però conservato la loro professione – cambiando schieramento: li ha captati l’oligarchia perché la loro influenza sui lavoratori li rendeva utili a sopire le resistenze. Da allora progressisti e rivoluzionari dissimulano con la lotta contro l’eterno fascismo e per i diritti umani la loro complicità in un attacco al lavoro pari soltanto a quello avvenuto durante il vero fascismo[1].

La sicurezza economica dei lavoratori per un lato dipende dall’azione dello Stato per realizzare la piena occupazione, per l’altro è condizione della famiglia. Le oligarchie non potevano realizzare il loro piano generale di precarizzazione[2] senza inserirvi la scuola, che si colloca tra famiglia e Stato. Così l’hanno separata da quest’ultimo per assoggettarla agli organismi internazionali, l’hanno denigrata con la propaganda e demoralizzata con lo stillicidio delle riforme perché gli abbienti si rivolgessero all’istruzione privata; inoltre le è stato prescritto di invadere le competenze della famiglia occidentale votata all’estinzione[3] e di educare ai valori della nuova società multietnica; infine è stata costretta a organizzare il tirocinio per il lavoro precario.

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tempofertile

Coronavirus, cronache del crollo

di Alessandro Visalli

C 17 pagineAree 5338 0 immagine8 marzo 2020, ore 18.00, Napoli, Italia.

Una professoressa dei miei due figli potrebbe essere contagiata, o almeno lo teme. Un suo compagno ha un caso nel palazzo di casa e un altro, di un’altra classe, risulta positivo. Ma in Campania quasi un giorno fa risultavano meno di novanta casi.

Nel mondo cento paesi risultano[1] contagiati, in Cina si è arrivati al picco di circa ottantamila casi ma ora è in fortissimo calo, in Corea del Sud ci sono oltre settemila casi, in Italia più di seimila probabilmente, l’Iran ha quattromisettecento casi, seguono la Germania con seicentotrentanove casi, la Francia con seicentotredici, il Giappone con quattrocento, la Spagna con trecentosettanta, la Svizzera con duecento, gli Stati Uniti con duecentotredici casi, il Regno Unito con centosessanta, e via dicendo. In tutto circa centomila casi nel mondo e tremilacinquecento morti.

Obiettivamente, se fosse questo, sarebbe un’inezia.

Ma quel che conta sono due cose: ieri in Italia c’erano oltre mille casi in meno, e ovunque, salvo in Cina, l’andamento quando è monitorato è in crescita esponenziale; una parte dei casi rilevati, uno su cinque, sviluppa complicazioni polmonari serie o gravi e la metà deve essere ricoverato in terapia intensiva pena una rapida morte per asfissia.

Quanti sono uno su dieci? Troppi.

Prendiamo la celebrata sanità italiana: sessanta milioni di abitanti, al vertice insieme a Germania e Giappone della classifica delle popolazioni più anziane; centocinquantamila posti letto pubblici e quarantamila privati; ma solo cinquemila al massimo abilitati per la terapia intensiva per la quale bisogna avere, oltre alle attrezzature mediche, un medico specializzato e due infermieri specializzati per ogni quattro posti letto. Complessivamente si stima che sono impegnati fino a quindici addetti per ogni persona in grave rischio di vita.

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contropiano2

Rapporto Oms. Come la Cina sta vincendo il virus

di Redazione Contropiano

cina coronavirus vittoriaE voi “godetevi” la sanità privata e regionalizzata…

Una Commissione internazionale di esperti virologi, diversi dei quali statunitensi, è stata inviata in Cina dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il loro rapporto finale, dopo un approfondito esame della situazione sanitaria in loco, è un poco meno che entusiastico.

Apprezzato tutto, dalle misure prese per il confinamento (decine di milioni di persone chiuse in casa) allo sforzo inaudito per rafforzare la sanità pubblica là dove era indispensabile. Con cifre impensabili qui da noi, non solo in assoluto (che è ovvio, vista la differenza di dimensione della popolazione…), ma soprattutto in percentuale.

Emerge la superiore efficienza di un modo di concepire e organizzare la vita sociale a partire da un interesse generale. Non c’entra nulla l’ideologia, quel che conta sono le priorità fissate politicamente, ossia gli obbiettivi che devono guidare un’azione generale.

Fin dall’inizio è stato chiarissimo che l’economia avrebbe subito un colpo molto duro, con una provincia di 60 milioni di abitanti, cuore dell’industria automobilistica cinese, completamente ferma per almeno un paio di mesi.

Ma nessuno è stato licenziato per questo, al contrario che qui da noi. Il Paese prende su di sé il carico di una sua parte che si deve fermare perché la priorità è fermare la diffusione del virus. Per l’economia si provvederà dopo, concentrando anche in quel caso lo sforzo generale.

Tutto l’opposto di quel avviene da noi, in tutta Europa e ancor più negli Stati Uniti, “patria” della privatizzazione e dove un tampone in un ospedale privato costa 3.200 dollari e quindi – come ha ben sintetizzato anche Vasco Rossi – nessuno o quasi lo fa. E dunque la diffusione del virus è “libera”. Le persone vengono ospedalizzate solo quando crollano.

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paginauno

Capitalismo digitale. Il futuro colonizzato

di Renato Curcio

Incontro-dibattito sul libro Il futuro colonizzato. Dalla virtualizzazione del futuro al presente addomesticato, di Renato Curcio (Sensibili alle foglie, 2019), presso il Csa Vittoria, Milano, 24 ottobre 2019

unnamed87tVorrei iniziare leggendo due frammenti di due interviste uscite recentemente sui giornali internazionali e italiani; sono poche righe, ma penso che potranno ben introdurci al tema che cercheremo in qualche modo di raccontare.

La prima è di Leonard Kleinrock, un uomo importante nella storia di Internet, anzi si può dire il primo uomo: è stato quel ricercatore che nel 1969 è riuscito a mettere per la prima volta in contatto due computer. Per tanti anni ha poi lavorato ai progetti di nascita della rete ed è noto agli studenti di tutte le università perché è il fondatore dell’informatica come disciplina universitaria. A ottobre ha dichiarato: “Il nostro Internet era etico, di fiducia, gratis, condiviso. Oggi è passato da risorsa digitale affidabile a moltiplicatore di dubbi, da mezzo di condivisione a strumento con un lato oscuro. Internet consente di arrivare a milioni di utenti a costo zero in maniera anonima, e per questo è perfetto per fare cose malvagie: spam, addio alla privacy, virus, furto d’identità, pornografia, pedofilia, fake news. Il problema è nato quando si è voluto monetizzarlo: si è trasformato un bene pubblico in qualcosa con scopi privati che non ha la stessa identità del passato”. Kleinrock quindi afferma che ci sono due fasi: una prima in cui è nato Internet come progetto scientifico e di ri cerca, che aveva comunque un’intenzione pubblica, e una seconda in cui qualcuno ha cominciato a monetizzarlo ed è diventato una cosa ‘malvagia’.

Edward Snowden, che conosciamo tutti, in un’altra intervista ha sintetizzato così il suo punto di vista: “Alle origini Internet era il luogo in cui tutti erano uguali, un luogo dedicato alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.

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carmilla

Sull’epidemia delle emergenze e sulla catastrofe come campo del possibile

di Jack Orlando e Sandro Moiso

watchmen themed doomsday clock Il Coronavirus, uno spettro che si aggira per il globo. Non più quello del comunismo, ma nemmeno quello della pandemia; è piuttosto quello della Catastrofe, e della sua immediata articolazione: l’Emergenza. Non è infatti pienamente comprensibile il timore che suscita questa epidemia, se non lo si colloca nella sua cornice generale e nei suoi significati più profondi. Non è per una pandemia che si trema, è per la paura del collasso, per quel permanente senso di incapacità a mantenere in eterno l’attuale modo di produzione e di vita capitalistico.

Il Coronavirus ha avuto un tempismo perfetto, cascando nel bel mezzo di una congiuntura che vedeva già intrecciarsi l’inizio di una nuova macroscopica crisi finanziaria ed economica, con una profonda crisi politica delle istituzioni locali, nazionali e globali e con una tensione crescente alla guerra, che solo in questi giorni prende una nuova accelerata, con masse di profughi che premono ai confini d’Europa e la Turchia che tenta di mangiarsi la Siria e conquistarsi un primato che non sarebbe più solo regionale.

Una grande situazione di possibilità, in fondo, che però trova pronta ad accoglierla una parte delle associazioni imprenditoriali1, ma non trova nessuno a raccoglierla tra le fila del “partito rivoluzionario”, sempre ammesso che ne esista ancora uno. Questo perché ci sembra che, dalle nostre parti, smarrite le bussole del conflitto, ci si adagi nella denuncia dell’emergenza accodandosi alla sua narrazione mediatica, senza coglierne le complessità né i margini di azione che ci offre.

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ilpedante

Bambini allo Stato

di Il Pedante

Infanzia17a 1280x720Premessa: sono felice di avere frequentato una scuola materna e di averla fatta frequentare ai miei figli. Lo sono anche i miei coetanei, pur con poche, ma rispettabili e motivate, eccezioni. Dovrei dunque rallegrarmi del fatto che il nostro governo propone in questi giorni di renderne obbligatoria la frequenza? No, anzi. La notizia mi ha fatto male, come fa male assistere a una violenza sproporzionata e gratuita. Perché l'obbligo è una violenza: in certi casi necessaria, ma comunque tale. E nella marea di nuovi obblighi, adempimenti e sanzioni che sta salendo in questi anni sembra appunto svelarsi la trama di una società sempre più violenta nel metodo. Che non sapendo più offrire, costringe. E non sapendo convincere, impone. Perché, mi sono chiesto, un servizio ai cittadini deve trasformarsi in un dovere? Perché un diritto deve negare un altro diritto? Perché rendere odiosa e minacciosa un'occasione di crescita bene accolta da tutti? Perché farne un pretesto per accorciare il guinzaglio?

Nel cercare le risposte a queste domande, il mio malessere cresceva. In un tweet del 16 febbraio, il viceministro all'istruzione Anna Ascani spiegava che «estendere l'obbligo alla scuola dell'infanzia significa dare a tutti i bambini e alle loro famiglie più opportunità». Pochi giorni dopo, il Corriere della Sera dava la notizia dell'«asilo obbligatorio dai tre anni» aggiungendo nel titolo: «oggi frequenta solo il 12% dei bimbi». In entrambi i casi, non bisogna essere maliziosi per capire che c'è un grosso problema: sia nel rappresentare un obbligo come il suo contrario (una «opportunità»), sia nel suggerirne l'urgenza affiancandogli a caratteri cubitali un dato inapplicabile e irrilevante. Il «12% dei bimbi» è infatti la quota di frequenza degli asili nido, cioè dei bambini fino ai tre anni di età, mentre le scuole dell'infanzia oggetto della proposta sono già frequentate dal 92,60% dei piccoli del nostro Paese, che si colloca così al nono posto in Europa (fonte Openpolis).

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effimera

La Pandemia prossima ventura

di Angelo Baracca

Coronavirus 1200x675Si stanno accavallando le considerazioni più svariate sull’attuale epidemia da coronavirus, pareri discordanti di specialisti, valutazioni politiche diverse: non solo il cittadino comune riceve una gran confusione, ma anche una persona con qualche base scientifica stenta molto ad orientarsi. Io sono un fisico di formazione e nonostante i miei interessi generali non sono in alcun modo un esperto in questo campo, ma sono debitore al Dott. Ernesto Burgio di informazioni e commenti basilari per questo articolo (dei cui contenuti peraltro egli non ha alcuna responsabilità).

In primo luogo mi sembrano fondamentali alcune precisazioni che da molti resoconti e interviste, anche di specialisti, non emergono, o non emergono chiaramente.

I virus non sono microrganismi in senso stretto, ma “acidi nuclei impacchettati”, virus è un termine generico che comprende un grandissimo numero di famiglie e specie con caratteristiche molto diverse, come struttura, tipo di replicazione, cellula ospite (animali, funghi, piante o batteri), tropismo di tessuto od organo, tipo di trasmissione, ecc. (per farsi un’idea si può ricorrere alla solita Wikipedia. Non mi stupisce che anche fra gli esperti vi siano opinioni diverse perché ogni specialista è legato al suo campo, altrimenti oggi non sarebbe uno “specialista”: lo so bene dalle lotte contro il nucleare degli anni ‘80 dove tutti (o quasi) i fisici e gli ingeneri erano a favore di questa tecnologia.

Il coronavirus attuale (SARS-Cov-2, che causa la malattia Covid-19), come quello della SARS del 2003 (SARS-Cov), differiscono dai comuni virus influenzali per essere virus ricombinanti, emergenti da pochi mesi o anni da serbatoi animali naturali o artificiali come quelli degli allarmi aviari degli ultimi vent’anni (1997/2005) e i coronavirus 2002/2003 e 2019/2020.

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sebastianoisaia

Un virus scaccia l'altro. Trojan e dintorni

di Sebastiano Isaia

trojan 2Tutti occupati e preoccupati dal famigerato Covid-19, probabilmente abbiamo sottovalutato l’importanza del regalo virale che lo Stato, bontà sua, si appresta a somministrarci per irrobustire il sistema immunitario della società civile, troppo spesso incline a certe affezioni eticamente e legalmente riprovevoli. Naturalmente sto parlando del “virus informatico” chiamato Trojan (1). Per Marco Travaglio, forse il “teorico” più significativo dell’italico giustizialismo, il Trojan è un «raro caso di virus benefico», e già questa semplice affermazione la dice lunga sul concetto di “bene” che hanno in testa gli ultrareazionari – di “destra” e di “sinistra”. Personalmente temo più il Trojan inoculato dallo Stato nel corpo sociale, che il Coronavirus che sta mettendo a dura prova il sistema immunitario di alcune persone – e l’intelligenza di molte altre.

Una campana di “destra”: «Mentre non si esaurisce la polemica sulla abolizione della prescrizione (2), che è un regalo all’ingiustizia, il Parlamento dà il via libera al cosiddetto Trojan, una diavoleria tecnologica applicando la quale è possibile spiare chiunque sia dotato di un cellulare. Ignoro come esattamente funzioni, ma dicono che nelle mani degli investigatori si trasformi in un’arma letale idonea a ridurre la privacy in una polpetta retorica. Prepariamoci al peggio, che è già cominciato. […] La lotta tra chi le vuole eliminare e chi incrementare vede prevalere immancabilmente la categoria opportunamente definita dei manettari. Di costoro ora assistiamo al trionfo propiziato dagli esultanti figli di Trojan. In sostanza si consegna ai pm un ennesimo mezzo per inchiodare, magari a casaccio, i cittadini. Anziché puntare a ottenere una giustizia più umana e depenalizzare i reati bagattellari, punendoli con un calcio nel sedere e non con una coltellata alla gola, si forniscono ai magistrati altri strumenti per esercitare il loro strapotere» (V. Feltri, Libero).

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eticaeconomia

Contro l’urbanicidio: la lezione di Marshall Berman

di Vittorio Giacopini

Schermata 03 2458910 alle 18.26.56L’esperienza della modernità è un’impresa fondamentalmente, frontalmente, abissalmente urbana e, mentre i reazionari (di sinistra) si dilettano con stucchevoli esercizi di ‘paesologia’, sarebbe il caso di accettare la sfida del presente alla radice. L’ultima frontiera di quella che una volta si sarebbe chiamata lotta di classe, oggi, riguarda la vita e la morte delle grandi città, per citare Jane Jacobs: la privatizzazione, senza margini, degli spazi comuni, la trasformazione delle città in parchi a tema e la turifisticazione, la gentrification, dei centri urbani. Provare a contrastare questa deriva apparentemente ovvia, inarrestabile, è una battaglia di resistenza che non bisognerebbe lasciare in mano agli esperti, ingenuamente, illudendosi che sia un problema tecnico, o economico. Scrittori, intellettuali, cittadini devono porsi il problema, come tutti. Per farlo bisogna mutare percezioni e abitudini mentali o compiaciute o molto fiacche e pigre, indifferenti. Chi si bamboleggia col flaneur di Baudelaire, col Walter Benjamin tascabile delle citazioni abusate, pret à porter, chi legge Sebald come se fosse una versione midcult della Lonely Planet farebbe bene a riconoscere che quell’era è finita, e senza scampo. Il flaneur – lo scrive uno dei maggiori esperti italiani di studi urbani, Mario Maffi – ormai ha lasciato campo al ‘rabdomante’. Vivere le città, attraversare l’esperienza urbana oggi è un lavoro quasi-politico o un dovere che poco ha a che fare con lo smarrimento svagato alla Benjamin (e persino con la ‘teoria della deriva’ di Guy Debord).

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lacausadellecose

Virus “cinese” e boomerang di ritorno

di Michele Castaldo

1196115521 kHrG U31601454239847NLD 656x492Corriere Web Sezioni«A lungo gli storici hanno ignorato l’importanza delle malattie infettive come attori della storia».
Laura Spinney

Nel luglio del 1989, subito dopo i fatti di piazza Tien an Men, ebbi l’opportunità di andare in Cina insieme a Paolo Turco, un compagno della mia stessa organizzazione internazionalista, per un viaggio offerto dal governo cinese a varie agenzie di viaggio per dimostrare che in quel paese regnava la tranquillità e che le famose rivolte degli “studenti” erano state sconfitte «con quattro scappellotti» come disse il sindaco di Pechino presente al pranzo ufficiale, offerto in nostro onore, nel più grande albergo di Pechino. Quel viaggio mi si scolpì nella memoria, perché

avevo desiderato per oltre 20 anni di andare nel paese di Mao, del libretto rosso, delle Comuni e del «fuoco sul quartier generale», e dopo solo due giorni avremmo voluto rientrare immediatamente in Italia. In due settimane visitammo, in un pazzesco tour de force (si scendeva da un aereo e si saliva su un treno, poi su un pullman) Hong Kong, Shanghai, Guangzhau, Wuan, Lanzou, Xian, per ultimo Pechino, da cui partimmo per rientrare finalmente in Italia.

Che impressione riportammo? Di un immenso cantiere, di una società entusiasta al punto da apparire nevrotica, di un popolo che non credeva ai propri occhi per i livelli di sviluppo e di benessere che andava costruendo, e – soprattutto – un’aria umida e appiccicaticcia, irrespirabile nel vero senso della parola. D’accordo che eravamo in luglio, ma la peggiore afa estiva delle nostre città era aria d’alta quota rispetto a quella che si respirava nelle metropoli cinesi in quei giorni.