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la citta futura

Il diritto di avere diritti

di Alba Vastano

“Soffriamo di una cittadinanza oppositiva, nazionale, puramente identitaria, mentre dovremmo essere preparati a vivere in una nuova common, ove la persona è cittadina in qualunque luogo si trovi”

dd8717d03149543c5feef7a66595fa19 XLNell’era della globalizzazione in cui siamo immersi è necessario rielaborare il concetto di diritto, svilito dalle trasgressioni sull’impianto costituzionale e dalla dilagante corruzione. Retaggi di un passato che si è fatto un insopportabile presente, in cui giustizia, vivere civile e diritti sociali umanitari sono spariti. Stefano Rodotà (già recensito in Solidarietà, utopia necessaria) da eccellente giurista e grazie alla sua passione civile, ci lascia in eredità, tramite i suoi scritti, gli strumenti per analizzare le questioni più importanti, legate al “diritto di avere diritti”, che è anche il titolo di un suo importante saggio.

 

Lo spazio e il tempo dei diritti

È un nuovo mondo. Viviamo in uno spazio sconfinato. L’era dei sans frontieres e della globalizzazione, l’era di internet. Può dare effetti collaterali, come lo spaesamento o l’agorafobia. Se ne può verificare il rigetto e il voler tornare alle frontiere, a confini ben delimitati o anche allo Stato nazionale, all’identità territoriale, allo spazio privato ove l’altro che viene da lontano, se lo oltrepassa, è considerato un invasore e va tenuto a distanza, ne dobbiamo diffidare. Questo è l’effetto collaterale del nuovo mondo globalizzato. È scritto nella storia dei popoli, dalle prime civiltà, dai primi gruppi sociali, che i muri e i confini bisogna alzarli per difendersi da attacchi esterni, perché è da fuori che viene il pericolo. Abbiamo provato a ribaltarla questa storia, ad abbattere i muri per dare inizio ad una nuova società aperta a tutti e in cui tutti vi si riconoscano liberi ed eguali. Ma probabilmente, visti gli effetti contro, non eravamo preparati a capirne le dinamiche, ad analizzarle, e ad accoglierne le conseguenze.

Gli effetti sono devastanti, basta pensare a come consideriamo l’extracomunitario che scappa dalla fame e dalla morte. È un invasore, da rinviare al mittente. E l’ossimoro è che nell’era delle grandi aperture all’ intercultura, che ci vorrebbe tutti cittadini del mondo, aperti e disponibili ad accogliere le diversità di razza, cultura e genere, invece ci chiudiamo nel privato sempre di più e abbiamo paura dello straniero, soprattutto di quello povero e infelice che ha il diritto, come tutti noi, ad essere ben accolto per migliorare la sua esistenza. Così una stragrande maggioranza di cittadini mal addestrati all’idea del principio di uguaglianza da false politiche imbevute di neoliberismo, pensano che l’opzione da abbracciare sia il tornare ad essere nazione, tornare nel privato del nostro territorio, delle nostre case, all’idea di famiglia tradizionale, all’uso esclusivo del nostro codice lingua, alle tradizioni popolari che hanno un grande valore solo se messe a disposizione di altre culture, a delimitare le nostre proprietà con il filo spinato, a difendere anche con le armi i nostri confini personali.

Per comprendere i segni del cambiamento storico che ci ha condotto alla postmodernità e alla società liquida che possiamo datare con la caduta del muro di Berlino, che non a caso è considerato lo spartiacque fra due epoche, e per capire a cosa servono muri e frontiere “bisogna rivolgere l’attenzione alle loro diversità, alle modalità e agli effetti della loro determinazione, a chi ha il potere di definirle” scrive Rodotà nel suo saggio.. Cosa rappresenta un confine? Geograficamente è una netta demarcazione fra un territorio e l’altro ed è “..l’espressione materiale di una qualità dello spazio”. Può avere un’accezione positiva come difesa o riparo, o negativa come esclusione o prigione. In generale vuol significare che “in quella differenza spaziale si manifesta l’ordine dell’essere…è lo spazio naturalmente qualificato, ad avere in sé la misura che legittima la politica”. Rodotà invita a osservare, a proposito di confini statali, una situazione concreta che oggi ha forte rilevanza nella misura in cui vediamo chi viene da lontano e vive nei nostri spazi territoriali: la cittadinanza. Chi è cittadino di diritto ha in mano un “dispositivo” che lo autorizza ad escludere dalla vita sociale “il non cittadino”. Soffriamo di una cittadinanza oppositiva, nazionale, puramente identitaria, mentre dovremmo essere preparati a vivere in una nuova common, ove la persona è cittadina in qualunque luogo si trovi. E ne consegue che dovrebbe usufruire dei medesimi diritti dei cittadini del luogo in cui si trova.

Dobbiamo tornare al passato, quindi? Dobbiamo continuare a scatenare conflitti catastrofici, in nome dell’assurdo diritto ad allontanare e rifiutare le diversità? Perpetrare in eterno l’epurazione razziale? A cosa sia servito entrare in un mondo globalizzato, abbattere le frontiere e considerarci cittadini del Pianeta resta il grande mistero ancora da risolvere. Xenofobia e fascismo sono quanto mai attuali e ai diritti umani e sociali accede solo una minima parte delle popolazioni, quelle solitamente dedite alla cultura del capitalismo sfrenato. Anche la restante parte di mondo, con tratti populisti e propensa al razzismo e a privatizzarsi, resta esclusa dall’usufruire di legittimi diritti, sociali e civili, sanciti dalle Costituzioni e dai codici. A chi conviene questo micidiale gioco delle diversità se non solamente ai 20 potenti della Terra che governano intoccabili il mondo e seminando fra i popoli la paura del diverso, mantengono inalterato il potere e mettono sotto scacco intere società. Nulla si fa, a conti fatti, per emanciparsi dalla paura, se non chiudersi nel proprio squallido orticello.

La logica -scrive Rodotà nel suo saggio- dovrebbe essere piuttosto quella della convivenza, di una diversa dialettica, appunto quella di un continuo attraversamento di frontiere, quale è messa in evidenza, ad esempio, dal nuovo rapporto fra tra globale e sociale, e da una loro relazione non necessariamente escludente che si vuol descrivere con il termine glocalismo”.Il giurista ricorda che l’abbattimento dei muri e dei confini “è storia antica, anche se sempre difficile.”

Il riferimento che ce lo ricorda è un passo del “Levitico”, per chi voglia riferirsi al testo biblico: “lo straniero che risiede tra voi lo tratterete come chi è nato tra voi”. Mentre per un riferimento sicuramente più affidabile, perché laico e attinente alla giurisdizione, che ha sempre regolato le relazioni fra i popoli e le convenzioni sociali il riferimento è anch’esso antico e “per l’epoca davvero rivoluzionario. Riguarda l’articolo 3 del codice italiano del 1865, sul principio di accoglienza: “…lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino”.

Anche il più recente art. 21, a titolo “Non discriminazione”, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recita “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”. “… solo il superamento della frontiera come separazione – scrive Rodotà- può consentire il rispetto di una eguaglianza che non nega la diversità, ma pone questa a proprio fondamento”. Solo così si può abbattere il concetto di confine inteso come “strumento di esclusione, discriminazione, stigmatizzazione sociale”

Quanto la politica nostrana dominante sta mettendo in atto sotto lo slogan “Aiutiamoli a casa loro”, fermando i barconi della morte, è l’evidente fenomeno di come, sotto il nome di una falsa legalità, si voglia allontanare il diverso. Se condividiamo questa turpitudine siamo tutti trasgressori, oltre che razzisti.

 

Lo spazio dell’Europa

Su questo impervio terreno, in questo intrico di problemi, ha voluto inoltrarsi l’Unione Europea, quando nel 2000 ha deciso di darsi una Carta dei diritti fondamentali, la prima del nuovo millennio…facendo così dell’Europa la regione del mondo dove più è elevato il riconoscimento di libertà e diritti…”. Apre così Stefano Rodotà il capitolo dedicato all’Europa del saggio Il diritto di avere diritti” (leggi la parte I). Riguardo l’Europa non ci siamo con il pensiero che esprime il giurista, tutto incentrato sulla questione dei diritti che non lega chiaramente ai problemi derivanti dalle forme capitalistiche del potere e alle disuguaglianze sociali. L’affermazione citata stride e molto con tutto ciò che è poi avvenuto nel corso di quasi un ventennio ormai dalla nascita dell’Unione. Ma quali diritti se il progetto Europa era in realtà improntato allo smantellamento delle Costituzioni?

Questa Europa si è svelata dall’inizio ed ha una sola connotazione: Europa dell’egemonia della Banca centrale, del capitalismo e dei mercati. Un’Europa che non dà spazi ai diritti sociali e civili, che nega anche quelli umani, pensiamo alle politiche di accoglienza dei migranti, pensiamo al “codice Minniti, imposto dal nostro governo nei confronti delle Ong che operano nel Mediterraneo.È un’Europa che impone riforme impopolari ai governi degli Stati aderenti, che dà fondi alle banche e li toglie ai servizi sociali. L’Europa che descrive Rodotà, tutta improntata sulla questione dei diritti da ripristinare, non è sufficiente a chiarire e a rivelare che sono le politiche neoliberiste a non volere l’Europa dei diritti. Rodotà, nel saggio, non fa i conti con la politica dominante, tesa a reprimere ogni diritto e a imporre sacrifici ai cittadini, quando ricorda che nell’avvio del processo di elaborazione della Carta, avvenuto a Colonia nel 1999, si dichiara che “La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità. L’obbligo dell’Unione di rispettare i diritti fondamentali è confermato e definito dalla Corte di giustizia europea nella sua giurisprudenza”.

Legittimità era la parola chiave. È diventata un ossimoro. Nessuna legittimità si è resa manifesta e da allora, da parte dei poteri forti dominanti, è stato un continuo attacco ai principi costituzionali e alle sovranità dei popoli. Passare dall’Europa dei mercati a quella dei diritti è un passaggio mai avvenuto, relegato all’utopica costruzione della Carta, quindi. Infine lo conferma lo stesso Rodotà quando scrive “Il mercato, le libertà economiche che l’accompagnano, la moneta unica non sono stati ritenuti sufficienti per attribuire legittimità a una costruzione difficile, qual è quella europea. Il passaggio dall’Europa dei mercati a quella dei diritti diviene così ineludibile, condizione necessaria perché l’Unione possa raggiungere piena legittimazione democratica”. Non dice chiaramente però il giurista quali sono le cause e le responsabilità dell’Europa e dei suoi Trattati, che impediscono la “piena legittimazione democratica”.

I Trattati europei odiano la costituzione democratica e si fondano su principi fondamentali quali: l’autonomia della banca centrale, concorrenza portata al massimo e lo Stato che non interviene nell’economia. I Trattati quindi hanno come base l’elemento fondante di non tutela dei diritti fondamentali, a partire dal diritto al lavoro sancito nell’articolo 1 che è l’anello portante e la base su cui si articola la nostra Costituzione, seguito dall’articolo 3 che caratterizza il principio di uguaglianza, a prescindere da… Il conflitto fra Trattati europei e la Costituzione si è acuito maggiormente con l’obbedienza del governo italiano alle regole dell’Unione riguardo il Fiscal compact. L’inserimento del nuovo art. 81 che prevede il pareggio di bilancio ha smantellato i diritti costituzionali, perché ha reso la nostra Costituzione schiava dei Trattati.

Ma l’Europa, contravvenendo a quanto citato nella Carta dei diritti, contraddice allora se stessa? Se “seguiamo la trama dei diritti” recitata negli articoli dei Trattati scopriamo un’Europa diversa “dalla prepotente Europa economica e dall’evanescente Europa politica”. È un’Europa che dà fastidio, quella dei diritti. Un’Europa che risulta indigesta a chi vuole ridurla alla legge dei mercati. Rodotà nel suo saggio invita a proteggere e a valorizzare l’Europa dei diritti contrastando “ i forti venti dell’antieuropeismo, mostrando ai cittadini come proprio sul terreno dei diritti l’Unione europea possa offrire loro un valore aggiunto”. Utopia.

È il non voler prendere coscienza che tutto ciò è impossibile, che questa Europa è irriformabile. L’Europa continuerà a imporre dei sacrifici e a togliere sovranità agli Stati aderenti. Essere antieuropeisti oggi vuol dire essere realisti nel credere che perseguire la strada, anche se complessa e laboriosa, dell’uscita dall’euro e dall’Ue è l’unica via irrinunciabile per riappropriarsi dei diritti costituzionali. Nessun valente giurista, come lo è stato Rodotà, potrà tentare di validarli, se non invita i governi a ribellarsi e ad affrontare e risolvere la questione politica, ora in totale egemonia neoliberista.

 

Il diritto alla verità

Ancora oggi irrisolta la disputa etica sull’assioma verità/menzogna- oblio/memoria. Disputa che vide rivali due intellettuali del XVIII secolo, Immanuel Kant e Benjamin Constant. Mentre per il filosofo tedesco della Critica della ragion pura la verità va appurata in qualunque caso, per Constant, scrittore franco-svizzero, il diritto alla verità non è una regola e ogni caso è a sé. “Dovremmo dire la verità anche a degli assassini che vi chiedessero se il vostro amico, che loro stanno inseguendo, non si sia rifugiato in casa vostra” scrive Constant nella sua opera “Le reazioni politiche-gli effetti del Terrore”, riportando la citazione di Kant, per evidenziarne il rigore morale rispetto alla verità. Per l’illuminista tedesco, infatti, anche in questo caso la menzogna sarebbe un delitto, perché il rispetto della verità “…è uno dei principi fondanti della morale e non può ammettere eccezioni”.

I piani su cui si articola l’analisi sul diritto alla verità degli intellettuali citati sono diversi ed è da questo presupposto che occorre partire per comprenderne la diversità di opinione. La controversia fra i due si basa su un diverso aspetto del tema e che conduce inevitabilmente a diverse definizioni sul diritto alla verità. Mentre per Constant la verità è un supporto alla politica, affinché se ne dimostri la validità o meno, per Kant rappresenta la base della morale, sulla quale era notoriamente inflessibile. Etica che esprime pienamente nella “Critica della ragion pratica” (1781), in cui riflette sul passaggio dalla metafisica della conoscenza alla morale.

Questo incipit per tornare a Rodotà e al suo saggio “Il diritto di avere diritti”, già recensito su due importanti temi giuridici e sociali “Lo spazio e il tempo dei diritti e “Lo spazio dell’Europa. Interessante è evidenziare, in questa terza parte, come il giurista recentemente scomparso, ha affrontato la questione sul binomio verità/menzogna che entrambe giocano sull’oblio e la memoria e quali diritti gravitano sulle due opzioni. Diritto/dovere alla verità e alla memoria, ma anche il diritto all’oblio che porta spesso via con sé la verità dei fatti storici. “Tutti hanno l’inalienabile diritto di conoscere la verità sui fatti passati e sulle circostanze e le ragioni che, attraverso casi rilevanti di gravi violazioni di diritti umani, hanno portato a commettere crimini aberranti. L’esercizio pieno ed effettivo del diritto alla verità è essenziale per evitare che tali fatti possano ripetersi in futuro” (Final report, annexe I, Principle I, United Nations Documents- 2 Ottobre 1997). Rodotà apre così il capitolo dedicato al diritto alla verità. Ѐ un’affermazione che sembrerebbe non lasciare spazio a divagazioni sul tema. Che travolge, scrive il giurista, un altro principio ugualmente inconfutabile:Nessun uomo ha diritto a una verità che nuoccia ad altri”.

Da cosa nasce questo insopprimibile e assoluto diritto di verità che è insofferente nei limiti, quando il rapporto tra diritto e verità è stato costruito intorno alle verità relative e convenzionali? Secondo Rodotà l’enfasi sulla verità non nasce solo dall’esigenza legittima di restituire dignità alle vittime e alle loro famiglie, ma è l’intera umanità “a dover essere traghettata verso tempi illuminati e redenti dalla forza della verità”. Ѐ un’esigenza planetaria quindi, senza limiti spazio temporali, che si lega anche al passaggio di alcuni Stati dal regime dittatoriale alla democrazia. Nasce quindi dal riportare alla luce la verità sui fatti che hanno ingenerato soprusi, violenze e conflitti, affinché “lo sguardo sul passato debba produrre anticorpi capaci di impedire nel futuro il loro ripetersi”. Ricorda il giurista come nella Repubblica Sudafricana, nel 1995, venne istituita una Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Molti furono i Paesi ad attivarla, come il Cile, il Canada, la Liberia e il Perù. In Argentina la finalità era indirizzata alle persone scomparse, mentre in Guatemala per il chiarimento storico.

Diverse formule con un denominatore comune: la necessità di restituire dignità alle vittime e ai loro familiari e venne identificato nello Stato il soggetto tenuto a porre in essere le azioni necessarie perché quel diritto possa essere garantito. Nel rispetto della Risoluzione 2005/66 della Commissione per i diritti umani dell’Onu in cui si definisce che le vittime di gravi violazioni dei diritti umani e i loro parenti hanno diritto alla verità sui fatti avvenuti, compresa l’identificazione dei responsabili dei fatti che hanno originato la violazione.

C’è un esplicito nesso, sul quale il giurista si sofferma, fra democrazia e verità. Ed è proprio questo nesso ad essere stato negato nell’assunto, a dire il vero apparentemente bizantino che “l’addio alla verità è l’inizio e la base stessa della democrazia”. Così lo spiega Rodotà: “l’accordo democratico sarebbe spezzato dal riferimento ad una realtà esterna a fatti che sono perlopiù oscuri, controversi, costruiti”. Pur di giungere ad una fittizia verità per tacitare gli interessi degli interessati, l’opinione pubblica e le responsabilità dei governi, si scivolerebbe in una sorta di dittatura della verità… di comodo.

Altro snodo cruciale su cui si articola il pensiero del giurista sul diritto alla verità riguarda la damnatio memoriae, a cui bisognerebbe porre fine, o quantomeno non dovrebbe essere interpretata come imposizione tecnologica, ma governata con adeguate tecniche sociali. Ѐ Plutarco nella sua affermazione “La politica è ciò che toglie all’odio il suo carattere eterno” ad essere ricordato, in proposito, da Rodotà. Si intende e se ne evince che è la politica a dare un ruolo definito alla verità. Può quindi volerla in versione integrale, cancellarla, oscurarla parzialmente, dare più spazio all’oblio o alla memoria. Così come Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi, sintetizza il “patto a non ricordare”, perché “Non sia lecito a nessuno vendicarsi delle offese passate”.

Patto confermato da Trasibulo (403 a.C.) che promulga il “decreto dell’oblio”, perché “… la riappacificazione passava attraverso l’esplicito divieto di ricordare, pur se da tale cancellazione erano esclusi i fatti di sangue”. Un modello questo di prevalenza dell’oblio sulla memoria, ma di mancata verità dei fatti. Quindi nasce il perenne quesito mai risolto su come sia possibile coordinare memoria e oblio. Forse non sarà mai possibile. Resta sempre più pressante e imperioso il paradigma “Tutti hanno l’inalienabile diritto di conoscere la verità sui fatti passati … e le ragioni…”.

Dichiarazione che trova conferma anche nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo (Onu), quando nell’articolo 19 viene affermato che “ogni individuo ha diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee con ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Questo è il significato che tutte le società civili e gli Stati di diritto dovrebbero dare alla verità cercando con ogni mezzo di promuoverla. Perché la verità deve essere perseguita sempre, nonostante gli oscuramenti delle corruttele di stampo politico, nonostante la viltà e l’arroganza del potere dominante in ogni epoca, nonostante la mancanza di indignazione e di sollevazione popolare, nonostante la paura… nonostante tutto. 


Stefano Rodotà: Il diritto di avere diritti, Laterza
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