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Come stabilizzare lo stato di emergenza facendo di esso la "nuova normalità”

di Sebastiano Isaia

covid7643Nell’articolo pubblicato ieri Angelo Panebianco si poneva il problema di come stabilizzare (eterizzare?) nel modo migliore possibile (cioè senza creare eccessive e laceranti tensioni nel tessuto sociale e in quello istituzionale del Paese) l’attuale stato di emergenza. In una forma più cauta e “centrista” (qualcuno potrebbe anche dire “cerchiobottista”) Panebianco riprende i temi svolti più criticamente e “sinistramente” in questi mesi da intellettuali come Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, accusati dall’opinione “mainstream” di portare acqua al mulino di complottisti e No Vax, di essere dei “cattivi maestri”, insomma di nuotare contro gli interessi generali del Paese – magari!

Scrive Panebianco (mi scuso in anticipo per la lunghezza della citazione): «Si comincia a prendere atto che l’eccezione potrebbe diventare regola, che saremo comunque minacciati a lungodal Covid. Quindi dobbiamo chiederci come tutelare il più possibile il sistema delle libertà nel medio-lungo termine senza compromettere la nostra capacità di impedire una nuova diffusione del virus. […] Che succede se la minaccia alla vita delle persone non scompare rapidamente, se la condizione di pericolo che all’inizio appariva come un fatto contingente, presto superabile, diventa permanente o tale da accompagnare l’esistenza di quelle democrazie per molto tempo? Come impedire che, nel lungo periodo, quella condizione di pericolo finisca per minacciare sul serio le libertà dei cittadini? Nelle situazioni di emergenza, si tratti di guerre, catastrofi naturali, pandemie, vengono presi, necessariamente, provvedimenti che implicano – talvolta in misura minima, talvolta più estesa – restrizioni della libertà personale.

Per conseguenza, ci sarà sempre chi riterrà che l’emergenza sia stata artificialmente creata dai governi allo scopo di indebolire o distruggere quella libertà.È vero che tante volte ciò è accaduto. Tante altre volte però dubbi non ce ne sono: in molte situazioni l’emergenza esiste sul serio, non è stata concepita a tavolino. […] Proviamo per un momento a immaginare (per meglio esorcizzarlo) lo scenario più cupo: una ripresa più o meno incontrollabile della diffusione del virus. Immaginate che in Paesi come il nostro il senso del pericolo svanisca o per lo meno si abbassino quelle barriere psicologiche che oggi spingono tante persone a muoversi con cautela. Immaginate che si diffonda l’illusione che l’emergenza sia definitivamente alle nostre spalle.Le conseguenze politiche sarebbero immediate. Alla centralizzazione del potere (di fatto) provocata dall’emergenza seguirebbe una sua nuova diluizione/diffusione. I governi perderebbero capacità di iniziativa. Per giunta, in Paesi come l’Italia, ove i rapporti centro-periferia (anche in materia sanitaria) sono resi confusi e difficili a causa dell’assetto istituzionale vigente, si andrebbe rapidamente verso forme di paralisi decisionale. Verrebbero meno le difese di fronte a una ripresa in grande stile dei contagi. Ne seguirebbero un’ennesima forte ondata di morti, strutture sanitarie al collasso, nuovi lockdown. Svanirebbero di nuovo le condizioni che sorreggono la vita ordinaria, ci sarebbe un nuovo blocco delle attività economiche all’interno dei Paesi. Per contagio, si andrebbe verso un crollo dell’economia internazionale. Quanto a lungo pensate che potrebbero resistere le democrazie? Quante democrazie sopravvivrebbero? Alcune forse sì ma molte si estinguerebbero. Magari senza che si verifichi nulla di spettacolare: niente colpi di Stato o altri fatti visibilmente traumatici. Semplicemente, una misura dopo l’altra, un passo alla volta, la democrazia si trasformerebbe in un regime autoritario o semi-autoritario. Ciò significa che se dovremo convivere a lungo con la minaccia pandemica, dovremo anche conservare la capacità di distinguere. Tra le misure indispensabili e quelle che non lo sono. Dovremo capire che ci sono provvedimenti più o meno restrittivi della libertà che sono necessari per garantirci vita e salute ma anche per assicurare il mantenimento di condizioni di vita civile nonché un regime di libertà. Si tratterà, in ogni occasione, di scegliere il danno minore per evitarne uno maggiore. Al momento sembra probabile che nel nostro futuro ci siano forme di vaccinazione obbligatoria annuale e che controlli (green pass o equivalenti) ci accompagnino a lungo. Ci sono tante restrizioni della libertà personale che accettiamo dasempre come ovvie e necessarie. Come l’assicurazione obbligatoria delle auto. O l’obbligo di mostrare i documenti se così richiesto da un agente di polizia. Dovremo accettare allo stesso modo i controlli sulle vaccinazioni. Nonché il fatto che i governi mantengano grande capacità di intervento in materia sanitaria. Per non trovarci domani in una crisi così grave da fare tracimare i poteri di quei governi in ogni ambito mettendo a rischio, questa volta sì, libertà e democrazia. Ci sarà sempre, naturalmente, chi protesterà per la “intollerabile” violazione della sua libertà. Ma se sarà chiaro ai più che l’alternativa è fra due mali, riusciremo a capire quale sia il minore, e potremo anche arginare l’area della protesta. Persino le più litigiose democrazie possono sviluppare anticorpi che ne assicurino la sopravvivenza» (Il Corriere della Sera).

Di qui l’esigenza, per l’anticapitalista, di sviluppare il virus della coscienza critico-rivoluzionaria, contro gli anticorpi prodotti dal sistema sociale capitalistico. Per chi scrive non si tratta, ovviamente, di rimpiangere la vecchia “normalità” che ha creato i presupposti dell’attuale crisi sociale planetaria, ma di combattere la nuova “normalità”, di gettare luce sulla menzogna del “bene comune” da difendere contro un invisibile nemico che ci accumunerebbe tutti in quanto abitanti di questo pianeta e di questo Paese. Non esiste né può esistere “bene comune” in una società fondata sulla divisione classista degli esseri umani, sul loro sfruttamento e sullo sfruttamento della natura. La supposta scelta tra un «male minore» e un «male peggiore» è il chiodo ideologico e psicologico che ormai da troppo tempo inchioda le classi subalterne al carro del Dominio. Come dimostra ampiamente la storia dell’ultimo secolo, il processo sociale oggettivo se ne frega di quella “scelta”; esso prescinde, per l’essenziale, dalla volontà degli individui, compresi dalla volontà di quelli il cui nome compare nei libri di storia.

In questo senso Panebianco ha ragione quando critica la concezione complottista: la situazione che arricchisce enormemente le già ricchissime multinazionali del vaccino e che accresce il potere decisionale dei governi in tutto il mondo non è stata pensata e creata “a tavolino”. Non è così che funziona il meccanismo sociale, la cui “creatività” spesso supera la più fervida immaginazione. Chi vede o teorizza complotti di qualche tipo, non ha ancora compreso fino a che punto l’umanità si trovi costretta dentro una dimensione disumana e irrazionale in grado di generare le peggiori mostruosità sociali – compresi gli eventi pandemici attuali e futuri. In ogni caso il complottista è il sintomo di una situazione reale, quella che ci vede tutti sottomessi al dominio di una potenza sociale «ostile ed estranea» (Marx) che pure realizziamo sempre di nuovo semplicemente vivendo sulla base dei vigenti rapporti sociali. È questo «il senso occulto della realtà» di cui parla lo studio del Censis pubblicato qualche giorno fa e che così tanto interesse ha suscitato soprattutto tra i fedeli della Sacra Scienza, al cospetto della quale il povero cristo che subisce le ingiurie di questa società è chiamato a inchinarsi senza discutere: «Chi sei tu per sindacare ciò che dice la Scienza?»

La crisi della decrepita (eppur potentissima!) civiltà capitalistica nelle parole di Ezio Mauro – alle prese con il «pezzo di opinione pubblica [che] si sta separando dalla scienza e dalla sua rete di protezione, rifiutando addirittura il privilegio del primato della conoscenza e dell’egemonia della competenza, pur di denunciare il sapere come un appannaggio castale, strumento nelle mani dell’élite e dei suoi disegni di dominio, non neutrale, anzi maledetto»: «Confortati dai numeri, rischiamo di non leggere i segnali che arrivano da questo piccolo mondo che si è trasferito nella dimensione parallela dell’irreale, da cui esce soltanto il sabato per manifestare contro quella pratica faticosa e quotidiana che in buona sostanza è la battaglia repubblicana contro il male. Primo fra tutti, il segnale di fragilità del guscio della nostra civiltà democratica: in cui crediamo di poter continuare a vivere con ogni passione spenta» (La Repubblica). Anche non pochi “anticapitalisti” si mostrano completamente incapaci di captare questo segnale che l’autentico anticapitalista dovrebbe essere in grado di decodificare in termini dialettici e dinamici.

Come scrivevo qualche giorno fa, «Che su questa base fioriscano i mille fiori dell’irrazionalità (molti dei quali riconducibili senz’altro al pensiero iper razionalista e scientista) è cosa che non può certo stupire l’anticapitalista. Questa Società-Mondo è strutturalmente e necessariamente irrazionale, e l’evento pandemico ne ha data l’ennesima, e purtroppo non ultima (inutile fare gli scongiuri: bisognerebbe piuttosto “fare” la rivoluzione!), dimostrazione».

Anche sul piano politico-istituzionale la crisi pandemica ha accelerato e approfondito tendenze e processi in atto già da molto tempo nei Paesi occidentali; ad esempio, è da decenni che in Italia si parla del Parlamento come mero “votificio”, come luogo di ratifica di decisioni prese altrove – non solo in ambito governativo e non solo nella dimensione nazionale.

La crisi della mortifera civiltà capitalistica nelle parole del noto psicobanalista, nonché ultrareazionario, Massimo Recalcati: «Ma non è sempre stata la maggioranza ad essere destinata all’ottusità e al pensiero conformista e la minoranza ad interpretare il valore alto del pensiero critico, la divergenza indomita? Non è forse ancora oggi l’intruppamento sotto l’insegna del pensiero unico a definire la dimensione acefala di una maggioranza massificata? [… ] Tra le lezioni più significative di Enrico Berlinguer – l’ultimo dei grandi leader della sinistra italiana – bisogna annoverare quella di aver liberato culturalmente la sinistra italiana dal fantasma aristocratico della minoranza. La stessa idea del compromesso storico risulterebbe culturalmente incomprensibile [scusate, ma qui rido!] se non venisse letta a partire dalla necessaria uscita dalla condizione di minorità alla quale l’essere permanentemente in lotta senza alcuna responsabilità attiva di governo condannava il PCI. Berlinguer aveva ragione: la maturità politica di un partito non si misura quando è all’opposizione ma quando si trova al governo. E’ questa una legge che regola anche lo sviluppo psichico di un soggetto. […] In realtà mai come in questa fase della nostra vita civile e politica la retorica della minoranza ribelle mostra la sua radice inguaribilmente puberale. E mai come in questo periodo sentirsi parte di una maggioranza estesa, comunitaria, ampia ci rende davvero protagonisti nella difesa della nostra democrazia sotto assedio non solo dal Covid ma anche da una minoranza ideologica e spesso violenta che danneggia la credibilità delle nostre istituzioni in un tempo dove dovrebbe prevalere la forza di una maggioranza che si ritrova nella lingua comune della difesa della vita individuale e collettiva» (La Stampa).

Qui rinvio chi legge a un mio post del 2014: Sognando Berlinguer. Massimo Recalcati e i «falsi miti edonistici del capitalismo».

A proposito di minoranza e maggioranza! Un’amica l’atro giorno mi “messaggiava” quanto segue: «Caro Sebastiano, sottopongo alla tua attenzione l’articolo di Nicola Casale No pass, fascismo, fascisti (Sinistrainrete) che considero un ottimo lavoro. Un abbraccio». La mia risposta: «Gli ho dato una rapida scorsa e l’ho trovato davvero interessante, molto ben scritto, condivisibile in linea generale. Ho fatto copia-incolla dell’articolo e mi riservo di rileggerlo con più calma. Per quanto mi riguarda, anche se l’intero proletariato fosse favorevole all’obbligo vaccinale e all’uso discriminatorio del Green Pass, io dichiarerei lo stesso la mia opposizione di principio a quell’obbligo e a quell’uso, e continuerei a denunciare il carattere squisitamente capitalistico dell’evento pandemico e a mettere in luce le conseguenze sociali (economiche, politiche, istituzionali, geopolitiche, ideologiche, psicologiche) della cosiddetta «guerra al Virus» – che in realtà è l’ennesima guerra capitalistica contro l’umanità, in generale, e le classi subalterne in particolare. Altri continueranno a divertirsi (della serie: dimmi come ti diverti, e ti dirò chi sei) sparando sulla Croce Rossa del Complottismo e dell’Irrazionalismo, mostrando così un’indigenza politica e teorica che ovviamente sono ben lungi dal poter riconoscere. Ti ringrazio ancora per la segnalazione e ti saluto». Lo ammetto, il mio estremo quanto fantasmatico minoritarismo è il sintomo di uno sviluppo psichico rimasto nella sua fase puberale. È il desiderio di una Comunità autenticamente umana che mi frega, che mi spinge a oppormi al «discorso universale della Civiltà» (capitalistica) di cui parlava Recalcati nell’Elogio dell’inconscio (Bruno Mondadori, 2007) criticando chi vuol «fare della psicoanalisi una dottrina morale che punta alla normalizzazione del soggetto» attraverso la normalizzazione del «desiderio inconscio», il quale «si sottrae per definizione a ogni tentativo di normalizzazione» (p. 46).

Contro il pensiero ultrareazionario così ben illustrato dal berlingueriano Recalcati, l’anticapitalista oggi si batte, come sa e come può (la situazione è quel che è, cioè pessima!), contro la «centralizzazione del potere (di fatto)» non nel nome della democrazia (capitalistica), il cui fondamento risiede nel dominio totalitario degli interessi economici che fanno capo al Capitale (e questo accomuna la democrazia con i regimi totalitari, come quello cinese), ma per contribuire a sviluppare e diffondere il virus della lotta di classe. «Vasto programma!» Appunto!

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