Una fase complessa
di Michele Castaldo
Scrivo queste note col cuore e con la mente, come volessi indirizzarle a un compagno che la pensa diversamente sulla crisi, sulla fase e sulla pandemia.
Capisco l’amarezza di tanti compagni e non solo, più che giustificata, per mille e più ragioni; se però questa si tramuta in astio nei confronti di chi è costretto ad agire diversamente, come chi deve sbarcare il lunario esibendo il green pass della vaccinazione, non ci aiuta a ragionare in modo equilibrato, mentre abbiamo bisogno di molta pazienza, freddezza e lucidità.
Qui di seguito cerco di chiarire il senso della complessità che do alle questioni della fase, e di un punto di vista di natura teorica e politica rispetto ad essa. Si può essere d’accordo o meno, ma ciò non dovrebbe costituire un muro tale da non riuscire nemmeno ad ascoltarsi.
Oggi di fronte a un caos mondiale non possiamo avere la presunzione di pensare che tutti aspettino il nostro intervento e la nostra linea politica per dargli una soluzione rivoluzionaria. In queste note sarò ancora una volta chiaro e limpido, senza allungare troppo il brodo come sono costretti a farei i mestieranti del centrismo politico o i filosofi furbacchioni.
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Pandemia. Abbiamo o possiamo avere dei pareri discordi. Per me esiste, non sono in grado di quantificarne la profondità. Ma ritengo che questa sia arrivata come effetto del modo di produzione capitalistico. Ed essa rappresenta una mazzata tra capo e collo per l’insieme del sistema e lo sta obbligando a correre ai ripari nel tentativo di evitare la catastrofe generale. L’esempio più chiaro non ci viene dall’Italia, dall’Europa o da tutto l’Occidente, ma dalla Cina che fu costretta a un lockdown totale per una popolazione di 60 milioni di abitanti, cioè la stessa quantità del popolo italiano, in una zona molto simile al nostro nord-est.
Al riguardo c’è chi sostiene che si tratta di un virus che provoca poco più di una influenza, può darsi, ma al momento siamo intorno ai 6 milioni di morti, hanno dovuto sospendere campionati di calcio nazionali e internazionali, nonostante i faraonici interessi che li muovano, solo per citare alcuni esempi. Tutti anziani e con malattie pregresse? Può darsi, ma negli anni precedenti non succedeva, o perlomeno non nelle stesse proporzioni. Dunque qualche domanda ce la dovremmo porre.
Ora, il capitalismo non può volere una umanità morta, non saprebbe che farsene, mentre ha bisogno di una umanità viva che produca valore e che lo consumi, per alimentare quel circolo vizioso e virtuoso nel contempo M-D-M e D-M-D*. Siamo all’ABC non del marxismo, ma del semplice buon senso di quello che è il mercato, cioè il modo di produzione capitalistico. Dunque l’insieme del sistema non può volere la morte di miliardi di persone, non avrebbe senso. Anzi è costretto a stimolare – di fronte al calo demografico come in Cina, oltre che nei paesi occidentali - un maggior numero di figli per famiglia, perché altrimenti le merci che produce deve mandarle al macero con riflessi preoccupanti per l’insieme del sistema.
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Natura del modo di produzione capitalistico. In occasione di questa pandemia sono venute fuori fantasiose teorie, fra le quali quella di un accordo fra i grandi poteri o fra i grandissimi personaggi per gestire una pandemia la cui gravità sarebbe minima, per rilanciare il capitale finanziario capitanato dalle Big Pharma. Un modo per scambiare l’effetto – la pandemia – con la causa, il modo di produzione capitalistico e non le Big Pharma che ne approfittano. In questo modo si nega l’assunto fondamentale di cosa è esattamente il modo di produzione, che non è un modello introdotto da un gruppo di persone che possono gestire a proprio piacimento il giocattolo, no, ma un insieme di rapporti che provengono da molto lontano nel tempo, ovvero da molto prima della stessa “scoperta” dell’America. Un insieme di rapporti che ha fatto della rincorsa all’aumento della produttività, finalizzata al massimo profitto, la ragion d’essere della sua esistenza. Non è necessario citare Marx, sono i fatti che parlano per e più di lui.
Ma cos’è esattamente il modo di produzione capitalistico? Qui è necessario essere chiari se vogliamo capirci qualcosa di quello che sta succedendo veramente e di cosa ci può piovere addosso da qui in avanti. Si tratta di un insieme di rapporti che si sono ormai estesi per tutto il pianeta al punto che tutto si tiene o niente si tiene, ma comincia a sentirsi uno strano scricchiolio. E per essere ancora più chiaro dico che il modo di produzione, data la sua ragione impersonale, tiene tutti sulla stessa barca pur se la stragrande maggioranza in modo subordinato, ma è una barca che mai come in questa fase naviga in un mare tempestoso e comincia a fare acqua da tutte le parti. Basta leggere alcuni autori, che frequentano le alte sfere, o papa Francesco per capirlo. Cito una questione su tutte, quella dell’immigrazione, ovvero la necessità degli immigrati per ridurre i costi di produzione e aumentare i consumi, questo per un verso, e frenare il calo demografico, per l’altro verso, e la necessità di innalzare lo spirito patriottico come tentativo di coesione sociale. Questa questione, insieme ai cambiamenti climatici, mostra solo la tendenza verso una crisi catastrofica. Che si cerchi di utilizzare in modo capitalistico i due fattori è nella logica delle cose.
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Il modo di produzione e la scienza. Poche chiacchiere, l’uso della scienza, al pari di ogni altra produzione di merci, non può che essere capitalistico, non può non rincorrere l’aumento della produttività per aumentare il profitto. Fanno sorridere perciò certe dichiarazioni roboanti, come quelle che pretenderebbero in un modo di produzione capitalistico una scienza neutra, o peggio ancora una scienza alternativa. Non ha senso, si rincorre il desiderio come speranza.
Che rimedi può produrre una scienza che rincorre produttività e profitto rispetto a una pandemia, anche volendo prescindere dalla sua gravità? Non certamente di eliminare le cause, ma di produrre merce farmacologica, come in questo caso i vaccini. Di che scandalizzarsi? Sono efficaci o no, sono dannosi o no? Chi è in grado di offrire certezze al riguardo? Nessuno, si naviga a vista da parte di tutti. È questo un buon motivo perciò da parte nostra di fare affermazioni di un certo tipo? No, perché dalla parte della scienza capitalistica ci sono decenni e secoli di sperimentazioni e risultati di un certo tipo che il popolo ha percepito e introiettato. Mentre da parte nostra c’è la giusta diffidenza, che è la stessa di quella del popolo. Ma oltre non possiamo dire.
Può esistere nel capitalismo una scienza autonoma o addirittura di parte avversa al capitalismo? No, risolutamente no. La storia è piena di storielle “alternative” e di isole “felici”, e non solo nel campo scientifico e medico. Pertanto chi si propone come alternativa inganna sé stesso prim’ancora di ingannare chi presta ascolto. Medicina alternativa? Sciocchezze. Capacità dell’organismo umano di autoimmunizzarsi? Chiacchiere. Se tutta la società è marcia e malata come può l’organismo umano essere sano e autoimmunizzarsi? Ma perché raccontare ipotesi ideali formulandole presuntuosamente come scienza alternativa?
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Relazione fra le classi sociali rispetto alla pandemia. Come si relazionano le classi sociali in questa pandemia? Come vengono sballottate da una parte all’altra dall’andamento dell’economia, così vengono sballottate dalla pandemia. È del tutto evidente che non tutte le classi la subiscono allo stesso modo e non tutte reagiscono allo stesso modo. Il punto centrale di analisi per noi deve essere quello di considerare la linea di tendenza generale: se si va verso una nuova ripresa e rilancio dell’accumulazione oppure se il modo di produzione sta procedendo verso una crisi economica e di sistema senza vie d’uscita. Solo rispetto a questa formulazione possiamo discutere di come ci attrezziamo.
La mia tesi, più volte espressa, è che la crisi è talmente grave che produce scossoni proprio lì, nel ceto medio, che è stato sempre il polmone del modo di produzione capitalistico. Bene, quel polmone oggi comincia a impazzire in Occidente, ma si incominciano ad avvertire sintomi anche in Oriente, Cina in primis, vista l’emancipazione occidentalizzata della donna e che perciò non la si può più obbligare ad essere usata sempre secondo la logica del capitale: ridurre o aumentare le gravidanze.
Detto del ceto medio, la sorte del proletariato è ben peggiore, ma con riflessi diversi, perché diversa è la sua collocazione nella produzione di valore. Il proletariato, la classe operaia occidentale, ha incominciato a pagare lo scotto della concorrenza asiatica ed è sbandato. In questo sbandamento è attratto solo dalla possibilità di legarsi al suo capitalista, o al suo capitalismo nazionale, ed al momento è lontano anni luce da una sua autonomia di classe come noi pensavamo. Sicché se tutto l’asse sociale si sposta a destra, il proletariato non può fare e di fatti non fa eccezione. Si tratta di un quadro definitivo? No, in materia niente è definitivo perché il movimento è il modo stesso di essere della materia, dunque si tratta di saper leggere la tendenza.
Detto del ceto medio e del proletariato, la stessa sorte tocca alla cosiddetta borghesia, dico cosiddetta perché è un sostantivo equivoco che accorpa in un blocco monolitico ciò che monolitico non è e non può essere. Mentre sarebbe più giusto parlare di establishment, ovvero di un apparato dei grandi poteri economici che cercano di dettare legge ma nelle contraddizioni più feroci che il modo di produzione provoca. A leggere le grandi firme della stampa dell’establishment c’è la percezione che si naviga a vista e si sbanda paurosamente tra la difesa del ceto medio e l’abbandono al suo destino dello stesso privilegiando una nuova aristocrazia 2.0, come scrive Roger Abravanel, contro i continuatori e sostenitori del “piccolo è bello”.
E la politica? Peggio che andar di notte, si tratta di un riflesso di un caos delle classi e fra le classi.
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I partiti politici e la pandemia. Come si rapportano i partiti politici alla pandemia? Da poveri disgraziati in balia dei grandi poteri dell’economia che dettano il da farsi, mentre la scienza deve barcamenarsi al pari di tutte le classi imbarcate nella navigazione. Un quadro non proprio entusiasmante per l’insieme del modo di produzione capitalistico. C’è un unico albero della nave cui aggrapparsi ed è quello dei vaccini. Ecco spiegata la ragione del vaccinismo politico come nuova fede salvifica. Un vaccinismo che rappresenta – voglio essere ancora una volta chiaro e limpido – solo un tentativo senza nessuna certezza, e per di più sprecando una immensa quantità di valore posta a debito degli Stati. Un trasferimento di valore che non potrà essere riconvertito e messo in circolo nella famosa giostra Denaro-Merce-Denaro*. Ecco perché è da ritenere che il modo di produzione capitalistico si stia stringendo sempre di più la corda al collo. Altro che capacità di gestione come erroneamente viene da più parti scritto. È il crac che avanza, non una rinnovata potenza dominante. Solo una pigra ingenuità, oltre una scarsa conoscenza storica del modo di produzione può immaginare una potenza perpetua di quello che invece mostra la corda.
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Comunità e individuo. Ancora una volta voglio sconfortare i più dicendo: Draghi, personaggio aristocratico dalla nascita, ha avuto la vita e tutta la carriera come tale. Ma rappresenta, nell’attuale contesto, la Comunità capitalistica. Ripeto capitalistica, ma Comunità, una Comunità che nel suo insieme naviga sulla stessa barca. Di converso un Massimo Cacciari (lo prendo a campione perché meglio di ogni altro ha saputo sintetizzare la tesi), vaccinato, rappresenta se stesso, ovvero l’individuo liberale che si vaccina e intende dare la libertà di non vaccinarsi a chi non vuole. Altrimenti detto: un piede dentro e uno fuori. Si tratta di una figura scolorita della storia, ovvero di chi guarda all’indietro e al bel tempo che fu dell’Europa di due secoli fa quando padroneggiava il mondo. La Cina, durante la pandemia in Whuan non ha applicato tale principio, del cosiddetto libero arbitrio, ma ha dato una lezione – capitalistica – all’Occidente. Draghi, che in quanto a capitalismo non è secondo a nessuno, insieme all’autocratico Stato di Israele, altro paese molto democratico, è avviato a percorrere lo stesso sentiero “antiliberale”. Fra i Draghi e i Cacciari – entrambi strenui difensori del modo di produzione capitalistico – uno guarda indietro e si illude, cioè Cacciari, mentre Draghi guarda avanti e agisce coerentemente in modo capitalistico allo stato delle necessità attuali, senza farsi problema di imporre una misura “antidemocratica” come il Green Pass. In Russia il Trockij libertario e menscevico, nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione, sosteneva che non era necessario che i lavoratori si organizzassero in sindacato, perché c’era uno Stato operaio.
Come si rapportano i proletari, nella loro stragrande maggioranza ai due modi posti sul tappeto, Draghi per un verso e Cacciari per l’altro verso? Chi vive un rapporto di piccola comunità, come la famiglia e si sente di essa responsabile, obtorto collo quanto si vuole, si relaziona a Draghi e al suo governo, come espressione di una grande comunità; chi invece è atomo sparso in balia dei venti si relaziona alla teoria di Cacciari. Si tratta di un rospo molto difficile da mandare giù, lo so, ma questo è, tanto è vero che le mobilitazioni di Trieste e Genova non hanno avuto seguito e alla manifestazione di Roma del 16 dicembre in piazza del Popolo per entrare in piazza bisognava esibire il Green Pass, non alla polizia, ma al servizio d’ordine della Cgil e della Uil. E nella civilissima Olanda, nell’avanguardia del capitalismo, il popolo che era sceso in piazza poche settimane fa, è stato indotto, non solo dalla repressione, a più miti consigli dall’incalzare della pandemia con aumenti dei contagi e dei morti. Sto solo ai fatti e non alle volontà degli individui, comunque collocati da un punto di vista politico.
Forza e azione
Descritto a grandi linee il quadro generale e la sua tendenza sempre più verso il caos, cerco di esprimere il mio punto di vista su un ampio raggio di questioni in modo sintetico, partendo da quella che rappresenta la questione delle questioni, ovvero la cosiddetta questione sindacale, dunque il comportamento dei lavoratori durante questa pandemia, una questione sulla quale nel passato si sono scontrati fior di compagni senza mai venirne a capo in modo definitivo, perché essa è dinamica e non risolvibile una volta per tutte. Nei paesi occidentali si presentava in un certo modo durante la fase di crescita del modo di produzione. Diversamente si presentava in Russia all’indomani della Rivoluzione. Ancora più diversamente si è presentata in Cina dal ’49 in poi del secolo passato; e ancora diversamente si presenta oggi un po’ dappertutto.
Come si presenta oggi in Occidente? Complicata, molto complicata e chi pensa di risolverla alla maniera del sindacalismo di base, cioè costituendo un nuovo sindacato e/o una nuova tendenza internazionalista rivoluzionaria, si mostra solo come idealista.
Se il proletariato in una fase di crescita poteva essere definito classe operaia, coesa e compatta, che difendeva i propri livelli tradunionisti di vita, in modo organizzato dentro e fuori la fabbrica – in modo particolare in Occidente - oggi questo non è più possibile. Non c’è più la possibilità di stabilizzare un movimento, tutto è diventato fluido, per dirla con Bauman. Questo vuol dire forse che i lavoratori non saranno più costretti a mobilitarsi? No, ma che non ci sarà più la possibilità di una stabilizzazione di un movimento che dalle industrie guarda e si espande verso l’esterno. Altrimenti detto: il proletariato non può più fungere in questa fase da faro politico ideale, ancor meno per il comunismo, come l’avevano inteso l’insieme dei gruppi e partiti che si richiamavano al marxismo. Incontrano perciò difficoltà le grandi confederazioni di ogni tendenza, ma anche le piccole organizzazioni, che si autodefiniscono di base. Fra queste il Si Cobas, per il quale valgono le molte cose che ho scritto negli ultimi anni e che qui sintetizzo: si è trattato di una straordinaria esperienza non tanto di compagni leninisti, comunisti, anarchici e quant’altro, ma di un minuscolo settore di immigrati nella Logistica, che sono stati costretti a organizzarsi e ingaggiare una durissima lotta contro il caporalato e il subappalto, in quanto abbandonati dalle grandi confederazioni. Una esperienza estesasi ad altre minuscole realtà di lavoratori precari senza mai esplodere nella grande e media industria. A questa esperienza alcuni militanti comunisti hanno dato il meglio di sé, pagando insieme agli immigrati un altissimo costo in termini di repressione, financo con morti, oltre che con feriti, arresti e così via.
La storia però ci dice che niente resta fermo e che un movimento, come il vento, nasce, cresce e muore. La possiamo girare come ci pare, ma questo è.
A riguardo ho scritto che per il Si Cobas lo sciopero dell’ottobre 2020 ha segnato una dura battuta d’arresto, perché di fronte al fatto che Amazon e le grandi aziende della Logistica abbiano internalizzato alcune categorie sottraendole al subappalto, ricattando però i lavoratori a non iscriversi e costituire il sindacato, come negli Usa, ha segnato la sconfitta del Si Cobas. Che i suoi dirigenti facciano fatica a capirlo è abbastanza comprensibile.
Il vero punto in questione, per chi vuole correttamente impostare la cosa, riguarda la necessità di oggettivare, perciò, questo stato di cose del Si Cobas e dei suoi continui sbandamenti rispetto alle istituzioni, alla pandemia e conseguentemente ai ricatti come quello su vaccini, tamponi e Green Pass. E per essere ancora più chiaro confermo che si tratta di un mulo, vecchio, malato e zoppo, e la dimostrazione la si è avuta nei giorni a ridosso del 16 dicembre e nel comportamento dello stesso giorno.
Chiarisco allora il concetto: si tratta di un mulo in quanto animale testardo, una caratteristica diffusa fra i militanti della nostra generazione (degli anni ’70, per intenderci); vecchio perché si rifà a una impostazione ideologica degli IWW che furono sconfitti da una fase di straordinario sviluppo del modo di produzione in un paese imperialista come gli Usa, all’opposto dell’oggi in cui il capitalismo versa in una crisi paurosa. Infine zoppo, perché il settore che li aveva elevati a simbolo di una strenua resistenza proletaria è attratto più dal capitale, come i girasoli dal sole, che dalla volontà di ribellione conflittuale come ideologicamente insiste il Si Cobas. Altrimenti detto, anche il Si Cobas è scivolato dal materialismo cui lo avevano elevato i lavoratori della Logistica nell’idealismo frustrante e impotente. Se dovessi essermi sbagliato su questo giudizio – e me lo auguro di cuore, da vero militante comunista – ne sarei felicissimo e ne trarrei tutte le conseguenze teoriche e politiche del caso.
Siccome la materia è sempre in movimento non si può escludere a priori che vengano spinti dalla crisi capitalistica e dalle misure che il governo è costretto a prendere – come il 16 dicembre ha dimostrato - verso il restante dei lavoratori che sempre più saranno costretti a stringersi, obtorto collo, attorno alla “resistente” Cgil, proprio come il 16 dicembre ha incominciato a dimostrare.
Mettiamo però una cosa subito in chiaro: non si può caricare su un piccolo sindacato, con alcune migliaia (?) di iscritti, per lo più immigrati e dunque maggiormente ricattabili, una responsabilità come quella di una dura battaglia contro i vaccini prima e contro il Green Pass poi. Non ha senso quando la stragrande maggioranza dei propri iscritti è ricattata sia dalla necessità dei vaccini quanto quella del Green Pass per poter lavorare. Dinanzi a noi abbiamo una fase aperta ma molto complicata, e noi tutti dovremmo fare lo sforzo di relazionarci correttamente in modo particolare fra i simili.
Ma il capitalismo è eterno?
Mark Fisher, in Realismo capitalista, un libricino pubblicato prima in Inghilterra e poi in Italia qualche anno fa (nel 2009), titola il primo capitolo in questo modo: « È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo ». Non si trattava solo di una dichiarazione di resa incondizionata dettata dalla incapacità a capire cosa è realmente il modo di produzione capitalistico, perché ne trasse poi purtroppo tutte le conseguenze: l’anno successivo si suicidò. Stessa sorte è toccata ad altri intellettuali del ‘900.
A differenza di Mark Fisher penso che il capitalismo è un movimento storico consistente del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione. Come ogni altro movimento ha tre fasi: nascita, sviluppo e fine. La sua fine è scritta nelle sue stesse leggi, secondo la concezione epicurea, lucreziana, e di quell’eccelso Giordano Bruno. Non è corretto porsi il problema di quando finirà, ma di denunciare i guasti che ha prodotto e continua a produrre, come in ultimo la pandemia. Perché il vero atto d’accusa anticapitalista sta nello spiegare le cause dei fatti. È questo il senso dell’oggettivismo deterministico, che Mark Fisher non poteva capire. E Giordano Bruno non si suicidò, ma fu bruciato vivo a Campo de’ fiori.
Pertanto dico che: oggi una posizione rivoluzionaria passa dalla denuncia di cosa ha prodotto la pandemia, e non di negarla. Non a caso tutti si tengono lontani da questo assunto fondamentale. E Lenin, un rivoluzionario vero, si poneva il problema di come combattere le cause che generarono quella del 1918, come ci ha ricordato Laura Spinney qualche anno fa.
Un’ultima questione che farà storcere la bocca a molti compagni: l’equiparazione della irreggimentazione e del controllo sociale come per la guerra. Facciamo attenzione quando sventoliamo certe affermazioni, non sempre corrispondenti ai propositi governativi, e per di più distanti anni luce dagli umori popolari. I rivoluzionari devono vivere dell’umore della stragrande maggioranza della popolazione e non fare fughe in avanti per raggiungere il Sinai e dettare il Decalogo come Mosè. Così facendo non siamo credibili, perché i passaggi per mettere in crisi in modo definitivo il modo di produzione li devono fare milioni di persone inferocite, non un pugno di “avanguardisti”. Se non sappiamo stare al passo con le masse non sapremo poi stare al posto giusto quando si solleveranno. Siamo ancora una volta all’abc del semplice ( semplice?) buon senso senza scomodare Lenin.
Concludo allora questo tentativo di ragionamento nel modo più semplice dicendo che per tutti i militanti di estrema sinistra, il faro dovrebbe continuare a essere il luglio 2001 a Genova. Esiste anche un livello individuale e/o personale, senza scadere nell’ipocrisia più bieca, di relazionarsi alla pandemia, perché siamo uomini in carne e ossa e non viviamo su Marte, e dunque:
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Chi è costretto a vaccinarsi per poter continuare a lavorare sia nel pubblico che nel privato, da un lato non può suicidarsi e dall’altro non può pretendere di fare l’eroe e finire magari col divenire un barbone. Perlomeno non dovremmo essere noi a dare questa indicazione. Viviamo in una società dove siamo ricattati in mille modi. Non ci si può liberare da leggi infami in quanto singoli individui.
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Pertanto, se sono obbligato a vaccinarmi – per poter avere un minimo di agibilità come incontrare un parente stretto, frequentare la palestra per necessità, partecipare a una riunione o a un’assemblea, o a una manifestazione – lo faccio, e il 16 dicembre ho dovuto e perciò potuto esibire il Green Pass, non alla polizia di Stato ma al servizio d’ordine sindacale, per entrare in piazza del Popolo a Roma. Diversamente dovrei o chiudermi in casa o andare a vivere sul cocuzzolo di una montagna e non me la sento. Viviamo in un mare di merda, d’accordo, è sempre più difficile nuotare, e lo facciamo finché è possibile nella convinzione dell’arrivo di un uragano che la crisi provocherà e che rischiari un poco le acque. E se proprio dobbiamo morire, beh, prima o poi bisogna pur morire.
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Fingere di essere d’accordo è ingannevole, ma un disaccordo teorico o politico non dovrebbe costituire un muro di astio come purtroppo è successo in questi anni fra militanti e come succede puntualmente fra quanti si sono definiti avanguardie del proletariato.
Sarebbe perciò necessario continuare a discutere non su una teoria della rivoluzione, che non avrebbe senso, perché non può esistere una teoria di quanto dovrà avvenire, ma si teorizza quel che è avvenuto, ovvero si spiegano le cause che hanno mosso masse di forza. Siamo perciò chiamati ad affrontare i riflessi della crisi del modo di produzione capitalistico, e definire un tracciato teorico di impostazione programmatica finalizzato comunque all’intervento politico fra i lavoratori e non solo.
Paradossalmente questi cultori dell'ortodossia politica di sinistra, questi zelanti seguaci dei promotori della rivoluzione del proletariato arrecano danno prima di tutto ai vari Marx, Lenin e Gramsci.
Hai risolto, Mario Hume e la tua Fondazione, questa lacuna? Hai sottoposto a critica la tua pratica?
Studia la causalità, fai qualche esercizio di controfattuali. Suvvia, Mario, ce la puoi fare! Non darti per sconfitto, mai!
Per il Sars ora si ripete la stessa storia: di cosa parliamo? Ci sono Stefano Scoglio e Fabio Franchi, biologo e infettivologo, che non credono se non vedono; e sembra che l'avvocato Lillo Massimiliano Musso abbia anche lui scommesso una cifra più modesta per chi gli fa vedere 'sto virus (suggerisco di sostenere l'avvocato che ha creato ForzaDelPopolo.org, un partito politico di ispirazione socialista e cristiana, fra i più accreditati sulla scena)
Ma vi fu anche un precedente, con l'HIV.
http://www.virusmyth.com/aids/award.htm
Forse occorre ripensare all'eziologia delle malattie, specialmente quelle che si ritengono infettive, risalendo indietro a Antoine Béchamp e Louis Pasteur.
Ciao!
paolo
No te dejes confundir busca el fondo y su razón
Recuerda se ven las caras pero nunca el corazón,
Rubén Blades, Plástico.