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Il Convoglio della Libertà del Canada

di Noi non abbiamo patria

convoy 2dio non gioca a dadi con l’universo
di Albert Einstein

Einstein risponde con questa frase a Niels Bohr la cui teoria scientifica tendeva a negare del tutto il principio del determinismo scientifico di fronte ai limiti di comprensione dei nuovi fenomeni nel mondo della fisica secondo i canoni della fisica meccanica tradizionale.

Non è scopo di questo scritto riaffermare le ragioni per le quali questo blog è decisamente contrario alla campagna vaccinale di massa capitalistica, che essenzialmente lo è per motivi estranei al dibattito scientifico e sui vaccini che animano le televisioni e le piazze occidentali in questi mesi. Così come non è scopo dello scritto ribadire per quale ragione questo blog ritenga come parte della necessità degli sfruttati quella di contrastare tutte le misure dei governi di sicurezza sanitaria.

 

Sicurezza, economia sana e salute pubblica

La società umana, per come determinata storicamente nel suo rapporto con se stessa e con la natura, ancora non è uscita dalla sua preistoria. Qualsiasi crisi generale e qualsiasi crisi sanitaria, che dai rapporti della produzione e sociali stessi è provocata, ha sempre posto di fronte alle società storiche le medesime contraddizioni che emergono dal terreno generale dei rapporti economici, sociali e politici. Queste medesime contraddizioni di fondo, nel lontano passato, come 104 anni fa (ai tempi dell’influenza spagnola) ed attualmente nel tempo del coronavirus, riguardano sul come combinare in maniera funzionale alla riproduzione dei suoi rapporti la “sicurezza” (come rafforzare lo stato nazionale sfidato sul mercato capitalistico mondiale attraverso l’esercito, proteggere i confini dalle epidemie e dalle migrazioni), la “economia sana” (come evitare che una crisi sanitaria interrompa la catena capitalistica della riproduzione del valore) e la “salute pubblica” aggredita da un fenomeno apparentemente solo sanitario.

Qualsiasi società basata sulla proprietà privata, sul mercato, sulla produzione di merci e per il valore di scambio, e dunque per il profitto è posta di fronte alla sua capacità di realizzare una sintesi funzionale di queste contraddizioni, perché la “salute pubblica” raramente è compatibile con la necessità della “sicurezza” e della “economia sana”. Questa difficile compatibilità è tanto più messa in crisi quanto più il rapporto dominante determinato è quello dell’accumulazione capitalistica del plusvalore socialmente prodotto all’interno della sua generale catena, dove i gruppi sociali sono riprodotti dal movimento generale del modo di produzione stesso che li coinvolge nel vortice anarchico della concorrenza, dove i singoli interessi privati confliggono con gli interessi generali della riproduzione stessa del rapporto di capitale in quanto sistema generale e che il suo stato, contrapposto alla società, cerca di realizzare.

Gli anni venti del secolo scorso, in conseguenza di una distruzione bellica e lo sgretolamento dei vecchi imperi del centro Europa, di quello Ottomano, di quello zarista e l’apertura di ampie praterie di mercato per una maggiore e potente espansione dell’accumulazione capitalistica e di affermazione della potenza economica, industriale e finanziaria degli Stati Uniti d’America ancora oggi sono ricordati come i ruggenti anni venti,capaci di riassorbire le diverse crisi di fase (anche attraverso il secondo macello mondiale imperialista della guerra imperialista), scaricando decisamente la maggior parte del costo umano e sociale al mondo saccheggiato per il tramite della finanza e delle portaerei.

La pandemia attuale si inserisce come prodotto e precipitatore in una fase di crisi generale dell’accumulazione capitalistica. All’interno del nuovo tempo capitalistico del coronavirus risulta sempre più ingovernabile quella mediazione tra i tre corni del problema la cui contraddizione insita rischia di risultare un fattore inedito eversivo mettendo alla prova la governance capitalistica della pandemia i cui risultati sono spesso palesemente fallimentari sul piano sanitario.

All’interno di questo cuneo e varco possibile che si apre tra “salute pubblica” versus “sicurezza” ed “economia sana”, stiamo assistendo a crescenti momenti di frattura sociale che finalmente si stanno appalesando con tutta la loro crudezza anche al mondo occidentale principale, mentre nel potente mondo capitalistico asiatico e cinese chiari segnali emergono che anche lì l’ordine capitalistico inizia ad apparire come castello di carte pronto a vacillare sotto i colpi di una qualsiasi emergenza sanitaria che diventa pandemica innanzitutto per motivi macroeconomici che per ragioni di forza dell’elemento patogeno. Ogni stato capitalistico affronta questa crisi nel gorgo della concorrenza capitalistica mondiale, lo fa a partire dalla propria eredità storica dei rapporti capitalistici determinati, sulla base della propria capacità di resilienza finanziaria, industriale e del proprio mercato domestico, realizzando quelle azioni possibili a seconda del compattamento del proprio tessuto sociale all’insegna del bene economico supremo. Chi non ce la fa, vede sfumare decenni di autonomia nazionale capitalistica sul mercato mondiale da cui dipende e da cui non può sottrarsi.

Il tempo del coronavirus si manifesta come fattore precipitato eversivo improvviso di tutti i rapporti capitalistici che fin qui avevano reso possibile tenere controllo l’emergere della lungo corso storico della crisi generale. Tutte le relazioni di classe nel loro rapporto specifico e col mondo della produzione del valore ne escono fuori sconvolte, creando panico, paura ad ampi strati della società capitalista, attraversando tutte le cosiddette classi sociali che vi reagiscono a seconda del loro rapporto determinato che esse hanno all’interno della catena della produzione del plusvalore accumulato. Gli stessi poteri economici dominanti anche essi sono guidati dall’incertezza che questa nuova fase inaspettata – ma determinata sul piano storico – porta con se. Il decisionismo di alcuni leader è l’altra faccia della fragilità della struttura che li sorregge.

Come proteggere la catena del valore di fronte alla richiesta dal basso di protezione, come non intaccare la catena logistica del mercato mondiale ed al tempo stesso chiudere i confini alla diffusione di un virus? Come rafforzare il controllo al confine senza rallentare la circolazione del just in time e della produzione secondo il modello toyotista? Come non bloccare la catena globale del valore e dello scambio internazionale mentre si bloccano i confini o si rallenta la catena del mercato mondiale delle merci? Come tagliare necessariamente i rami secchi dell’economia mantenuti attraverso le politiche di indebitamento finanziario senza compromettere il consumo di massa e dunque la trasformazione del plusvalore accumulato in profitto? Come funzionalizzare il lavoro produttivo dei ceti medi nella nuova industria globale e all’interno del mercato globale (dei servizi, del turismo, della distribuzione delle merci al dettaglio? Come piegare sotto queste necessità masse crescenti di proletariato e di razzializzati che non possono più nemmeno nella metropoli vivere come prima? Come mantenere e rafforzare la sussunzione reale al capitale di ogni attività umana e della riproduzione generale della vita, mentre un virus, indipendentemente se la sua aggressività patogena di per sé è grave o lieve, diviene fattore che drammaticamente fa precipitare la resilienza di fronte alla morte per tutte le cause dell’uomo se non attraverso un continuo dopaggio del sistema immunitario attraverso la farmacologia tradizionale ed al ricorso ravvicinato di nuove inoculazioni vaccinali anti covid-19? A ben vedere col tempo del coronavirus si accelera un percorso già in atto da tempo come prodotto delle contraddizioni che il sistema generale dell’accumulazione produce ma che non riesce a risolvere attraverso il suo piano anarchico.

 

La frattura sociale in Nord America e la fine del risorgimento nazionale Canadese

All’interno della contraddizione che da due anni si tenta di riassorbire tra “salute pubblica” versus “sicurezza” e “sana economia” stiamo assistendo ad una frattura sociale polarizzante che finalmente sta investendo con tutto il suo contenuto drammatico anche il Nord America e l’Europa. E’ un precipitato che pone tutte le classi sociali a non poter più vivere come prima e dove gli interessi privati non trovano più soddisfazione all’interno della catena generale della produzione del valore capitalistico accumulato. Ma in quali direzioni si muovono queste linee di faglia sociali prodotte da una struttura che scuote se stessa?

È chiaro che quanto ruota intorno alla lotta del Convoglio della Libertà (Freedom Convoy) del Canada si muove verso la polarizzante necessità della “sicurezza” e della “sana economia”, piuttosto che allargare la contraddizione a favore della “salute pubblica” della comunità umana. Alcuni strati dei ceti medi produttivi già penalizzati nella crisi tentano con la lotta di ripristinare le condizioni precedenti, mentre l’interesse nazionale del grande capitale canadese difende la sua autonomia dal suo potente concorrente al confine sud, un concorrente di cui non può farne a meno. Un concorrente la cui forza economica generale e del mercato attrae a sé le spinte centrifughe che si sprigionano nello sbriciolamento della nazione Canadese.

Una grande USA che è sempre più incentrata nell’America First (il cui progetto è anche incarnato da Biden), che per riaffermare la sua leadership deve assorbire il Canada come parte di quella Grande America del Nord sotto l’egida Statunitense, cui decenni di sviluppo e di pacifica concorrenza con la finanza dell’ex impero Britannico e Francese ne ha ostacolato la realizzazione, realizzando appunto l’identità nazionale Canadese. Quanto accade in queste settimane in Canada non è altro che un allegato della storica contesa tra il capitalismo nord americano ascendente degli Stati Uniti e il vecchio controllo imperialista ed ex coloniale del Nord America nel mezzo però di una frattura verticale sociale polarizzante all’intero continente nord americano posto di fronte alla più grande crisi generale della storia del capitalismo.

Mentre Trump e Musk sostengono politicamente e finanziano il Freedom Convoy (che vede anche il sostegno militante sul campo di parte del partito sociale che conforma il trumpismo 2.0), Biden preme sul governo Canadese affinché usi il massimo la forza per reprimere il blocco ai confini, che penalizzano la catena economica generale.

Il Canada si trova ovviamente in debito di autonomia e fatica a contenere un terreno sociale che si stava sgretolando già prima di questi ultimi avvenimenti. La sua unione e autonomia capitalistica nazionale si trova a rischio, mentre il convoglio rappresenta il movimento di masse sociali che in nome della libertà rivendicano la libertà del ritorno a una normalità impossibile nel contesto dello sviluppo economico canadese e lo tentano nell’unico modo determinato dal rapporto capitalistico generale: attraverso la forza magnetica delle forze economiche USA ed al servizio della sua “sicurezza” e “sana economia”. Non è un caso appunto che la mobilitazione del Freedom Convoy abbia al centro proprio quei settori del lavoro produttivo che servono l’economia ed il profitto attraversando il confine nord americano, rifornendo la catena del valore degli Stati Uniti. E’ un moto che per realizzarsi non può altresì che rafforzare i tratti caratteristici che hanno realizzato il “risorgimento canadese” basato sulla aggressività capitalistica contro le popolazioni amerindi, BIPOC e il profondo proletariato bianco, tratti necessari anche per riaffermare la grande leadership di un Nord Great America sul piano mondiale.

Agli occhi degli amerindi e dei popoli della First Nations la situazione è drammatica. Perché se la grande ribellione di George Floyd del 2020 è in uno stato di bassa marea, tuttavia, anche le persone razzializzate e proletarie ancor più dei ceti medi produttivi non possono vivere come prima e rischiano di finire tra l’incudine e il martello. La grande ribellione del 2020 negli Stati Uniti è stata la più grande riaffermazione della “salute pubblica ” delle comunità umane, dei neri, dei BIPOC, dei giovani proletari bianchi e degli genderdizzati – essenzialmente dell’essere umano come comunità – che abbia saputo rompere in un momentum la sacralità della “sicurezza” e della “sana economia”, rompendo tutti i dispositivi sanitari predisposti dallo stato perché ostativi alla lotta stessa dei neri. Essa ha attraversato come un virus i confini e principalmente in quei paesi dove il marchio di fabbrica del capitalismo basato sul colonialismo, la schiavitù ed il razzismo è evidente nell’architettura delle città. Ma la bassa marea pone gli sfruttati in una condizione di estrema difficoltà davanti alle fratture sociali provocate da un intero sistema generale che si sta sbriciolando e non esistono avanguardie o programmi in astratto che lo possano tenere coeso. Questo è il nuovo orizzonte della lotta generale che si determina e non è esorcizzabile.

Gli sfruttati Amerindi, che già stavano boicottando in questi mesi il flusso delle merci alle frontiere funzionali alla espansione degli oleodotti e dello sfruttamento delle loro terre di riserva, nella bassa marea potrebbero ritenere di dover fare un passo indietro nella loro lotta temendo di favorire la lotta del Convoglio bianco. Altresì, potrebbero considerare possibile una alleanza di tutto il “popolo” dove la sostanza della loro battaglia di sicuro è espropriata e strumentalizzata per un fine diverso che di fatto rafforza il colonialismo interno. Un tentativo questo che per altro è stato anche tentato senza successo da parte di alcuni sostenitori anglosassoni del Convoglio portando pochi di loro ad Ottawa anche i colori delle First Nations amerinde.

Quello che risulta ovvio è che il terreno reazionario non svanirà da solo rendendo poi possibile la continuazione della lotta contro il colonialismo interno, perché questo non accadrà, così come la riconquista del Capitol Hill alla sacralità della democrazia dopo il 6 gennaio 2021 ha solo rafforzato il terreno generale di oppressione, e così sarà anche per la vicenda canadese che è solo la seconda tappa di quella polarizzazione sociale che ha trovato una accelerazione negli Stati Uniti d’America a partire dalla primavera del 2020.

La crisi pandemica rappresenta per il Canada anche l’accelerazione del fallimento storico della Quiet Revolution (La Rivoluzione Tranquilla) che dalla fine dopoguerra e negli anni ’60 riuscì a realizzare quella indipendenza nazionale dal vecchio colonialismo Francese prima e dall’imperialismo Britannico poi, che non ha potuto che essere una autonomia nazionale precaria, fortemente dipendente dall’economia ascendente del dollaro e dal legame storico con la finanza imperialista ed ex coloniale (tant’è che tutte i principali istituti finanziari canadesi sono legati principalmente alla finanza britannica e secondariamente a quella francese). Una definizione della propria identità nazionale che per svincolarsi dal precedente reggente non poteva che dirigersi sulla scia della potenza industriale e finanziaria del più potente vicino nord americano in prorompente ascesa. I caratteri di fragilità dell’indipendenza canadese, il cui orgoglio identitario nazionale si forgiò nella partecipazione alle due guerre mondiali, furono evidenti fin da subito dalla conquistata indipendenza nazionale formale, quando il neo stato si trovò ad affrontare le spinte separatiste del nazionalismo (anche armato) del Canada francofono in Quebec ed in Ontario tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70. Un separatismo che rivendicava per i ceti produttivi e i lavoratori franco canadesi le pari opportunità nell’ascensore sociale che erano garantite ai loro concittadini di origine anglosassone in Nuova Scozia e nella Columbia Britannica. La capacità del Canada di riassorbire quella frattura fu possibile divincolandosi nel difficile equilibrio tra il legame storico e finanziario con la precedente dominazione imperialista e colonialista ed il capitalismo statunitense rafforzando lo sviluppo industriale proprio in Quebec ed in Ontario funzionale alla grande industria dell’auto nord americana che stava dominando il mondo. Ma soprattutto concesse ai ceti medi produttivi e alle classi lavoratori canadesi quel privilegio bianco all’interno della divisione sociale del lavoro rafforzando la storica oppressione delle popolazioni amerinde colonizzate. Furono gli anni in cui i popoli delle First Nations, lasciati a vivere nelle zone di riserva marginali dove essi stavano continuando il proprio secolare rapporto produttivo e autosufficiente basato sull’allevamento, la pastorizia ed il nomadismo, furono espropriati dei propri figli, che vennero rapiti e coscritti nelle scuole cristiane bianche, qui educati per generazioni alla disciplina e al mercato e come forza lavoro salariata coatta nella produzione delle merci. Attraverso le sevizie psicologiche ed anche la tortura fisica (nei confronti di quei fanciulli che non volevano rinnegare la propria tradizione) la scuola colonialista e razzista ne fece una massa docile di salariati emarginati. Decine di migliaia di quei giovani amerindi, oggi adulti, ancora portano sui propri corpi la devastazione psicologica della disciplina scolastica che in gran numero li porta al suicidio. Centinaia morirono nelle scuole a causa delle sevizie. Ancora oggi adiacenti a quei luoghi, tra le scuole e le chiese cristiane del Canada, vi sono i terreni cimiteriali (delle vere fosse comuni) dove giacciono i resti di quei poveri bambini. Ed ora quelle chiese vengono date alle fiamme dalla rabbia in pelle rossa. Il Canada, come gli Stati Uniti d’America, si è erta a moderna nazione borghese marchiando a sangue la pelle nera e la pelle rossa e determinando così quel privilegio bianco con cui tiene al guinzaglio le classi lavoratrici.

Il Convoglio della Libertà, che assurge alla cronaca di tutto il mondo, prima di essere un movimento di lotta contro le disposizioni anti pandemiche e vaccinali del governo Canadese, è il prodotto del venire a franare del risorgimento nazionale canadese con tutto il suo portato storico.

 

La morsa sul ponte nel cuore pulsante del capitalismo mondiale

In sostanza l’ago della calamita della lotta del convoglio è puntato verso il potente magnete del progetto MAGA (Make America Great Again) che attrae le spinte centrifughe che dal sottosuolo della nazione canadese emergono alla fine di un ciclo storico. Una lacerazione del tessuto nazionale unitario che era già in atto da tempo e che ha visto svilupparsi negli ultimi anni vasti e nuovi movimenti indipendentisti nella Columbia Britannica, in Alberta e in Nuova Scozia.

La stessa azione del governo federale di Biden mina l’integrità del tessuto nazionale Canadese al pari delle ingerenze di forze economiche esterne rappresentate da Trump. Il governo federale degli Stati Uniti d’America invoca la repressione della protesta del Convoglio, che bloccando i collegamenti al confine tra l’Ontario ed il Quebec con il Michigan e Detroit rappresenta un colpo al rifornimento dell’industria nord americana ed al suo tentativo di ripartenza nella concorrenza sul mercato mondiale. I blocchi dei camionisti canadesi ai confini e del ponte Ambassador sul Lago Superiore che collega Windsor a Detroit (attraverso il quale passa il 25% di tutto lo scambio merci tra Canada e Stati Uniti) ha comportato una perdita di 50 milioni di dollari al giorno, mentre per il ritardo delle forniture di semi conduttori e componentistica dell’industria dell’auto e high tech, Ford, Tesla, GM e Stellantis si sono trovate costrette a rallentare certe fasi del ciclo produttivo per la mancanza dei rifornimenti just in time.

Sarà anche possibile che uno stallo della situazione possa far desistere le forze del capitale statunitensi che si esprimono attraverso Trump e Musk (che rispondono a precisi interessi delle corporate finanziarie collegate all’industria degli idrocarburi e degli oleodotti e gasdotti i cui nuovi progetti di ampliamento si estendono dal Canada ed il Nord America fino all’estremo sud di Cile e Argentina) possano rimuovere il proprio sostegno attivo. Nondimeno, come i fatti del 6 gennaio 2021 a Washington D.C. hanno dimostrato, la massa sociale del trumpismo sovranazionale e canadese non necessariamente ha bisogno di un comandante sul campo per continuare la propria marcia anche nel caso della diserzione del leader dalla linea del conflitto, e possa mantenere la propria rotta rispondendo coerentemente alla richiesta di “essere lì e selvaggi” (“be there, be wild”, cinguettò Trump sui social media), come di fatto avvenne durante i momenti più drammatici dell’assalto al Capito Hill.

Per l’unità nazionale Canadese la situazione anima di sgomento la componente nazionalista popolare bianca e democratica di fronte allo sventolare delle bandiere di destra del Make America Great Again e di quelle separatiste storiche sia di matrice anglosassone che francofona nella occupazioni del Convoglio. Di fronte all’unità nazionale messa in rischio per opera di una combinata azione interna e di forze esterne, altri settori del ceto medio liberali e di settori delle classi lavoratrici più garantite scendono anche essi nelle strade contrapponendosi alla protesta dei camionisti fondamentalmente a difesa del risorgimento nazionale perduto, dove il contendere vaccinale e la reazione al disordine portato dal popolo delle destre alla tranquilla Ottawa è solo la scorza superficiale di quanto sta scuotendo la società. Questi settori liberali e democratici invocano l’intervento dello Stato a rimuovere l’occupazione dei camionisti della Capitale e soprattutto si domandano “come e perché il convoglio non sia stato bloccato prima di raggiungere Ottawa e gli sia stato concesso liberamente di occupare la città circondando l’area del Parlamento ancora oggi e così a lungo”?

La realtà della situazione è ben presente nel governo Trudeau. Lo stato di emergenza è un affare delicato da mettere in atto affrontando la rabbia dei camionisti, perché non si tratta di una semplice contrapposizione verso una categoria produttiva che coinvolge meno 4% della forza lavoro canadese (tra autisti salariati, piccoli padroncini, e addetti delle grandi compagnie dei trasporti merci).

Diversi motivi rendono la vicenda drammaticamente complicata e da gestire da parte del governo canadese. Non solo e non tanto perché la polizia canadese tra i suoi ranghi possiede molti sentimenti che li accomunano ai camionisti, primo fra tutti il fattore materiale del privilegio bianco ed il terrore nei confronti degli immigrati. Non solo perché si teme uno spargimento di sangue su entrambi i fronti, ben sapendo che alcuni convogli trasportano anche armi e moderni fucili da caccia. Questa non è una novità, tutto il conflitto sociale che ha attraversato gli Stati Uniti d’America dal 2020 in poi ha visto la presenza e anche l’uso delle armi (proprie ed improprie) nelle piazze e nelle strade e soprattutto da parte della destra sociale per contrastare la ribellione di George Floyd.

 

Tra preludio di nuova guerra civile americana e lo sbriciolamento

La vera difficoltà risiede che il corso della crisi sta appunto erodendo le basi del privilegio bianco che ha consentito il compattamento nazionale di questi settori di massa ora pressati nel vortice della concorrenza globale, andando a radicalizzare strati diffusi del ceto medio produttivo che difficilmente si potrà riassorbire. Così come ieri al Capitol Hill, oggi sull’Ambassador Bridge si è disposti a lottare contro il proprio Stato per riconquistarlo ad un servizio di maggiore aggressività contro ogni cosa ostacoli la libertà del mercato e dell’esercizio della propria attività privata imprenditoriale. Trudeau, non può capitolare né alla pressione del convoglio, né alla sollecitazione di Biden, perché entrambe le soluzioni rappresenterebbero lo scivolamento più veloce e più subordinato nell’orbita del capitalismo Statunitense. D’altronde quello che si sta realizzando è la poderosa rivincita americana nei confronti del Canada, in una storia fatta di contesa militare e commerciale che è proseguita fino ai giorni nostri. Non dimentichiamoci che durante le guerre tra Stati Uniti e Gran Bretagna di inizio secolo XIX per ridisegnare i confini del Nord America e gli spazi del mercato, furono proprio le truppe Canadesi sotto comando britannico che nel 1814 presero d’assalto Washinton D.C. e incendiarono la Casa Bianca.

L’iniziativa dei camionisti nord americani e canadesi contro l’obbligo vaccinale necessario per attraversare il confine non può che muoversi che all’interno di questo terreno storico che ne ha determinato lotta stessa. Essa al tempo stesso ha davvero poco in comune con le precedenti mobilitazioni a Vancouver, Toronto e Montreal contro i lockdown, espressione di una reale insofferenza della riduzione del tempo della vita al solo tempo della produzione e del lavoro. Ma ecco, che il capitalismo trova la sua apparente soluzione, restituendo la libertà alla vita attraverso la campagna vaccinale, il green pass come strumento di libertà per esercitare nuovamente e liberamente la propria esistenza all’interno delle relazioni del rapporto capitalistico che ancora garantiscono residui non insignificanti di privilegio bianco per i settori medi della società. Gran parte di quella mobilitazione è rientrata in una posizione di accodamento dietro le necessità generali dello stato e del mercato, della “sicurezza” e della “economia sana” aderendo passivamente alla campagna vaccinale.

 

Perché i camionisti protestano? Tra corporativismo storico borghese e slanci verso il proletariato meticcio degli Stati Uniti

I camionisti di Canada e Stati Uniti, il cui numero occupato è ampiamente al di sotto della domanda di lavoro, hanno goduto per tutto il 2021 della concessione per l’esenzione vaccinale e l’obbligo del green pass necessaria per attraversare il confine nord americano in entrambi i sensi di marcia. Un dispositivo che avrebbe dovuto rilanciare le catene del mercato globale in sicurezza consentendo il traffico internazionale del business generale (all’interno della Comunità Europea, nel rapporto di mercato con la Gran Bretagna, nelle rotte atlantiche e pacifiche tra est ed ovest, sulla estesa linea di confine russo cinese), ma che in breve tempo – come sottolineato dall’eminenza grigia del capitalismo storico il The Economist – questo dispositivo ha mostrato più debolezze che acquisizione di maggiore resilienza immunitaria, rallentando molto più del previsto la ripresa del business as usual. Per questo motivo ai camionisti di entrambi i paesi nord americani è stata concessa fino alla fine di gennaio l’esenzione vaccinale l’attraversamento delle frontiere, un premio corporativo donato a questa categoria di lavoratori per il loro servizio nella produzione toyotista e nella circolazione delle merci per la realizzazione rapida del plusvalore in profitto.

Sotto la pressione della produttività il mercato dell’industria del trasporto merci sta determinando in questi ultimi anni un incremento della domanda di lavoro, ma da anni soffre di una costante offerta di forza lavoro che è molto al di sotto della necessità dell’industria di entrambi i paesi nord americani (così come le regole della Brexit hanno esposto la Gran Bretagna a questo medesimo tallone di achille). Insieme a questa sofferenza si registrano da alcuni anni una diminuzione della marginalità del profitto nell’industria del trasporto delle merci nonostante vi sia un aumento esponenziale del volume dei fatturati e delle tonnellate di merci trasportate. Per ogni dollaro di ricavato, l’industria del traporto merci pesante, mette a profitto 4 centesimi di dollaro, mentre 96 centesimi sono il costo fisso che il capitale anticipa per il riavvio del suo processo. A quanto pare l’insufficienza dell’offerta di lavoro è parte della diminuzione della marginalità del profitto stesso che affligge le grosse compagnie di questo settore. Questa scarsità di offerta di lavoro ha radici storiche nel lungo periodo capitalistico, dove la collocazione come camionista Owner Operator (ossia del camionista proprietario della propria motrice e del proprio business) rappresenta sempre meno per diversi settori della classe media americana l’orizzonte di ascesa entro cui realizzare il proprio sogno di piccola imprenditorialità. Oggi negli USA solo il 9% dei camionisti sono dei padroncini indipendenti, mentre in Canada la quota è più cospicua (il piccolo proprietario della motrice è circa il 35% della forza lavoro complessiva dei camionisti). E’ un mercato per altro in forte turnover, perché circa il 55% degli Owner Operator dell’industria del trasporto pesante fallisce entro i primi 18 mesi dall’inizio della attività privata. Molti sono ex veterani sopra i cinquanta anni che tentano la fortuna nel trasporto merci dopo il congedo volontario dall’esercito. La diminuzione della marginalità dei profitti impone all’industria della logistica e del trasporto la deregolamentazione del regime delle tariffe verso una determinazione sempre più flessibile della paga, sempre meno pattuita su base oraria (in Canada è mantenuta ancora solo per le tratte di corta percorrenza), mentre sempre più si basa sul criterio per miglio di percorrenza, o sulla base percentuale in rapporto al volume del trasporto, talvolta con una cedola di partecipazione del piccolo camionista proprietario all’utile della compagnia quando lavora in esclusiva per essa. E’ un mercato dove la forza lavoro salariata degli autisti del trasporto pesante comincia a caratterizzarsi con l’impiego di un numero crescente di forza lavoro di origine immigrata, soprattutto nel West Pacific degli Stati Uniti (per esempio il 44% della forza lavoro in California sono immigrati indiani di origine Sikh). In questo mercato dominato dalle paghe flessibili è il trasporto di lunga percorrenza e quello attraverso il confine che assicura una migliore tariffa, benché l’obbligo di quarantena per chi è sprovvisto della vaccinazione penalizza la produttività soprattutto per i padroncini camionisti e la loro capacità di resistere a fronte dell’indebitamento pattuito per avviare la propria attività di piccolo imprenditore. Il 15 gennaio per il Canada e poi il 22 gennaio per Stati Uniti è scaduto il termine della esenzione vaccinale per l’attraversamento del confine nel trasporto merci. In vista dello scadere dell’esenzione vaccinale l’industria del settore (la cui produttività e marginalità soffre di una offerta di lavoro al di sotto delle necessità economiche) ha provato a ricostituire il patto corporativo con i camionisti canadesi, proponendo a quelli non vaccinati la ricollocazione delle attività nel trasporto interno al territorio nazionale (per cui non vige l’obbligo vaccinale), magari ritoccando al rialzo quelle tariffe che il mercato aveva già ribassato. La proposta non ha potuto essere adeguata alla necessità del piccolo imprenditore di mantenere competitiva la propria attività, quindi si è visto costretto alla lotta per ripristinare quel patto corporativo guardando verso la corporate capitalistica più grande, quella della Grande America del Nord che si esprime attraverso il trumpismo transnazionale.

Lo scadere dell’esenzione di fatto rappresenta un duro colpo a quel 35% di piccoli proprietari della propria motrice (tra cui alcuni di questi hanno anche realizzato degli small business associati o acquistando 3 o 4 motrici ed ingaggiando poche unità di lavoratori salariati), che è composta da circa 160 mila owner operator ed una flotta complessiva di 180 mila truck (quindi ventimila in più del numero dei piccoli proprietari). Ma lo è anche per quella parte salariata che attraverso la ricollocazione sul mercato interno vede rosicchiarsi il salario, mentre la produttività richiesta e da rincorrere è altissima per tutti.

Per i padroncini della motrice il peso dell’indebitamento pattuito per iniziare l’attività sta mettendo alle strette questo settore del ceto medio produttivo canadese e non dà via di scampo. La conseguenza dello scadere dell’esenzione vaccinale non può che accelerare il declino del sogno americano già da tempo ridimensionato nel vicino mercato degli Stati Uniti, mentre pone l’intera forza lavoro dei trasporti (salariati e padroncini indipendenti) ad un reddito inferiore e a ritmi della produttività massacranti.

Negli Stati Uniti (la cui industria del trasporto impiega più di tre milioni di camionisti principalmente salariati e complessivamente nove milioni di persone) il sentimento diffuso del piccolo proprietario della propria motrice, di questo importante settore produttivo storicamente repubblicano, è di generale sconforto. Nel 2020 i camionisti afflitti dai problemi legati alla produttività e ai costi delle loro attività realizzarono un piccolo convoglio di protesta a Washington D.C. sotto la Casa Bianca e di contestazione contro Trump, la cui politica di fatto aveva disatteso le promesse che egli fece al suo popolo. Oggi una parte di questo settore produttivo organizza dei gruppi di sostegno chiamati Convoy Save America (il Convoglio Salvi l’America) con l’obiettivo di organizzare carovane solidali attraversando il confine sul West Pacific. L’intera categoria, originariamente e storicamente dai tratti corporativi, è esposta a sempre maggiori rischi per la sicurezza del lavoratore impegnato nei massacranti trasporti ed ad un aumento dei costi della manutenzione per i piccoli padroncini. Poche settimane fa un altro Convoglio bloccò l’intero traffico merci verso lo Stato del Colorado in una azione spontanea di solidarietà con un giovane lavoratore immigrato di origine Cubana (Roger Lazaro Aguilera Medero) condannato a 110 anni di galera per un incidente stradale provocato sui tornanti del Colorado stesso il 21 dicembre 2019. Dall’afflato di solidarietà multirazziale e di protesta contro l’industria dei trasporti responsabile di mettere nelle mani degli autisti salariati pericolosi camion privi di adeguata manutenzione, oggi, parte di questa categoria reagisce rinnovando il proprio sentimento patriottico per una America Grande, bianca, capitalista ed agguerrita.

Donald Trump nel 2017 provò a blandire la sua base popolare occhieggiando anche a questo settore del mondo produttivo, inscenando la guida di un grosso TIR nei pressi della Casa Bianca. Poi non fu in grado di realizzare quella difesa dei ceto medi produttivi che stavano soffrendo per gli effetti della cosiddetta globalizzazione.

Era difficile ieri e lo è ancor più oggi rafforzare omogeneamente le basi materiali del compattamento nazionale dei ceti medi e delle classi produttive degli Stati Uniti d’America. Questa difficoltà obiettiva non spingerà di certo il ceto medio produttivo attaccato dagli effetti della crisi verso una lotta anticapitalista, tanto più che essi già adesso si radicalizzano nel solco di un mercato che vogliono più libero e più aggressivo. La vicenda del Convoglio della Libertà ne è una dimostrazione.

Il ceto medio e la piccola borghesia di marxiana memoria si trovava presa tra due fuochi, tra un vecchio mondo dove l’ordinamento feudale delle corporazioni dei mestieri ne garantiva l’esistenza ed il nuovo mondo dello sviluppo capitalistico della società che necessariamente si muoveva in direzione della sua demolizione. Oggi il rapporto è qualitativamente differente, i ceti medi non sono più i residui dell’ordinamento delle corporazioni feudali delle città, sono il prodotto della accumulazione allargata, della mercificazione e messa a profitto di tutte le attività produttive dell’uomo, nasce dai pori della circolazione capitalistica di cui essa ad essa è funzionale. Questo rapporto viene rivoluzionato di continuo per riaffermarlo in una dimensione ancor più funzionale ed efficiente al sistema generale dell’accumulazione capitalistica. E’ lo stesso piccolo camionista imprenditore di se stesso ad essere parte del suo problema, dal momento esatto che esso ha avviato la sua attività imprenditoriale sottoscrivendo il proprio indebitamento concesso facilmente dalla banca cui si è rivolto e il cui tasso di interesse lo farà fallire.

Oggi per pagare il taglio della cedola alla banca, il camionista canadese è costretto a mobilitarsi per mantenere in equilibrio quei rapporti di mercato e capitalistici che lo hanno attirato, così come si trova costretto ogni piccolo commerciante, piccolo ristoratore, artigiano o imprenditore turistico che non vuole finire di essere un mero funzionario stipendiato della grande industria capitalistica in un rapporto comunque di privilegio nei confronti della massa proletaria e razzializzata. Ma a pensarci bene è un difficile equilibrio che le banche, la finanze e le politiche finanziarie degli Stati cercano di realizzare senza riuscirvi per assicurare al capitale quel consumo di massa necessario per trasformare in profitto l’enorme massa di plusvalore socialmente estorto.

Non si stupisce questo blog che la lotta del Convoglio della Libertà riempia di suggestione buona parte delle proteste europee di questi giorni contro le politiche anti covid-19 dei governi per la sua indiscutibile efficacia a mettere in difficoltà il grande capitale in una ricontrattazione, però, appunto come ceto medio produttivo che intende sopravvivere costi quel che costi. Ma alla gran parte di queste piazze non suscita altrettanta suggestione e simpatia la ribellione degli ex schiavi delle Antille coloniali francesi contro il green pass di Macron, mentre si guardano con sospetto quei bruti sociali delle banlieue metropolitane che in Olanda, ad Amsterdam ed Eindhoven, hanno trasformato in saccheggi ai supermercati alcune giornate di proteste pacifiche contro il lockdown del governo dei Paesi Bassi. Ed è per la stessa bassa marea della lotta dei neri americani, che anche i proletari nord americani che hanno subito più di tutti i costi e le conseguenze dell’aggravio della crisi potranno transitoriamente e confusamente condividere le piazze di tutto il popolo che non esiste più.

 

Empatia

Al di là della dinamica e dell’esito della lotta del Freedom Convoy, i fattori materiali del crack sociale ed economico dell’intero sistema capitalistico vengono rappresentati con l’estensione al Canada della crisi e della polarizzazione sociale degli Stati Uniti d’America. E questi scossoni non possono che propagarsi all’intero mondo con conseguenze potenziate. L’ultimo biennio è stato gravido di esplosioni sociali ravvicinate di tutte le contraddizione che il capitalismo non riesce a governare come gli era possibile solo 20 anni fa. La società nord americana va scomponendosi spaccandosi a metà e trasversalmente. Provare soddisfazione di fronte al vacillare dell’ordine capitalistico crea entusiasmo per il rivoluzionario e per il comunista che da un intero ciclo storico attende gli scoppi della crisi. Ma è una reazione che rischia di apparire di distaccata indifferenza e per certi aspetti molto simile allo sdegno dei borghesi liberali, degli intellettuali e del capitale dal volto umano che provano di fronte alle mostruosità ed al grottesco che la crisi di un sistema generale produce. La superficiale soddisfazione rischia di essere l’altra faccia del sentirsi lontani e comodamente adagiati nella stanza riformista privilegiata anch’essa di bianco da quelli che sono gli svolti materiali della generale sofferenza umana schiacciata dal capitalismo. E’ necessario provare empatia di fronte al dramma ed alla sofferenza che questo vacillare sta provocando, perfino nei confronti di certi settori del Convoglio della Libertà che si agitano nel solco del mercato e della concorrenza capitalistica. Jarrod Shanahan, il 7 gennaio 2021, nel commentare i fatti del Capitol Hill del giorno precedente scrisse:

Dimentica quanto possa sembrare ridicolo o orribile agli occhi degli esperti professionisti o delle celebrità dei social media che piangono per la santità delle “sale santificate” dove le guerre imperialiste e i programmi di austerità vengono pianificati. La vista di avventurieri arrabbiati che prendono d’assalto il Senato chiedendo che Mike Pence si riveli, un uomo in abito proletario con i piedi poggiati sulla scrivania dell’ufficio della multimilionaria powerbroker Nancy Pelosi, e il divertimento perverso che la maggior parte di loro sembrava mostrare, fornisce potenti immagini politiche che parlano del diffuso disgusto per la vita degli Stati Uniti che è praticamente l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo“.

Empatia significa che prima di tutto vada respinto il dipinto che settori della società capitalistica vogliono far apparire i partecipanti del Convoglio della Libertà come degli energumeni grotteschi, che sventolano le loro bandiere naziste (cosa che appare falsa e non dimostrata dalle migliaia di servizi fotografici) o i loro simboli religiosi animati dalla forza della loro bigotteria e ignoranza antiscientifica. Questa visione caricaturale deve essere rigettata per quello che è: l’altra faccia del capitalismo (e perfino razzista nei confronti di tutte le classi subalterne) e delle sue fazioni liberali e democratiche, per cui ogni crisi sociale sia addebitabile alla mancanza di cultura o della illuminante educazione borghese. Bisogna mostrare empatia verso la sofferenza reale che il capitalismo in maniera accresciuta provoca scuotendo anche il grasso occidente, ma non per assecondare a come alla paura legittima si reagisce in una maniera determinata all’interno del rapporto di capitale. Cercare un invano tentativo di “fronte unico” volto a orientare gli obiettivi della lotta che di per sé non è ri-orentabile, come il corso della post insurrezione al Capitol Hill sta dimostrando. Così come ogni tentativo avanguardistico di orientamento e di ricomposizione del fronte proletario sotto un programma secondo le forme del passato è destinato a naufragare. E’ l’empatia che dovrebbe mantenere saldo l’impegno rivoluzionario contro il capitalismo, la cui crisi sbriciola una ad una la forza materiale su cui è fondato, sentimento che andrebbe espresso anche nei confronti della paura reale e delle ragioni per le quali i proletari e gli oppressi che provano a mettere al riparo la propria condizione subendo passivamente le politiche dei governi, ritenendo, che sconfiggere la pandemia è necessario per la ripresa della economia sana e che questa ripresa sia a garanzia delle condizioni di vita proletarie ed anche della sua possibilità di contrattazione attraverso la lotta.

La soluzione al dramma sociale che sta spaccando il Nord America non trova facile soluzione. Il corso della crisi catastrofica generale del Capitalismo farà cadere sul tavolo i pezzi del puzzle ancora mancanti, e di fronte ai fatti Nord Americani che sottostanno alla lotta del Convoglio della Libertà questo blog, mantenendo ferma la sua empatia, ritiene che “dio non gioca a dadi con l’universo” e certi percorsi sono già determinati. So benissimo che questa conclusione risulta insoddisfacente per chi cerca una risposta ai problemi del che fare, trovo assolutamente pertinente la conclusione di Jarrod Shanahan alla sua riflessione circa i fatti del Capitol Hill del 6 gennaio 2021 che hanno evidenziato il terreno reale della lotta che abbiamo all’orizzonte:

Qual’è la nostra alternativa?

* * * *

La cronaca dei fatti

Si ringraziano i compagni di Crimethinc per aver ricordato i fatti salienti che sottostanno alla vicenda. Altri momenti della vicenda storica sono stati puntualizzati da Noi non abbiamo patria.

2016 – 2021. Donald Trump vince le elezioni presidenziali negli Stati Uniti creando ripercussioni in Canada, incoraggiando la formazioni di vari gruppi animati dalla opposizione “dell’immigrazione di massa” e all’Islam in particolare in Quebec. Il 29 gennaio 2017 una azione armata in ad una moschea nella perifieria di Quebec City uccide cinque perone.

2018. Nasce in Francia il movimento dei gilet gialli. L’iconografia della lotta prende piede in Canada verso la fine del gennaio 2019, ma qui la preoccupazione che anima le folle include l’Islam, l’immigrazione, la tirannia di Trudeau, la sicurezza al confine e le sorti dell’industria petrolifera e del gas nel Canada occidentale (British Columbia e Vancouver). Molte delle rivendicazioni riguardano l’ampliamento dei progetti dei gasdotti anche in Alberta da realizzare per le esportazioni in direzione delle coste pacifiche ed atlantiche.

6 dicembre 2018. Viene arrestata in Canada Meng Wanzhou, numero due del colosso delle telecomunicazioni cinese Huawey durante uno scalo di un volo internazionale per un viaggio di affari partito da Hong Kong e diretto verso il Messico. L’arresto è stato eseguito su mandato di cattura internazionale emesso dal FBI e dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti per presunta violazione all’embargo commerciale all’Iran e per attività mai precisate di spionaggio informatico. La vicenda creerà un grosso problema diplomatico e commerciale tra Canada e Cina, mettendo anche in imbarazzo il colosso finanziario britannico HSBC il cui centro di gravità finanziario mondiale è tra Londra, Hong Kong e Toronto/Montreal, e che anche attraverso l’ottimo rapporto con la clientela cinoamericane che vivono in Nord America gestisce proficuamente il business con il Mainland cinese. La vicenda si risolverà con il rilascio dei dirigenti di Huawey verso la fine del settembre 2021.

Febbraio 2019. Il convoglio di camion “United We Roll” parte da Red River, Alberta, il 14 febbraio e 200 camion arrivano ad Ottawa il 19 febbraio.

Ottobre 2019. Trudeau vince di nuovo le elezioni, mentre in Alberta e in Saskatchewan vengono prevalentemente ed in maniera uniforme rappresentate da parlamentari conservatori. L’esito elettorale deludente per parte del popolo anglosassone comporta la nascita del partito “Wexit Canada” che mira a uno stato indipendente per parto o tutto il Canada occidentale.

Marzo 2020. Il Canada inizia ad attuare alcune misure di emergenza rispetto alla pandemia di Covid-19. Pochi mesi prima, la tregua commerciale raggiunta tra Stati Uniti e Cina aveva realizzato l’inasprimento di alcune tariffe sul import dai paesi della Comunità Europea e anche nei confronti del Canada che fanno seguito alla rinegoziazione unilaterale del NAFTA e l’iniziativa di cancellare gli accordi di libero scambio del Trans-Pacific da parte di Trump nei confronti di Messico e Canada e per una riconoscimento più equo per gli USA.

Maggio – fine Ottobre 2020. La George Floyd rebellion vede la partecipazione di massa del proletariato nero, latino, e giovanile bianco. E’ il pià grande ed esteso movimento di lotta multirazziale nella storia degli Stati Uniti d’America. Nelle prime settimane di giugno la protesta si estende al mondo bianco e di origine europea, seguendo il messaggio iconoclastico dell’abbattimento delle statue degli schiavisti e colonialisti (in America Latina, Australia, New Zeland, Canada, Gran Bretagna, Belgio, Olanda e Portogallo).

Agosto 2020. Di fronte all’ondata Covid-19 il Canada cerca di contrastare il virus applicando alcune chiusure alle frontiere. Gli Stati Uniti d’America e Trump minaccia di inasprire i dazi sull’import dell’alluminio canadese.

Novembre 2020 – gennaio 2021. Nella bassa marea della lotta dei neri e multirazziale il trumpismo sociale 2.0. del popolo di Trump scavalca in conseguenza il proprio capo e assalta il Capitol Hill il 6 gennaio in un crescendo di mobilitazione sociale dal basso, che l’ha vista anche protagonista come massa militante a difesa della supremazia bianca e nell’azione armata contro la lotta delle comunità black che si sprigionava in tutte le città degli USA sostenuta in maniera complice da un variegato proletariato giovanile bianco.

20 gennaio 2021. A Washington D.C. si insedia Biden con 20 mila truppe dell’esercito e della Guardia Nazionale a presidiare la sua incoronazione. Niente di buono all’orizzonte.

Aprile 2021. Il Quebec è l’unica giurisdizione dello stato Canadese ad imporre il lockdown. Iniziano le violazioni spontanee e di massa al coprifuoco a Montreal. Nonostante la partecipazione di gruppi nazionalisti di destra le giornate si caratterizzano anche con vere feste in piazza dal contenuto multirazziale

Giugno – Luglio 2021. Le chiese cristiane vengono date alla fiamme in diverse contee e città Canadesi, autori del rapimento capitalista dei figli dei popoli natii.

Settembre 2021. Trudeau vince ancora le elezioni. Ma il Partito popolare Canadese (PPC) quadruplica la sua quota di voti.

Dicembre 2021. Proprio mentre tutti ritengono che la pandemia stia volgendo a termine, il Nord America subisce la nuova ondata Omicron. Quelli che nel 2019 divennero degli attivisti durante la versione canadese dei gilet gialli nella lotta del United We Roll, iniziano a formare gruppi social separatisti al di fuori dei partiti conservatori tradizionali e di quelli di recente formazione sotto il motto Canada Unity.

15 gennaio 2022. Scade l’esenzione alla vaccinazione anti covid-19 per i lavoratori dei trasporti che attraversano il confine dagli Stati Uniti al Canada. L’industria del trasporto, già in deficit di forza lavoro, cerca di correre ai ripari ricollocando gran parte della propria forza lavoro salariata nel trasporto merci nazionale. Molti rifiutano, sia tra salariati che piccoli padroncini per cui l’aggiustamento al rialzo delle tariffe già ribassate non risolve l’opposizione decisa al dispositivo.

22 gennaio 2022. Da Prince George nella Columbia Britannica parte il convoglio verso l’est del paese. Ci sarebbero circa 1200 truck ed altri veicoli.

28 gennaio 2022. I primi camion arrivano ad Ottawa realizzando una vera occupazione della città, mentre un’altra parte consistente arriverà il giorno dopo. La stampa liberal criminalizza dipingendo la protesta con la sovra esposizione mediatica di fatti quali profanazione di monumenti o di bandiere naziste sventolate dal convoglio. A parte il fatto vero che nella situazione di merda, vere buste di cacca sono state lanciate dai manifestanti contro ai partecipanti delle contro proteste, le presenza di bandiere naziste nel convoglio e tra i suoi sostenitori si riducono ad un solo scatto fotografico che ritrae un trio di simpatizzanti lungo la strada in uscita da Winnipeg. Le bandiere che sventolano nelle piazze contro piazze di Ottawa sono ampiamente quella Canadese e del trumpismo transnazionale, cui si aggiungono quelle dell’indipendentismo e nazionalismo delle province dell’Ovest e del Quebec francese.

Fine gennaio ed inizio febbraio 2022. Il Convoglio riceve il sostegno finanziario di milioni di dollari per resistere nella lotta il più a lungo. La maggior parte del finanziamento arriva dagli Stati Uniti. Alla campagna stampa di denigrazione il Convoglio risponde con foto dei popoli della First Nations che portano solidarietà ai camionisti in marcia lungo il paese e con il motto noi siamo tutto il popolo. Molte di queste foto si riveleranno scattate in circostanze del tutto differenti nel 2019 e la notizia della partecipazione di settori importanti delle tribù a sostegno della protesta dei camionisti di fatto una bufala spacciata sui social media. Contro l’uso dei colori delle First Nations i capi delle varie tribù quasi in coro unanime hanno denunciato la strumentalità e più decisamente si sono schierati contro le finalità della protesta dei camionisti definita come una lotta per il “privilegio” e non per la “libertà”, rischiando però di occhieggiare allo stato liberale ritenuto al momento il pericolo meno temibile.

5 febbraio. Ad Ottawa e dalla parte del Convoy in piazza oltre ai camionisti ci sono diverse decine di migliaia di persone, molte dei quali sono residenti della capitale. Allo sventolio delle bandiere MAGA e Canadesi, ci sono anche le bandiere del nazionalismo storico del Quebec francese (con lo stemma coloniale della Francia) e quelle del nazionalismo della Nuova Scozia. Contro questa prova di forza le contro manifestazioni del popolo liberal democratico sono soverchiate in numero. Ma si estende la mobilitazione di piazza contro il convoy anche a Vancouver.

7 febbraio. Il Convoy si prepara a bloccare l’Ambassador Bridge che collega Windsor a Detroit. Il 10 febbraio anche il confine tra Manitoba e Nord Dakota viene bloccato dal Freedom Convoy.

11 febbraio. Biden esorta Trudeau a porre fine al blocco al confine in maniera sollecita e determinata. Trudeau condivide gli argomenti del partner ma di fatto mostra più perplessità che certezze sul da farsi.

12 febbraio. A Montreal e ad Halifax (Nuova Scozia) si estendono le manifestazioni di qualche migliaio di persone in solidarietà al Convoglio e per la fine delle restrizioni anti covid-19. Anche qui si confrontano con altrettante contro manifestazioni il cui numero delle forze contrapposte si equiparano. Nel frattempo un altro blocco del confine viene realizzato ad ovest sul raccordo tra Vancouver e Seattle.

13 febbraio. Inizia le lenta operazione di sgombero dell’Ambassador Bridge da parte delle forze di polizia che compiono alcune decine di arresti e sequestrano anche alcuni fucili e pistole conservate a bordo dei camion. Lo sgombero si completa durante la notte.

14 febbraio. Trudeau invoca lo stato di emergenza per sgomberare definitivamente l’occupazione di Ottawa ed i restanti blocchi ai confini. Il traffico riprende sull’Ambassador Bridge nel tratto che va dal Canada verso Detroit, ma la ferita rimane tutt’ora aperta e sanguinante, la crisi è solo rimandata e lo sbriciolamento è tutt’ora in corso.

Comments

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pasquale
Thursday, 24 February 2022 19:38
Certo, ora Ucraina è alla ribalta e apprezzo l'ironia di Alfred ma l'articolo di "Noi non...." è ben centrato: matrice bianca, analisi di classe, retroterra trumpista e annessi. Su alcune questioni come il risorgimento canadese e la crisi di classe in Usa è veramente brillante. Quello che non capisco è perché non se ne traggano le opportune conseguenze. Il fatto che si eviti di parlare delle analoghe manifestazioni in Italia, Austria, Polonia ed altri non mi meraviglia perché son guai a parlare di vaccinazione: i rossobruni sono pronti al feroce agguato e relative minacce contro chiunque minimamente si azzardi a far notare che le vaccinazioni hanno comunque consentito una difesa minima, tra l'altro la sola disponibile dopo la distruzione della medicina di base e, in generale, l'aziendalizzazione della sanità. Spesso ci si espone pena essere accusati di essere filogovernativi, di essere agenti di bigpharma e peggio e dimenticando, invece, la loro perfetta analogia con Trump, Bolsonaro e tutti i negazionisti, complottisti e imprenditori che se ne fregano altamente della vita dei proletari e li invitano, proprio in nome del negazionismo, ad andare a lavorare senza mezzi, tanto...! Ma l'evidenza fa la sua strada: i vaccinati contagiano e sono contagiati ma la dura realtà conta i morti, contagiati e avventi avversi soprattutto tra i non vaccinati che, tra l'altro si riducono di giorno in giorno insieme alla quantità (ormai quasi zero!) delle loro manifestazioni. Ora sperano con disperazione nei camionisti canadesi ma si appendono, come "Noi non..." dimostra, ad un filo sbagliato e che presto si romperà. Questo nemmeno li convincerà e nemmeno pensano (tranne alcuni, beninteso!) ad un minimo di autocritica; costoro sono come il filosofo di Marx che pur verificando gli annegamenti quotidiani sosteneva che la gravità fosse solo questione di idee!
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Noi non abbiamo patria
Thursday, 24 February 2022 22:17
Tra ieri sera a stamattina ho completato la traduzione in inglese di questa riflessione sul Convoy. C’è una aggiunta al testo originale sulla cronaca dei fatti. Scrivo
Quote:
Current days. Not present into the original Italian text when it has been written.

Some important capitalistic media of the liberal global wings (The Economist, Bloomberg) are defining horrifying the Trudeau repressive measures against the truckers. Biden, amid weakness to contend Russia and to reinforce USA global leadership, is threatened by a domestic truckers Convoy is expecting to block Washington D.C. in the coming week. 700 National Guard troops are already alerted and deployed but unarmed. A clear sign of a challenges that the crumbling is causing to the heart of the capitalist beast.
Ora nel seguire gli eventi della guerra, ci sarebbe da ridere se non fosse in atto un vero dramma a Kiev e a Mosca, ascoltando l’esilarante confernza stampa di Biden. È stato incalzato dai giornalisti circa l’evidente bluff sul piano delle sanzioni (hanno proprio usaro il termine bluff in più di una domanda), così come smascherando il fatto che l’India - paese dal prorompente capitalismo, discretamente armato e con 1 miliardo e cento milioni di popolazione, non trova l’accordo sulle sanzioni nella sua effettuazione concreta. Fox News ha definito immediatamente dopo la Joe’s strategy una pazzia, una follia. Le borse penalizzano il rublo e le azioni sul prezzo del petrolio vanno bene, ma il prezzo del gasolio e della benzina è già aumentato da stamattina ai distributori di benzina negli Stati Uniti. Al massimo avranno qualche difficoltà in più quei camionisti owner operators che raggiungeranno la prossima settimana Washington DC per bloccarla. Ad attenderli 700 truppe disarmate della Guardia Nazionale a dare supporto nel caos del traffico. Nella guerra che si apre l’intero occidente che ha dominato da quasi 500 anni il mondo e il capitalismo è in estrema difficoltà a cominciare dalla sua “leadership”. Certo non si aprono oggi, magari nemmeno domani, le porte della insorgenza… ma ci si avvicina rapidamente all’abisso cui dallo
sgretolamento del palazzo si ricostruirà qualcosa decisamente antagonistico. Ma i mattoni, per la legge della forza di gravità, cadono verso il basso, non volano per una immaginifica volontà.
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Alfred*
Sunday, 20 February 2022 18:03
mentre molte attenzioni sono rivolte verso la gloriosa lotta dei camionisti biden e compagni annunciano un giorno si e l" altro pure che la russia occupera l'ucraina (che lo voglia o no, sembra di capire).
giusto dove ci sono i nostri (nato) (nazisti dell illinois... pardon, dell ucraina.
Non so cosa ne pensate della prossima guerra (che la vogliamo o no) tra potenze nucleari, ma se in questo periodo esistono delle attenzioni da spendere e delle cose da fare io avrei una certa idea sulle priorita'. Con tutto il rispetto per i camionisti, in questo momento il battaglione azov e la nato come sponsor credo che meritino attenzione, non so, si potrebbe chiedere una eventuale solidarieta' anche ai freedom convoy in nerito, ma forse ignoro che si sono gia pronunciati in merito. E se lo hanno fatto chiedo scusa
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Mario M
Sunday, 20 February 2022 20:03
Non c'è nessuna potenza nucleare perché le bombe atomiche non sono mai state realizzate.
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