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Guerra

di Alessandro Visalli

armatura di CortezHo amato il mio piccolo bambino, oggi adulto, dal primo momento che me lo hanno messo in braccio; un miracolo che si è ripetuto. Da quel giorno ho sentito quella forma di responsabilità concreta per la vita che fa esistere l’umanità. Amare il proprio figlio è l’esperienza che innesca ogni capacità di superarsi nel dono, e di riconoscere sé nell’altro, la quale rende propriamente umani.

La guerra di tutto ciò è esattamente l’opposto.

La guerra sollecita sentimenti di morte, gratifica le virtù meno virtuose, esalta il coraggio meramente fisico. Il coraggio ascende a virtù centrale, ma anche Attila era un grande guerriero e Hitler alla fine fu coraggioso (e lo era stato anche nella Grande Guerra); il valore militare non ha alcuna relazione, né positiva né negativa, con le altre qualità della mente e dello spirito. La nostra civiltà, come è accaduto in altre crisi, sta retrocedendo rapidamente (uso questa parola che evito sempre perché qui è appropriata in senso tecnico) a stati spirituali ed emotivi che si credevano erroneamente passati, quando erano solo sopiti perché non necessari.

Anche se lascia senza parole, non accade per caso: appena la posizione dei nostri sistemi economici nella catena del valore, o, per dirlo meglio, nella catena dello sfruttamento e dell'estrazione di valore mondiale è stata sfidata, e ciò si è fatto urgente[1], allora abbiamo immediatamente dismesso l'abito del mercante per prendere dagli antichi armadi quello del guerriero. Con esso tutta la sua epica.

Ad esempio, qualche giorno fa il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo[2] di Andrea Nicastro che esalta il coraggio fisico disperato dei macellai del battaglione “Azov”, rinchiusi nei sotterranei dell'acciaieria di Mariupol.

Milizie paramilitari che per otto anni, nel Donbass, si sono macchiate di ogni possibile oscenità e che quindi sanno di doversi aspettare dai Russi un trattamento conseguente (esiste probabilmente un dossier per ognuno di loro). Uomini coraggiosi, probabilmente, sicuramente disperati, ma questo non dovrebbe far dimenticare chi sono (i “kantiani”[3]).

Questa regressione all'esaltazione del maschio coraggioso e potente, del guerriero, della violenza quindi, non appena questa serve a difendere l'interesse nudo della nostra illuminata borghesia pone una domanda che credevamo superata. Non appena i nostri privilegi, la possibilità di avere i nostri agi e i nostri giocattoli con poche ore di lavoro (mentre i fattori con i quali sono prodotti derivano da tantissime ore di altri umani meno umani) è stata messa a rischio esce lo spirito vero dell'Europa. Il pirata Drake, fatto baronetto e poi divenuto parte della schiatta dominante, i tanti avventurieri senza scrupoli ma con tanto coraggio che hanno piegato il mondo, la corazza di Cortez, ... Tutto torna.

Anche la nausea.

Papa Francesco, in “Contro la guerra[4], ricorda che non ci può essere pace senza condivisione ed accoglienza, senza giustizia che assicuri promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. E non ci sarà se non si tendono le mani, fino a che “gli altri saranno un loro e non un noi”, finché “le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni[5].

C’è una verità in questa piccola e semplice frase, come sostiene con buona memoria storica, Freeman:

“Qualsiasi Paese che viene escluso dal trattare le questioni di grande importanza per la sua sicurezza sarà infelice e incline al revanscismo. Il Congresso di Vienna ha conferito alla Francia post-napoleonica il ruolo nella governance europea che il Congresso stesso le aveva conferito. Ciò ha prodotto cento anni di relativa pace. La decisione di ostracizzare la Germania e accettare il non coinvolgimento sovietico nella gestione della pace e della stabilità europea dopo la prima guerra mondiale ci ha dato la seconda guerra mondiale e la guerra fredda. La Russia ha bisogno di ragioni per aiutare a sostenere una pace europea e per astenersi dall’aggressione contro i suoi vicini. Ciò non è impossibile, ma non può essere ottenuto rianimando ed espandendo la NATO come minaccia per la Russia. Abbiamo bisogno di un rinnovato Concerto d’Europa. Abbiamo gli statisti per raggiungere questo obiettivo? Abbiamo bisogno di loro”. 

Oppure, come ricorda Mearshmeier[6] già nel 2014:

“Lo strumento principale dell’Occidente per staccare Kiev da Mosca è stato lo sforzo di diffondere i valori occidentali e promuovere la democrazia in Ucraina e in altri stati post-sovietici, un piano che spesso comporta il finanziamento di individui e organizzazioni pro-occidentali. Victoria Nuland, l’assistente segretario di stato americano per gli affari europei ed eurasiatici, ha stimato nel dicembre 2013 che gli Stati Uniti hanno investito più di 5 miliardi di dollari dal 1991 per aiutare l’Ucraina a raggiungere “il futuro che merita”. Come parte di questo sforzo, il governo degli Stati Uniti ha finanziato il National Endowment for Democracy. La fondazione nonprofit ha finanziato più di 60 progetti volti a promuovere la società civile in Ucraina, e il presidente dell’associazione NED, Carl Gershman, ha chiamato quel paese “il premio più grande”.

Ma “Il triplo pacchetto di politiche dell’Occidente – allargamento, espansione e promozione della democrazia – ha aggiunto combustibile a una situazione che aspettava di infiammarsi”. Dopo la crisi che fece cadere Janukovych – continua Measrhmeier – “Il nuovo governo di Kiev era filo-occidentale e anti-russo fino al midollo, e conteneva quattro membri di alto livello che potrebbero legittimamente essere etichettati come neofascisti. Anche se la piena portata del coinvolgimento degli Stati Uniti non è ancora venuta alla luce, è chiaro che Washington ha sostenuto il colpo di stato. Nuland e il senatore repubblicano John McCain hanno partecipato alle manifestazioni antigovernative, e Georey Pyatt, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, ha proclamato dopo la caduta di Yanukovych che era “un giorno per i libri di storia”. Come ha rivelato una registrazione telefonica trapelata, Nuland aveva sostenuto il cambio di regime e voleva che il politico ucraino Arseniy Yatsenyuk diventasse primo ministro nel nuovo governo, cosa che ha fatto”. 

Vediamo alcune posizioni in campo:

  • Stati Uniti

Un articolo[7] di Matthew Kroenlg su Foreign Policy Magazine sostiene che gli Usa non devono concentrarsi sulla Cina, e per questo venire a patti con la Russia (in primo luogo garantendone la sicurezza e le pacifiche relazioni con l’Europa), ma devono sconfiggerli entrambi in sequenza o contemporaneamente. Gli Stati Uniti, in altri termini, devono restare la prima ed unica potenza mondiale con interessi globali. Invece le due Grandi Potenze asiatiche (o euro-asiatiche) hanno un vastissimo territorio, una lunga storia orgogliosa, una profonda cultura e armi nucleari; rappresentano una minaccia esistenziale. La Russia dovrà essere smembrata e la Cina rovesciata politicamente.

Ovviamente l’autore, che rappresenta il sistema militare-industriale, propone di raddoppiare la spesa militare al 5,6% del Pil. Obiettivo finale lo smantellamento e disarmo totale della Russia in almeno 8 staterelli controllabili.

Non è l’unica posizione, su un diverso fronte Chas Freeman[8] ha recentemente dichiarato[9] che la guerra tra Ucraina e Russia assomiglia alle guerre per procura tra i blocchi della guerra fredda, il Vietnam o l’Afghanistan, dove una parte era impegnata e si logorava e l’altra operava in modo indiretto. La parte che agiva tramite il procuratore, fino al suo ultimo uomo, non aveva alcun interesse a porvi fine. In questo caso Washington ha costantemente soffiato sulla brace fino a che è divampato il fuoco. Ha “trascorso gli ultimi otto anni ad addestrare ed equipaggiare le forze ucraine per combattere la Russia e i separatisti a Donetsk e Lugansk. Ha sostenuto con forza la resistenza ucraina all’aggressione russa, suggerendo al contempo che potrebbe opporsi a un accordo ucraino con Mosca, che considera troppo favorevole alla Russia”. Insomma, “Queste politiche non mirano a produrre una pace. Mirano a sostenere la guerra finché ci sono ucraini disposti a morire in combattimento con i russi”.

Dunque, in sintesi, “nella guerra in Ucraina, abbiamo appena assistito alla fine del periodo successivo alla Guerra Fredda, alla fine del secondo dopoguerra e all’era di Bretton Woods, alla fine della pace in Europa e alla fine del dominio globale euro-americano. Le sanzioni ora divideranno il mondo in ecosistemi in competizione per finanza, tecnologia e commercio. Difficilmente possiamo immaginare le implicazioni di una tale trasformazione.”

Un altro ex funzionario di lungo servizio americano, Ray McGovern[10], che è su posizione di opposizione ancora più pronunciate, in un articolo dal titolo “Il paradigma dei defunti su Russia/Cina[11] ricorda che le politiche della Guerra Fredda, imperniate sul trattato ABM del 1972, avevano utilizzato abilmente la rivalità russo-cinese in un “paradigma triangolare” del terrore che portò benefici tangibili. Tuttavia, questa stagione è terminata quando, dopo il 2004, la Cina e la Russia si sono riavvicinate. Ma questo avvicinamento è stato facilitato dalla “inetta diplomazia” di giovanotti incapaci (l’autore, come ovvio, è piuttosto anziano) come Antony Blinken e Jake Sullivans che, in un misto di ignoranza e arroganza, hanno fortificato il fronte russo-cinese. Di gaffe in gaffe i vertici Cinesi e Russi sono giunti alla dichiarazione alle olimpiadi di una “alleanza senza limiti”. Ma il 15 dicembre la Russia ha anche consegnato agli Usa una bozza di Trattato di sicurezza reciproca. Dopo un inizio promettente, la situazione è rapidamente precipitata. Ma l’opinione dell’autore è che la Cina sia a piena conoscenza e del tutto schierata con la Russia in questa crisi (in quanto sa di essere la prossima).

  • Ucraina

Dal punto di vista del governo ucraino, invece, al di là della speranza di essere accolta nella Ue e protetta dalla Nato, questa è una guerra fondativa come Nazione. Una cosa simile in un certo senso sta avvenendo, in effetti, ed è esplicitamente teorizzato da Arestovich[12]. Inoltre si riscontra nella nuova Costituzione Ucraina, articolo 16, e nelle parti inserite dopo l’avvio dell’attuale governo che ancorano il paese alla UE ed alla NATO, e nelle dispute linguistiche (con la proibizione del russo). In sostanza queste forze nazionaliste vogliono attraverso la guerra affermare l’esistenza, anzi il ritorno, di una Ucraina “austriaca” e “polacca”. Vogliono ripulire l’Ovest dalle tracce lasciate dalla politica di unificazione sovietica e dalla conseguente russificazione (forzata, dal loro punto di vista). Di qui l’evidente ostilità per la storia sovietica ed i suoi simboli, e, probabilmente, anche la tendenza per reazione a spostarsi in direzione delle tradizioni fasciste e naziste. Una operazione di pulizia etnica e culturale di questo genere ha assolutamente bisogno della guerra.

Questa guerra queste forze l’hanno espressamente cercata, dal fuoco della guerra, purificatore, intendono far nascere una Nazione che si liberi di ogni traccia ‘asiatica’.

D’altra parte, alla base della posizione strategica, e qui Arestovich nel 2019 è chiarissimo, c’è anche una considerazione geopolitica, ovvero la constatazione che 2.300 chilometri di confine e una popolazione divisa rendono impossibile all’Ucraina una posizione stabilmente di neutralità. Dunque “se noi non possiamo mantenere la neutralità dobbiamo entra o nella Eurasian Union con la Russia o nella Nato, non ci sono altre opzioni”. Ma in questa intervista prevede che come risposta, prima che entri nella Nato, la Russia potrebbe aprire la guerra. Quindi, sinistramente, “Con una probabilità del 99,99% il nostro prezzo per entrare nella Nato è una guerra totale (full-scale) con la Russia. E se noi non entriamo nella Nato [invece], l’assorbimento nella Russia in 10-12 anni. Questo è l’alternativa nella quale siamo”. Alternativa davanti alla quale preferisce “of course” una guerra maggiore con la Russia e il passaggio nella Nato come risultato della vittoria. 

Ovviamente un cambio di regime in Russia, con l’abbandono di quello che chiama il “progetto URSS-2” potrebbe, alla fine, ricomporre i rapporti tra la Russia e la Nato e Ue, ma non crede che possa succedere. Una “maggiore guerra” viene definita dal consigliere come: un’invasione aerea, una offensiva delle armate russe fino a Kiev e una manovra di accerchiamento delle truppe nelle zone separatiste. Esattamente ciò che è di fatto accaduto. Gli anni previsti, 2021 o 2022. Un conflitto, è chiaro, nel quale l’Ucraina sarà attivamente supportata dall’Occidente, con armi, equipaggiamenti, assistenza, nuove sanzioni contro la Russia e, appena possibile, l’entrata di un contingente della Nato, una “no-Fly zone”, etc. Alla fine “noi non perderemo, e questo è tutto”.

  • Russia

In un articolo pubblicato sulla rivista cinese Guancha[13], il politologo russo Dmitrij Trenin vede che il 24 febbraio 2022 (inizio della guerra) ha cambiato completamente la situazione. La guerra per procura con gli Stati Uniti è da inserire in un complessivo processo di cambiamento dell’ordine mondiale che vede il baricentro di attività economica spostarsi dall’Euro-Atlantico all’Indo-Pacifico. Quella che in questa crisi si sta abbandonando è, niente di meno, dell’eredità di Pietro il Grande, ovvero il desiderio Russo di essere parte integrante della civiltà paneuropea. Un processo che è andato avanti sino al “primo” Putin (che chiese di entrare nella Ue e nella Nato).

Il fallimento di questi tentativi deriva dal semplice fatto che “gli edifici europei sono stati costruiti ed occupati sotto la protezione degli Stati Uniti, e non della Russia”. Questa “non è colpa di nessuna delle parti. È impossibile per il collettivo occidentale incorporare una scala così ampia nella sua comunità senza minare le sue fondamenta strutturali; ampliare le fondamenta significherebbe rinunciare alla sua posizione egemonica”. Del resto essi, gli edifici europei, non sono di natura veramente europea ma integralmente occidentale, non c’è posto per la Russia.

Se la Ue non può farlo neppure la Russia:

“Per quanto riguarda la Russia, la Russia non è in grado di rispettare le regole stabilite senza la propria partecipazione, che la rendono subordinata all'Unione Europea. Autonomia e sovranità sono indissolubilmente intrecciate nel DNA della nazionalità russa, nella coscienza del popolo e della sua classe dirigente”. Quindi deve vedersi come indipendente.

La Russia non è un impero, ma non è neppure un paese al modo europeo. Si tratta di una realtà multietnica organizzata intorno ad una civiltà ed alla relativa potenza. Una civiltà che ha molto a che fare con l’Europa, ma che si radica della Chiesa ortodossa di Bisanzio (il mito fondatore) e nella cultura orientale. Ma gran parte dell’insediamento storico di questa cultura è stato assorbito dall’Europa occidentale; fanno eccezione solo parti della Russia, della Bielorussia, del Donbass e della Serbia.

Sulla base di questi fatti la nazione russa si deve necessariamente rivolgere alla sua enorme estensione, che ricopre tutta la parte Nord dell’Asia e numerosi popoli, garantendo che non sia una gerarchia di metropoli e colonie, e mantenga unità organica e diversità[14]. La Russia, insomma, è sia “una potenza unificata grande e diversificata”, sia “una civiltà indipendente” (dall’occidente).

Leggiamo il passaggio:

“Al centro della forza della civiltà russa ci sono i russi, con la loro lingua, cultura e religione, ma il fattore nazionalità nel quadro di una civiltà unificata non è decisivo. Al contrario, la società russa è aperta, libera ed egualitaria, accettando non solo la rappresentazione individuale di altri popoli, ma anche la rappresentazione dell'intera nazione. Tatari, yakuti, ceceni e numerosi gruppi etnici in Daghestan possono essere tutti russi. L'ortodossia è la religione della maggioranza, ma la tradizione della tolleranza religiosa consente la pacifica convivenza e l'interazione delle principali fedi indigene: ortodossa, islam, buddismo ed ebraismo. Lo stato unificato garantisce pace, prosperità e sviluppo di un vasto territorio dal Mar Baltico al Mar del Giappone, dall'Artico al Mar Caspio. Per questa civiltà complessa, il ‘potere’ è il valore più importante.

Tuttavia, lo stato stesso si basa su un sistema di valori, senza il quale lo stato crollerebbe. La disintegrazione dell'impero russo non fu tanto dovuta al dolore di una guerra mondiale quanto alla perdita di fiducia nel potere supremo. La fine dell'Unione Sovietica non fu tanto per la scarsità di merci nei negozi, quanto per le bugie di un'ideologia ufficiale sempre più incompatibile con la vita reale”.

Si tratta, naturalmente, di una autorappresentazione fortemente idealizzata e decisamente politica. La storia dell’impero russo è piuttosto, a partire dalla conquista del Khanato tataro di Kazan nel 1552, storia di conquiste e di assimilazioni. Molte delle sue crisi, come peraltro ammette anche Trenin, sono determinate dalla continua tentazione della componente ‘russa’ di reprimere le tendenze autonomiste delle minoranze nazionali. Ne sono esempio l’insurrezione polacca del 1863 (nella quale diverse classi si uniscono, mentre la base schiavizzata resta incerta tra le offerte russe e il tentativo di mobilitazione) ed il tentativo susseguente di ‘russificazione’ che portò alla crisi rivoluzionaria. Il tentativo condotto da Lenin, nel Congresso di Baku nel 1920, di proporre federalismo ed internazionalismo come cementi delle divergenti nazionalità (non per caso bersaglio polemico costante di Putin), seguì ad una nuova tendenza unificante sotto Stalin che ebbe successo solo a seguito della ‘Grande guerra patriottica’. Tentativo che giunge comunque al termine, insieme alle componenti più divergenti dell’impero multietnico in corso da quattro secoli, con il crollo dell’Urss. E’ probabilmente a questa esperienza, alla scala nazionale, cui Arestovich si riferisce nel ritenere che solo una ‘Grande guerra’ può creare la nazione ucraina.

Nella visione proposta dal politologo, invece, il sistema di valori russo sarebbe imperniato sui principi di uguaglianza tra i diversi popoli ed etnie (e religioni) e giustizia. Nel modo di pensarsi dei russi non ci sarebbe spazio per il razzismo e per una rivendicazione di superiorità[15], ma, al contempo, ci sarebbe la rivendicazione orgogliosa di una propria autonomia. Giustizia, uguaglianza, apertura, inclusività, mantenendo l’integrità interna sarebbero quindi le guide spirituali del pensiero russo. Un pensiero che non intende e non vuole essere esportato al resto del mondo.

Secondo quello che è un piano di frattura ideologica che si sta allargando nel mondo, e criticando la pretesa universalista del pensiero occidentale, Trenin afferma al termine che “in un mondo globale in cui il modello occidentale ha raggiunto limiti insormontabili, le piattaforme delle civiltà sono sempre più divise e ogni civiltà ha le sue idee”. Dunque, superando le tradizioni del “comunismo tedesco” (ovvero di Marx) e del “successivo neoliberismo americano”, la Russia si deve riferire a filosofi, scrittori e storici russi come Pushkin, Chaadayev[16] ed altri per trovare un solido punto di appoggio. Ovvero modernizzarsi per linee di sviluppo interno, e non per una pedissequa imitazione di modelli altrui.

Aver abbandonato l’ideologia comunista implica praticare la politica contemporanea senza ideologia e preferenze politiche precostituite. Superando l’internazionalismo proletario e le teorie liberali importate, si deve abbandonare qualsiasi velleità di ordine mondiale. L’ordine mondiale non è unificato da una dottrina, ma co-creato e modificato da molti attori su un piano di parità ed a diverso livello di potenza. Un grande potere non costringe gli altri, ma non consente a nessuno di imporgli la propria volontà, e può resistere.

Sarà dunque dalla rottura delle relazioni con l’Occidente che emergerà la strada della Russia, l’occasione per ridefinire il proprio posto, ruolo e scopo nel mondo. Geograficamente la Russia è unica, non fa parte né dell’Europa né dell’Asia, ma include sia l’Europa orientale sia l’Asia settentrionale. Si tratta, in altre parole, di un centro di unità ed attrazione. Nel contesto della guerra ibrida sollevata dall’Occidente sarà costretta a rivolgersi ad Est, a Cina, India e dove possibile Medio Oriente. Questi paesi sono diventati e resteranno a lungo le più importanti risorse diplomatiche ed economiche estere di Mosca.

Dunque da ora la Russia, nella proposta di Trenin, dovrà rivolgere all’Occidente solo l’attenzione militare, mentre quella diplomatica la dovrà spendere verso il Transcaucaso, Kazakistan e l’Asia centrale, ovvero Turchia, Iran, Arabia orientale, Asia meridionale e sud-orientale, Cina e India, senza dimenticare l’Africa ed il Sud America. I forum d’azione non dovranno più essere il Fmi e l’Ocse, quanto il CSTO, lo SCO.

“La cooperazione con i paesi non occidentali è importante per formare posizioni comuni e un'ampia opinione pubblica su una serie di questioni globali: sicurezza, economia, commercio, finanza, ecologia, informazione, cultura e altro ancora. In molte di queste aree, la Russia può dare un importante contributo al lavoro comune. Il ruolo attivo e costruttivo della Russia può diventare esso stesso uno dei leader intellettuali e politici del mondo”.

Echeggiando toni propri della diplomazia cinese, suo partner sempre più stretto, conclude affermando che “la Russia non cerca di dominare il mondo, non sfrutta altri paesi e persone, non impone il proprio sistema di valori a nessuno e non interferisce negli affari interni di altri paesi. Paesi diversi, gruppi etnici diversi, culture diverse e le civiltà convivono armoniosamente”.

Questa chiusa dell’articolo si connette con quello che è uno degli spiriti emergenti del mondo. Sempre più è evidente che i paesi ‘non bianchi’ (secondo la razzistica tassonomia implicita, e talvolta non solo, occidentale[17]) emergono alla consapevolezza che la pluralità di civiltà esistenti ha pieno diritto di considerarsi alla pari con quella occidentale. Anzi, questa è una delle linee di conflitto sottostanti anche il conflitto ucraino, che nelle parole di alcuni suprematisti ‘kantiani’ è la battaglia tra la razza bianca ed ariana ucraina e quella meticcia orientale russa.

Le civiltà cinese, indiana e islamica si stanno alzando e rifiutano la visione gerarchica lungo il maggiore o minore ‘avanzamento’, o ‘modernità’. Al suo meglio questo concetto potrebbe essere connesso a quanto ha detto Xi Jinping nel 2019: “le civiltà comunicano attraverso la diversità, imparano l'una dall'altra attraverso gli scambi e si sviluppano attraverso l'apprendimento reciproco[18]. Oppure, in un discorso del 2014[19] lo stesso ricorda come la visione cinese della ricerca della “armonia senza conformità[20] riconosca che “le civiltà diventano più ricche e variopinte attraverso gli scambi ed il mutuo apprendimento”. Mutuo apprendimento che rappresenta la forza motrice per il progresso dell’umanità.

‘Razionale’ e ‘vero’ sono concepiti come prodotti del ‘vivente’ in una totalità di relazioni, anziché, alla maniera occidentale, come attributi oggettivati dell’essere (che sono quindi interpretati da un potere).

Apprendimento che implica tre principi:

  • le civiltà sono varie e rappresentano, ciascuna, la memoria collettiva dei diversi paesi, tutte sono frutto del progresso dell’umanità.
  • Le civiltà sono eguali nel valore e ciascuna ha punti di forza e debolezza, “non esiste al mondo una civiltà perfetta, né una priva di merito. Le civiltà non si dividono in superiori e inferiori, buone o cattive”[21].
  • Solo l’inclusione rende grandi, se ogni civiltà è unica la cieca imitazione è estremamente dannosa, “tutti i traguardi delle diverse civiltà meritano rispetto, tutti devono essere tenuti in gran conto”.

Quindi bisogna concluderne che i popoli di tutto il mondo sono interdipendenti, “io sono in te, tu sei in me” e formano un “destino comune”. Il pensiero strategico cinese è pieno di questa concettualizzazione; invece di agire per dominare (e uniformare il mondo) punta a che tutto, secondo la sua propensione, si trasformi (hua). Cerca di restare “sotto il cielo” per individuare “dove va la luce”, accompagnando la situazione al suo massimo potenziale ed effetto. Nel concetto di tianxia (spesso tradotto in “la via del cielo”) è incluso questo particolare universalismo concreto, che implica una dialettica dell’inclusione, e concepisce la razionalità come prorompere da una situazione collettiva accettata senza coercizione (anziché essere radicata nel cogito individuale), e la verità come prodotto dell’armonia. È in questo senso che il mondo è di tutti, 大道之行也天下為公, “quando prevarrà la Grande Via, l’Universo apparterrà a tutti”, un verso del testo confuciano “I riti”, ripreso da Qing Kang Youwei e dal Sun Yat-sen nell’espressione “Tian xia wei gong”. 

Abbiamo scritto tutto questo per parlare della guerra. La barbara e inumana guerra.

La guerra che nasconde e manifesta ad un tempo grumi concreti di interesse, di classe e di gruppo. Interesse dell’Occidente (anzi, di uno degli occidenti) a conservare la sua capacità di aspirare dal mondo, tramite il commercio ineguale e tramite l’interconnessione finanziaria[22], il surplus e sostenere in tal modo un tenore di vita che eccede quello del resto dell’umanità. Interessi che sono per questo accuratamente nascosti sotto più strati sovrapposti di ideologia e di sentimenti apparentemente umani.

Una delle forme che prende invariabilmente la guerra ibrida[23] occidentale è nel doppio peso che si dà ai propri morti, e dei propri clienti o strumenti (come l’Ucraina, in questo caso), rispetto a quelli del nemico, siano essi civili o militari. Nascondendo, al contempo, che tutto ciò serve a “combattere la Russia fino all’ultimo ucraino” (come dice Doug Bandow del Cato Institute[24]). Facciamo qualche esempio di guerra nostra contro i “meno umani” condotta dall’Occidente civile: nel 2003 in Iraq il primo giorno di bombardamenti, in mondovisione, la coalizione ha sganciato più ordigni dei primi 24 giorni di questa guerra (fonte Defence Intelligence Agency, ovvero Pentagono); In Iraq e in Siria sono stati sganciati 120.000 ordigni tra bombe d'aereo e missili; nell'assalto a Raqqa c'è stato il più massiccio bombardamento di artiglieria dal Vietnam; a Mosul sono morti 40.000 civili per un bombardamento a tappeto che ha distrutto 138.000 case....

Ma la guerra chiama sempre la guerra, la barbarie aumenta la barbarie, forse fino all’esito finale, la fine della civiltà dopo un ultimo lancio di missili.

Siamo di fronte al baratro, ciò di cui abbiamo bisogno è di un forte movimento pacifista.

Solo di questo.


Note 
[1] - Fenomeno che, lo dovremo guardare con attenzione, si è incrudito quando la crisi del Covid ha spezzato le supply chain mondiali e la ripartenza ha evidenziato l'incremento senza controllo delle materie prime, con conseguenze sistemiche e cumulative a carico della competitività e dell'inflazione.
[2] - Andrea Nicastro, “Mariupol in mani russe: siamo senza più difese”, Corriere della sera, 12 aprile 2022.
[3] - Il comandante del ‘battaglione’, nel negare di essere nazista (mentre tutta la sua stessa pelle, e quella dei suoi uomini, lo testimonia) ha dichiarato di leggere Kant.
[4] - Papa Francesco, “Contro la guerra”, Libreria Editrice Vaticana, 2022
[5] - Ivi., p. 95
[6] - Si veda ad esempio questo servizio ed intervista, oppure “Why the Ukraine crisi is the West’s fault”, nel 2014, in questa raccolta di Francesco Sylos Labini.
[7] - Mattew Kroenig, “Washington must prepare for war with both Russia and China”, 18 aprile 2022
[8] - Vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato vice segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il principale interprete americano durante la storica visita del presidente Richard Nixon in Cina nel 1972.
[9] - Si veda https://it-insideover-com.cdn.ampproject.org/c/s/it.insideover.com/guerra/ucraina-ex-ambasciatore-freeman-usa-non-vogliono-pace-ucraina.html/amp/
[10] - Ray McGovern lavora con “Tell the Word”, il braccio editoriale della Chiesa ecumenica del Salvatore nel centro di Washington. Negli anni Sessanta prestò servizio come ufficiale di fanteria/intelligence per poi diventare analista della CIA per i successivi 27 anni. Fa parte del gruppo direttivo dei “Veteran Intelligence Professionals for Sanity” (VIPS) che è dedicata ad analizzare e criticare l’uso dell’intelligence. Dunque un ex agente divenuto attivista politico che negli anni ottanta preparava il briefing quotidiano del Presidente per conto della Cia.
[11] - Ray McGovern, “Il paradigma dei defunti su Russia/Cina”, AntiWar, 4 aprile 2022
[12] - Oleksiy Arestovych è Consigliere del capo dell'ufficio del presidente dell'Ucraina per le comunicazioni strategiche nel campo della sicurezza e della difesa nazionale. Intervista del 2019.
[13] - Dmitrij Trenin, “Riflettendo sul percorso internazionale della Russia: chi siamo, dove siamo, per cosa e perché”, Guancha, 15 aprile 2022
[14] - Per una ampia disamina della natura etnicamente composita della Russia in tutta la sua storia si veda Andreas Kappeler, “La Russia. Storia di un impero multietnico”, Edizioni Lavoro 2006 (ed. or. 1992).
[15] - Dello stesso avviso è Emmanuel Todd, “Breve storia dell’umanità”, LEG, 2020 (ed. or. 2017).
[16] - Filosofo russo nato nel 1794 e morto nel 1856, shellingiano e quindi filoccidentale. Scrive in francese e viene dichiarato pazzo dallo zarismo. Amico di Alexander Puskin e marginalmente coinvolto nella rivolta decabrista, sostiene che la Russia è rimasta indietro rispetto ai paesi occidentali e deve iniziare nuovamente. Combatté lo slavofilismo per tutta la vita e per questo fu esiliato, nella sua opera che prende parte per gli ‘occidenzialitatori’ sostiene comunque che la Russia doveva seguire le sue linee di sviluppo interiori se voleva essere fedele alla sua missione storica. Alla fine, forse per questa posizione che sviluppa una modernizzazione per linee interne, l’opera di Chaadayev ha influenzato sia gli occidentalizzatori sia gli slavofili.
[17] - Si può vedere il post “Circa David Brooks, ‘La globalizzazione è finita’. Ovvero, ancora del ‘fardello dell’uomo bianco’”, Tempofertile, 9 aprile 2022.
[18] - Si può vedere il post “Leggendo dentro la crisi: visioni dell’egemonia tra Cina e Usa”, Tempofertile, 13 marzo 2022.
[19] - Xi Jimping, “Gli scambi ed il mutuo apprendimento rendono le civiltà più ricche e variopinte”, discorso al quartier generale dell’Unesco, 27 marzo 2014, in Xi Jimping, “Governare la Cina”, Giunti Editore 2016.
[20] - Dialoghi di Confucio, “Zilu”. Si veda anche Lunyu 13,24, “he er bu tong”, dove “he” indica la corrispondenza tra i suoni, nella quale ognuno esprime pienamente la propria potenzialità articolandosi in perfetta sintonia con gli altri, questa parola implica consenso (gongshi) che tiene tutti in gioco. Esclusione e conflitto sono l’opposto del concetto di ‘armonia’ (una traduzione possibile di “he”) che implica l’impegno di mediazione tra tutte le parti in gioco allo scopo di realizzare una società che incontri il massimo consenso di tutti, dando ascolto anche ad istanze diverse e contraddittorie, senza indulgere né nell’autoritarismo di sceglierne una né nel libertarismo di lasciarle senza armonia. La tensione tra ordine (zhi) e disordine (luan), sia a livello sociale sia individuale e spirituale, è alla radice del perseguimento dell’armonia nella ricerca costante del miglior punto di equilibrio tra le forze in gioco.
[21] - Xi Jimping, cit., p. 324
[22] - Si veda per un inquadramento concettuale, Alessandro Visalli, “Dipendenza. Capitalismo e transizione multipolare”, Meltemi 2020, oppure Giacomo Gabellini, “Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense”, Mimesis, 2021.
[23] - Si veda Qiao Liang, Wang Xiangsui, “Guerra senza limiti”, LEG, 2001 (ed. or. 1999).
[24] - Doug Bandow, “Washington Will Fight Russia To The Last Ukrainian”, The American Conservative, 14 aprile 2022.

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