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sinistra

Dalla Rivoluzione scientifica alla rivoluzione industriale

Recensione al volume di Angelo Calemme

di Pietro Ciampini

Angelo Calemme, Dalla Rivoluzione scientifica alla rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico, Milano, 2022, 448 pp.

Crystal Palace interiorRiannodando i fili delle sparse considerazioni di Marx (in particolare negli Hefte zur Technologie degli anni 1850-1857/1858 e in quelli preparatori al Capitale del 1857/1858, 1861/1863, 1863-1865) sulle leggi che regolano lo sviluppo della tecnologia scientifica, il libro di Calemme si propone di mostrare come, in accordo con il filosofo di Treviri, l’evoluzione scientifico-tecnica non sia riducibile ad uno strumento di sfruttamento del lavoro da parte del capitale, ma costituisca al contempo un’occasione di emancipazione del lavoro dell’uomo. La ripresa del progetto marxiano di una Storia critica della tecnologia ha allora innanzitutto la funzione di considerare la logica interna, troppo spesso trascurata dalla storiografia marxista, dello sviluppo della tecnologia scientifica:

[…] le grandi scoperte e invenzioni della Rivoluzione scientifica prima e industriale poi […] possiedono anche una natura, una “logica ontologica”, uno statuto di senso autonomo e irriducibile sia alla mera accumulazione dei risultati raggiunti dalle pratiche produttive nel corso dei millenni sia all’uso politico, sociale ed economico del lavoro da parte del capitale.1

Mediante un confronto con epistemologi come Koyré e Geymonat (ma anche con Husserl e Foucault), Calemme evidenzia quindi l’irriducibilità di questa natura tecnologica all’esito di mere innovazioni pratico-tecniche.2 Si tratta piuttosto di comprendere quella logica indipendente degli oggetti tecnologici che costituisce la modernità senza scadere nel «rozzo materialismo» secondo cui «lo sviluppo delle scienze e delle tecniche moderne segue leggi astoriche»,3 integrando dialetticamente la Critica dell’economia politica e la Storia critica della tecnologia in funzione dell’idea che il superamento del modo di produzione capitalistico sia vincolato ad una profonda comprensione delle leggi interne di sviluppo della tecnologia scientifica.

L’opera si struttura in due parti: all’effettiva analisi dei testi di Marx sullo sviluppo autonomo della tecnologia scientifica e sul processo della sua sussunzione al capitale (capitoli 4 e 5), Calemme fa precedere una preliminare analisi genealogica delle categorie fondamentali che costituiscono la cornice entro la quale si pongono gli scritti del filosofo di Treviri. Queste «ontologie regionali della modernità»4 sono le nozioni metafisico-critiche di lavoro, vita e natura, cui sono dedicati rispettivamente i primi tre capitoli del testo. Questa suddivisione del libro è particolarmente felice, in quanto, oltre a eliminare una serie di fraintendimenti, permette al lettore di cogliere la profondità e la complessità dei problemi filosofici e “metafisici” che sono in ballo nel progetto della Storia critica della tecnologia, nonché di situarsi al livello delle considerazioni di Marx. Il testo assume di conseguenza la forma di una ricerca di ampissimo respiro, che spazia dalla ricostruzione dei dibattiti all’origine del sapere biologico alla fine del XVIII secolo al resoconto dei complicati passaggi nella formazione della teoria tecnico-scientifica della luce e dell’ottica moderna, dall’analisi filosofica della dialettica signoria-servitù in Hegel alla descrizione dei principi di funzionamento delle moderne macchine calcolatrici. Nondimeno, esso è animato da una profonda coerenza interna, che costituisce, da ultimo, il vero punto di forza del lavoro: le questioni così vaste ed eterogenee che compongono il problema della logica (moderna) dello sviluppo scientifico, nonché la loro interazione con l’appropriazione reale di esso da parte di una logica economico-politico capitalistica, sono globalmente integrate in un discorso unitario di matrice illuminista.

Il primo capitolo del libro è dedicato, come si è detto, alla ricostruzione della genealogia della categoria del lavoro, eredità che proviene a Marx da Hegel. Calemme caratterizza questa nozione “metafisicamente”, a partire dal problema kantiano della conciliazione tra fenomeno e noumeno in una scienza critica dell’umanità. In opposizione alla soluzione biologica di questo problema fornita da Schelling, che identifica vita e Assoluto, Hegel trova nel lavoro e nella dimensione economica la vera realizzazione storica dello spirito:

Il lavoro […] fu per la tarda modernità la risposta alla domanda (critica e scientifica) posta dal filosofo di Königsberg: was ist der menschen? (cosa è umano?); la risposta a questo quesito, per la Fenomenologia, non avrebbe mai potuto essere giuridica (Kant-Fichte), come non avrebbe mai potuto essere biologica (Kant-Schelling), ma solo economica (Kant-Hegel).5

Dopo aver mostrato come Hegel abbia trasformato profondamente la concezione del lavoro rispetto alla storia occidentale, Calemme si sofferma in una dettagliata analisi di come l’intera filosofia hegeliana, e in particolare la Fenomenologia dello Spirito, sia articolata secondo un dispositivo teorico che oppone il lavoro e la storia alla pura vita biologica e alla natura. Questa opposizione diventa cruciale in riferimento a Marx e in particolare al problema teorico della Storia critica della tecnologia, legato alla parzialità del parallelismo tra organologia della biologia e sviluppo scientifico-tecnico. Fin da subito, infatti, Calemme rende chiaro che Marx è pienamente erede dell’opposizione hegeliana tra vita e lavoro: «la produzione da parte dell’uomo delle condizioni della sua vita materiale, attraverso la fabbricazione di strumenti e/o di macchine, è il più chiaro fenomeno della natura storica e non fisica o meramente biologica dell’uomo».6 Se però per Marx l’uomo realizza la propria libertà nel lavoro mediante la produzione di sé come attività storica e non biologica, l’ultimo paragrafo del capitolo sottolinea come per il filosofo di Treviri vi sia la possibilità che il lavoro si trasformi in fonte di degradazione, introducendo la nozione di alienazione in riferimento al lavoro. Si prospetta così la necessità dell’instaurazione di un regime socialista «in cui l’essere dell’uomo non è costretto nella dialettica estraneazione-appropriazione della propria essenza, ma proiettato sempre in progresso rispetto alla natura».7

L’elaborazione della categoria di vita e in particolare il peso che ebbe l’influenza di Schelling nell’elaborazione della teoria darwiniana della selezione naturale è invece al centro del secondo capitolo. In esso, dopo una breve introduzione, Calemme ripercorre i passaggi della formulazione della nozione schellingiana di vita come «lo schema della libertà in quanto si rivela nella natura»,8 cioè come una causalità allo stesso tempo fisica e autonoma. In sostanza, viene mostrato come progressivamente per Schelling la vita assuma i caratteri di una forza pura slegata dalle forme viventi nelle quali si esprime, un processo infinito (non finalizzato ad una specifica forma vivente) di auto-organizzazione che si struttura evolutivamente in vari gradi, fino a raggiungere, nell’uomo, il grado massimo di autonomia nella natura. Questi tratti, qui velocemente riassunti, sono fondamentali per comprendere non solo la provenienza, ma la corretta lettura della teoria darwiniana della selezione naturale. Dopo aver ripercorso storicamente i dibattiti scientifici del XVIII secolo sulle forme viventi, Calemme dedica alla ricostruzione della genesi e del contenuto della teoria della selezione naturale l’ultimo paragrafo del capitolo. La questione fondamentale qui riguarda l’interpretazione della prospettiva evoluzionistica darwiniana come una teoria dell’ereditarietà forte. Analizzando sia gli scritti pubblicati di Darwin che i suoi taccuini, infatti, l’autore sottolinea come non vi possa essere per il biologo inglese alcun condizionamento dell’ambiente sulla variazione dei caratteri: «La variazione è considerata un attributo della vita e non delle forme di vita».9 La variazione spontanea, che per Darwin non costituisce un dato scientifico ma «esclusivamente un principio critico»,10 è quindi il carattere essenziale della vita, che a sua volta non va pensata nell’ambito di un finalismo classico come orientata al raggiungimento di una certa forma vivente: la vita darwiniana è una «volontà non specifica (generica) di sopravvivenza»11 da concepire sul modello della kantiana finalità senza scopo. Su questa base, Calemme sottolinea come l’adattamento vada inteso come la conformità alla nuda sopravvivenza e non come l’adeguazione ad una forma finale. Dipanando insomma ogni fraintendimento della natura non ingenuamente finalistica della selezione naturale, il capitolo evidenzia come la teoria di Darwin, fondandosi su una teleologia moderna e kantiana, si proponesse a Marx come valido modello per l’analisi della «teleologia pura del “cammino delle macchine”».12

A partire dall’affermazione per cui «senza comprendere la Rivoluzione scientifica non si sarebbe potuto comprendere la prima Rivoluzione industriale e viceversa»,13 il terzo capitolo offre un’analisi dettagliatissima insieme storica e filosofica della rivoluzione galileiano-newtoniana, cioè della nascita di quella filosofia sperimentale che, dopo aver applicato alla conoscenza della natura strumenti tecnologici di misurazione e di calcolo, matematizzando l’esperienza, avrebbe trovato il suo effettivo compimento nella meccanizzazione e nell’automazione dei processi produttivi industriali. Il lettore è guidato in modo serrato attraverso le tappe, insieme teoriche e pratiche, con cui si produsse l’avvento della nuova conoscenza scientifica, fondata su una «teoresi pratica, una prassi operativa del calcolo e della misurazione, che normando sensatamente l’empiria in una calcolata e controllata esperienza, dotava di evidenza concreta (fisica) quanto in precedenza era stato dimostrato solo in astratto».14 Attraverso riferimenti storici che compaiono a più riprese (come i difetti rinvenuti da Newton nei telescopi di Gregory e Cassegrain o il riferimento di Pascal all’inutilità del tentativo meramente tecnico di imitazione della Pascalina da parte di un orologiaio di Rouen), Calemme dimostra come nessuna delle invenzioni tecnologiche introdotte nell’ambito della Rivoluzione scientifica possa essere considerata un mero prodotto di abilità tecnico-pratiche: piuttosto, necessaria all’elaborazione degli strumenti filosofici di misurazione e calcolo è la diffusione di una certa cultura della precisione. In sostanza, «la struttura filosoficamente oggettiva dei nuovi organi di conoscenza vanta una portata ontologica»:15 la nuova impresa di conoscenza della natura mediante la misurazione e il calcolo si fonda su una preliminare ridefinizione dell’essere che consente la mutata percezione e concezione degli oggetti come dotati di un lume naturale. Questa lettura ontologica e non solo epistemologica della Rivoluzione scientifica, che pone la prospettiva di Calemme in continuità per certi versi con quelle di Husserl e di Foucault, conduce l’autore a fare della rivoluzione galileiano-newtoniana l’inaugurazione della modernità illuminista: si tratta, infatti, del rinvenimento di una ragione oggettiva, di una verità indipendente dall’uomo e da Dio in una natura slegata da elementi soggettivi come volizioni e passioni. Ciò che questa analisi storica e filosofica della Rivoluzione scientifica mostra, in definitiva, è che con l’istituzione di una ragione oggettiva, la conoscenza scientifica si costituisce come il portato, mediante la costruzione concreta dei fatti o degli esperimenti, di un’attività tecnologica e non di un’esperienza sensibile né di un pensiero astratto. É proprio mediante l’oggettivazione della misurazione e del calcolo che si inaugura qui quella storia della tecnologia scientifica che costituisce l’oggetto del testo:

[…] A partire dalla Rivoluzione scientifica del Seicento avvenne qualcosa di eccezionale, per cui, il calcolo tramutò da processo di pensiero, astratto e tuttavia ancora sensibile, da parte di un soggetto attivo attraverso l’uso di utensili per la soluzione di problemi pratici, a un’operazione filosofica in cui il soggetto che agisce con degli strumenti di precisione viene prima gradualmente eclissato in un’esecuzione oggettiva, passiva e subalterna, poi totalmente marginalizzato e trasferito nel pensiero da macchine automatiche.16

Il capitolo si chiude quindi con una ricostruzione storica dell’evoluzione delle macchine calcolatrici, percorrendo quel passaggio che separa la Rivoluzione scientifica dalla Rivoluzione industriale nella loro continuità.

Il quarto capitolo, come si è detto, si occupa di ricostruire effettivamente gli sparsi lineamenti marxiani per una Storia critica della tecnologia. La «storia di come si sono costituiti gli organi produttivi dell'uomo sociale»17 viene presentata innanzitutto nella sua esposizione programmatica come da costituirsi in parallelo con la teoria darwiniana della selezione naturale, applicando l’organologia biologica all’ambito tecnico-sociale. Tuttavia, Calemme individua ben presto nel percorso di Marx uno scarto rispetto a questo progetto, nella misura in cui ad un certo punto dello sviluppo tecnologico intervengono inevitabilmente fattori politico-sociali incompatibili con un paradigma esplicativo biologico. L’impossibilità di slegare l’evoluzione della tecnologia umana dalle sue condizioni economico-sociali di sviluppo compare per l’autore in modo particolare nel caso della descrizione marxiana dell’affermazione della manifattura:

La sequenza marxiana della variazione autonoma, della ripetizione di queste variazioni, dell’accumulazione, della selezione e della trasmissione delle abitudini […] sembrerebbe identica a quella riscontrata nella lettura de L’Origine delle specie. Ciò nonostante, proseguendo più innanzi ancora nell’analisi della divisione manifatturiera del lavoro, ad un certo punto il Filosofo di Treviri introduce un elemento economico-politico che entra in evidente contraddizione con le dinamiche e i principi naturali (tra questi soprattutto quello della variazione) dello sviluppo tecnico del lavoro manifatturiero […]18.

Proprio l’affermazione della manifattura prima e della fabbrica poi costituisce il fulcro delle analisi di Marx, che vengono raggruppate e analizzate. Impossibili da ripercorrere qui, esse offrono un resoconto filosofico e storico (con tanto di analisi dettagliata dello sviluppo progressivo del sistema industriale euroamericano tra la fine del XVIII secolo e il 1850) di come l’introduzione nella manifattura delle macchine abbia decretato la trasformazione del lavoratore in uno «strumento di un’operazione parcellizzata, meccanica e unilaterale»19, e di come, in una continua dialettica tra evoluzione puramente tecnica (variazione, fissazione, accumulazione delle forme produttive) e sviluppo connesso alle condizioni capitalistiche di produzione,20 sia avvenuta la progressiva sussunzione della tecnologia scientifica applicata al capitale. Si giunge quindi a considerare come la progressiva incorporazione al capitalismo della tecnologia scientifica trasformi quest’ultima in una scienza dell’automazione, cioè la finalizzi alla marginalizzazione e alla sostituzione del lavoro vivo. In definitiva, Calemme mostra come, mantenendo in fondo una distinzione tra il fine indipendente dello sviluppo delle macchine e la loro sottomissione all’autovalorizzazione del capitale, Marx possa concludere che «[…] sia il sistema delle macchine sia il lavoro cooperativo in regime di autonomia dal plusvalore avrebbero allora tecnicamente consentito agli operai della manifattura e dell’agricoltura grande-industriale di lavorare molto meno»21 e che quindi «non vi potrà essere emancipazione dei lavoratori senza l’emancipazione del sistema delle macchine dal controllo capitalista».22

Infine, nel quinto capitolo l’autore traccia il profilo di questa stessa emancipazione. Calemme sviluppa qui l’assunto secondo cui è proprio lo sviluppo tecnologico a rendere possibile l’instaurazione di una società comunista e la Rivoluzione industriale costituisce l’occasione, attraverso un uso computativo e non supputativo delle macchine, della liberazione del lavoro necessario della società dallo sfruttamento. L’autore così ripercorre le contraddizioni interne tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti vigenti di proprietà nella società capitalistica, evidenziando come per Marx proprio con l’introduzione della grande industria la produzione della ricchezza reale sia sempre meno vincolata al lavoro impiegato, per dipendere maggiormente dalla potenza del sistema automatico delle macchine. Viene presentata dunque, non su basi utopistiche ma sulla stessa analisi materialistica e dialettica dello sviluppo scientifico-tecnico, la possibilità, mediante la rivoluzione socio-economica, di passare ad un «ordine nuovo di produttori scientificamente associati»,23 ad una «comunità di scopi e di interessi liberati dai valori di scambio».24 Calemme evidenzia, in fondo, come l’avvento di una società comunista sia vincolato all’utilizzo intelligente della produzione automatizzata in un’ottica di pianificazione: la regolazione razionale del ricambio organico tra uomo e natura, coerente con la logica interna dello sviluppo tecnologico, è al contempo la condizione necessaria per l’accesso dell’uomo a quel regno della libertà che, secondo Marx, solo costituisce la realizzazione della sua essenza.

Nel complesso sono diversi i contributi positivi di questo lavoro, che si pone contemporaneamente sul piano storico della ricostruzione della prospettiva marxiana e sul piano teorico dell’interpretazione della Rivoluzione scientifica e di quella industriale. Collocandosi nel contesto di un’integrazione dialettica tra scienze sociali e scienze naturali, la Storia critica della tecnologia assume un ruolo strategico e polarizza attorno a sé le principali questioni teoriche e pratiche della modernità. La scelta di farne il punto nevralgico di un contributo «predittivo e performativo»25 al movimento internazionale dei lavoratori è feconda: il libro, proponendo una lettura di Marx non usuale, mette in risalto la coerenza del materialismo dialettico con la razionalità scientifico-tecnica, radicando la filosofia pratica e trasformativa del filosofo di Treviri in una solida analisi scientifica dello sviluppo della tecnologia. Calemme, mediante il prolungamento delle analisi di Marx in una ricostruzione storica della genesi della razionalità scientifica e del suo sviluppo nella Rivoluzione industriale, inserisce da ultimo la stessa elaborazione marxiana entro il quadro del discorso illuminista che innerva il libro e ne costituisce lo sfondo: «Marx […] non fa altro che tentare di compiere le nostre modernità e di realizzarne sostanzialmente gli illuminismi».26


Note
1CALEMME, Angelo. Dalla Rivoluzione scientifica alla rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico, Milano, 2022, p. 15.
2A questo proposito, si veda in particolare il paragrafo 3.1 del libro (ivi, pp. 171 – 175).
3Ivi, p. 164.
4Ivi, p. 17.
5Ivi, p. 26.
6Ivi, p. 23.
7Ivi, p. 80.
8SCHELLING, Friedrich Wilhelm Joseph, Nuova deduzione del diritto naturale, in Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo, a cura di G. Semerari, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 90.
9 CALEMME, Angelo. Dalla Rivoluzione scientifica alla rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico, Milano, 2022, p. 141.
10Ivi, p. 145.
11Ivi, pp. 147-148.
12Ivi, p. 19.
13Ivi, p. 175.
14Ivi, p. 195.
15Ivi, p. 227.
16Ivi, p. 18
17 Cfr. ivi, p. 301
18Ivi, p. 322.
19Ivi, p. 323.
20Si vedano in proposito le parole di Naysmith riportate dall’autore: ivi, p. 349.
21Ivi, p. 353.
22Ibidem.
23Ivi, p. 385.
24Ibidem.
25Ivi, p. 20.
26Ivi, p. 394.

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