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Green pass, passaporto per il futuro?

di Leonardo Lippolis

9 T 1536x1536Il green pass entra in vigore il 1 luglio 2021; il Parlamento dell’Unione Europea lo approva e presenta come una “facilitazione” per i viaggi tra paesi all’interno dell’Unione stessa. Tutti gli Stati europei lo adottano, ma ognuno lo modula in maniera differente. In Italia viene introdotto come necessario per accedere a bar, musei, ristoranti e altri servizi il 6 agosto 2021. Da allora è stato gradualmente e progressivamente esteso fino a diventare, nel gennaio 2022, un documento obbligatorio per molte categorie lavorative (pena la sospensione dal lavoro senza stipendio) e per l’accesso a quasi tutti i servizi e le attività della vita quotidiana. La sua graduale implementazione e diversificazione tra una versione base e una rafforzata (ottenibile soltanto tramite vaccinazione o guarigione) ha portato a una complessa e inedita stratificazione “meritocratica” della società. Se inizialmente è stato, con poca convinzione, presentato come strumento di contenimento sanitario della pandemia, capace di garantire ambienti sicuri dal contagio, ben presto è stata ammessa la sua vera ratio di incentivo alla vaccinazione, variamente definita – a seconda dei punti di vista – come “spinta gentile”, “obbligo surrettizio” oppure come vero e proprio ricatto.

Nel frattempo, l’obiettivo ufficiale fissato dal governo è stato raggiunto, con il superamento del 90% della popolazione over 12 vaccinata; contemporaneamente, a sentire la voce di molti scienziati, la variante Omicron ha indebolito la pericolosità del virus, rendendolo gestibile al di fuori di una logica di emergenza. Eppure, nonostante il governo abbia sempre affermato che il green pass sarebbe stato uno strumento transitorio e che sarebbe stato abolito nel momento in cui l’emergenza fosse finita – come sta avvenendo in molti paesi –, esso ha varato con i decreti di gennaio 2022 l’ennesima stretta nei confronti di chi non lo possiede, imponendo l’obbligo del possesso della sua versione rafforzata (ovvero della vaccinazione) per tutti i lavoratori over 50, a partire da febbraio.

Nonostante il dibattito pubblico in Italia sia apparentemente incentrato sulla possibilità o meno di revocare del tutto il green pass nei prossimi mesi, il Parlamento ha votato il fatto che esso non è decaduto automaticamente con la fine dello stato di emergenza, avvenuta il 31 marzo 2022, e che la sua versione rafforzata (quella ottenuta con tre dosi del vaccino) ha al momento una “durata illimitata”, ovvero fino almeno a quando, verosimilmente in autunno con la probabile ripresa del contagio, verrà decisa la somministrazione della quarta dose. Ciò nei fatti sembra istituzionalizzare il green pass a tempo indeterminato, lasciandolo aperto a un suo riutilizzo futuro ed emancipandolo dall’emergenza sanitaria.

In tempi non sospetti, di poco successivi all’esplosione della pandemia, autorevoli voci del mondo della finanza internazionale – come Gordon Lichfield, direttore della “Mit Technology Rewiew”– avevano profetizzato l’introduzione di una sorta di nuovo documento sanitario digitale per affrontare la pandemia e un probabile cambiamento irreversibile di molte regole e stili di vita, cogliendo nell’emergenza sanitaria e nella gestione della pandemia un’accelerazione decisiva di processi già in atto da anni. L’orizzonte del futuro politico-economico dell’Occidente ruota infatti già da tempo intorno all’affermazione della necessità di un’accelerazione tecnologico-digitale – la cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” – fondata su intelligenza artificiale, automazione, smart cities, internet delle cose, 5G, identità digitali e flussi di big data. Questa trasformazione ha come base filosofica il transumanesimo, l’utopia cyborg di una ibridazione dell’uomo con la macchina, abitante di un mondo sempre più artificiale ma presentato come più comodo grazie alla tecnologia e per questo sempre più necessariamente dipendente dal controllo cibernetico e da élites di tecnocrati.

Contemporaneamente, dal punto di vista economico, l’utilizzo delle informazioni che le persone ricercano e riversano nella rete in modo compulsivo, elaborate dai calcoli dell’intelligenza artificiale e sviluppate attraverso la teoria di finanza comportamentale del nudge – la “spinta gentile” (Richard H. Thaler) – che induce determinati comportamenti attraverso una serie di stimoli informativi, permette al “capitalismo della sorveglianza” (Soshana Zuboff) di mettere a profitto ogni aspetto della vita umana con lo scopo di creare un “mercato dei comportamenti futuri” che, in termini di margini di profitto, è considerato il corrispettivo del petrolio del XX secolo.

All’incrocio di queste dinamiche macro-economiche già ampiamente in corso d’opera nel mondo, il green pass può essere letto come l’embrione e la sperimentazione di uno strumento funzionale alle trasformazioni del futuro prossimo. Molti sono gli indizi che portano a questa interpretazione, a partire dall’evidenza che il green pass è già un’applicazione tecnologica dell’abolizione della privacy e dell’intreccio tra dati sanitari e fiscali che la Zuboff sostiene essere i passaggi decisivi dell’espansione del “capitalismo della sorveglianza”.

Il 16 settembre 2020 Ursula von der Leyen ha tenuto un discorso al Parlamento europeo nel quale ha spiegato come un obiettivo strategico prioritario dell’agenda politico-economica internazionale sia l’istituire “un’identità elettronica europea sicura” che consentirà ai suoi cittadini di avere un’identità digitale comune, con la quale si potrà fare tutto, dall’affittare una bicicletta al pagare le tasse (il sito ufficiale dell’Unione Europea, consultabile in rete, spiega in dettaglio la funzione di questo nuovo documento strumento di base del mondo smart del futuro). Pochi mesi dopo, il 26 luglio 2021, il Ministro della Salute italiano Speranza, durante un convegno a Bologna, ha definito l’introduzione del green pass “la più grande opera di digitalizzazione di massa mai fatta”. Contemporaneamente il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato nell’aprile del 2021, destina ben 49 dei 222 miliardi di euro stanziati dall’Europa alla “transizione digitale” e addirittura 69 alla “transizione ecologica”, i due assi portanti della “quarta rivoluzione industriale”. Un articolo del 4 febbraio 2022 dell’autorevole e tecnofila rivista “Wired” spiega in dettaglio come in questi mesi la stessa Unione Europea stia accelerando il processo che dovrebbe portare al lancio dell’identità digitale europea già nel 2024 e abbia utilizzato la sperimentazione del green pass come banco di prova per questo sistema di identificazione; l’articolo sottolinea come l’industria prema la politica sulla base delle stime secondo le quali il mercato globale dell’identità digitale è arrivato a valere nel 2021 16,6 miliardi di dollari con una prospettiva di una crescita annua del 16%, sulla scia dei punti fondamentali del “capitalismo della sorveglianza”.

Tutto ciò è perfettamente in linea con quanto Klaus Schwab, il leader del World Economic Forum, aveva descritto già nel 2015 ne La quarta rivoluzione industriale – vero e proprio manifesto transumanista di questa trasformazione epocale – e ha ribadito, poco dopo l’esplosione della pandemia, in The Great Reset, un saggio scritto a nome del World Economic Forum, in cui invitava a cogliere la pandemia come un’occasione unica per fare della crisi il volano per sdoganare e accelerare le innovazioni utili alla “quarta rivoluzione industriale”; lo stesso Schwab che il 22 novembre 2021 ha incontrato Mario Draghi a Palazzo Chigi in un incontro ufficiale.

Seguendo questa concatenazione di fatti, non è fuorviante concludere, come suggeriva Lichfield già a marzo 2020, che, quando la pandemia verrà dichiarata finita, “niente tornerà più come prima”. Di sicuro, infatti, la gestione della pandemia scelta dagli Stati occidentali, Italia in primis, ha fornito l’opportunità per un’accelerazione decisiva nell’uso di identità digitali e applicazioni come mediatori delle relazioni sociali del nuovo uomo iper-connesso del XXI secolo e un salto di qualità nell’innovazione tecnologica e nella digitalizzazione di tutte le attività legate all’amministrazione, alla salute, al lavoro e al tempo libero. Mentre già da tempo l’internet delle cose e l’intelligenza artificiale avanzano, l’industria e i servizi si automatizzano, l’ingegneria genetica e il “capitalismo della sorveglianza” rimuovono barriere etiche e diritti secolari, in questi due anni di stato d’emergenza i governi hanno perfezionato inediti metodi di sorveglianza e controllo della popolazione. È dei primi di febbraio 2022 la notizia che il governo canadese, di fronte alla paralisi di alcune zone del paese creata dalla protesta dei camionisti, ha decretato lo stato di emergenza e annunciato che, non avendo più intenzione di tollerare la situazione, avrebbe bloccato i conti correnti di tutti i possessori dei camion coinvolti nella protesta, annunciando che tramite i sistemi digitali a loro disposizione sarebbe stato facilissimo individuare tutti i partecipanti e accedere e gestire i loro flussi di denaro. Sui giornali italiani dei primi giorni di aprile 2022 sono rimbalzate notizie che confermano l’introduzione di patenti che, affini al “credito sociale” cinese, premino cittadini virtuosi sulla base dei loro comportamenti sociali. A Bologna è stato ufficialmente presentato lo Smart Citizen Wallet, una card di punti digitali grazie alla quale, secondo una sperimentazione analoga a quella prevista prossimamente per Roma, come spiega l’assessore locale all’Agenda digitale, “il cittadino avrà un riconoscimento se differenzia i rifiuti, se usa i mezzi pubblici, se gestisce bene l’energia, se non prende sanzioni dalla municipale, se risulta attivo con la Card cultura”. Se in questo caso la card viene presentata come volontaria e foriera al momento di sconti e buoni da spendere, ben più inquietante è il caso del Comune di Fidenza, dove invece la patente a punti, ribattezzata “Carta dell’assegnatario”, è stato deliberata come documento obbligatorio per chi abita nelle case popolari: cinquanta punti iniziali che vanno a decrescere in caso di violazione di alcune regole – consumare alcolici in zone comuni, ospitare persone estranee senza aver preavvisato, dar da mangiare ai piccioni – previe segnalazioni dei vicini e ispezioni a sorpresa dei funzionari del Comune, fino alla perdita dell’alloggio stesso. È chiaro come tutto ciò rappresenti un cambio di paradigma rivoluzionario nel campo del diritto e della cittadinanza.

Alla luce di questo quadro generale, che il green pass venga rimosso, oppure sospeso e poi reintrodotto sotto altra forma in futuro, importa meno della direzione generale che sottende la “quarta rivoluzione industriale”. A ben vedere, dietro l’impronta digitale, green e smart di quest’ultima c’è “semplicemente” un aggiornamento coerente degli stessi principi strutturali della civiltà delle macchine forgiatasi tra gli anni Dieci e Venti del Novecento e manifestatasi in tutta la sua potenza nel taylorismo di fabbrica, nel volto delle nuove metropoli razionaliste e nella “mobilitazione totale” della popolazione sperimentata per la prima volta con la Prima guerra mondiale. Oggi l’automazione e il digitale aggiornano il taylorismo, le smart cities digitalizzano il funzionalismo urbanistico, la mobilitazione totale della popolazione è ciò che è stato applicato con la gestione della pandemia, mentre la guerra tra Russia e Ucraina ci riporta al rischio concreto di un nuovo conflitto mondiale.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta due giganti del pensiero, Hannah Arendt e Günther Anders, avevano evidenziato il pericolo rappresentato da due fenomeni decisivi in atto nel Novecento: il tramonto della funzione nobile dell’agire politico inteso come vita activa e l’antiquatezza irreversibile dell’uomo rispetto alla tecnica e alla civiltà delle macchine. Oggi quelle analisi amare sembrano arrivare a compimento. Già nel 1958 Hannah Arendt pensava che lo spazio pubblico – l’agorà della polis, fulcro della vita activa – fosse stato pericolosamente eroso e l’essere umano ridotto a funzione degli automatismi della produzione e del consumo, privato dell’opportunità di dibattere e agire politicamente. Oggi il passaporto digitale comporta un ulteriore salto di qualità in questo processo: non solo lo spazio pubblico come spazio politico è scomparso, ma gli stessi luoghi della produzione, del consumo e dei servizi sono resi accessibili soltanto tramite il possesso di una chiave digitale. Lo spazio reale adotta regole simili a quello virtuale: se ai siti della rete, dove gettiamo i dati di cui si nutre il capitalismo informatico, possiamo accedere solo con password e nome utente, nei luoghi della vita reale senza green pass non vai più da nessuna parte. Chi è appassionato di fantascienza distopica non avrà difficoltà a trovare analogie profonde tra il presente e gli scenari raffigurati da Zamjatin un secolo fa esatto, da Philip Dick negli anni Sessanta o dalla miniserie Tv Black Mirror pochi anni fa.

Quanto alla questione della tecnica, gli scienziati ci dicono da tempo che siamo entrati nell’Antropocene – o, come lo chiama più opportunamente Jason W. Moore, il Capitalocene –, una nuova era geologica caratterizzata dalla presenza pervasiva della “catastrofe” provocata dal modello di sviluppo industriale e produttivista, catastrofe che si presenta e si presenterà di volta in volta climatica, pandemica, migratoria o bellica. Così i virologi ci avvertono all’unisono che alla pandemia da covid ne seguirà sicuramente e a breve un’altra, perché questa è l’“era delle pandemie”. Dal momento che il capitalismo non può, pena la sua scomparsa, rimuovere le cause strutturali di queste catastrofi né rallentare la propria corsa, esso chiede alla tecnoscienza di approntare rimedi che tengano in piedi la baracca continuando a garantire quello sfruttamento che è alla base delle logiche del profitto. Nel momento in cui il “realismo capitalista” (Mark Fisher) impedisce ormai di vedere o concepire un orizzonte al di fuori del capitalismo stesso, la crisi catastrofica diventa un’opportunità che la tecnoscienza è chiamata a gestire. La pretesa neutralità e oggettività della scienza e della tecnica che viene sbandierata ogni giorno da due anni a questa parte è il riflesso amaro di quella vittoria schiacciante sull’uomo che aveva predetto Günther Anders. Se l’obiettivo della “quarta rivoluzione industriale” e del “capitalismo della sorveglianza” è quello di ricavare dei dati sempre più esatti dai comportamenti umani al fine di riorganizzare digitalmente l’intero sistema sociale, ciò implica superare la politica e affidare la gestione della Megamacchina ai criteri oggettivi – cioè non discutibili – della tecnoscienza e a élites di specialisti.

Se il progressivo smantellamento dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori e della sanità pubblica era in corso da decenni, la gestione dell’emergenza sanitaria è divenuta il pretesto per dismettere ciò che restava della legalità costituzionale e delle sue garanzie. Mentre lo “stato d’emergenza” è una legge ordinaria, di competenza della protezione civile e pensata per calamità naturali circoscritte nel tempo e nello spazio – che fa dunque della temporaneità uno dei suoi cardini giuridici – la “Cabina di regia”, organo istituzionale inedito, istituito con decreto legge 77 del 31 maggio 2021 col compito di assolvere le linee guida del Pnrr e fondato sulla legittimità tecnocratica dei suoi membri, rimarrà in vigore almeno fino al 30 dicembre 2026.

La storia degli ultimi cinquant’anni – anche e soprattutto italiana – insegna che le leggi speciali quasi mai vengono abbandonate nel momento in cui l’emergenza è considerata cessata. Alla luce di tutto ciò è facile immaginare che il green pass – opportunamente modificato, aggiornato e magari con un altro nome – potrà essere mantenuto o riproposto in un futuro prossimo nella prospettiva dell’identità digitale annunciata a gran voce dall’Unione Europea. E se oggi il requisito di accesso è il vaccino contro il covid, un domani, seguendo le logiche del “capitalismo della sorveglianza”, potrebbero essere altri. L’innovativa tecnologia blockchain con cui il green pass è stato creato permette, grazie alla sua flessibilità, esattamente questo: il suo estendersi e arricchirsi secondo i criteri più diversi, come lo Smart Citizen Wallet di Bologna sembra dimostrare.

Oggi in Italia alcuni diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione – tra cui quelli al lavoro e alla libera circolazione – non sono più garantiti dalla semplice cittadinanza, ma soggetti al possesso di questo nuovo passaporto digitale. Il 5 febbraio scorso, il coordinatore del Cts Franco Locatelli, nell’affermare che il green pass dovrebbe essere prolungato oltre l’attuale scadenza ufficiale prevista per giugno, ha esplicitamente citato la “premialità” insita alla tessera verde come un valore aggiunto e da rinforzare in ottica futura.

Se dunque cent’anni fa Zamjatin concepì la trama di Noi, il capostipite della letteratura distopica, come “un campanello d’allarme per il duplice pericolo che minaccia l’umanità: il potere ipertrofico delle macchine e il potere ipertrofico dello Stato”, oggi il green pass assomiglia sempre più all’ingresso ufficiale e inquietante nella nuova epoca di una nuova società fondata proprio su quel doppio potere ipertrofico.

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