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Scuola italiana: “revisionismo storico” e pratica anti-didattica

di Salvatore Distefano* 

A proposito della lettera del ministro dell’Istruzione e del Merito alle studentesse e agli studenti

IMMAGINE ARTICOLO DI SALVATORE Disrefano ScuolaIl 9 novembre solo in Italia (nessun altro Paese europeo infatti lo festeggia) si celebra il “giorno della libertà”, in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino, giorno istituito con la Legge 15 aprile 2005, n. 61, all’epoca dunque del governo Berlusconi.

A tal proposito, il ministro dell’“Istruzione e del Merito” (ora si chiama così) ha ritenuto di scrivere una lettera indirizzata agli studenti e ha colto l’occasione per salutare tutto il personale delle scuole, evitando, chissà perché, di citare esplicitamente i docenti. Giusto quei docenti che dovranno stare molto attenti a queste iniziative, per ora solo epistolari, che hanno lo scopo non solo di stare dentro lo scontro politico, ma anche di raggiungere due obiettivi: il primo, ampliare a dismisura nella scuola italiana la quantità di “revisionismo storico”, peraltro già sparso a piene mani in questi anni; il secondo, continuare la pratica anti-didattica di “(ab)uso pubblico della storia”, che trova concrezione nell’attaccare ossessivamente tutto ciò che a che fare con la democrazia, la sinistra, il progresso, l’esperienza di altri popoli non occidentali che hanno tentato, tentano e tenteranno con grande fatica di trovare una strada di liberazione e di avanzamento. Si continua, peraltro, a riaffermare una concezione di superiorità dell’Occidente (unipolarismo versus multipolarismo) in salsa eurocentrica, non cogliendo i danni che questa ideologia ha arrecato in passato e la improponibilità di questa visione in un contesto che definiremmo di “tramonto dell’Occidente” e di suicidio dell’Europa. Peraltro, in questa occasione non mi soffermerò sugli orrori del colonialismo che ha scandito la storia dell’Occidente e sulle due guerre mondiali da esso scatenate.

E faccio umilmente osservare che l’Europa, come invece si dice nella lettera, non si è riunificata con la caduta del muro, a meno che non si voglia continuare con la russo-fobia ed espungere dalla storia del nostro continente una parte grande dal punto di vista storico, politico, economico, militare, culturale, ecc.

Ci sarebbe piaciuto e avremmo apprezzato molto se questo interesse verso gli studenti delle scuole fosse scevro del fine che il contenuto della lettera ha, invece, squadernato: propaganda politica di parte (o meglio di partito), peraltro ciò che la Costituzione vieta quando si assolve la funzione di ministro, e dare continuità all’ossessione anticomunista che dura nel nostro Paese ormai da un secolo!

Tutti comprendiamo, può starne certo il ministro, che il rapporto tra le generazioni è essenziale affinché i risultati degli sforzi individuali possano comporre un patrimonio culturale conservato e tramandato alle generazioni successive, che cresce nel tempo, per permettere all’intero genere umano di godere i frutti della fatica dei singoli. Se così non fosse, ogni uomo dovrebbe avere una vita smisuratamente lunga per apprendere l’uso completo di tutte le sue disposizioni naturali; ma la natura ha stabilito che la durata della vita umana sia breve: occorrono serie indefinite di generazioni che si trasmettono l’un l’altra le loro conoscenze per portare avanti quel grado di sviluppo che la specie umana può far corrispondere al suo scopo.

Ma vediamo, a questo punto, qual è l’idea della storia del principale rappresentante dell’Istruzione e del Merito del nostro Paese e, onde evitare qualsiasi equivoco, dichiaro subito qual è il mio punto di vista.

La storia è l’occhio del presente che si volge al passato e si proietta nel futuro; quando si studia un evento, occorre farlo in modo diacronico e sincronico secondo lo schema di “prima, durante e dopo”; bisogna, inoltre, saper cogliere gli elementi di continuità-rottura secondo un procedimento di “ricostruzione-analisi-interpretazione-giudizio”; e, in quanto scienza, la storia non può essere il racconto di ognuno: è necessario, al contrario “maneggiare con cura” la memoria e la verifica degli avvenimenti affinché la storia-materia sia effettivamente storia-scienza.

Certo, lungi da me voler pretendere dal ministro una riflessione di alto valore filosofico-storiografico e non mi aspettavo uno scritto epocale, ma il risultato è pessimo.

L’idea di storia che sostiene tutta l’argomentazione del ministro è, a loro insaputa, quella di Leibniz e di Fukuijama. Infatti, per il filosofo tedesco, vissuto tra il ‘600 e il ‘700, se un mondo solo esiste, tra innumerevoli mondi tutti ugualmente possibili e tutti con una pretesa all’esistenza, la ragione sta nell’intelletto e nella volontà di Dio che hanno fatto sì che ce ne fosse uno, quello che esiste, e che dunque è il migliore in virtù della perfetta bontà di Dio. Inoltre, secondo il principio logico di non-contraddizione dato che Dio vuole il meglio tra gli infiniti mondi possibili, ha scelto il migliore (teodicea).

Nel suo saggio del 1992, La fine della storia e l’ultimo uomo, Francis Fukuijama fa della fine della storia il suo concetto-chiave e secondo questa tesi storiografica il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo, snodo epocale a partire dal quale si starebbe aprendo una fase finale di conclusione della storia in quanto tale. Tutto prende le mosse dalla definitiva sconfitta dell’URSS nel 1991, a seguito della caduta del muro di Berlino e come conseguenza della “guerra fredda” cominciata – lo sostengo senza tema di essere smentito – soprattutto per volere di Churchill (discorso di Fulton, 1946) e Truman, che dopo aver fatto sganciare sul Giappone due bombe atomiche (Hiroshima e Nagasaki, 6-9 agosto 1945) anche come monito all’URSS, diede vita alla politica del containment e del roll-back.

Ora, sostiene Valditara che la caduta del muro “segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria”; emerge qui senza infingimenti la concezione ultra-reazionaria, che rappresenta “una festa della nostra liberaldemocrazia”, ma l’affermazione è quanto meno sospetta vista la provenienza fascio-leghista dell’autore della missiva, repentinamente convertitosi al dogma liberal-liberista. “E tuttavia”, continua il ministro, “l’unico ordine (sottolineatura mia) politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie […]”. In verità, Kant parlava di “ragionevole speranza” perché garanzia unito a speranza è logicamente inappropriato, ma, si sa, non si può avere tutto dalla vita!

La storia, dunque, non è affatto finita, e anche Fukuijama se n’è accorto, perché una parte del mondo si è mostrata insensibile al ritorno della liberal-democrazia (checché ne pensi Valditara), mentre la Russia, dopo un’iniziale e apparente avvicinamento è poi tornata sui suoi passi, ma soprattutto l’Occidente, “culla della modernità liberal-democratica”, sta attraversando una crisi di legittimità e funzionalità del proprio sistema senza precedenti.

Ma perché sono così gravi e prive di fondamento le posizioni espresse dal ministro? Intanto, perché portano inevitabilmente a concezioni “passivizzanti” dell’intero genere umano, visto che qualsiasi sforzo è destinato a non produrre un cambiamento positivo, un altro mondo possibile; ripetiamolo a beneficio di quelli duri di comprendonio: quello in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili, è il tanto agognato traguardo, cioè la liberal-democrazia! Proprio il contrario di ciò che l’umanità ha fatto nella storia: il cammino verso un mondo migliore, duro, faticoso, si è intrecciato – absit iniuria verbis – storicamente con l’utopia come traguardo da raggiungere e una volta raggiunto ne ha posto subito uno più avanti. Bisognerebbe spiegare al ministro che non si può separare la storia dall’utopia e viceversa; pertanto, affermare la fine della storia significa affermare la fine della stessa umanità, in quanto l’umanità è la sua storia. Inoltre, non si può ridurre la storia agli orrori perché diventerebbe solo un “mattatoio”; la storia ha un senso e delle finalità: la libertà (?), l’eguaglianza (?), la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo (?), temi grandiosi non possono coincidere con l’instaurazione o la fine di un regime e di un sistema sociale.

Non è chi non veda, dunque, la concezione antistorica, tutta rivolta contro l’umanità, addirittura disumana e catastrofista, di questi pseudo-pensatori. Ancora: la posizione del ministro risulta viziata da una visione religiosa di tipo oscurantista, applicata in questo caso alla storia, che lo porta a negare la centralità dell’azione umana nel mondo, cioè nella storia. A suo dire, le società preconizzate dagli “utopisti comunisti” (qualcuno dovrebbe spiegare all’estensore della lettera che a metà dell’Ottocento, come si legge in qualsiasi manuale scolastico, grazie a Marx e a Engels, si poté passare dal “socialismo utopistico” a quello “scientifico”), dovevano essere “assolute e perfette” e proiettate “verso il paradiso in terra”. Premesso che assoluto vuol dire “ab-solutus”, cioè sciolto da qualsiasi condizionamento e quindi dalla realtà concreta, e “perfezione” ci riporta alla prova ontologica di Anselmo d’Aosta, quo maius cogitari nequit, cioè a Dio, di cui si vuole affermare l’esistenza in quanto perfetto senza ricorrere all’esperienza. Così si attribuisce ai fondatori del materialismo storico e dialettico, Marx ed Engels, e a coloro che hanno cercato di realizzare il socialismo nell’Ottocento e nel Novecento, a partire dalla Comune di Parigi, un pensiero metafisico-religioso, antimaterialistico e anti-dialettico, rovesciando in modo ridicolo, da parte dei liberali e degli idealisti metafisici, ciò che da quasi due secoli è stato finora affermato.

Sono, allora, ben felice di essere considerato un utopista, visto che si tratta di un filone di pensiero che richiama, tra le altre, teorie di Platone, Moro, Müntzer, Campanella, Ernst Bloch e via dicendo, cioè di coloro che hanno coltivato l’aspirazione a una società ideale, fondata sulla libertà e l’eguaglianza, desiderio che ha sempre accompagnato il corso della storia; anzi, ne rappresenta uno degli impulsi fondamentali e permanenti nel suo divenire. Non per caso, i pensatori dell’utopia sono legati, da una parte, alla realtà del tempo verso la quale muovono critiche radicali; per un altro aspetto, vanno ben oltre quella realtà per delineare ed esaltare una società ideale posta come esigenza irrinunciabile alla formazione di ogni tipo di Stato giusto.

Scriveva Luigi Firpo: «L’utopia è ispirata da un lucido realismo, animato dalla fede nella bontà naturale dell’uomo e nell’illuminata efficienza della ragione».

Per concludere, mi piace citare il pensiero di Karl Mannheim sempre a proposito dell’utopia: «Una effettiva utopia non può, a lungo andare, essere l’opera di un singolo uomo, poiché l’individuo è inconcepibile fuori di una situazione storico-sociale. Solamente quando la concezione utopica dell’individuo si impadronisce delle tendenze già presenti nella società e dà loro un’espressione, quando, in tale forma, essa rifluisce nella prospettiva di tutto il gruppo e si traduce in azione, solo allora l’ordine esistente può venire attaccato da chi lotta per un mondo diverso. Si può bene affermare, in verità, che un tratto essenziale della storia moderna consiste nel fatto che le classi sociali, organizzandosi per un’azione comune, divengono capaci di trasformare la realtà storica, solo quando le loro aspirazioni si sono tradotte in utopie adeguate alla situazione mutevole».


*  Storico del movimento operaio.“Cumpanis” ringrazia il compagno e professore Salvatore Distefano per il prezioso contributo.  

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