Fusione – e confusione – nucleare
di Angelo Baracca e Giorgio Ferrari
Una campagna di stampa a livello internazionale ha esaltato l’esperimento fatto negli Stati Uniti verso la realizzazione delle fusione nucleare controllata, un sogno (una promessa) inseguito fin dai primi passi della tecnologia nucleare negli anni ’40-’50 del secolo scorso: periodicamente ogni decina d’anni veniva annunciato che la realizzazione sarebbe stata vicina.
Ma oggi questo pomposo annuncio richiede molte precisazioni e distinguo, che inevitabilmente sfuggono a chi è a digiuno di queste cose.
Fusione a confinamento inerziale, una scelta militare
Detto in parole semplici la realizzazione della fusione nucleare di nuclei leggeri (in un certo senso l’opposto della fissione di nuclei pesanti) richiede di riscaldare un plasma, tipicamente di deuterio e trizio, a milioni di gradi in modo che le energie cinetiche dei nuclei superino le barriere di repulsione elettrica.
La reazione di fusione nucleare è stata realizzata già nel 1949, ma in modo esplosivo; vale a dire nelle bombe termonucleari nelle quali un dispositivo primario a fissione genera la temperatura necessaria ad innescare un dispositivo secondario a fusione.
Da quel tempo è iniziata la ricerca per realizzare la fusione nucleare in modo controllato (non esplosivo) a scopi pacifici, ricerca che oggi si concentra su due metodi molto diversi: il confinamento magnetico di un “plasma” ottenuto dalla fusione di Deuterio e Trizio (DT) in macchine di grandi dimensioni del tipo Tokamak (l’esperimento più avanzato è l’impianto ITER, in costruzione a Cadarache in Francia) e il confinamento inerziale (FCI), concentrando su un corpo grande quanto un granello di pepe (pellet), composto sempre da D e T, enormi energie, tipicamente generate da superlaser, che comprimano e riscaldino il DT a milioni di gradi innescandone la fusione nuclearei.
Ora, in queste ricerche si intrecciano interessi civili e interessi militari: un autorevole articolo di quasi 50 anni faii metteva in chiaro che: «la simulazione delle armi può essere l’unica applicazione pratica della fusione laser in questo secolo [previsione completamente azzeccata]… gli esperti di armamenti si aspettano che la fusione laser diventi uno strumento sperimentale straordinariamente utile per studiare la ‘fisica delle testate’ fondamentale e, unitamente a codici di simulazione elettronica sempre più raffinati, per sviluppare nuovi progetti di armi. …
Da parte sua il generale Edward B. Giller, incaricato delle applicazioni e ricerche militari presso l’Atomic Energy Commission, ebbe a dire, durante una conversazione: ‘La gente va dicendo che questo è un programma energetico, ma […] in realtà questo è ed è sempre stato un programma militare’».
In effetti, le ricerche finalizzate allo sviluppo di armi nucleari basate sulla fusione a confinamento inerziale si sviluppano proprio in quegli anni1 quando, con la messa in discussione a livello mondiale degli esperimenti atomici, il Dipartimento della Difesa USA e il Dipartimento dell’Energia varano un programma per lo sviluppo delle armi nucleari di terza generazione, focalizzato su tre ambiti: Fusione a confinamento inerziale (FCI); Magnetized target fusion (MTF) o Fusione con bersaglio magnetizzato che, grosso modo, è una combinazione della fusione a plasma e di quella a confinamento inerziale ed infine la XRL, combinazione di raggi X di fonte nucleare con la tecnologia laser.
Le prime due reazioni presentano il “vantaggio” (tutto militare) di emettere anche neutroni ad alta energia che, nell’ottica della maggiore distruzione possibile e in scenari di guerra circoscritti, possono aumentare la letalità di un’arma basata sulla fusioneiii.
Fra questi due tipi, la FCI veniva considerata la più promettente: «Entro il prossimo decennio [l’articolo era del 1990], le microesplosioni termonucleari prodotte dalla FCI potrebbero consentire agli scienziati di comprendere meglio la fisica delle testate che coinvolgono la produzione di raggi X, le dinamiche di implosione e le instabilità, ma solo se si riuscirà a realizzare l’ignizione delle pellets.
Poiché i laser e i fasci di particelle più potenti attualmente disponibili per la ricerca FCI non sono ancora in grado di fornire potenze superiori a 1 megajoule in relazione alla lunghezza dell’impulso richiesta, l’ignizione delle pellets rimane un compito formidabile».
Il campo di indagine era inizialmente circoscritto allo sviluppo di armi con potenziale compreso tra 300 kg di esplosivo equivalente ed 1 kilotone, quindi armi di dimensioni contenute, facilmente trasportabili o comunque abbinabili ad un vettore di rapido impiego.
Da notare che fino alla fine degli anni ‘80, i test nucleari sotterranei, data l’alta intensità di radiazioni prodotte, servivano anche a verificare se si riusciva ad ignire (accendere) le pellets di DT impiegate nella fusione inerziale.
Solo successivamente, e per i motivi sopra detti riguardanti i tests nucleari, le sperimentazioni in laboratorio divennero prioritarie al punto che perfino la National Academy of Sciences americana descriveva i vantaggi potenziali della FCI per la progettazione di armi in questi termini3: «Un’utile risorsa di un laboratorio di esplosivi termonucleari da 1000 MJ sarebbe uno strumento straordinario per esplorare la fisica delle armi termonucleari. Alcuni concetti su come utilizzare le armi nucleari come sorgenti di energia diretta, come i laser a raggi X o i fasci di microondeiv, potrebbero essere testati in un ambiente di laboratorio in modo rapido e interattivo… Campagne sperimentali estese… che avrebbero un costo proibitivo per i test sotterranei, potrebbero essere effettuate con una struttura FCI.»2
Aggiungendo: «L’implicazione è che una volta che un impianto FCI sarà in funzione, potrebbe fornire uno strumento cruciale per la ricerca e lo sviluppo di armi come gli XRL con esplosivo nucleare e le armi a fascio di microonde, perché potrebbe essere l’unica fonte di test accessibile per il numero di test richiesti.»
Dunque, diversamente da quanto si legge oggi sugli organi di informazione, lo scopo prioritario dell’intero progetto NIF (National ignition facility), di cui è parte integrante l’esperimento del 5 dicembre scorso presso il Lawrence Livermore National Laboratories, è di tipo militare; prova ne sia che esso è stato formalizzato all’indomani della messa al bando dei test nucleari sotterranei – votata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1996, ma mai ratificata dagli USA – proprio per ottenere in modo non distruttivo le informazioni risultanti da quei tests.
D’altronde, nella conferenza stampa seguita all’esperimento del 5 dicembre, Mark Herrmann, direttore del programma di fisica e progettazione delle armi nucleari al Livermore, ha fatto la seguente dichiarazione, ripresa anche dal New York Times: «Questo esperimento ci aiuterà a capire meglio gli effetti delle bombe nucleari perché la grande generazione di potenza ottenuta, crea di per sé ambienti molto estremi che assomigliano da vicino a quelli provocati da un’arma nucleare”.
Finalità che Gillette aveva esplicitamente previsto già nel 1975: «la fusione laser può diventare uno strumento sperimentale straordinariamente utile per studiare la ‘fisica fondamentale delle testate’ [che presenta ancora molti aspetti oscuri] e … per sviluppare nuovi progetti di armi».
Alla base di tutta questa vicenda c’era, indubbiamente, la competizione in campo nucleare tra USA e URSS, la cui massima intensità si raggiunse durante la cosiddetta guerra fredda. Tuttavia, se fino agli anni ‘80 la preoccupazione degli Stati Uniti di essere superati dall’Unione Sovietica aveva qualche fondamento (i sovietici erano molto avanti nello sviluppo della tecnologia MTF), l’idea di armi di terza generazione da impiegare in determinati teatri di guerra (come ad esempio quelli occorsi in Iraq e Afghanistan) è frutto dell’ossessione statunitense di mantenere il dominio esclusivo della deterrenza nucleare.
Atteggiamento riscontrabile già sotto l’amministrazione Reagan quando, nel 1987, rispondendo ad una interrogazione parlamentare relativa a questo tipo di armi, l’allora segretario di stato, John S. Herrington, rispose: «La ragione principale per cui stiamo perseguendo armi a energia nucleare diretta è sapere a che punto sono le conoscenze dei sovietici nel progettare e schierare armi simili, che metterebbero a rischio la forza deterrente strategica degli Stati Uniti o un futuro sistema difensivo».
Il guadagno di energia
L’aspetto più appariscente dell’esperimento condotto negli USA riguarda il cosiddetto “energy gain” che è stato presentato come una svolta storica nel cammino verso la fusione nucleare, perché per la prima volta è stata generata una quantità di energia superiore a quella emessa dagli impulsi laser per ottenere la reazione di fusione; cosa che, se non spiegata, lascia intendere all’opinione pubblica che il sogno di quei personaggi (tra cui lo stesso Leonardo da Vinci) che tra il ‘500 e il ‘700 si ingegnarono di realizzare il moto perpetuo, si sia avverato.
Ciò che si è ottenuto al Livermore, in realtà, consiste esclusivamente in un guadagno di energia nel rapporto tra quella fornita dall’impulso laser per fondere gli atomi di DT e quella ottenuta da questa fusione che è stata, rispettivamente, di 2,05 MJ (Mega Joule) e 3,15 MJ, con un guadagno di 1,5 volte (il cosiddetto “breaktrought” cioè più del 100%) per un tempo infinitesimo, dell’ordine del trilionesimo di secondo, ma per generare quell’impulso, i 192 laser impiegati hanno consumato una energia pari a 300 MJ, cioè 150 volte superiore a quella fornita dall’impulso e 100 volte superiore a quella ottenuta dalla fusione.
Ora non c’è dubbio che dal punto di vista della sperimentazione di laboratorio, questa prova rappresenti un successo, dato che fin’ora l’energia ottenuta in questi test non aveva mai raggiunto la soglia del “break-even”, cioè ottenere dalla reazione di fusione una energia almeno pari a quella immessa attraverso l’impulso laser, ma ciò non ha nulla a che vedere con il bilancio energetico dell’intero processo che rimane enormemente deficitario e dell’ordine di 100 a 1 (300 MJ contro 3,15 MJ) che in buona sostanza corrisponde al rendimento (estremamente basso) del tipo di laser impiegati.
Quello che è certo è che questo aspetto non ha nessuna rilevanza dal punto di vista militare, dove importa solo ottenere la fusione di un minuscolo pellet (nelle ricerche sulle armi nucleari sono state spese quantità di energia colossali, enormemente superiori alle potenze di tutte le testate realizzate): ma dal punto di vista industriale ciò significa che l’applicazione di questa tecnologia è ben lungi dal potersi, non si dica realizzare, ma almeno progettare,
Anche perché la tecnologia NIF – a differenza di quella ITER basata su di una reazione che si autosostiene (plasma) – si fonda sulla possibilità di provocare la fusione “sparando” su una pellet singoli impulsi di energia laser (one shot) che non possono autosostenersi e quindi per dare vita ad un processo continuo di generazione di energia bisognerebbe realizzare una macchina in grado di “sparare” impulsi di energia su una successione di pellets con un frequenza di varie volte al secondo.
Cosa che al momento risulta tecnologicamente ancora più difficile di quanto si presenti il confinamento magnetico del plasma.
Se infatti gli aspetti critici del confinamento magnetico risiedono nelle alte temperature che si devono raggiungere, che sono superiori a quelle del sole, dato che non è possibile riprodurre la stessa densità della massa solare e nel mantenere il plasma stabile e isolato dalle infrastrutture, quelli del confinamento inerziale riguardano la sua discontinuità (one shot) che implica, sia una frequenza elevata di impulsi laser (quindi la possibilità che questi si ricarichino rapidamente, cosa per nulla scontata), sia una disponibilità illimitata di bersagli da colpire (pellets) di ridotte dimensioni, altrimenti l’energia rilasciata dalla reazione di fusione, oltre una certa soglia, assumerebbe caratteristiche distruttive.
Insomma, il risultato trionfalistico ottenuto al Livermore non è, almeno per ora e nelle intenzioni, un passo avanti per la promessa di produrre energia illimitata (che poi non è così), ma per potere progettare armi, forse micro-bombe a pura fusione (armi nucleari assolutamente nuove, di IV generazione): se poi potrà servire anche per procedere alla produzione pacifica di energia è comunque tutto da vedere.
Ma se non si comprendono questi aspetti non si fornisce veramente l’informazione utile e trasparente per l’opinione pubblica, e si rischia di mistificare la ricerche militari.
Un aspetto che non sfuggì al vecchio Hans Bethe3 quando, nel 1997, mentre si stava per decidere il varo del NIF e la costruzione dei grandi laboratori al Livermore, scrisse una lettera al presidente Clinton in cui diceva: «E’ giunto il momento per la nostra Nazione di dichiarare che non sta lavorando, in alcun modo, allo sviluppo di ulteriori armi di distruzione di massa di alcun tipo. In particolare, ciò significa non finanziare lavori che guardino alla possibilità di nuovi progetti di armi nucleari come le armi a fusione pura».4
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