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Theaters of War: come la Cia e il Pentagono hanno conquistato Hollywood

di Rossella Fidanza

Il documentario Theaters of War mostra come il Pentagono detta le trame per adattarle a narrazioni, immagini e versioni alternative della storia che sono di suo gradimento

b1ee3d91 2d03 4047 be82 49575307f290 1280x720Il documentario del 2022 Theatres of War: how the Pentagon and Cia took Hollywood è un'agghiacciante esposizione della profonda collaborazione tra l'industria dell'intrattenimento americana e l'apparato statale statunitense. Dimostra come Hollywood e altri segmenti dell'industria glorifichino la macchina da guerra multimiliardaria, sbianchettino i suoi sanguinosi interventi globali e tentino di condizionare la popolazione a crimini ancora più gravi.

Uscito all'inizio del 2022 e disponibile su alcuni servizi di streaming (se cliccate il nome del documentario vi si apre un link dove potrete vederlo in lingua originale) il film, della durata di 87 minuti, è diretto, montato e narrato da Roger Stahl, professore di studi di comunicazione all'Università della Georgia.

Qui il link al film di Stahl

Il film di Stahl, che è stato anche proiettato al Festival del Cinema dei Diritti Umani di Barcellona, non ha mai ricevuto l’attenzione che merita. Non è una sorpresa, ma al contrario questo oscurantismo è in linea con gli sforzi per minimizzare l'importanza degli enormi aumenti del budget del Pentagono da parte dell'amministrazione Biden, nell'ambito delle operazioni militari contro la Russia in Ucraina e dei preparativi per un conflitto militare con la Cina. In quest’ottica, tutto ciò che fa riferimento in modo accurato o anche solo solleva preoccupazioni sui reali risultati e sulle conseguenze catastrofiche del militarismo imperialista statunitense viene messo da parte e marginalizzato.

"Stahl è un professore universitario di mitologia audiovisiva, e il documentario è una prova che i responsabili di Hollywood, e non solo, sono stati manipolati dai militari. L'apparato militare degli Stati Uniti funziona come se fosse una dittatura della Corea del Nord, perché è la terra della libertà, ma in realtà i militari agiscono come una vera e propria dittatura, con un modello di propaganda e di censura molto chiaro". (Cit. Toni Navarro, direttore del Barcelona Film and Human Rights Festival)

Il documentario di Stahl attinge a piene mani dal National Security Cinema: The Shocking New Evidence of Government Control in Hollywood, scritto da Matthew Alford e Tom Secker e pubblicato nel 2017 e da documenti ed email interne al Pentagono recentemente declassificati.

Inoltre, nel documentario appaiono interviste ad Alford, Secker e altri accademici, al regista Oliver Stone e, fra gli altri, a due veterani della guerra in Iraq.

Se avete visto Top Gun o Transformers, vi sarete chiesti: Tutti quei macchinari militari sullo schermo hanno dei vincoli? Le forze armate hanno davvero la possibilità di scrivere il copione? Theaters of War scava in profondità in una vasta serie di documenti governativi interni recentemente rilasciati per mettere a fuoco le risposte a queste domande. Viaggiando per l'America, il regista e studioso dei media Roger Stahl coinvolge una serie di altri ricercatori, veterani sconcertati, addetti alle pubbliche relazioni e produttori del settore disposti a parlare. Con dettagli sconvolgenti e avvincenti, scopre come l'esercito e la CIA abbiano spinto le narrazioni ufficiali, cancellando sistematicamente i copioni di crimini di guerra, corruzione, razzismo, violenza sessuale, colpi di stato, assassinii e torture. Da Il giorno più lungo a Sopravvissuto solitario, da Iron Man a Iron Chef, da James Bond a Jack Ryan, Teatri di guerra svela un "universo cinematografico" alternativo che si pone come uno dei grandi colpi di Stato del Pentagono dei nostri tempi. Man mano che queste attività vengono esaminate dal pubblico, sorgono nuove domande: come sono riuscite a passare sotto silenzio per così tanto tempo? E dove andremo a finire? (dal sito ufficiale del documentario).

L'intervento militare degli Stati Uniti nella produzione cinematografica di Hollywood, ovviamente, non è un fenomeno nuovo. Nel 1917 Washington istituì il cosiddetto “Comitato per l'Informazione Pubblica” per formulare le linee guida dei media e promuovere il sostegno nazionale per l'ingresso nella Prima Guerra Mondiale.

L'industria cinematografica rispose impegnandosi a fornire "diapositive, filmati e trailer, manifesti... per diffondere quella propaganda così necessaria all'immediata mobilitazione delle grandi risorse del Paese". Ne abbiamo parlato nella puntata nr. 20 del mio podcast con Federico Povoleri:

https://rossellafidanza.substack.com/p/pillola-blu-o-ross-ep-20-federico

Wings (1927, regia di William Wellman), primo premio Oscar in assoluto, ricevette un'assistenza cruciale da parte dell'esercito, aprendo così la strada a un aumento spettacolare di questo tipo di collaborazioni dopo l'ingresso dell'America nella Seconda Guerra Mondiale nel 1941.

Sebbene ciò sia generalmente noto, pochi americani e non solo oggi sono consapevoli della massiccia espansione di questa collaborazione dal secondo dopoguerra e del controllo censorio che il Pentagono e la CIA esercitano su gran parte dell'industria dell'intrattenimento mainstream. Come racconta Matthew Alford a Theaters of War, "il Pentagono opera come una macchina di pubbliche relazioni oliata a dovere che pubblicizza l'organizzazione più violenta e potente del pianeta".

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i registi e i produttori televisivi statunitensi che desiderano l'assistenza del Dipartimento della Difesa (DoD) o della CIA, ossia l'uso gratuito o a prezzo ridotto di attrezzature e strutture militari, la consulenza tecnica e il personale militare come comparse, sono costretti ad accettare le richieste di queste agenzie.

I registi e i produttori devono essere pronti a far controllare le loro sceneggiature e ad accettare tutti i cambiamenti richiesti. Gli "accordi di assistenza alla produzione" includono il controllo diretto del soggetto, della trama e dello sviluppo dei personaggi.

L'Entertainment Media Office del Dipartimento della Difesa, infatti, ha una lunga lista di regole "show topper" che vietano automaticamente qualsiasi assistenza militare ai film che ritraggono crimini di guerra, torture, fragging, suicidi di veterani, aggressioni sessuali e razzismo nelle forze armate.

Gli interventi del Pentagono non si limitano più all'industria cinematografica, ma includono anche serie televisive drammatiche, programmi di cucina, gare di resistenza e altri programmi "reality", oltre a videogiochi e social media.

Prima della sua produzione, il team del documentario di Stahl si è assicurato fino a 30.000 pagine di documenti interni del Dipartimento della Difesa, e-mail e altro materiale, rivelando che il Pentagono e la CIA hanno esercitato un controllo editoriale diretto su più di 2.500 produzioni cinematografiche e televisive, la maggior parte delle quali dal 2001. In precedenza, la maggior parte dei commentatori riteneva che queste agenzie fossero state coinvolte solo in qualche centinaio di film.

Theaters of War si apre con il coinvolgimento del Pentagono in Top Gun: Maverick, che al botteghino ha incassato 1,48 miliardi di dollari, posizionandosi come il secondo film di maggior incasso del 2022 e il film che di Tom Cruise che ha incassato di più nella storia della sua carriera.

Sulla scia dell'assistenza militare fornita a Top Gun, il suo predecessore del 1986, gli studios hanno permesso all'Entertainment Media Office del Pentagono di editare e modificare la sceneggiatura per aggiungere "punti chiave". All'"Ufficio" è stata anche concessa una proiezione speciale del risultato finale prima della sua uscita ufficiale.

Il documentario ripercorre l'evoluzione del rapporto di Hollywood dopo la Seconda guerra mondiale con il complesso militare-industriale e con gli accademici, come Lawrence H. Suid (Guts & Glory: The Making of the American Military Image in Film [2002]). Il documento esamina inoltre come la CIA abbia creato negli anni '90 un proprio ufficio per i media dell'intrattenimento, che si è rapidamente trasformato in un ufficio di promozione, consulenza e persino scrittura di alcuni film per gli studios.

Oliver Stone ha raccontato in Theaters of War i suoi tentativi falliti di ottenere l'assistenza per “Platoon”, basato sulle sue esperienze nella guerra del Vietnam, e per “Nato il 4 luglio”, sul veterano paralitico del Vietnam Ron Kovic. L'esercito ha rifiutato categoricamente le sceneggiature antibelliche di Stone, sostenendo cinicamente che fossero inaccurate.

"L'intera etica di quell'ufficio [dei media di intrattenimento] al Pentagono è che dovrebbero fornire accuratezza ai registi, ma fanno il contrario. Forniscono imprecisioni e bugie", spiega Stone. "Vogliono solo film che glorifichino il soldato americano, che esaltino il nostro patriottismo, la patria e il nazionalismo, [e] questo [genere di] assurdità. Feticizzano i militari".

Sebbene gli esempi delle produzioni di Hollywood/Pentagono-CIA siano troppo numerosi per essere tutti citati in questa sede, Theaters of War si concentra su alcuni film e produttori di alto profilo. Tra questi Jerry Bruckheimer (Pearl Harbor) e Michael Bay (Armageddon) e la sua serie di Transformers.

Theaters of War contiene una clip di Michael Bay seduto accanto a Phil Strub, che ha diretto l'Entertainment Media Office per quasi 30 anni, che si vanta di avere "una linea diretta con il Pentagono".

Il documentario esamina anche alcuni blockbuster multimilionari, come Godzilla e il franchise di Iron Man della Marvel, che, in seguito agli interventi del Pentagono, hanno capovolto l'intento politico delle loro storie originali e hanno glorificato i militari, presentando l'uso delle armi nucleari come una forza del bene.

Come racconta Tanner Mirlees dell'Ontario Tech University nel documentario, la fantascienza e il fantasy forniscono "uno spazio immaginario per la sceneggiatura e la rappresentazione dei vari melodrammi militari, senza dover mai affrontare le reali motivazioni della politica estera nel mondo di oggi o le conseguenze per coloro che combattono per suo conto e muoiono nella sua scia".

Theaters of War smonta anche The Long Road Home (2017), una miniserie televisiva sul disastroso intervento militare dell'esercito statunitense a Sadr City, in Iraq, in cui 60 soldati statunitensi furono feriti e otto uccisi all'inizio di aprile 2004.

La miniserie è stata realizzata con la stretta collaborazione del Pentagono, che ha messo a disposizione Fort Hood, la più grande base militare americana e il suo campo di addestramento alla guerra interna, che è stato rimodellato per assomigliare a Sadr City e utilizzato per le riprese della produzione televisiva.

Due ex soldati statunitensi, Duncan Koebrich e Travis Walker, che sono stati coinvolti nell'azione, spiegano come il programma distorca palesemente quanto accaduto, presentando falsamente il tenente colonnello Gary Volesky come un eroe in prima linea. Denunciano inoltre il programma per aver denigrato Tomas Young, uno dei tanti feriti gravi.

Young, rimasto permanentemente paralizzato dopo essere stato ferito, è diventato un determinato attivista contro la guerra in Iraq e un attivista per la pace. Casey Sheehan, il figlio 24enne dell'attivista contro la guerra Cindy Sheehan, è stato ucciso nello stesso incidente.

I veterani hanno detto che l'imboscata è stata a lungo un imbarazzo per la leadership, un errore strategico e anche un segno di palese disprezzo per le proprie truppe. I vertici hanno preso decisioni che hanno inimicato la popolazione locale, ad esempio, e allo stesso tempo hanno fatto pochi sforzi per fornire ai soldati un'armatura di base e veicoli blindati. Dopo l'imboscata, i vertici militari erano così preoccupati per la reazione dell'opinione pubblica in patria che hanno istituito un blocco delle comunicazioni. I soldati feriti e morenti non potevano chiamare le loro famiglie.

Lo spettacolo ignora tutto questo e presenta invece la propria contro-narrazione. C'è un'intera scena in cui i veterani feriti chiamano subito i loro cari a casa. Non è una discrepanza che abbiamo incluso nel documentario, ma per me era un indicatore che qualcosa non quadrava.

Il documentario racconta però la storia del tenente colonnello Gary Volesky. Era al comando quando è avvenuta l'imboscata. Nella vita reale, è rimasto al quartier generale. Nella serie, invece, è in prima linea a combattere eroicamente per i suoi uomini. I veterani non potevano credere ai loro occhi quando l'hanno visto in TV. Uno di loro l'ha definito un palese insabbiamento. Direi che è molto simile a come Black Hawk Down ha riabilitato la disfatta in Somalia. (cit. Roger Stahl)

Theaters of War fa notare che gli Stati Uniti hanno speso circa 8.000 miliardi di dollari per bombardare 70 Paesi in tutto il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale e fa riferimento al numero impressionante di morti e di sofferenze indicibili. Tra questi, oltre 200.000 morti in Afghanistan e più di un milione solo in Iraq, e circa 59 milioni di rifugiati in tutto il mondo.

Nonostante il potente materiale raccolto in Theaters of War, il documentario si conclude con un appello alla legislazione o a un'azione giudiziaria per obbligare Hollywood a inserire un testo all'inizio di ogni film o programma televisivo che informi lo spettatore che è stato realizzato in collaborazione con il Pentagono e/o la CIA. Questo appello è del tutto inutile.

Sebbene il pubblico debba essere informato su chi ha prodotto ciò che sta guardando, questo sottovaluta gravemente l'imperialismo statunitense e il suo complesso militare-industriale e la minaccia che costituisce per i diritti democratici fondamentali e per l'esistenza di tutta l'umanità. Nonostante questa debolezza critica, Theaters of War merita di essere reso disponibile al pubblico di tutto il mondo. Le sue rivelazioni sono un atto d'accusa devastante nei confronti di Hollywood e dei capi dell'industria dell'intrattenimento che non hanno avuto bisogno di essere persuasi che si potevano ottenere enormi profitti producendo propaganda bellica per l'esercito statunitense.

In una recente intervista, Roger Stahl ha evidenziato come il coinvolgimento militare nelle produzioni cinematografiche di Hollywood risale a film come La nascita di una nazione. L'esercito, spiega, ha assistito il film, il che ha dato loro una certa influenza sulla storia. Questo è stato il primo modello per quella che è diventata una massiccia operazione di pubbliche relazioni.

Nel 1927 l'esercito americano pubblicizzava la sua potenza aerea con il film della prima guerra mondiale Wings, che esagerava il suo ruolo nel conflitto aereo. Ha fornito un'enorme quantità di equipaggiamento militare da più basi: più di 3.000 fanti, centinaia di aerei. Ci sono stati molti incidenti e feriti. 

Per avere un'idea del livello di impegno militare, un cadetto è morto in uno dei tanti incidenti aerei organizzati e l'esercito ha stabilito che è stato ucciso durante il suo dovere. Assurdo ma vero. Il film ha vinto il primo Oscar in assoluto, quindi ha dato i suoi frutti in termini di pubblicità militare.

Durante la seconda guerra mondiale, l'Office of War Information [OWI], come veniva chiamato allora, aveva fatto ulteriori incursioni con Hollywood. Dopo la guerra, nel 1949, i militari istituirono formalmente quello che allora era noto come Motion Picture Production Office, che riuniva tutti i singoli rami del Dipartimento della Difesa al Pentagono a Washington, DC. Ora si chiama Entertainment Media Office.

Stahl ha confermato come, allo stato attuale, la cooperazione tra Pentagono e CIA esiste su oltre 2.500 film e programmi televisivi, con totale controllo dello script.

Si suppone che i produttori paghino per ciò che usano, una regola che l'ufficio cita sempre nelle dichiarazioni pubbliche. Quello che non dicono è che l'esercito riduce costantemente i costi per i produttori, perché vogliono che loro tornino in continuazione. Se potessero, darebbero tutto gratis.

In effetti, lo hanno fatto gratuitamente fino al 1964, quando il Congresso li ha costretti a far pagare. Ci fu una controversia intorno alla produzione de Il giorno più lungo [1962]. L'esercito aveva prelevato un gruppo di persone da una base in Germania per farle lavorare sulle spiagge della Normandia in Francia come comparse, il che significava che non c'erano molte truppe in giro per affrontare la crisi di Berlino che si stava svolgendo nello stesso periodo. La cosa finì sui giornali, il Congresso ne parlò e si parlò molto di quanto i contribuenti pagassero per fare i film di Hollywood. Ora c'è una regola per tranquillizzare l'opinione pubblica. Nominalmente, l'aiuto dovrebbe essere a costo zero per il contribuente, ma l'ufficio dello spettacolo sembra sempre cercare un modo per aggirare la regola.

Alla fine degli anni Duemila, continua Stahl, l'Entertainment Media Office si occupava soprattutto di Reality TV e talk show, ma nel 2010 è entrato nel territorio di YouTube, dei giochi e di ogni altro tipo di piattaforma mediatica.

La sorpresa più grande è stata la quantità di materiale - e di diversi tipi di media - con cui stanno lavorando. Chiamarlo complesso militare-hollywoodiano è davvero un termine improprio, perché si ha a che fare con quasi ogni tipo di attività mediatica: eventi sportivi e parate, di fatto, qualsiasi cosa appaia in TV, videogiochi, social media, e così via. I militari sono coinvolti in cose che non si direbbero produzioni militari. Ad esempio, realizzano un numero sorprendente di programmi di cucina e di dolci.

Tutto ciò indica un allontanamento dal film di guerra per lavorare all'interno di un ambito narrativo progettato per fare qualcos'altro. Non si tratta solo di giustificare la politica militare, ma di tirare le fila emotive e far sì che la gente si abitui alla presenza di personale militare, basi militari, operazioni militari e armi. Questa è la strategia di base, orientata a massaggiare gli atteggiamenti politici del corpo politico americano in modo che i finanziamenti militari continuino a fluire.

Finora il film è uscito solo sul mercato educativo – college e università – quindi l'esposizione è stata limitata. Stahl racconta che la reazione del pubblico è in gran parte stupefatta. Molti sapevano dell'esistenza di questi uffici, ma non ne avevano compreso la profondità dell'influenza. “Anche i colleghi che studiano in questo settore sono rimasti sorpresi. Ho inviato uno screener a uno che mi ha detto che sua moglie andava a controllarlo perché urlava ripetutamente una versione di "WTF!" allo schermo”.

Altre nazioni industrializzate e democratiche hanno tratto una lezione dal modello statunitense: il Regno Unito e Israele hanno sistemi simili che risalgono almeno agli anni '80. La Germania si è recentemente impegnata in una serie di reality show a tema militare mentre costruiscono la Bundeswehr. Tuttavia, a detta di Stahl, gli Stati Uniti sono ancora il giocatore dominante. Molti paesi fungono da siti di produzione stranieri per progetti ufficialmente approvati. Black Hawk Down (2001) e The Hurt Locker (2008) sono stati girati in Giordania, ad esempio, un alleato degli Stati Uniti.

Anche la Cina esercita una pressione su Hollywood, in quanto per accedere al suo mercato, i produttori a volte devono rispettare le regole del governo cinese. Ad esempio, Stahl racconta di una controversia su Top Gun: Maverick che riguardava un adesivo con la bandiera taiwanese sulla giacca da volo di Maverick. I cinesi hanno chiesto che fosse rimosso e i cineasti lo hanno fatto, il che ha causato polemiche negli Stati Uniti.

È bene tenere d'occhio questo tipo di influenza, ma è del tutto prevedibile e relativamente limitata. Credo che la domanda più urgente per noi statunitensi sia perché permettiamo ai militari di condurre operazioni di propaganda contro la nostra stessa popolazione. E per coloro che vivono in altre parti del mondo, la domanda è quale effetto geopolitico abbia il fatto che il più grande esercito del mondo sia in grado di gestire il più grande sistema di intrattenimento del mondo per scopi di pubbliche relazioni.

Stahl pochi giorni fa, dopo aver anticipato di aver ricevuto un grosso finanziamento per poter chiedere a Netflix di trasmettere il documentario - ma ha tenuto nascosto da chi provenga - ha risposto ad una domanda specifica sulla russofobia che ha invaso da tempo Hollywood e su quale effetto può aver avuto nel plasmare la percezione statunitense e globale della guerra in corso in Ucraina:

Il problema principale della narrazione dominante ora è che non c'è spazio per considerare come l'espansione della NATO, che negli ultimi anni ha eretto siti missilistici statunitensi in Polonia e Romania, abbia giocato un ruolo nella reazione della Russia. Ciò che avrebbe potuto essere contenuto attraverso un ritiro militare negoziato si è trasformato in un disastro prolungato per l'Ucraina. L'incessante demonizzazione della Russia da parte di Hollywood e dell'Entertainment Media Office ha contribuito a questo fenomeno. Si possono citare innumerevoli esempi. Certo, c'è la demonizzazione residua della Guerra Fredda, ma anche dopo di essa lo spauracchio russo è apparso costantemente nelle produzioni sostenute ufficialmente. I giochi di Call of Duty presentavano molti personaggi malvagi, ma i principali burattinai erano russi. Il primo film di Iron Man (2008) lo vedeva combattere in Afghanistan, ma ricordiamo che nel secondo (2010) c'era un russo malvagio, frustato e sadomasochista, interpretato da un goffo Micky Rourke. Altri film come Il corriere (2020), Hunter Killer (2018), La guerra di Charlie Wilson (2007), The Fate of the Furious (2017), gran parte di Jack Ryan (2018-22) e Bridge of Spies (2015) riprendono i tropi della Guerra Fredda o inseriscono i russi come problema. Queste cose hanno l'effetto di creare una riserva di animosità. Questi atteggiamenti influenzano direttamente la possibilità di avere una vera conversazione sulla politica estera degli Stati Uniti nei confronti della Russia. In questo momento, la situazione è molto positiva per i produttori di armi, ma estremamente pericolosa per tutti gli altri, soprattutto se si considera la possibilità di un'escalation nucleare.

Do ut des, dicevano gli antichi, dare per avere. A quanto pare è un concetto che CIA e Pentagono hanno ben chiaro.

Comments

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ndr60
Thursday, 04 May 2023 09:39
Vorrei solo segnalare che questi temi sono conosciuti da anni e sono stati trattati nel libro di John Kleeves (alias Stefano Anelli) ("I divi di stato", 1999), mentre le tecniche narrative che veicolano l'ideologia hollywoodista sono ben descritte nel testo di Roberto Quaglia "Il fondamentalismo hollywoodista".

https://it.wikipedia.org/wiki/John_Kleeves
https://roberto.info/it/2017/03/15/il-fondamentalismo-hollywoodista/
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