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Caccia alle streghe: successo di una mitologia e “razionalità” politica

Lettura sotto l’ombrellone

di Gaspare Nevola

Caccia alle streghe. Imperniata su una mitologia. Su una mitologia che ottiene grande successo. E che possiede una sua sorprendente “razionalità” politica. Una storia paradossale ed enigmatica, su cui riflettere. Tra Progresso, Medioevo e Modernità

caccia alle streghePrologo

«La natura aborre il vuoto, anche nella mente. Oggi il penoso vuoto della noia viene riempito e continuamente rinnovato dal cinema e dalla radio, dalla televisione e da giornali. Più fortunati di noi, oppure meno fortunati (chi sa?), i nostri antenati dipendevano, per il lenimento della noia, dagli spettacoli settimanali del loro parroco, completati di tanto in tanto dai discorsi dei cappuccini in visita o dai gesuiti di passaggio. La predicazione è un’arte, ed in questa, come in tutte le altre arti, i cattivi esecutori superano di gran lunga quelli buoni» (Aldus Huxley, 1952)

Oggi, settanta anni dopo, qualcosa di questo ritratto va certamente aggiornato. Rispetto agli anni ’50 dello scorso secolo, alcuni interpreti nuovi della partitura devono trovare posto. Così come è necessario tenere conto di altre arti del sapere e del dire che riempiono il vuoto della mente.

Negli scorsi giorni, sempre al riparo del sacro ombrellone, per distrarmi da una campagna elettorale tirata fino al grottesco da politici e giornalisti e compagnia cantando, ottimi interpreti della “teoria dei campi” ereditata da Bourdieu, ho letto-riletto un vecchio saggio dello storico inglese Hugh Trevor-Roper (1914-2003), La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento, ripescata nella memoria e nella libreria. Ero studente quando lessi per la prima volta questo denso saggio, e ricordo che ne avevo scritto sul quaderno delle letture (chissà dove finito). Procederò con una certa libertà, inseguendo sfide interpretative del passato che si accompagnano a interrogativi sul presente. Cosa pretendere di più da una lettura sotto l’ombrellone e l’orizzonte oltre le onde?

 

  1. Progresso, Modernità e Medioevo. Le streghe, i sabba e la caccia

La «tendenza a considerare la storia europea, dal Rinascimento in poi, come la storia del progresso umano»[1], un progresso ininterrotto, a partire dal Settecento, secolo dei Lumi, è diventata un punto fermo della cultura occidentale. Vero è che di tale progresso si riconoscono «squilibri e ostacoli locali, battute di arresto occasionali», ma ciò non ha distolto lo spirito moderno-contemporaneo dal ritenere che l’andamento generale sia stato di continuo avanzamento: insomma, «La luce, sia pure con forza irregolare, vince sempre sulle tenebre».

Ma ammesso e non concesso che così sia, chiediamoci: a quale prezzo per le epoche storiche e per coloro che in esse hanno vissuto i momenti di “sbandamento del progresso” (se così vogliamo chiamarlo)? La domanda va tenuta ben viva nel presente, con la consapevolezza e la memoria storica che gli “sbandamenti del progresso” tipicamente sfuggono quando essi irrompono nel presente, e al più sono percepiti, chiaramente o meno, solo da coloro che sono le vittime dirette (e talora anche designate) di questi “sbandamenti del progresso”. Le “vittime sacrificali” del progresso?[2].

Nell’immaginario collettivo dominante, e tutt’ora assai diffuso nel mondo occidentale modernizzato, nella cultura di élite quanto in quella popolare o del “ceto medio riflessivo”, salienti tappe dell’emancipazione dall’“oscurantismo medioevale” sono il Rinascimento, la Riforma protestante, la Rivoluzione scientifica, oltre che l’Illuminismo settecentesco. A ben considerarli, però, neppure queste sono state pagine di progresso a tutto tondo: rivelano, piuttosto, il carattere bivalente e talora ambiguo della storia, istillando più di un dubbio sull’idea di un progresso lineare, omogeneo e “tutto d’un pezzo” anche solo in Occidente[3]. Sotto «la superficie di una società progredita, quali oscure passioni e pericolose superstizioni troviamo, a volte scatenate accidentalmente, a volte mobilitate intenzionalmente!». Lo storico esorta a meditare.

Nell’epoca della rivoluzione scientifica e del rinascimento culturale, un’“età dei lumi” ante litteram, esplode e si diffonde una vera e propria ossessione della stregoneria: un capitolo di storia paradigmatico. Il tema che qui interessa è: quali superstizioni originano e qualificano in modo pregante il fenomeno, quelle delle invasate protagoniste del sabba stregonesco o quelle dei dotti protagonisti della caccia e dei roghi nelle piazze, o quelle di entrambi?

Durante l’età moderna, in effetti, è lo stesso vertice della società a essere pervaso dalla superstizione sulle streghe. Il fenomeno investe la vita culturale e spirituale nell’Europa di Bacon e Pascal, di Lipsius e Grotius, di Cartesio e Montaigne. Ossessione e superstizione sono incoraggiate da papi rinascimentali e uomini di Chiesa, da grandi riformatori protestanti e da padri della Controriforma, da sapienti studiosi, giuristi e filosofi. Almeno per questo aspetto, il Medioevo delle tenebre si rivela essere stato un po più civile.

«Nell’alto Medioevo, almeno, non vi fu alcuna caccia alle streghe». Ad esempio, nell’VIII secolo, san Bonifacio, vescovo e monaco benedettino evangelizzatore in terra germanica, stabilisce che la credenza nelle streghe (e nei lupi mannari) non è cosa da cristiani; Carlo Magno decreta la pena di morte contro chiunque avesse mandato al rogo presunte streghe. Nel IX secolo, sant’Agobardo arcivescovo spagnolo di Lione, interprete del così detto “razionalismo carolingio” ed esperto di diritto, confuta la diffusa credenza secondo cui le streghe provocassero le tempeste. Nel XI secolo, le leggi di Colomanno il Dotto, re d’Ungheria, non si occupano delle streghe, ritenendo che “le streghe non esistono”; Giovanni di Salisbury, vescovo-filosofo, di orientamento aristotelico, esponente di rilievo della scuola di Chartres, intellettuale di grande prestigio e autore di un trattato (Polycraticus)[4] considerato la prima grande opera di filosofia politica del Medioevo, afferma che il sabba era una mera invenzione fantastica.

Ebbene, verso la fine del Medioevo, tutte queste dottrine e disposizioni di legge poste a plasmare la realtà sociale e a orientare il governo della società, vennero rinnegate o superate allorquando si affermarono le tendenze ad alimentare l’ossessione delle streghe. Così le leggi di Carlo Magno e di Colomanno tramontano: chi negava l’esistenza di voli notturni e metamorfosi stregoneschi è ora dichiarato eretico, i sabba assurgono a “verità obiettiva” e coloro che non la riconoscono sono considerate persone malate di mente. Con il tramonto del Medioevo si consuma un ribaltamento delle idee sulla stregoneria: si infiammano le persecuzioni, e i roghi. In quest’opera di “riconversione” dei giudizi si cimentarono alacremente, con arditezza e ingegno, ecclesiastici e giuristi. E un po’ tutti gli esperti accreditati dell’epoca.

Intorno al 1490, la nuova dottrina della stregoneria venne fissata nella sua forma definitiva: ora si trattava solamente di applicarla, e con ciò ricercare, individuare e distruggere le streghe. Per così dire, i frati del Medioevo seminarono e i giuristi del XVI raccolsero (e quale messe di streghe!). La ricostruzione offerta da Trevor-Roper è eloquente: «Tutto il mondo cristiano, a quanto pare, è alla mercé di quelle orrende creature. Si scopre improvvisamente che paesi in cui esse in passato erano sconosciute ora ne formicolano, e più cerchiamo attentamente, più ne troviamo. Tutti gli osservatori coevi sono d’accordo nell’affermare che le streghe si stanno moltiplicando con un ritmo incredibile. Hanno acquistato poteri in passato sconosciuti, hanno creato una complessa organizzazione internazionale e elaborato costumi sociali di indecente raffinatezza. Alcuni degli intelletti più grandi dell’epoca abbandonano lo studio delle scienze umane per esplorare questo continente appena scoperto». È la scoperta quasi di “un’altra America”, che offre ai ricercatori la possibilità di confermare con crescente sicurezza come stanno “i fatti”: ai ricercatori che esaminano il “nuovo continente” sul campo e nei confessionali, a quelli che studiano nelle accademie, nelle biblioteche o nei chiostri, o che conducono ricerche nei laboratori sperimentali delle camere di tortura. Da questa vasta opera di ricerca e valutazione prorompono scenari più allarmanti che mai: per la sicurezza del corpo e dell’anima, per le singole persone e per l’intero universo sociale.

Tra il 1580 e il 1630, negli anni in cui matura il pensiero scientifico di Galileo e di Bacon e in cui Cartesio fa i conti con Montaigne, numerosi sono gli esperti e i sapienti che, sulla base di “confessioni certificate”, rilevano come migliaia di donne, vecchie e giovani, stipulassero segreti patti col diavolo, con il Principe delle Tenebre, diventato una grande potenza spirituale che agisce alla riconquista dell’impero perduto. La situazione che emerge dalle indagini svolte da esperti e sapienti è così riassumibile: «Ogni notte, queste malconsigliate signore si ungevano con ‘grasso del diavolo’, fabbricato con le carni di bambini uccisi, scivolavano attraverso fessure e serrature e cappe di camino, inforcavano scope o fusi o caproni volanti e si involavano in un lungo e incredibilmente stancante viaggio aereo verso un convegno diabolico, il sabba stregonesco. In ogni paese avvenivano centinaia di sabba, più numerosi e affollati delle corse dei cavalli e delle fiere». Durante il sabba, «Si univano tutti nella venerazione del diavolo e danzavano intorno a lui al suono di una macabra musica eseguita con strani strumenti: teschi di cavallo, tronchi di quercia, ossa umane, ecc. Quindi, in segno di omaggio lo baciavano sotto la coda se era un caprone, sulle labbra se era un rospo. Dopo di che, a un suo comando, si scatenavano in orge sessuali e banchettavano con cibi a volta a volta suggeriti dall’immaginazione nazionale: in Germania rape affettate, parodie dell’Ostia consacrata; nella Savoia, bambini arrostiti o bolliti; in Spagna, cadaveri dissepolti, preferibilmente di parenti; nell’Alsazia, fricassee di pipistrelli». Tutto questo accadeva in Lorena o nelle montagne tedesche dell’Harz, in Svezia o in Francia, e via dicendo un po’ in tutta Europa. La situazione che veniva messa in luce destava acuta preoccupazione. E confermava la necessità di una sempre maggiore vigilanza da parte delle forze dell’ordine, e della “polizia spirituale” in primis: è un quadro di vera e propria emergenza pubblica e collettiva, di una minaccia alla salute della società, e come tale veniva agitato dalle autorità del tempo.

 

  1. La stregoneria in cerca di spiegazione. Superstizione o eresia?

Per spiegare il profondo degrado intellettuale, culturale e morale che si riteneva provocato dall’estendersi di mentalità e pratiche stregonesche, all’epoca gli esperti formulano teorie anche diverse tra loro; tuttavia, raramente si discostano da quella che era reputata come la magistrale lezione di san Tommaso d’Aquino: il Dottor Angelico e “dottor sottile”, secondo solo a sant’Agostino come fondatore della scienza demonologica.

Proviamo a fare un passo avanti, e riformuliamo i termini del “casus streghe”. Da un lato c’erano le streghe, essere umani sì, ma quinte colonne di Satana in terra; dall’altro, gli esperti e titolati dottori, con la scienza e Dio dalla loro parte. Per tutto il Cinquecento e gran parte del Seicento, era questo il quadro entro il quale si presentava (e si rappresentava) la realtà sociale, un quadro dove la posta in gioco era l’ordine spirituale e civile. Per tutto il Cinquecento e gran parte del Seicento, si credette alla realtà di uno scontro in corso tra il peccato e la malattia, da una parte, e la virtù e la salute, dall’altra. Per quasi due secoli si credette senza dubbio che le superstizioni e l’errore imperversassero nel mondo ignorante e perverso delle streghe e gemmai nel mondo dotto e sano che le perseguitava, le torturava e le condannava alle fiamme. Se la gran parte della società, popolata da non iniziati, poteva anche non accettare o non comprendere tutti i dettagli forniti dagli esperti e dai titolati in scienza e sapienza, concordava comunque almeno sulla sostanza del problema e della soluzione, e pertanto non era né desiderosa, né in grado di discutere con i dotti. E così, due secoli di prediche, di libri, di pratiche e di sentenze contro le streghe trovarono, diciamo, “terra libera”.

Gli storici si sono chiesti: ma questa “crociata” contro le streghe, con i suoi strumenti di lotta e terapia sociale, riuscì almeno a debellare il “virus satanico” e minimizzare il numero dei “contagiati del sabba”? A quanto pare no, è la loro conclusione. Nondimeno, verso la fine del Seicento l’isterismo anti-stregoneria va a scemare, e lo scetticismo verso le credenze e le dottrine sulla stregoneria (fino a quel momento rivelatosi assai sterile) comincia a fare breccia ai vertici della società. Anche se i vecchi atteggiamenti mentali non sono del tutto scomparsi e le polemiche sulle streghe si protraggono, i processi e i roghi, dopo quasi due secoli, tornano a essere episodi sporadici, come lo erano stati prima del Rinascimento.

A questo punto, osserva Trevor-Roper: «Come spiegare questo straordinario episodio della storia europea? Nel XVIII secolo, quando gli illuministi ripensarono a quella follia di un’epoca ancora vicina, la considerarono semplicemente una prova della “superstizione” da cui essi si erano da poco emancipati, e gli storici ottocenteschi, che studiarono il fenomeno con uno spirito più distaccato e scientifico, interpretarono il più vasto materiale a loro disposizione negli stessi termini generali». Ancora nella seconda metà dell’Ottocento, secondo W.E. Lecky, storico inglese della stregoneria, il graduale venir meno della stregoneria altro non sarebbe che un aspetto correlato all’affermarsi del “razionalismo” in Europa. Resta però il fatto che argomenti come questi, nel tempo diventati prevalenti, non riescono a spiegare come mai proprio i secoli del Rinascimento, della Riforma e della rivoluzione nel pensiero scientifico siano stati addirittura tanto meno “razionali” e “scientifici” dei secoli dell’alto Medioevo. Come spiegare questo dato tanto paradossale ed enigmatico emergente dalla storia comparata attraverso i secoli?

È a un grande storico liberale, l’americano H.C. Lea, che si deve, a fine Ottocento, un’idea che getta una nuova luce sulla questione. L’idea, poi rilanciata a metà del Novecento, mette l’accento sulla “compenetrazione tra stregoneria ed eresia”. Questa spiegazione, tuttavia, avverte Trevor-Roper, non deve indurre a «considerare il prolungarsi e persino l’aggravarsi nel tempo dell’ossessione della stregoneria soltanto come una conseguenza del dominio clericale, o la sua scomparsa come logica conseguenza della liberazione dal fondamentalismo religioso». Su queste basi si pone la premessa per un tema di grande rilevanza non solo per la spiegazione della caccia alle streghe in età moderna, ma anche, più in generale, un tema che dischiude prospettive interpretative illuminanti sul piano della teoria e analisi politologico-sociologica di una varietà di fenomeni che segnano il presente non meno della storia. Di cosa si tratta?

Nel contesto dell’analisi della stregoneria, Trevor-Roper concorda con un punto di vista espresso da Lucien Febvre[5], uno dei più perspicaci storici francesi, di formazione filosofica. Febvre mette in guardia dall’interpretare la mentalità (potremmo dire anche la cultura politica) di un’epoca sottoponendola ai criteri cognitivi, alla cultura e alle norme di comportamento tipiche di un’altra epoca. A suo avviso, infatti, la «struttura profonda, la mentalità degli uomini più illuminati» del Cinque-Seicento «erano differenti, e in modo radicale» da quelle degli uomini del «nostro tempo»[6]. La tesi del nostro Febvre neo-illuminista cela un giudizio ottimistico a favore del nostro tempo? Forse sì. Ma è un ottimismo che non ci sentiamo di abbracciare con leggerezza, se solo ci guardiamo attorno e consideriamo, mutatis mutandis, la messa sotto accusa, il dileggio e lo stigma, ovvero i processi e i roghi “virtuali” (ma non per questo meno abrasivi o anche distruttivi) a cui sono stati sottoposti ai nostri giorni i “critici” del pensiero “quasi totalitario” (o neo-totalitario), ad esempio in tema di Covid-19, in tema di gestione della pandemia e di vaccini; ma penso anche agli “obiettori della vaccinazione” o ai “ribelli del green pass” – tutti “critici”, questi, altrimenti sommariamente e con disprezzo etichettati come “no vax”, e trattati alla stregua di attentatori alla salute pubblica o di negazionisti della scienza, “barbari insediatisi nella polis”.

 

  1. Sulle origini della stregoneria. Medioevo “doppio”, “scontro di civiltà” e politicizzazione moderna

Pare storiograficamente accertato che le origini dell’ossessione europea della stregoneria siano da collocare nelle regioni montane delle Alpi e dei Pirenei. Ed è in questa stessa area che l’ossessione assume una formulazione razionalizzata grazie all’intellighenzia domenicana. Vale la pena ricordare come la fondazione dell’ordine mendicante dei monaci domenicani, all’inizio del XIII secolo, avvenga nel contesto della lotta tra la Chiesa cattolica e i movimenti eretici (albigesi, catari e valdesi, in particolare). È infatti proprio per combattere contro i movimenti eretici che viene istituita l’Inquisizione e che la Chiesa romana “incorpora” come ordine monacale (“frati predicatori”) i domenicani. Ed è, altresì, in questo sfaccettato contesto che, nel corso della “crociata” anti-ereticale, gli inquisitori intravedono e sanciscono l’esistenza delle prime manifestazioni della stregoneria, pullulanti sotto la superficie di una varietà di forme di eresia. La stregoneria, pertanto, viene anch’essa intesa e affrontata come un’eresia. Agli occhi dei domenicani, infatti, la stregoneria altro non è che una continuazione, sotto altre sembianze, delle tradizionali eresie teologiche, per quanto essa, a differenza di queste, fosse camuffata, nascosta nella clandestinità e non fosse incline ad elaborare dottrine o, tanto meno, a renderle pubbliche. Quando i domenicani chiedono al papa di disporre di un potere inquisitorio sulla stregoneria, in un primo momento il pontefice si oppone; in seguito alle continue pressioni, alla fine però cede alla richiesta, ciò durante il periodo della “cattività avignonese”, segnatamente sotto il pontificato di due papi francesi.

Un emblematico segno della “politicizzazione” della stregoneria (e della sua rubricazione come eresia) è il fatto che nel 1440 il papa Eugenio IV, nel bel mezzo di conflitti e divisioni scismatiche all’interno della Chiesa romana, accusa il suo rivale al pontificato (che poi diventerà l’“antipapa” Felice V) di essere il «primogenito di Satana… e strumento delle streghe e dei valdesi». E con questo siano arrivati al cuore del nostro argomento.

Perché mai domenicani e papato, perché mai uomini di cultura e di dottrina, di scienza e di sofisticato uso della parola, esperti sapienti nella definizione del “senso della realtà” (fisica e metafisica, immanente e trascendente, mondana ed extra-mondana, materiale e simbolica), perché mai tanta intelligenza e tanta potenza e i loro signori condussero una guerra tanto spietata e prolungata contro delle “streghe”, cadendo nell’ossessione della stregoneria? Perché non tollerarono o ignorarono il fenomeno, come in passato, un fenomeno che avrebbe potuto continuare a essere trattato come una sorta di stravaganza tutto sommato marginale rispetto all’insieme della vita collettiva? Cosa mai celava, nel profondo, quella che venne razionalizzata come una dirompente eresia? Per quanto simili interrogativi possano risultare anacronistici rispetto all’epoca a cui li rivolgiamo, forse non lo sono del tutto. Infatti, afferma la nostra guida storica, a essere decisive e a spiegare tanto ribollir di stregoneria sono state le «differenze nella struttura sociale». Seguiamo, con un po’ di pazienza, la lettura storica che offre Trevor-Roper, e immergiamoci ancora un po’ nel Medioevo.

«Nel Medioevo la struttura sociale delle popolazioni montane era diversa da quella degli abitanti delle pianure, e quindi esisteva anche una differenza in quei costumi e in quelle credenze che sono il frutto dell’organizzazione sociale e che, nel corso dei secoli, la rendono stabile. Possiamo quasi dire che ci troviamo in presenza di due diverse civiltà». Insomma, il Medioevo è almeno “doppio”: c’è quello che vive nell’organizzazione sociale e mentale con cui siamo soliti caratterizzare l’epoca; c’è quello che (non) vive in quel mondo ma piuttosto a parte, che non risalta nella versione standard del Medioevo, e i cui caratteri per molti aspetti non sono quelli medioevali: estraneo al primo (o estraneo al solo e “vero” Medioevo), pur vivendo “in contemporanea” con esso.

Quella che noi, storicamente, focalizziamo e chiamiamo medioevale, era una civiltà di pianura, di terre alacremente coltivate, le quali sostenevano i manieri e l’organizzazione economica, sociale e politica tipica del “feudalesimo”. Si badi, un aspetto forse un po’ sottovalutato dalla ricostruzione di Trevor-Roper è che questo feudalesimo, in alcune limitate aree del continente europeo, era attraversato dai primi centri cittadini, senza dubbio potenti, i quali costituivano, per così dire, un’“avanguardia” già proiettata oltre il Medioevo feudale, con il quale intrattenevano peculiari conflitti. Ma lasciamo questa precisazione sullo sfondo del nostro discorso, e riprendiamo la via principale. Torniamo, cioè, a quello che un po’ impropriamente, ma per capirci, chiamiamo “l’altro Medioevo”.

Nelle regioni montane, povere, pastorali e votate sostanzialmente a uno spirito e a una vita a loro modo più individualistici o micro-comunitari, il sistema feudale-medioevale non attecchì mai del tutto. Qui nemmeno la religione cristiana riesce a penetrare come avviene nel paesaggio tipico del Medioevo: i missionari vi avevano portato il Vangelo, ma la loro opera non si era istituzionalizzata in una Chiesa stabile; l’ortodossia priva di salde radici si rovescia facilmente in eresie o miscredenze e di fatto, come sottolineato da Fardinand Braudel, tali comunità montane sono rimaste a lungo poco toccate dalle religioni di Stato.

Viste da quest’ultima angolatura, storicamente le comunità montane non sono solo la culla di credenze e di pratiche magiche o stregonesche, ma anche culla di forme religiose “primitive” o di “religiosità naturale”, e come tali formano sacche di resistenza contro le nuove ortodossie in grande mobilitazione nell’età moderna più ancora che in quella medioevale. Quelle montane, pertanto, sono storicamente comunità mai conquistate una volta per tutte, ma soggette a continue riconquiste.

In queste terre dell’“altro Medioevo”, l’antica mentalità, indomita, tende continuamente a riaffiorare[7]. Ma in questo “altro Medioevo”, soprattutto, «l’insofferenza sociale rivestiva panni ereticali e quando le forme ufficiali di eresia erano state ridotte al silenzio o distrutte con i roghi, la stessa incompatibilità di fondo assumeva o sembrava assumere un’altra forma. L’antica superstizione contadina che era parsa abbastanza innocua nelle pieghe di una società conosciuta, assumeva un carattere più pericoloso quando veniva scoperta in forme strane ed esasperate tra gli ‘eretici’ a malapena domati della montagna. Grazie a quell’abisso, a quella inassimilabilità sociale, la stregoneria divenne eresia».

 

  1. Caccia alle streghe tra élite e popolo. Invenzione dell’eresia, intolleranza sociale, repressione

Sulla base di considerazioni come quelle fatte sopra, muta anche l’ottica sulla caccia alle streghe: la persecuzione dell’eresia, cioè, trova origine e spiegazione nell’intolleranza sociale, e ciò indipendentemente dal fatto che l’eresia avesse una forma teologica o quella della stregoneria. Così, ad esempio, nei secoli della modernità la strega e l’ebreo sono visti entrambi come espressioni di un non-conformismo sociale a cui le autorità rispondono con dura repressione. Morale della storia: cambiano le forme, i motivi o i soggetti, ma nella storia la persecuzione si aggiorna e non si arresta. La ragione “reale” di tutto ciò è più profonda di quella, volta a volta, manifesta o dichiarata, di quella (ora più, ora meno) ufficiale o formale.

A questo punto merita attenzione un’ultima riflessione di fondo mutuata da Trevor-Roper e che fa da catalizzatore dei suoi argomenti. E qui lascio il lettore immergersi direttamente nelle parole dello storico inglese, che articolo in una serie di citazioni suddivise in due considerazioni finali.

PRIMA CONSIDERAZIONE. «Se è vero che i domenicani, con la loro continua propaganda, suscitarono l’odio contro le streghe, essi tuttavia operarono in un contesto sociale propizio. Fuori da tale contesto il loro successo non sarebbe spiegabile, ma nel quadro di esso quei tribuni svolsero un ruolo fondamentale. Fin dal primo momento furono loro che percepirono la pressione sociale, furono loro che la mobilitarono e, per riuscirvi, elaborarono la mitologia senza la quale quella persecuzione non avrebbe mai potuto diventare un fenomeno europeo. È di questa mitologia che dobbiamo ora occuparci».

La «mitologia dell’ossessione della stregoneria è una manifestazione della pressione sociale. In una società religiosa, tale manifestazione assume la forma dell’eresia. Ma prima di prendere in esame una qualsiasi eresia è opportuno chiederci chi in realtà l’abbia enunciata. Furono gli stessi eretici, o furono gli inquisitori ad enunciarla al loro posto? È questa una domanda importante, che deve essere posta a proposito di molte eresie storiche (…). Sicché, quando gli inquisitori scoprirono… i segni di una nuova ‘eresia’, ci poniamo naturalmente la stessa domanda: scoprirono realmente quella nuova eresia, oppure la inventarono?».

SECONDA CONSIDERAZIONE. «La spinta persecutoria partì sempre da un livello inferiore, dagli ordini missionari che vivevano tra il popolo, lungo la delicata frontiera sociale multirazziale, come in Spagna, o in zone di frontiera, le zone missionarie. I papi, è vero, autorizzarono la persecuzione, ma il ritmo era imposto dai tribuni del popolo, e a loro volta costoro erano sensibili alle pressioni del popolo, che era la ricerca di capri espiatori su cui sfogare le proprie frustrazioni sociali».

«Nessun governante, in realtà, ha mai attuato una politica di espulsione o di distruzione di massa senza cooperazione della società. Pensare altrimenti, supporre che un governante, o persino un partito, possano amputare una parte del tessuto vivente della società stessa senza il consenso di questa significa ignorare la lezione della storia. Senza il generale consenso della società, gli strumenti dell’isolamento e dell’espulsione non possono neppure essere creati. Alla base dell’istituzione dell’Inquisizione spagnola sta il risentimento sociale del pueblo spagnolo, non il fanatismo dei re spagnoli. La società spagnola approvò la persecuzione degli ebrei e l’espulsione dei moriscos. La società francese applaudi il massacro degli ugonotti nel 1572, e la loro espulsione nel 1685. La società tedesca fornì a Hitler gli strumenti per distruggere gli ebrei. Poi quando gli umori mutano, o quando la pressione sociale, grazie a quel salasso, è diminuita, il popolo anonimo si ritrae, addossando la responsabilità ai predicatori, ai teorici e ai governanti che chiesero, giustificarono e ordinarono l’azione. Ma lo storico deve presentare anche al popolo il suo conto. Individualmente, può anche essere una parte infinitesimale, ma collettivamente è la più grossa. Senza i tribuni del popolo, la persecuzione sociale non può essere organizzata, ma senza il popolo non può essere nemmeno concepita».

 

  1. Vaso di Pandora: élite, popolo e costruzione del consenso

Bene. Queste considerazioni di Trevor-Roper aprono un vaso di Pandora. Sono, e devono essere, contro-argomentabili. Sollevano questioni spinosissime, tanto sul piano dell’analisi scientifica dei fenomeni considerati, quanto su quello della responsabilità politica nelle vicende storiche o del presente. Nondimeno, tali questioni sono ineludibili, a meno che non ci si trinceri come depositari di incrollabili fedi scientifiche o politiche, fedi che chiudono il discorso, laddove penso, invece, che esso debba essere tenuto aperto e che debba essere sempre riaperto, generazione dopo generazione.

Trevor-Roper, con la sua analisi e i suoi argomenti, getta una luce non banale sulla storia. Ma i suoi argomenti finali si fermano a mezz’aria, finendo per risultare figli di una visione non poco semplicistica della politica e delle dinamiche collettive e pubbliche di una società. Tra élite e masse, infatti, le dinamiche sono più sottili e complesse di quanto lo storico inglese ci dica. I “popoli” in faccende come quelle qui in gioco non sono certo innocenti, non lo sono mai. Popoli ed élite giocano insieme, sponda gli uni degli altri, esercitando la loro forza, ora si incontrano ora si scontrano, a seconda dei casi. Ma oltre al fatto che tanto tra le élite quanto tra le masse sussistano divisioni anche significative, ciò che soprattutto conta è che tra le prime e le seconde di norma è dato uno squilibrio di forze, di potere, di risorse e di strumenti di cui essi dispongono, e con i quali partecipano al gioco comune, anche a quello delle responsabilità. E questo fa la differenza. Ciò detto, tuttavia, resta il fatto, diciamolo così, che se Davide nemmeno ci prova a far valere le sue ragioni contro Golia, chiaro è che la partita neppure comincia; oppure che, se partita c’è, il gioco è truccato nella sua “essenza”, che la medaglia d’oro non è mai in effetti in palio e che quella che va a Davide quando ha la meglio su Golia è solo e sempre una patacca. Ma la medaglia d’oro, poi, esiste? Forse deve ancora essere scoperto qual sia e dove stia… Con tutto questo dobbiamo fare i conti.

Insomma, la grande questione che a Trevor-Roper sorprendentemente sembra sfuggire è quella della “costruzione del consenso”. La “fabbrica del consenso” è caratterizzata da un’organizzazione più complessa e sofisticata di quanto a volte si pensi; possiede e fa uso di risorse, tecniche e capacità talora troppo difficili persino da immaginare, figuriamoci da vedere concretamente e puntualmente all’opera sì da poterne comprovare e certificare l’esistenza e il funzionamento nella “realtà empirica” e documentabile. La costruzione del consenso è solo l’altra faccia della logica del potere. Cioè: è tutto (o quasi). E non si dimentichi che il potere è faccenda “relazionale”, ma anche faccenda “arcana”.

Ci siamo allontanati troppo dalla nostra lettura? Può essere. E mentre in spiaggia si chiudono gli ombrelloni, chissà se qualcuno, al calar della sera, ha ancora voglia di “ascoltare” l’epilogo?

 

Epilogo

In epilogo, ritorniamo per un momento al caso contemporaneo dei così detti no vax & no green pass, più sopra richiamata en passant. Dietro l’oscurantismo ad essi attribuito, allora, quale altra eresia, forse, si nasconde? Su questo, eventualmente, gli storici avranno in futuro molto da lavorare, per cercare di scoprire, capire e spiegare quale fu, all’inizio degli anni ’20 del XXI secolo, l’“altra eresia” in gioco, chi la commise ovvero chi la “inventò” e perché; e chi i responsabili delle “persecuzioni”. E perché e come accaddè tutto ciò che accaddè in un mondo tanto (seppur variamente) ipermoderno. Al riguardo, la lezione di Pierre Bourdieu può aiutare a definire un quadro teorico-analitico e interpretativo utile allo scopo. Ad esempio, mettendo in evidenza quanto la storia sia il frutto della lotta per il controllo e per l’imposizione della “visione del mondo legittima” e valida per tutta un’epoca, quali che siano le “altre visioni” della realtà sociale che vi si oppongono.

Dopo tanto dire, caro lettore, la lettura sotto l’ombrellone termina con due tesi finali:

La prima: la storia, nel suo corso, definisce gli equilibri tra le forze del “campo” in lotta.

La seconda: il “campo delle forze in lotta” per il potere di definire e far valere una data visione della realtà, e per renderla dominante (egemonica), definisce, a sua volta, e fa valere i contorni e i caratteri di un’epoca storica. Anche su questo oggi c’è da riflettere non poco.

E ora spaghetti cozze e vongole!


LETTURE PER APPROFONDIMENTI
Agnoletto A., Lazzati M.R., Abbiati S., La stregoneria: diavoli, streghe, inquisitori dal Trecento al Settecento, Mondadori, 1999.
Berger P.L., Le piramidi del sacrificio. Etica politica e trasformazione sociale, Einaudi, 1981.
Bordieu P., Sul concetto di campo in sociologia, Armando, 2010.
Braudel F., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, 2002.
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Michels R., Intorno al problema del progresso, Armando, 2011.
Trevor-Roper H., La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento, in Id., Protestantesimo e trasformazione sociale, Laterza, 1977.

NOTE
[1] Salvo diversa indicazione, le citazioni contrassegnate da <<virgolette a sergente>> sono tratte da H. Trevor-Roper, La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento.
[2] Su questo tema vedi ad esempio P.L. Berger, Le piramidi del sacrificio. Etica politica e trasformazione sociale, Einaudi, 1981.
[3] In generale, sul carattere ambivalente del progresso vedi R. Michels, Intorno al problema del progresso, Armando, 2011.
[4] Traducibile con “uomo di governo”.
[5] Consideriamo la tesi Lucien Febvre come un autorevole sostegno a un punto di vista che è stato, come è noto, formulato secondo differenti declinazioni anche da altri studiosi nel campo della storiografia, delle scienze sociali e della filosofia. Ma su questo punto non possiamo attardarci.
[6] Vedi L. Febvre, Sorcellerie: sottise ou révolution mentale, in “Annales. Économies, sociétés, civilizations”, 1948.
[7] Come documenta la ricerca storica, così è stato per secoli.

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