Le radici sociali della crisi economica
V. Parlato intervista Giorgio Lunghini
Negli ultimi decenni c'è stato un cospicuo spostamento, nella distribuzione del reddito dai salari ai profitti e alle rendite, che ha prodotto insufficienza di domanda effettiva e disoccupazione crescente
Sono d'accordo su tutto quanto ha scritto Pierluigi Ciocca, ma circa le cause della crisi attuale del capitalismo occidentale, versione italiana compresa, io insisto soprattutto sulla stretta e inscindibile interconnessione, in un sistema capitalistico, tra gli elementi reali e gli elementi monetari. Un sistema economico capitalistico potrebbe riprodursi senza crisi; ma se e soltanto se la distribuzione del prodotto sociale tra lavoratori, capitalisti e rentier fosse tale da non generare crisi di realizzazione, di «sovrapproduzione» rispetto alla capacità d'acquisto; e se e soltanto se moneta, banca e finanza fossero al servizio del processo di produzione e riproduzione del sistema, e non dessero invece luogo a sovraspeculazione e a crisi di tesaurizzazione.
Negli ultimi anni (decenni) si è invece avuto un cospicuo spostamento, nella distribuzione del reddito, dai salari ai profitti e alle rendite, e dunque si è determinata una insufficienza di domanda effettiva e una disoccupazione crescente. D'altra parte la finanza è diventata un gioco fine a se stesso. In condizioni normali la finanza è un gioco a somma zero: c'è chi guadagna e chi perde; ma quando essa assume le forme patologiche di una ingegneria finanziaria alla Frankestein, ci perdono tutti: anche e soprattutto quelli che non hanno partecipato al gioco.
Si tratta solo di una crisi economica? Non c'è anche un aspetto sociale e culturale? C'è un minor peso delle giovani generazioni indirizzate al lavoro o all'imprenditoria? Siamo un paese che invecchia?
Questo è un paese né per giovani né per vecchi, non soltanto per ragioni economiche, ma anche e talvolta soprattutto per ragioni sociali e culturali. Negli ultimi vent'anni il degrado culturale, nel nostro paese, è stato ancor più grave di quello economico e è stato anche causa del degrado economico e sociale. Non sto a descriverlo, perché ci vorrebbe uno storico o uno scrittore di vaglia. In un paese civile la scuola è l'istituzione più importante. Le nostre scuole, di ogni ordine e grado, dalla scuola elementare alle università, erano motivo di vanto internazionale. Oggi, in generale - ovviamente ci sono delle eccezioni - sono in pessimo stato e grazie alle riforme in atto peggioreranno ancora. Per quanto riguarda l'Università, oggi si vorrebbe che l'università si trasformasse in una azienda al servizio delle imprese. Invece la riduzione dell'università a strumento mercantile non sarebbe affatto nell'interesse delle imprese; per non parlare della questione davvero importante, cioè della libertà della scienza. Nelle prospettive attuali della scienza e della tecnologia, e nelle condizioni attuali del lavoro, la cultura e le conoscenze richieste non sono affatto di tipo specialistico. Occorrono invece solide basi culturali, e l'unica cultura solida è una cultura critica.
C'è la globalizzazione, ma senza un potere dominante; la globalizzazione può diventare disordine? Quanto pesa in questa nostra crisi economica la crisi della politica e dello stato?
La globalizzazione è stato un tentativo ingenuo e fallimentare di contrastare la caduta tendenziale del saggio dei profitti, ma una strategia di beggar-my-neighbour, di rubamazzetto, non può durare a lungo. Infatti il suo esito, oggi come nel '29, è stato la crisi. La globalizzazione è in sé un processo di dis-ordine, nella misura in cui comporta la decadenza degli stati nazionali e la loro perdita di sovranità. I paesi europei avrebbero potuto contrastare questa conseguenza della globalizzazione conferendo all'Unione Europea un potere politico effettivo, ma ciò non hanno fatto e non hanno nessuna intenzione di fare.
Di qui quell'altra creatura minacciosa che è il «senato virtuale», secondo una definizione che N. Chomsky mutua da B. Eichengreen. Questo senato virtuale è costituito da prestatori di fondi e da investitori internazionali che continuamente sottopongono a giudizio, anche per mezzo delle agenzie di rating, le politiche dei governi nazionali; e che se giudicano «irrazionali» tali politiche - perché contrarie ai loro interessi - votano contro di esse con fughe di capitali, attacchi speculativi o altre misure a danno di quei paesi (e in particolare delle varie forme di stato sociale). I governi democratici hanno dunque un doppio elettorato: i loro cittadini e il senato virtuale, che normalmente prevale.
Si parla di crisi finanziaria, ma c'è oggi anche una crisi del nostro sistema bancario? Mediobanca di Cuccia non c'è più e anche le grandi imprese di una volta sono tramontate.
Il sistema bancario italiano se la cava meglio di altri, per molte ragioni e non tutte positive. Qui si torna al ruolo della banca e della finanza. Se banca e finanza sono al servizio e di stimolo all'industria, il loro ruolo è essenziale e può dare un contributo importante a risolvere quel problema di crescita di cui parla Pierluigi Ciocca. Ma se non lo fa, e i «piani industriali» delle banche italiane non sono molto promettenti, quel problema di crescita si aggraverà. La struttura dimensionale delle imprese italiane, d'altra parte, è l'altra faccia dello stesso problema.
Il diminuito peso della classe operaia di fronte a un ceto medio (proprietario di abitazione) crescente è un ulteriore freno alla crescita economica?
Se la classe operaia è quella costituita dai lavoratori salariati, non sono del tutto sicuro che il suo peso sia diminuito: è che loro non lo sanno. Infatti lavoro salariato è oggi qualsiasi lavoro che in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, nella fabbrica o nella società, sia lavoro la cui quantità, qualità e remunerazione dipende dalle decisioni del capitale circa le proprie modalità economiche e politiche di riproduzione, e in particolare circa la scelta delle merci da produrre, delle tecniche di produzione e delle forme di organizzazione del lavoro. Questo è un problema, naturalmente, per le organizzazioni politiche e sindacali.
La crisi delle sinistre ha un peso negativo?
Io sono affezionato all'ultimo editoriale di Luigi Pintor: «La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa è fuori scena».
Infatti a Milano i primi che si sono accorti della grave situazione economica e sociale, e che hanno sostenuto la prima vera novità nella politica italiana, sono stati un Alto Borghese e un Alto Prelato.