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eticaeconomia

Pasinetti e l'approccio classico-keynesiano

di Paolo Paesani

Paolo Paesani, ricordando Luigi Pasinetti, si misura con la sua proposta di sviluppare un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra l’economia classica e l’economia keynesiana. Paesani richiama i 9 elementi che lo stesso Pasinetti aveva indicato come base per costruire quella sintesi e, attingendo anche a un recente volume curato da Bellino e Nerozzi, illustra l’importanza ma anche la difficoltà di approfondire e integrare tra loro quei 9 elementi

1juytd0Luigi Pasinetti, scomparso di recente, è stato uno dei più importanti economisti teorici italiani del secondo dopoguerra. Uno degli assi portanti del suo programma di ricerca, come sottolinea Sebastiano Nerozzi nel suo ricordo in questo del numero del Menabò, è il tentativo di costruire un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra economia classica ed economia keynesiana, in alternativa al marginalismo e all’individualismo metodologico tuttora dominanti.

Dall’economia politica classica, Pasinetti trae l’idea che il sistema economico debba essere concepito come un insieme di settori produttivi interconnessi che si possono analizzare indipendentemente dallo studio delle scelte degli agenti individuali che si muovono al loro interno. Queste connessioni costituiscono la struttura dell’economia, una struttura che cambia nel tempo per effetto del progresso tecnologico e del mutamento dei consumi secondo una dinamica ciclica. Da Keynes e i keynesiani, Pasinetti trae il principio della domanda effettiva, l’ipotesi, empiricamente fondata, che la propensione al risparmio dei percettori di profitti sia maggiore di quella dei salariati, l’idea che gli investimenti hanno un ruolo centrale nel determinare la dinamica dell’economia e la convinzione che disoccupazione e disuguaglianza siano i mali principali del capitalismo.

In un libro del 2007, Keynes and the Cambridge Keynesians, Pasinetti affronta il problema di definire le basi dell’approccio classico-keynesiano, nell’ambito di una riflessione più ampia sulla rivoluzione incompiuta di Keynes, sui contributi principali di alcuni esponenti della Cambridge School of Economics (Kahn, Robinson, Kaldor, Sraffa, Goodwin) e sui legami tra quei contributi e gli schemi analitici da lui stesso elaborati.

Nell’ambito di questa riflessione, Pasinetti stila un elenco di nove elementi che, a suo parere, servono come base per costruire una sintesi tra l’approccio degli economisti classici riletto alla luce del contributo di Sraffa e l’economia di Keynes e dei Keynesiani di Cambridge.

I nove elementi, giova ricordarlo, sono questi: 1) Realtà (e non solo razionalità astratta) come punto di partenza della teoria economica, 2) Coerenza interna e non solo rigore formale come basi della logica economica, 3) Malthus e i classici (e non Walras e i marginalisti) come fonti d’ispirazione nella storia del pensiero economico, 4) Riferimento ai sistemi non ergodici più che alla stazionarietà, 5) Attenzione alla differenza tra causalità verso interdipendenza nell’analisi economica, 6) Precedenza della macro sulla microeconomia, 7) Disequilibrio e instabilità come condizioni normali dell’economia industriale, 8) Necessità di uno schema analitico appropriato per studiare cambiamento tecnologico e crescita economica, 9) Un forte impegno sociale.

Approfondire e integrare questi nove punti non è cosa agevole ma farlo è importante. Per compiere i primi passi in questa direzione è molto utile un secondo libro, curato da Enrico Bellino e Sebastiano Nerozzi per la Cambridge University Press nel 2021, dal titolo Pasinetti and the Classical Keynesians. Il libro nasce come un tributo a Luigi Pasinetti in occasione del suo novantesimo compleanno e raccoglie nove saggi scritti da autrici e autori di generazioni, nazionalità, impostazioni teoriche diverse, uniti dalla stima verso Pasinetti e i suoi indirizzi di ricerca; una polifonia di voci che trova un punto di sintesi nella premessa al volume (scritta da Mauro Baranzini, Alberto Quadrio Curzio e Roberto Scazzieri), nell’introduzione scritta da Bellino e Nerozzi, nei saggi conclusivi di Nadia Garbellini e Bertram Schefold.

La lettura congiunta del libro di Pasinetti del 2007 e di quello del 2021, curato da Bellino e Nerozzi, porta a delineare un ambizioso programma di lavoro per chiunque, economista o storica o storico del pensiero, provi insoddisfazione verso lo stato attuale della ricerca in campo economico, fondata sull’idea che l’economia sia una scienza “che studia il comportamento umano come una relazione tra fini e mezzi scarsi che hanno usi alternativi”, per dirla con Lionel Robbins, una scienza sperimentale, che vuole assomigliare alle scienze naturali e alla psicologia, troppo spesso basata sulla subordinazione dei contenuti alla forma e sul privilegiare l’analisi quantitativa a una conoscenza approfondita della dimensione storica, giuridica, sociale e politica dei fenomeni economici.

Per chi trovi questi sviluppi insoddisfacenti, il libro curato da Bellino e Nerozzi offre molti spunti interessanti sia sul piano della ricerca sia su quello dei contenuti e dell’organizzazione di una nuova didattica dell’economia. Sul piano della ricerca, sviluppando il quinto punto identificato da Pasinetti, seguire l’approccio classico-keynesiano porta a concentrarsi sull’analisi causale contro l’idea che in economia tutto dipende da tutto e che l’unica strada analitica legittima sia quella che passa per la costruzione di modelli di equilibrio economico generale che determinano simultaneamente prezzi e quantità di equilibrio, sulla base di preferenze, dotazioni dei fattori e tecnologie date. Contro questa impostazione ne esiste un’altra, fondata su un insieme diverso di dati (quantità dei prodotti, salario, tecnologia), consapevole che questi dati cambiano nel tempo e s’influenzano reciprocamente; un’impostazione che determina separatamente prezzi e quantità, ponendo grande attenzione al ruolo delle variabili distributive nel condizionare l’evoluzione dell’economia.

Un secondo elemento sul quale fondare l’approccio classico-keynesiano consiste nel restituire alla macroeconomia, studio del comportamento economico a livello aggregato, una propria autonomia rispetto allo studio delle scelte individuali. Molto del prestigio di Keynes viene proprio da qui, dall’aver ricordato che l’aggregato non si riduce alla somma delle parti e che ciò che è razionale e ottimale a livello individuale (a parità del resto) non lo è necessariamente a livello aggregato e anche dall’ aver spiegato in quali condizioni un sistema economico sviluppato può oscillare stabilmente al di sotto della piena occupazione, pur in presenza di mercati concorrenziali.

L’incompatibilità di fondo tra le conclusioni alle quali era giunto Keynes e la teoria dell’equilibrio di Marshall e Walras ha trovato soluzione nella sintesi neoclassica del pensiero keynesiano, un lungo processo di neutralizzazione, che spiega i risultati di Keynes come conseguenza di imperfezioni nel meccanismo di formazione dei prezzi e dei salari e nella diffusione delle informazioni rilevanti per le decisioni economiche. Al termine di questo lungo processo, capace di superare sfide analitiche e contraddizioni interne, per non parlare del clamoroso fallimento nel prevedere lo scoppio della crisi finanziaria globale, la macroeconomia oggi appare decisamente frammentata. Da un lato, i modelli di Equilibrio Economico Generale Dinamico e Stocastico (DSGE model), emendati per tener conto di sempre nuove imperfezioni ma comunque fondati sull’idea che le dinamiche macroeconomiche riflettano direttamente l’esito di scelte razionali da parte di agenti rappresentativi (magari eterogenei). Dall’altro lato, i modelli che sostituiscono l’ipotesi di razionalità classica con altri modelli di comportamento (razionalità limitata, inversione delle preferenze, prospect theory, comportamenti satisficing, hyperbolic discounting). C’è poi chi sceglie di mettere la teoria in secondo piano, lasciando che siano i ‘dati a parlare’, rivelando i meccanismi di fondo che determinano i fenomeni macroeconomici, anche attraverso l’applicazione di metodi non-parametrici applicati allo studio delle preferenze rivelate che restano comunque la base dei fenomeni economici. Comune a questi approcci è l’idea che la macroeconomia non sia altro che la prosecuzione della microeconomia con altri mezzi, un’idea che portata alle estreme conseguenze può suggerire di togliere la macroeconomia dal novero delle materie di base nei corsi di dottorato come alcuni stanno pensando di fare all’MIT e altrove.

Proprio sul piano della didattica, oltre che su quello della ricerca, molto c’è da innovare, volendo porsi nel solco tracciato da Pasinetti e da chi vede con favore le sue proposte. Primo suggerimento, preservare e dare nuova forza ai corsi di storia del pensiero e dei fatti economici. Come ricorda Lunghini, commentando Pasinetti, “non si può fare buona teoria economica, se non su uno sfondo storico: di storia economica e di storia e critica delle teorie economiche”. Secondo suggerimento riportare in vita l’insegnamento della contabilità nazionale e della statistica economica, intesa come disciplina che spiega le fonti e i metodi di costruzione dei dati come passo preliminare ed essenziale all’impiego di quei dati in econometria. Terzo suggerimento, ripensare i contenuti dell’economia industriale integrando la teoria dei giochi con la ricerca di nuovi punti d’incontro con le materie aziendali, dallo studio dell’organizzazione del lavoro a quello delle catene del valore globali e della logistica.

Pasinetti e quanti traggono ispirazione dal suo pensiero sono consapevoli che il sentiero che conduce alla costruzione dell’approccio classico-keynesiano è irto di difficoltà. Riorientare l’analisi economica dallo scambio alla produzione, attenuare l’attenzione verso la dimensione soggettiva dei fenomeni economici, senza però rinunciarvi (come non vi avrebbe rinunciato Keynes, pur insoddisfatto della teoria della scelta razionale e self interested), riproporre la determinazione distinta dei prezzi e delle quantità, liberarsi dal fascino dell’idea di equilibrio per focalizzare l’analisi sul disequilibrio e l’instabilità sono compiti tutt’altro che facili. Un’ulteriore difficoltà nel trovare una sintesi tra i classici riletti da Sraffa, Keynes e i keynesiani di Cambridge sta nell’evidente eterogeneità che caratterizza le idee di questo gruppo di economisti. Trovare quel “something deeper”, quel qualcosa di più profondo, come scrive Pasinetti, che unisce personalità così diverse sul piano degli indirizzi di ricerca è compito non facile.

A fronte di queste difficoltà stanno alcune esigenze di fondo che rendono l’impresa meritevole di essere tentata. Prima esigenza: costruire teorie rilevanti per comprendere il mondo reale, basate su assunzioni realistiche e sull’applicazione di un ragionamento corretto e internamente coerente per identificare a livello teorico i nessi causali principali che, nella realtà, spiegano un determinato fenomeno. Per ottenere questo risultato, serve una descrizione realistica dei processi decisionali e dei vincoli che condizionano questi processi. Il rifiuto dell’utilitarismo, che segna una differenza profonda tra il paradigma auspicato da Pasinetti e l’analisi economica ortodossa, crea spazi per sostituire la razionalità astratta con la ragionevolezza concreta, un atteggiamento basato sui concetti di fairness e cooperazione e su uno ‘strong, deeply felt, social concern’ come motivo di fondo che deve ispirare la ricerca in campo economico.

Partendo da qui l’approccio classico-keynesiano porta a identificare tre obiettivi come meritevoli di particolare attenzione sul piano della policy: pieno impiego, contrasto della disuguaglianza, attenzione alle esternalità negative e alle distorsioni che possono venire dalla globalizzazione in termini di sfruttamento eccessivo delle risorse umane e di quelle naturali. Perseguire questi obiettivi nel rispetto delle libertà personali è una sfida di grandi dimensioni pari a quella che Pasinetti ha lanciato nei suoi scritti sul versante della teoria economica.

Raccogliere quella sfida richiede, un metodo nuovo che, come richiamato in un volume in ricordo di Fernando Vianello, curato da Giovanni Bonifati e Annamaria Simonazzi nel 2010,

«diversamente da quello della scuola neoclassica, non promette risultati sicuri, quali possono ottenersi procedendo per via deduttiva da pochi generalissimi postulati, ma si avventura in territori incogniti, isolando gli aspetti della realtà su cui appare fruttuoso concentrare l’attenzione e tentando di offrirne una spiegazione sulla base di ipotesi soggette a una continua revisione». [nella consapevolezza che] «le sorti della società non possono restare affidate al gioco cieco e crudele del mercato. E proprio nell’assumere la difesa della società contro il mercato lo Stato democratico può trovare una nuova e più sicura fonte di legittimità».

Queste parole, scritte tredici anni fa, nel pieno della crisi finanziaria globale, risuonano oggi con il timbro dell’attualità e pongono sfide complesse e avvincenti per chi vorrà lavorare nel cantiere aperto da Pasinetti.

Comments

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Pantaléone
Tuesday, 07 March 2023 16:46
Si possono scrivere 10 pagine di capitalismo salvifico a credito, annotato dalla sinistra, dai mercanti di bambole o di cannoni.
La sinistra è capitalista per chi non lo sa, anche la sinistra rinnovatrice.
È necessario avere questo dato essenziale, il determinismo del capitale è quello di invalidarsi una volta raggiunta la sua massima accumulazione - e quindi il suo apogeo - poiché la sua legge di evanescenza corrisponde al momento in cui conterrà in sé tutte le forze produttive che può contenere.
Cercare di bilanciare la produzione meno costosa venduta per di più?
Il capitalismo fai-da-te ha trovato una soluzione più semplice, alzare i prezzi legittimato da una narrazione leggendaria, meno sono competitivo più aumento i miei margini, basta guardare il mercato azionario dell'agro o dell'energia, rapinatori di autostrade, questo senza alcun controllo dei prezzi ovviamente guerra, gelo, siccità, cose che in passato non esistevano ma ovviamente.
E così facendo comprimo un po' di più i salari.
Tutto questo finirà come sempre in un grande massacro, vedi il crollo di Vienna del 1873.
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