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sinistra

Pianificabilità, pianificazione, piano

di Ivan Mikhajlovič Syroežin

Capitolo 3 - Condizioni strutturali e informative di realizzazione della pianificabilità (parte I)

selmi000Introduzione di Paolo Selmi

L’uomo celebrato in questa foto, probabilmente rubata perché non in posa, visibilmente preoccupato, attaccato a due telefoni per qualcosa che non va come deve (con il personaggio che cerca di smarcarsi dietro ancor più preoccupato per quello che accadrà nel momento in cui appoggerà entrambe le cornette...), è un mito, una leggenda per un intero popolo, orgoglio di un’intera generazione e finanche visione del mondo: oggi, probabilmente, non dirà niente a nessuno il nome del “progettista capo” (главный конструктор) Sergej Pavlovič Korolëv (pronuncia italiana “karaliòv”, 1907-1966). A lui si deve la fase epica dell’epopea spaziale sovietica, dallo Sputnik (1957) alla prima passeggiata nello spazio (1965), passando per la cagnetta Lajka (1957), il primo cosmonauta nello spazio, Jurij Alekseevič Gagarin (1961), la prima cosmonauta, prima civile, nonché prima operaia nello spazio, Valentina Vladimirovna Tereškova (1963), insieme a una serie di altri record che in questo emisfero difficilmente si ricordano. Non è, ovviamente, un caso (anche se dovrebbe stupire il fatto che così si comportino anche “a sinistra”), così come non sono i record stessi frutto del caso: un Paese che poco più di dieci prima era appena emerso da un conflitto a cui aveva pagato un enorme tributo di sangue (quei venti milioni di morti che nessuno, guarda caso, ricorda) e distruzione, grazie al proprio sistema economico, al proprio modo di produzione, al proprio popolo, al proprio partito, e a un geniale glavnyj konstruktor, aveva compiuto ciò che nessuno avrebbe MAI immaginato potesse compiere.

Questo, ovviamente, dava fastidio: dovevano continuare a mangiare bambini. E dà fastidio ancora oggi: tre film sono usciti recentemente e sempre, guarda caso, con la solita distribuzione ridicola (se mai vi è stata), tipica da repubblica delle banane qual’è la nostra; anzi, già tanto che siano stati doppiati e non censurati nelle scene con troppo rosso, sia pur – ormai – solo coreografico. Stiamo parlando di: Gagarin, primo nello spazio (Гагарин, первый в космосе, Russia, 2013), Il tempo dei primi (Времия первых, Russia, 2017) e Saljut-7 (Салют-7, Russia, 2017).

Tre film, discutibili e infatti molto discussi in madrepatria (specialmente per la variazione sul tema “all’americana” dell’ultimo), che già da soli potrebbero costituire materiale sufficiente per un mini-cineforum, e alle cui schede, reperibili ovunque sulla rete, rimando; nei primi due il glavnyj konstruktor ci appare in tutta la sua umanità, la sua personalità, la sua cocciutaggine, tanto da emergere quasi come vero protagonista di entrambi i film.

Cosa centra, tuttavia, il buon Korolëv con il nostro attacco alla cima? Centra, centra… per questo, alla sua memoria dedico questo capitolo, immaginandolo lì, tra le stelle che ha sempre sognato, e non solo sognato, finalmente con quel sorriso che poco spesso si concedeva in vita. Per esempio, non sorrideva affatto quando, qualche mese prima della sua morte prematura, scriveva:

Allo stato attuale non c’è un unico piano di lavoro sul cosmo, che sia adeguatamente concepito e supportato tecnicamente. Abbiamo grandi unità e basi produttive, con una considerevole esperienza. Abbiamo molte nuove idee e proposte, avanzate sia dal punto di vista scientifico, che da quello tecnico. Accanto a questo, abbiamo ancora singole questioni e segmenti troppo arretrati, senza basi produttive, senza prospettive di sviluppo, il che ostacola gravemente il normale andamento dei lavori. Nel complesso, possiamo affermare che manchi ancora una giusta e razionale organizzazione del lavoro riguardante il cosmo.

Nel corso degli ultimi anni non è stata fatta una singola politica seria di innovazione tecnologica sul cosmo, principalmente perché qualsiasi proposta di innovazione tecnologica era raccolta solo dal solito gruppetto di volenterosi, oltre al fatto di non essere sottoposta a esame comune, ma soltanto dagli autori stessi della proposta, mentre al contrario il lavoro scientifico è disperso fra mille rivoli. I consigli e le organizzazioni scientifiche preposti a risolvere queste questioni semplicemente dormono. Un ulteriore, notevole, significato negativo assumono episodi isolati di competizione fra collettivi di costruttori e fra fabbriche, episodi che esulano completamente dalla missione comune e che invece potrebbero essere usati con intelligenza per stimolare emulazione e miglioramento di tutti (ma così non è). In un passato non troppo lontano ciò accadeva anche a livello di comitati e dipartimenti.

Per qualche strano motivo c’è ancora chi pensa che, persino nell’attuale fase di tecnica missilistica e aerospaziale, risulti utile duplicare e mettere in gara l’uno contro l’altro diversi collettivi sullo stesso identico tema. Si tratta di un grosso quanto madornale errore. Giusto è, al contrario, organizzare bene i lavori secondo un unico piano, al fine di vincere la competizione con gli USA. A tale proposito non si può, peraltro, trascurare il fatto che proprio nella tecnica missilistica sono investiti una quantità enorme di fondi, e comportarsi in tale maniera significa letteralmente buttarli via sia in termini di resa economica, che di produttività del lavoro. Ciò nonostante, infine, vorrei esprimere tutta la mia massima soddisfazione per tutto ciò che è stato fatto finora nel settore aerospaziale, a prescindere da quanto sopra affermato, da organizzazioni e collettivi che, in questi anni, hanno lavorato così duramente e con spirito di abnegazione. 1

Il documento citato è un inedito, l’ultimo lavoro a cui Korolëv stava lavorando, prima di subire quell’operazione che, purtroppo, nulla avrebbe potuto contro la sua malattia. Con ogni probabilità, si tratterebbe di un rapporto indirizzato a Leonid Ilič Brežnev; col senno di poi, appare quasi un testamento o, meglio ancora, un dixi et salvavi animam meam senza più paura di ritorsioni o punizioni per tanto ardire: l’esperienza scientifica, lavorativa, organizzativa di una vita, la sua vera eredità, erano state completamente messe al servizio della missione a cui la propria esistenza aveva dedicato. E le sue conclusioni sono davvero molto simili a quelle a cui il nostro capocordata era pervenuto.

A questo punto, però, anche per alleggerire la tensione emotiva, introduco un altro personaggio, distante anni luce dal primo, anzi, che col primo non condivide proprio un bel niente, se non un’innata passione per la meccanica: un fotoriparatore, forse l’ultimo rimasto nella mia provincia, uno in grado di smontare una macchina fotografica in tutte le sue centinaia di componenti e rimontarla con la stessa facilità con cui io cambio la gomma della mia bicicletta. Ogni volta che gli porto qualcuno dei miei congegni meccanici dell’Est da lubrificare e tarare, mi dice sempre la stessa frase (sarà l’età... ma prima o poi ci arriveremo tutti!): “Ma come… andavano nello spazio, facevano cose incredibili, e poi mi trovavo macchine con la leva di avanzamento che mi restava in mano?” Il riferimento è alla sua esperienza come fotoriparatore negli anni Ottanta, quando dovette rinunciare al lavoro che gli aveva proposto l’allora importatore esclusivo per l’Italia delle Zenit e di tutte le macchine del blocco dell’Est in generale (la Cattaneo di Genova2), perché ogni macchina che gli arrivava doveva smontarla, rimontarla e alla fine, come suole dire, “di due che mi arrivavano, ne facevo una sana”. Il problema, comune a molta produzione di massa anni Ottanta, era che oltre alla scarsa innovazione, anche la qualità costruttiva era scaduta rispetto a solo dieci anni prima. Ancora oggi, è preferibile acquistare una macchina fotografica ex-sovietica dell’ultima decade (per non parlare della successiva decadenza russo-ucraina del settore) sul mercato dell’usato (da una persona onesta, “usata ma tenuta bene”) piuttosto che un fondo di magazzino rimasto invenduto e quindi, “nuovo di fabbrica”; nel primo caso, la macchina funziona e andrà avanti a funzionare per una vita; nel secondo, non è assolutamente detto.

Non era, come vedremo, soltanto una questione di un criterio quantitativo preferito rispetto a uno strutturale ma, peggio ancora, a una mancanza di controllo qualitativo sul prodotto finito: assemblaggio approssimativo, componentistica di qualità inferiore pur di aumentare il risparmio sui costi. La “nuova” Zenit 122 che il mio amico fotoriparatore tirava fuori dalle due difettate, possedeva ora un corpo macchina robusto e affidabile, sia pure con tutti i limiti, e le contraddizioni “di quegli anni Ottanta”, con quei due (inutili) diodi di un esposimetro elettronico non eccelso (e non richiesto!), a fare da contraltare a un otturatore con ancora i sei tempi Leica a tendina di mezzo secolo prima; il tutto mentre le giapponesi riempivano i loro marchingegni di automatismi e prestazioni tanto più avveniristiche quanto, spesso, inutili (chiunque impieghi comunemente il tempo di scatto di 1/4000 sec. alzi una mano). Gli interrogativi sorgevano, già allora e ancor più oggi, spontanei. Perché non crederci fino in fondo e costruire gioiellini meccanici reflex e telemetro secondo quella che era divenuta – a livello mondiale – una vera e propria scuola di pensiero fotoamatoriale e professionale, una filosofia di “scrittura con la luce” sobria, essenziale, che si serviva della fototecnica ma che non affidava nulla alla fototecnica della propria creatività? Perché scimmiottare le “conquiste” del mercato occidentale, peraltro con modelli fatti al risparmio e sempre più concettualmente fallimentari? Ma soprattutto, perché rinunciare a fare uscire dalla fabbrica ogni pezzo già assemblato a dovere senza percentuali inaccettabili di scarto?

Per rispondere a queste domande, che sono poi le stesse a cui si cerca di dare risposta in questo capitolo, occorre quindi comprendere in maniera più approfondita la materia a cui il nostro capocordata ci sta introducendo. Occorre fare un viaggio nel viaggio, attraverso i meccanismi di un’economia di piano che nessuno aveva insegnato ai compagni bolscevichi, ma che, al contrario, essi avevano ricavato da soli attraverso la pratica, la lotta, e lo studio.

 

Il meccanismo tradizionale di pianificazione

Cominciamo quindi ad affrontare quel corpus organico, consolidatosi nel tempo e negli anni, costituito dall’insieme dei meccanismi di pianificazione applicati all’intera res oeconomica. Fra il non molto materiale disponibile sulla rete, ritengo utile per introdurre l’argomento, l’intero undicesimo capitolo del manuale di economia politica che tradussi integralmente tanto tempo fa3. In particolare, il paragrafo “La legge del valore nell’economia pianificata” affronta, sia pur per sommi capi, il vero nodo focale che differenzia un’economia di piano a proprietà sociale dei mezzi di produzione dalla precedente (e successiva) economia capitalistica. Un’esposizione sintetica, ma utile a inquadrare correttamente le problematiche cui si è appena accennato, la fornisce anche Carlo Boffito nel suo Efficienza e rapporti sociali di produzione4. La monografia è per alcuni tratti discutibile (per esempio, allorché omette il “dettaglio” della volontà dei comunisti sovietici di abolire una volta per tutte lo sfruttamento capitalistico e la trasformazione del denaro in capitale, “dettagli”...), per altri palesemente errata (per esempio, nell’analisi “di classe” della società sovietica che divide classe operaia da un lato e partito dall’altro, probabile retaggio di letture antistalinistiche ulteriormente distorte nelle conclusioni), ma ancora valida per un’esposizione sommaria dei meccanismi alla base del processo di pianificazione e delle problematiche storicamente emerse. Data la scarsa reperibilità del testo citato, è qui riportata integralmente, ordinando i paragrafi secondo il filo logico della nostra analisi (data la lunghezza, senza alcuna variazione di dimensione carattere, per mantenere una certa leggibilità):

Nell’Unione Sovietica è stato faticosamente realizzato il programma di abolire il mercato e di sostituirlo con un assetto istituzionale che ha il compito di controllare interamente il sistema produttivo e gestirlo centralmente attraverso un piano. Com’è noto, tale assetto consiste in una piramide istituzionale i cui livelli stanno tra loro in un rigido rapporto gerarchico, e che ha al vertice il pianificatore alla base le unità produttive. La piramide istituzionale ha il compito di trasmettere dal basso verso l’alto le informazioni riguardanti le condizioni produttive del sistema economico, e dall’alto verso il basso gli ordini che esprimono la volontà del pianificatore; quest’ultimo infatti coordina le informazioni ottenute all’interno di un piano di produzione e poi ordina alle unità produttive di realizzare gli obiettivi del piano che riguardano sia le quantità prodotte sia le destinazioni alle quali devono essere trasferite tali quantità prodotte5.

Tuttavia tale assetto istituzionale non è compatto come a prima vista potrebbe sembrare; esso è costituito in effetti da un insieme di piramidi piuttosto che da una piramide soltanto. A causa della specializzazione produttiva e lavorativa imposta dalla divisione del lavoro, l’attività produttiva delle singole industrie viene organizzata ancora separatamente e indipendentemente. Vengono perciò costituite tante piramidi istituzionali, simili a quella descritta sopra, quante sono le attività produttive che la divisione sociale del lavoro, corrispondente a un determinato livello di sviluppo tecnologico, richiede di organizzare.

Il vertice di ogni ministero settoriale conserva la propria autonomia nel senso che esso raccoglie direttamente le informazioni dalle unità produttive che controlla, e, in base a esse, formula egli stesso il suo piano di produzione; quest’ultimo, tuttavia, per essere realizzato deve essere coordinato con i piani degli altri ministeri settoriali e funzionali in quanto richiede mezzi di produzione prodotti da altri ministeri e l’impiego di risorse produttive scarse (per esempio lavoro specializzato) che devono essere divise tra i diversi ministeri.

I rapporti tra i diversi ministeri, ossia tra i vertici delle piramidi che costituiscono le istituzioni centrali della pianificazione sovietica, sono rapporti [...] non mediati da nessun criterio oggettivo esterno che potrebbe essere offerto dallo scambio effettuato a determinate condizioni. […] I rapporti tra i vertici delle piramidi istituzionali sono [in realtà] mediati dal partito, che formula un programma produttivo operando una sintesi tra le diverse e spesso contraddittorie esigenze della società; programma al quale i diversi organismi produttivi devono uniformarsi6.

Strumento fondamentale della pianificazione è la contabilità in tempo di lavoro diretto, concreto, effettivamente speso nella produzione da ogni singolo lavoratore. La contabilità si sviluppa particolarmente nell’economia comunista; essa deve infatti mettere il pianificatore centrale in condizione di rilevare la disponibilità delle risorse e di confrontare l’impiego delle risorse con il prodotto, in modo da ottenere il massimo risultato possibile dai mezzi impiegati7.

L’unico criterio di misurazione […] è offerto dal lavoro concreto, ossia dalla quantità di lavoro effettivamente svolta nella produzione dei singoli concreti prodotti. Tale criterio corrisponde di fatto a una contabilità tenuta in termini fisici, poiché, in ultima analisi, a una data quantità di lavoro concreto, svolto in una determinata attività produttiva, corrisponde una data quantità di prodotto.

Tuttavia la contabilità in termini fisici impedisce qualunque calcolo di efficienza poiché vieta il confronto tra mezzi impiegati e risultati produttivi, che sono eterogenei sia tra loro sia al loro interno. […] Le difficoltà sorgono essenzialmente nella distribuzione delle risorse non riproducibili , […] mancano criteri immediati per confrontare il lavoro complesso con il lavoro semplice. […] Le scelte delle tecniche produttive vengono effettuate in ogni industria separatamente, sia da parte del pianificatore centrale, sia da parte dei direttori della produzione nelle singole industrie, in relazione al succedersi imprevisto dei problemi posti dalla produzione stessa. Non sappiamo perciò se la minimizzazione dei costi di lavoro realizzata in un’industria con l’impiego di certe risorse sia compatibile con la minimizzazione dei costi di lavoro a livello del sistema economico nel suo insieme, o se l’impiego delle stesse risorse in un’altra industria non consentirebbe una maggiore riduzione dei costi generali del lavoro8.

Abbiamo già abbastanza carne al fuoco per cominciare a inquadrare il problema, al livello di organigramma (metodo) ma anche di criterio (merito). Era lo schema di pianificazione ottimale? Si poteva – doveva – fare di meglio? Inoltre, parliamo di legge del valore: indicatore o equivalente? Nel primo caso, rimane il fondamentale strumento di misurazione, ma non può costituire il criterio per la definizione di un piano (secondo caso)! Per quale motivo? Semplicemente perché rischieremmo di avere automobili ma non tappi per chiudere le conserve, perché le aziende produttrici di componentistica sarebbero incentivate a mettere in linea e a produrre più prodotti del primo tipo che del secondo. L’esempio riprende il problema già segnalato nel manuale di economia politica tradotto a suo tempo9. Ma potremmo andare avanti con altri esempi. “Nessuna unità fisica può misurare i vari attributi di un prodotto che concorrono a determinarne il valore: se la produzione di chiodi viene misurata in termini di peso, allora si tenderà a produrre chiodi grossi; se in termini di numero di chiodi, allora si produrranno chiodi piccoli”10.

 

Un caso concreto: la fototecnica sovietica

Quanto esposto mi ricorda un aneddoto riportato da un mio amico russo, anche lui fotoamatore. Parlando della qualità scadente di alcuni modelli prodotti negli anni Ottanta, gli opponevo altri modelli, sempre sovietici, di concezione più antica ma più affidabili e prodotti fino a metà di quegli anni, quindi – in teoria – presenti egualmente sugli scaffali dei negozi di fototecnica, secondo i dati comunemente diffusi. “Non hai capito”, mi rispondeva. “L’assortimento e la scelta dipendevano unicamente da ciò che arrivava, sugli scaffali, non da quello che era teoricamente disponibile”. In altre parole, si prendeva quello che “passava il convento”. Se una macchina fotografica x vale, in termini di quantità di lavoro necessario, lo stesso prezzo di una macchina y, per assolvere agli obbiettivi di piano è indifferente – in questo tipo di contabilità puramente quantitativa – mettere sugli scaffali la macchina fotografica x o la y: il compito previsto dal piano è egualmente assolto. Si tratta, ovviamente, di una posizione di comodo. Nessun bene di consumo equivale pienamente nel valore d’uso a beni di consumo analoghi: esistono sempre differenze che non sono solo formali, ma anche sostanziali. Possiamo “giocare al risparmio” quanto vogliamo, ma non possiamo non tenere conto di questo.

La fototecnica sovietica ci fornisce parecchi spunti di riflessione. Per esempio, un certo atteggiamento teso all’essenzialità, all’assenza di fronzoli, portò un’enfasi maggiore sul valore d’uso, rispetto al nostro mercato. Quali sono i tempi più usati in fotografia? Quelli a mano libera. Quanti sono? I sei canonici Leica a tendina (1/500, 1/250, 1/125, 1/60, 1/30 sec. più la posa B). Basta così. Il fotoamatore ne ha abbastanza per fare buone foto e vincere tutti i concorsi fotografici che vuole. Risultato, quasi una “nuova filosofia di uso del mezzo”: pur nelle sue limitazioni, una macchina robusta (l’ultima nell’ordine fu la Zenit TTL), in grado di scattare foto a venti sotto zero e a oltre quaranta sotto il sole, senza fare impallare nessun meccanismo elettronico, con un corpo metallico in grado di assorbire urti anche di una certa rilevanza senza compromettere il funzionamento, in grado di funzionare senza pile, quindi di garantire sempre lo scatto in qualsiasi condizione. È Davide che sconfigge Golia, che si inceppa appena la temperatura scende sotto lo zero o qualche granello di sabbia scalfisce i delicatissimi ingranaggi di una tendina metallica brevemente esposta all’ambiente esterno durante il cambio di un obbiettivo. È l’aneddoto, inventato o no poco importa, dei fior di quattrini investiti dalla NASA per progettare una penna in grado di scrivere in assenza di gravità… mentre i sovietici avrebbero risolto con il banale grafite di una semplicissima matita!

Questo quadro “idilliaco”, che ci colloca tutti ad affrontare il mondo in maniera pionieristica, essenziale, si scontra tuttavia con alcuni dati reali:

1. Non solo il fotografo professionale non aveva una macchina che, invece, gli desse la possibilità di scattare in interni senza lampeggiatore (con gli altrettanto canonici 1/15, 1/8, 1/4, 1/2 e 1 sec.), ma neppure un fotoamatore che desiderasse fare, per esempio, un ritratto o una natura morta sempre in interni o in condizioni di scarsa luce. Aumentando il movimento fotografico in URSS, aumentavano tali tipi di esigenze (e non stiamo parlando di automatismi nella stragrande maggioranza non solo inutili, ma persino dannosi ai fini di una ricerca personale di un proprio stile, quali per esempio l’autofocus o l’esposimetro a matrice), cui la produzione nazionale faceva orecchie da mercante. Abbiamo, in questo settore, abbastanza materiale dagli archivi della casa costruttrice KMZ (Krasnogorkij Mechanicheskij Zavod Красногорский Механический Завод), la più grande in URSS, dalle cui linee uscirono modelli di piccolo e medio formato, obbiettivi, macchine a utilizzo speciale (panoramiche e fotofucili, oltre a quelle impiegate nell’industria aerospaziale). Per esempio, una semplice lettera datata 1988, ovvero in pieno danno da perestrojka, e pubblicata sulla rivista aziendale Sovetskij Patriot, aprì un dibattito a livello dirigenziale:

Salve, compagni della KMZ, vorrei scambiare con voi qualche opinione sulle macchine fotografiche Zenit. Nella vostra fabbrica sta iniziando lo sviluppo di nuovi modelli: Zenit 20, 21, 22, 14, Avtomat. Naturalmente la Zenit-Avtomat è bella11. Ma l’elettronica è pur sempre elettronica. È capricciosa: dipende dalle batterie e dal tempo. A noi fotoamatori basterebbe una semplice macchina meccanica con un ampio spettro di tempi di scatto (da un secondo a 1/1000 sec.), con un buon mirino. Perché non costruite una macchina del genere? Saluti, K. Malyšev12

Incalzato dalle critiche e obiezioni, il direttore del dipartimento di progettazione 571-01 Evgenij Ivanovič Tiškin, replicava molto schiettamente sulle pagine della stessa rivista:

Parlerò brevemente delle difficoltà che non permettono di realizzare queste proposte pur razionali […]. In primo luogo, l’involucro esterno del corpo macchina. […] Per sostituire la carcassa metallica con una di plastica, dai nostri calcoli occorrerebbe modificare non meno di 18 parti […], il che è antieconomico, anche se tecnologicamente saremmo in grado di farlo. […] In secondo luogo, la costruzione del mirino. Per renderlo più luminoso con una sola lente di Fresnel, ha reso ancora più lucide le pareti del pentaprisma, ma per farlo occorre una maggiore opera di rafforzamento, in un modo che è praticamente impossibile in produzione seriale […], con la riprogettazione di altri 10-20 parti, il che è economicamente improponibile.13

“Adesso abbiamo la spiegazione, ma l’insoddisfazione resta (Итак объяснение получено, а неудовлетворенность остаётся)”: concludeva laconicamente il giornalista. Questo botta e risposta è esemplare dell’enorme danno arrecato dalla cosiddetta “perestrojka”, di come si era ridotta, tre anni prima della fine di tutto, la stessa nozione di bisogni sociali ridotta a “male minore”, nonché ogni innovazione era sacrificata sull’altare di far quadrare conti, non sconvolgere voci di bilancio, rinunciare a qualsiasi idea di pianificabilità. Tutto questo ormai era fatto in nome di un’autonomia aziendale che, consentendo di accantonare i profitti nel nome di un dio denaro sempre più simile a quello pienamente diffuso aldilà del muro, che avrebbe “regolato” gli sprechi e “ostacolato” la corruzione qualora si fossero eliminati i “lacci e lacciuoli” che lo imbrigliavano, aveva in realtà rovinato completamente la stessa idea socialistica di sviluppo complessivo, coordinato e pianificato in cambio di un mostro burocratico che si autoalimentava di accumulazione di quello che ormai era diventato vero e proprio capitale lasciando – per giunta – tutto così com’era, se non peggio. Infatti,

2. L’ingresso massiccio dei materiali plastici nella struttura e nella componentistica, a opera di progettisti unicamente interessati ad abbassare i costi per ottemperare a nuove logiche, estranee alla fototecnica e rispondenti unicamente a istanze di “libertà” e “autonomia” di impresa (leggasi “maggiori utili”, in circuiti distributivi fondamentalmente tutelati nella garanzia di commesse di acquisto!), indebolì la cifra costruttiva di questi fotoapparati e, in un certo qual modo, ne limitò ulteriormente il valore d’uso. La scarsa cura in fase di assemblaggio fece il resto. Io produco, poi chi se ne importa se la merce non risponde alle aspettative o, peggio ancora, se si rompe poco dopo l’acquisto (questa fu poi la degenerazione dell’ultimo decennio, allorché i controlli sul prodotto finito furono allentati rispetto alla disciplina, decisamente più ferrea, dei decenni precedenti).

3. Vi è però di peggio. Il buon Leonid Efimovič Bergol’cev, fotoreporter da una vita e, all’epoca, membro del Consiglio dei fotogiornalisti sovietici, nel 1989, partecipando a una tavola rotonda ospitata sempre da Sovetskij Patriot, rincarava la dose.

Affinché i progettisti di macchine fotografiche capiscano e prendano a cuore ciò di cui parliamo, c’è bisogno, anzitutto, che tutti loro, indistintamente, a prescindere se siano amministratori, ingegneri o semplici sviluppatori, siano fotografi, lavorino costantemente con le macchine fotografiche… Affinché chi stia al tecnigrafo e inizi a elaborare qualcosa, sappia sin da subito, e capisca, per cosa, per chi sta lavorando, avendo sempre di fronte l’utilizzatore del suo prodotto… Sono stato molte volte alla LOMO14, ho parlato con gli ingegneri, ho cercato di spiegare loro cose serve realmente a un professionista medio, senza pretese particolari. Ma dalle loro facce mi sono reso conto che neppure capivano di che cosa stessi parlando… 15

Non fu sempre così. Il mio lavoro dedicato all’epopea della fototecnica sovietica, non ancora concluso, dimostra esattamente l’opposto16. Parla di storie di riscatto, come i ragazzi di strada di Makarenko che, negli anni Trenta, gridano: “Faremo la Leica!” e nacque la FED, la Leica sovietica. Parla di storie di ingegno o, meglio ancora, di genio, quello di Ivan Afanas’evič Turygin che, giunto a fine guerra alla KMZ, riadattò la FED/Zorkij ispessendo il corpo macchina per fare spazio all’alloggiamento dello specchio fra tendina otturatore e innesto obbiettivi, riprogettò gli stessi per ricalcolarne la messa a fuoco, tolse il telemetro per fare spazio al pentaprisma e così, nel 1952, non a Leitz, ma alle porte di Mosca nasceva la prima Leica reflex al mondo: la Zenit. Parla di storie di ricostruzione, come il vecchio Arsenale di Kiev, datato 1764, mezzo smontato e adibito sino ad allora alla fabbricazione di macchine agricole, che divenne il luogo dove una nuova leva di operai e tecnici, addestrati da un ingegnere tedesco, Wolfgang Hahn, trasferitosi armi e bagagli insieme a macchinari e a scorte di magazzino dalla Zeiss di Dresda in riparazione ai danni di guerra, riuscì in pochi anni a riprodurre la Contax III, una macchina composta di 730 parti, descritte in 600 disegni tecnici e con 22.000 singole misurazioni di controllo17.

Quanto appena accennato, e che rimando alla monografia in nota per un ulteriore approfondimento, ci mostra un movimento vivo, reale, al cui confronto la degenerazione degli anni Ottanta appare in tutta la sua estraneità. Questo esempio concreto ci ha permesso di compiere finalmente un salto dal particolare, dal concreto, dal quotidiano al generale, in un mondo che pochi conoscono e che la maggior parte cerca di rimuovere.

 

I numeri scomodi di un indiscutibile successo

Prima di parlare delle soluzioni ipotizzate e praticate alle problematiche emerse, occorre precisare un dato altrettanto concreto, inconfutabile e, specialmente a queste latitudini, scomodo. “Si può fare di meglio” non significava affatto “occorre cambiare tutto perché non funziona nulla”. Chi afferma questo, mente sapendo di mentire (e sono in molti, anche fra i cosiddetti compagni, approdati a lidi diciamo “più mercantili”, affollati di novelle giunche in partenza continua dai loro porti piene del loro “socialismo”, ad avere questo vizietto). Torniamo quindi con i piedi per terra e rimettiamo, per un attimo, nero su bianco alcuni dati economici, appartenenti al primo Stato socialista della storia, che non aveva alcuna esperienza di direzione dell’economia pianificata. Ebbene, pur sbagliando, certamente, questi sono alcuni numeri di quello che qualcuno, mettendo più o meno volutamente sullo stesso piano battaglie e guerra, si ostina a chiamare “fallimento”18:

Tasso di crescita (1917=1)

1917

1940

1950

1960

1970

1980

Prodotto sociale lordo

1

7,8

13

33

64

106

Produzione industriale

1

12

21

63

142

253

Produzione agricola lorda

1

1,9

1,8

3,0

4,1

4,6

Movimento merci

1

10

19

72

123

197

Movimento passeggeri

1

4,7

4,4

11

24

39

Popolazione (milioni p.)

163,0

194,1

178,5

212,4

241,7

264,5

Senza nulla togliere ai dati economici di questa prima tabella, ho voluto anche aggiungere il dato demografico: agghiacciante il calo fra il 1940 e il 1950. Questo dato non ci deve mai fare dimenticare come l’URSS, totalmente da sola, affrontò e superò difficoltà inimmaginabili. Alcune vale la pena ricordarle:

La storia universale non aveva ancora conosciuto una guerra tanto sanguinosa come quella subita dall’Unione Sovietica. […] I morti furono più di 20 milioni. Nei territori dell’URSS occupati, gli invasori nazifascisti sterminarono e trucidarono oltre 6 milioni di civili. […] La guerra lasciò 25 milioni di orfani. […] Le devastazioni che stremarono immensi territori si calcolavano in miliardi di rubli. […] Gli occupanti con premeditazione avevano distrutto città, fabbriche, colcos e centri culturali. Nel riferire a Hitler sui danni causati all’economia nazionale dell’URSS il generale nazista Stülpnagel assicurò che la ricostruzione avrebbe richiesto non meno di 25 anni di lavoro. Erano stati distrutti totalmente circa 32.000 aziende industriali, 65.000 chilometri di linee ferroviarie, circa 100.000 colcos e sovcos, quasi 3.000 stazioni di macchine agricole e trattori (SMT). I grandi stabilimenti metallurgici del Meridione erano cumuli di macerie, le miniere carbonifere del Donets allagate. In nazifascisti avevano distrutto e saccheggiato 1710 città, ridotto in cenere oltre 6 milioni di edifici e lasciato senza tetto circa 25 milioni di persone. […] Il Paese era stato privato del 30% del suo patrimonio nazionale19.

Ebbene, a noi, “potenza” del “primo mondo”, che dopo oltre dieci anni non abbiamo ancora raggiunto “i livelli pre-crisi 2008, gioverebbe particolarmente leggere quanto segue. Nessuna NEP, nessuna forma di economia mista, nessuna concessione, nessuna delega, nessuna dismissione, seppure parziale, al modo capitalistico di produzione. In meno di un anno avvenne la riconversione di gran parte di tutta l’industria. Lo sforzo, pianificato, di ricostruzione fu immenso e messo per iscritto il 10 febbraio 1946 con la quarta pjatiletka (пятилетка “piano quinquennale”). Nel dicembre del 1947 venne abolito il razionamento alimentare che cedette il posto al normale commercio statale e cooperativo e fu anche annunciata una riforma monetaria. Nel 1948 il volume della produzione industriale aveva raggiunto e superato gli indici prebellici. Nel 1949 ai kolchoz, ai sovchoz e alle SMT fu consegnato un numero di trattori 2,5 volte superiore e di macchine agricole 4 volte superiore a quello consegnato nel 1940. Il piano quinquennale, che prevedeva un aumento della produzione industriale del 48% e di quella agricola del 27% rispetto al livello prebellico, fu completato in soli 4 anni e 3 mesi20. Senza Piani Marshall, anzi, finanziando e destinando grandissima parte delle proprie risorse alla ricostruzione dei Paesi alleati, Cina in primis (dal 1950 furono attivati 300 milioni di dollari di linea di credito, forniture per 943 mila tonnellate di metalli ferrosi, ovvero il 40% dell’intera produzione sovietica, 1 milione e mezzo di idrocarburi, macchinari industriali per 609,4 milioni di rubli e migliaia di esperti in ogni settore, che resero possibile in RPC la realizzazione, nel 1953, del primo piano quinquennale)21.

Infine, giusto a titolo esemplificativo, visto che le problematiche cui si è accennato riguardavano i prodotti di largo consumo, affrontiamo tuttavia, anche qui, l’argomento con dati concreti22:

Prodotto

1940

1960

1970

1980

orologi (milioni pz)

2,8

26,0

40,2

66,7

radio (migliaia pz)

178

4.165

7.815

8.478

televisori (migliaia pz)

0,3

1.726

6.682

7.528

frigoriferi (migliaia pz)

3,5

529

4.140

5.932

autoveicoli leggeri (migliaia pz)

5,5

139

344

1.327

motocicli (migliaia pz)

6,7

533

833

1.090

macchine fotografiche (migliaia pz)

355

1.764

2.045

4.235

I numeri parlano chiaro: la stagnazione, la crisi dell’economia sovietica furono miti introdotti da chi aveva interesse a farlo per screditare un certo modo di produzione a vantaggio di un altro. Non erano invece miti le difficoltà di gestione di un così immenso sistema, di tutti i suoi meccanismi. Leonid Vital’evič Kantorovič (1912-1986), futuro premio Nobel per l’economia (1975) per esempio criticava, già nel 1959, la mancanza di sistematicità e di applicazione di modelli matematici e di pianificazione ottimale. Se si fossero introdotti, la produzione sarebbe andata ancora meglio.

Fra le perdite delle fabbriche in fase di produzione, già solo quelle collegate al ricorso sistematico a procedure di lavoro d’assalto23 (штурмовщина), sono state stimate intorno al 25% di produzione mancata. Eliminare questi e altri tipi di perdite, in virtù dell’adozione di tecniche di pianificazione migliori e di migliori metodiche di bilancio economico, consentirebbe già nel medio periodo, solo sulla base di un migliore impiego di quello che già c’è, di incrementare il prodotto finale (reddito nazionale) dal 30% al 50%. Ecco perché è estremamente importante e attuale il compito di elaborare e introdurre una tale metodica24.

A parlare era non un semplice, sia pur importante, economista. Era uno che si era sporcato le mani, per decenni, concretamente, sull’argomento. Aveva introdotto l’idea di valutazione (оценка) dei prezzi delle singole componenti su cui costruire una programmazione ottimale dell’attività produttiva, aveva elaborato modelli di programmazione lineare e dinamica su cui presto ritorneremo. Aveva denunciato un problema e cercato, a differenza di qualcun altro, di trovare una soluzione senza “aprire le gabbie” dei neocapitalisti in erba. Oggi si parla tanto di “socialismo del XXI secolo”, ma nessuno non solo non riprende i suoi lavori, ma neppure lo conosce alla lontana. Eppure, a modesto parere di chi scrive, è proprio su questo solco che va trovata la soluzione ai quesiti posti in apertura di lavoro.

 

Alla ricerca di una soluzione

Abbiamo già capito che la soluzione non poteva essere il ricorso permanente a un’economia di mobilitazione, al “lavoro d’assalto” degli udarniki (da ударник, lett. “assaltatore”), altrimenti detto šturmovščina (штурмовщина). Un conto è il ricorso simbolico al sabato comunista dei subbotniki, per mantenere alta una tensione etico-morale su problemi sociali, per esempio, piuttosto che su “n+1” da raggiungere eccezionalmente e su cui riflettere per porre rimedio. Un altro conto è ricorrervi sistematicamente, vivere sistematicamente in un’economia di mobilitazione ed emergenza. Alcuni giovani universitari sovietici che mi è capitato di conoscere, provenienti da Leningrado, mi raccontavano che, fra le barzellette che circolavano in ambiente universitario, oltre agli immancabili racconti di “stragi di nemici” di chi aveva avuto accesso a filmacci fine-guerra-fredda tipo Rambo II e III, vi erano anche certi titoli che ancora pubblicava la stampa ufficiale mongola, per esempio, sulla annuale “battaglia per il grano”, sulla “guerra per il raccolto”, ecc. Non si poteva, ancora dopo mezzo secolo dalla fine dell’ultimo conflitto, ricorrere ancora a certi titoli per un qualcosa che doveva essere “normale”, e che “normale” era nel Paese dei Soviet. Un conto è la tensione morale, un altro conto è un Paese perennemente in stato di guerra con tutto. Oltre a “consumare la saponetta” (chi si ricorda la novella di Rodari sulla saponetta della rima cuor-amor che alla fine si consuma del tutto e nessuno riesce più a trovare la rima con cuore?), è pure inefficace, perché l’emergenza origina, come chi lavora in emergenza ben sa, scoordinamento, decisioni a volte giuste, a volte no, e scivoloni spesso anche gravi.

Inoltre, la soluzione non poteva essere neppure, per esempio, quella pubblicata sabato 13 luglio 1940 sulla Pravda sotto forma di decreto governativo (ukaz).

selmi61

Il decreto del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS intitolato “Sulla responsabilità per la messa in circolazione di produzione di scarsa qualità o incompleta e sulla mancata ottemperanza agli standard obbligatori delle industrie”, firmato il 10 luglio 1940 dal presidente Kalinin e dal segretario Gorkin, recitava così:

    1. Si stabilisce che la messa in circolazione di produzione industriale di scarsa qualità o incompleta, nonché la mancata ottemperanza agli standard obbligatori delle industrie, è un crimine contro lo Stato, equivalente al sabotaggio (является противогосударственным преступлением, равносильным вредительству);

    2. Per la messa in circolazione di produzione industriale di scarsa qualità o incompleta, nonché per la mancata ottemperanza agli standard obbligatori delle industrie, siano portati in giudizio i direttori, gli ingegneri capo e i responsabili dei dipartimenti di controllo tecnico delle delle industrie, per una condanna alla detenzione dai 5 agli 8 anni;

    3. Siano istruite tutte le procure dell’URSS per l’attuazione immediata di questo decreto.

Infine, la soluzione non poteva essere neppure quella adottata in seguito (peraltro assolutamente avversata dallo stesso Kantorovič), ovvero il passaggio dal bastone della repressione e della pressione di una mobilitazione permanente, alla carota di un “mercato” della cui logica distorsiva abbiamo appena accennato. Anche prima del rovinoso intervento di Gorbacëv e compagni, il cosiddetto sistema degli “incentivi” aveva avuto aspetti positivi nell’immediato, ma anche negativi subito dopo. È sempre Levine a notare:

Questi incentivi avevano senza dubbio degli effetti positivi, dal punto di vista della scelta dei dirigenti politici, per un rapido sviluppo. È probabile che abbiano portato a una produttività maggiore di quella che si sarebbe avuta senza di essi. E incoraggiando un’impresa operante con successo in un dato settore a superare il proprio obbiettivo di produzione, consentivano la compensazione di deficienze produttive di un’altra impresa del settore, contribuendo così al mantenimento dell’equilibrio interno del settore stesso.

Tuttavia, il sistema degli incentivi, ha avuto sullo sviluppo economico anche effetti negativi. […] Poicheé i premi ai dirigenti industriali sono in funzione della produttività in relazione agli obbiettivi, i dirigenti cercano di fare in modo che gli obbiettivi siano bassi, e da ciò risultano alterate le informazioni economiche che vanno ai pianificatori. I dirigenti tendono a contenere il superamento degli obbiettivi, in quanto che la produttività di oggi costituisce la base per i piano di domani. [...] L’essere la quantità l’elemento predominante dell’obbiettivo di produzione, ha come conseguenza che i dirigenti si preoccupano soltanto dei loro problemi di produzione e non delle necessità e delle esigenze di quanti dovranno servirsi dei prodotti25.

Contro entrambe queste logiche e i meccanismi che le sottendevano si muoveva il nostro capocordata Ivan Syroežin. Occorreva considerare lo sviluppo economico da un diverso punto di vista, che coinvolgesse la totalità dell’essere sociale sovietico, che considerasse la totalità dei bisogni e che, sulla base della struttura, della composizione e dell’entità degli stessi, di quanti chiodi grandi quanti chiodi piccoli servissero, per banalizzare con l’esempio di qualche pagina addietro, e in quale tempo, costruisse “molecole” settoriali e produttive dinamiche in grado di comporre un organum coerente e fornire pari standard economici a settori definiti tradizionalmente cruciali così come ad altri, invece, trascurati. Occorreva trovare modus operandi, oltre che un’architettura socioeconomica idonea alla loro collocazione nel concreto delle attività di pianificazione ed esecuzione, funzionali alla costruzione di un’economia dove non solo l’industria aerospaziale, ma anche quella di beni di largo consumo, godessero di eguali standard produttivi. Già, perché il quesito del mio amico fotoriparatore è rimasto ancora senza risposta: come facevano ad andare nello spazio se la logica con cui producevano i beni di consumo era tale da consentire, tuttalpiù, voli a bassa quota? La risposta è semplice: nello spazio ci andavano con un tipo di pianificazione completamente diverso e distaccato da quello tradizionale.

 

La pianificazione orientata a obbiettivi specifici

Facciamo quindi conoscenza con questo secondo tipo di attività pianificatrice. Nello spazio, infatti, ci andavano con una pianificazione a parte, orientata a obbiettivi specifici (программно-целевое планирование). Ogni singolo obbiettivo, così come ogni progetto fino a salire all’intero piano preso in questione, era sottoposto ai più rigorosi controlli e verifiche sia in fase iniziale, che in corso d’opera, che a fine processo. Si tratta di una pianificazione piuttosto comune nell’industria per esempio, a prescindere dal modo di produzione considerato, e che può coinvolgere numerosi soggetti, come l’indotto di una linea di produzione automobilistica, fino ad arrivare alle 20.000 aziende coinvolte nel progetto aerospaziale statunitense Apollo26. Quest’ultimo esempio non è stato citato a caso: tornando all’immagine iniziale del glavnyj konstruktor Sergej Pavlovič Korolëv, ciò che lamentava, di fatto, era una non piena applicazione di questo modello. Per un breve esame di questo tipo di pianificazione, partiamo dalle attività direzionali descritte in questo semplice schema, di matrice comune e tutt’altro che sovietica:

Tipi di attività direzionali27

A. Progettazione del sistema direzionale

I – Formulazione degli obbiettivi

1. Scelta dell’insieme di obbiettivi

2. Formulazione della funzione di scopo

II – Costruzione del modello

1. Scelta della forma del modello

2. Valutazione dei parametri del modello

3. Elaborazione di un algoritmo di calcolo

III – Progettazione del sistema di informazione

1. Progettazione di un sistema di raccolta, trasmissione, immagazzinamento, elaborazione e diffusione dei dati

B. Pianificazione

I – Conoscenza

1. Determinazione dello stato attuale del sistema

2. Previsione dei valori futuri delle variabili non controllate

3. Valutazione dell’adeguatezza del sistema direzionale

II – Progettazione

1. Elaborazione di piani alternativi

2. Valutazione delle alternative disponibili in relazione alla funzione di scopo ed ai possibili valori delle variabili non controllate

III – Scelta

1. Scelta fra i piani alternativi

C. Funzioni operative

I – Esecuzione

1. Trasmissione delle istruzioni esecutive (comandi) agli esecutori

2. Definizione dei criteri di successo

II – Controllo

1. Confronto dello stato effettivo del sistema con lo stato pianificato

2. Attuazione delle correzioni necessarie

È tutto molto chiaro, lineare (линейный), nel vero senso della parola, a prescindere dal numero di soggetti e di processi (e relative suddivisioni degli stessi) coinvolti. Abbiamo risposto ora alla domanda del mio amico fotoriparatore: la produzione di macchine destinate al largo consumo, rientrava in un piano generale che seguiva logiche del tutto diverse da quelle del programma spaziale sovietico.

C’è, tuttavia, un piccolo problema: il punto di forza e, insieme, dialetticamente, di debolezza di tale modello, è che si tratta di uno schema “a prescindere”, direbbe Totò. Le risorse, se non ci sono, bisogna trovarle. I mezzi, se non ci sono, vanno reperiti. Il piano deve essere realizzato. Nei settori strategici, dove c’era poco da obbiettare, funzionava così. Ora, a parte il problema della scarsità relativa di risorse, di cui è facile immaginare l’aggravarsi con l’incremento della “fetta” di tale pianificazione speciale sul totale della pianificazione generale, c’è anche il problema di sempre maggiori distorsioni sulla composizione e struttura economica generale, fra gli equilibrature dinamiche raggiunte negli schemi di input e output fra i settori intermedi, le cui carenze non possono essere sempre sopperite premendo sull’acceleratore dell’aumento di produttività, ma non solo: entrano in gioco anche elementi di imprevedibilità che, paradossalmente, rischiano di riportarci a condizioni emergenziali e di ulteriore disordine economico-produttivo.

In altre parole, i due modelli, quello di pianificazione generale e di pianificazione orientata a obbiettivi specifici, la loro problematica coesistenza, devono essere elemento di analisi critica per un superamento verso un modello strutturale organizzativo qualitativamente superiore, ovvero in grado di superare dialetticamente le contraddizioni, assolutamente non antagonistiche, ma tuttavia esistenti e aumentate con lo sviluppo dell’organum sociale stesso, sia dal punto di vista demografico, tecnologico, che da quello della complessità e della natura stessa dei bisogni espressi.

Chiedo scusa per questa lunga analisi, necessaria tuttavia per inquadrare correttamente il problema e, conseguentemente, la soluzione proposta dal nostro capocordata.

 

La transizione al criterio strutturale di autoorganizzazione dell’economia

L’apertura del capitolo è dedicata interamente a ribadire la necessità di una transizione da un metodo quantitativo, ovvero quello fino ad allora predominante, a un metodo strutturale di autoorganizzazione dell’economia. A scanso di equivoci, autoorganizzazione non significa affatto anarchia, spontaneismo, volontarismo. Autoorganizzazione significa partire dalla economia sociale nel suo complesso, in tutte le sue componenti, disegnarne l’architettura a livello sistemico e, sulla base dello schema delineato, prefiggersi obbiettivi e ripartire le risorse disponibili.

Lo schema marxiano di riproduzione allargata della merce, resta naturalmente valido, ma assume qui un nuovo significato perché il plusvalore è immediatamente destinato nei tempi, modi e misure prefissati dal piano per ciascuna specifica destinazione settoriale e strutturale. Se accettiamo questo assunto, conclude Syroežin, allora dobbiamo chiederci cosa ci stanno a fare ancora “doppioni” di strutture produttive identiche in ministeri diversi quando non, peggio ancora, in più conglomerati industriali, con evidente dispersione di forze ed energie, oltre che a costi di produzione maggiori. Tale soluzione poteva essere valida in un’economia di guerra e in un’economia di immediata ricostruzione, quando una catena di produzione non poteva restare ferma perché mancava un pezzo per riparare una macchina sulle linee, e tutti si arrangiavano a prodursi in casa il necessario. Tale soluzione, non poteva essere più valida quarant’anni dopo.

Per evitare quel guazzabuglio di compartimenti stagni, si rende necessaria una più razionale e ottimale divisione del lavoro, altro concetto da recuperare della critica marxistica dell’economia politica e valevole anche, certamente, per un modo socialistico di produzione (l’Autore scrive queste cose perché molti compagni, allora – e purtroppo anche oggi, anzi, considerando un miliardo e mezzo di cinesi “socialisti”, il numero è decisamente maggiore – ritengono validi i principi di critica marxistica dell’economia politica solo se non rivolti a loro stessi... ).

Il tutto, infine, occorre collocarlo nel contesto della legge fondamentale del modo di produzione. Tradotto, significa che non posso dirmi socialista se riproduco (e amplio) un modo di produzione capitalistico che palesemente non solo contraddice, ma anche soltanto si muove diversamente dal movimento economico dominante dichiarato. Il motivo è presto detto: critichiamo i “doppioni”, critichiamo la burocratizzazione di certe procedure e decisioni, critichiamo quindi una dispersione di energie e risorse, oltre che di beni e servizi, e poi demandiamo ancora parte di settori o settori interi al vecchio modo di produzione disperdendo ulteriormente risorse ed energie? Anzi, peggio ancora, destinandoli a attività improduttive e potenzialmente antagonistiche in riferimento all’ordinamento generale datosi? Tornando di nuovo alla più inefficace delle leggi (tendenze) capitalistiche, ovvero alla “politica dei due tempi”, vale a dire il capitalista prosciuga risorse, spreme gli operai come limoni, accumula capitale, incamera profitti… e poi gli faccio un prelievo minimo per dare il contentino al popolo bue e tenerlo schiavo? È, riletto oggi, quello appena esposto un passaggio chiave, perché smaschera l’ipocrisia di DUE critiche al modo socialistico di produzione:

Pertanto, schematizzando il ragionamento di Syroežin:

Appare evidente, che il semplice criterio quantitativo del computo delle ore lavoro non può, in nessun modo, essere rappresentativo del reale apporto di ciascun attività lavorativa alla creazione di valore. Entra quindi in gioco una nuova categoria: quella di lavoro produttivo (производительный труд).

Se, in generale, si dice produttivo qualsiasi lavoro che va nella direzione della legge economica fondamentale del modo di produzione di appartenenza (per esempio, nel capitalismo ciò vale per qualsiasi lavoro che aumenti il profitto del capitalista), nel socialismo “è produttivo qualsiasi lavoro che modifica la struttura dei beni e dei servizi, avvicinandola a quello dei bisogni”.

Anche qui, cambia radicalmente la prospettiva rispetto al vecchio modo di produzione che ci siamo lasciati alle spalle. Cambia il metro, l’unità di misura. Tutti i lavori hanno pari dignità, ma non tutti hanno lo stesso peso, ovvero incidono in egual misura sull’andamento economico, proprio nel senso che ci siamo appena detti! E non in altri. Syroežin individua proprio nel grado di libertà decisionale il fattore cardine, ovvero la facoltà maggiore o minore di scegliere “la composizione, l’ordine, la successione e la durata temporale delle operazioni lavorative, ovvero produttrici di quell’utilità sociale alla base di nozione stessa di lavoro”. SCEGLIERE: ecco la parola chiave. Come si sceglie? Cosa si sceglie? Da una buona scelta o una cattiva scelta si evince il grado di maturità economica (экономическая зрелость) di un risultato economico. Da essa, a sua volta, discende quella che il Nostro chiama la tecnologia della scelta (технология выбора), ovvero “l’insieme delle tecniche di elaborazione e coordinamento decisionali che occorrono in tutte le sfere dell’economia socialistica”. Notiamo, ancora una volta, l’estremo rigore con cui egli costruisce un sistema coerente e funzionale a rispondere, nel concreto, alle sfide di una complessità economica sempre maggiore. Anzi, notiamo come in tale complessità egli veda essenzialmente un elemento positivo, di progresso del sistema economico.

Per questo, subito dopo, egli critica molto lucidamente la prassi corrente di pianificazione cui si è già accennato, ovvero la coesistenza in ambiti diversi fra meccanismo tradizionale di pianificazione e pianificazione orientata a obbiettivi specifici, dimostrando come il loro superamento possa essere effettuato soltanto passando da un criterio di tipo quantitativo a uno di tipo strutturale, che consideri centrale la legge economica fondamentale e, sulla sua base, costruisca in modo consapevole e “produttivo” (nell’accezione di cui sopra) la struttura del sistema economico nel suo complesso.

Syroežin parte, ancora una volta, da Marx, da una sua osservazione: volendo considerare non più centrale il profitto, ma i bisogni, “il volume di questi bisogni è differente quantitativamente, e c’è un legame intimo che concatena in un sistema spontaneo e naturale le differenti masse di bisogni” (citazione annotata in corpo testo). La differenza tra un modo di produzione capitalistico, regolato dal mercato e dal darwinismo sociale, e uno socialistico, consiste proprio nel fatto che questo sistema dei bisogni (система потребностей) è oggetto di studio perché il sistema produttivo di beni e servizi sia il più possibile rispondente alla sua piena soddisfazione. Il primo passo, sarà quindi l’individuazione dei diversi blocchi (блок) che lo compongono, al fine di determinare consapevolmente poi, sulla loro base, la traiettoria di sviluppo desiderato.

Qui il Nostro cita brevemente altri argomenti estremamente importanti a favore di un’economia pianificata, che però devono essere attuati anche nella pratica! In particolare, oltre alla disposizione ottimale delle risorse accumulate, anche in termini di risorse umane e di densità demografica sul territorio, Syroežin menziona come determinante il fattore tempo, nel senso della possibilità inedita, rispetto al più ristretto orizzonte capitalistico, di sfruttare appieno ambiti temporali a lungo termine per progetti con scadenze più impegnative, evitando il più possibile cambiamenti arbitrari in corso d’opera, che rischierebbero di compromettere la riuscita del piano. Per quanto riguarda il sistema di incentivi, invece, è sua ferma opinione che debba restare confinato a stimolare una maggiore partecipazione al processo decisionale da parte di tutti gli elementi coinvolti. E lì restare: posizione oggi, come allora, decisamente fuori dal coro.

Si passa quindi all’esposizione di un caso concreto, esemplificazione di una complessità apparentemente irriducibile se non con un cambio di mentalità da parte del pianificatore: un cambio che va nel senso strutturalistico proposto da Syroežin. È il caso della filiera dei pomodori, ma potrebbe dirsi lo stesso di qualsiasi filiera complessa, nel senso che abbraccia più settori durante la lavorazione della merce, a diverso grado di capitale costante e capitale variabile, ovvero a maggiori o minori meccanizzazione e intensità di lavoro manuale. Qual è il problema di tale filiera? Che,

Risultato: tale conflitto può essere risolto dal decisore soltanto grazie alla sua capacità di “cedere”, di scendere a un giusto «compromesso» (компромисс) dove nessuna fase sarà ottimale al 100% ma il risultato conseguito si. È lo stesso problema che si pone in filiere di lavoro complesse, a diversi gradi di intensità di lavoro e di scelta decisionale. Caso banale: merce pronta di pomeriggio in aeroporto per il ritiro in magazzini diversi, con diverse accettazioni, code, ecc., quantità scarsa di mezzi per svolgere il lavoro, non è materialmente possibile ritirare tutto, occorre operare delle scelte. Non solo, non è neppure possibile aspettare che esca tutta la merce, perché l’autista potrebbe finire le ore di guida e, paradossalmente, passare la notte in aeroporto col mezzo fermo, piuttosto che iniziare il giro del mattino dopo il fermo obbligatorio, con due o tre ore di ritardo dalla partenza pianificata, perdendo così ulteriori servizi, ritardando lavori, bloccando o intasando altre filiere cui la sua attività è collegata, eccetera. Il pianificatore deve, a questo punto, operare delle scelte di compromesso. In questo, definire equivalenti masse di lavoro diverse all’interno dello stesso processo, non aiuta a risolvere il problema dell’organizzazione delle forze produttive all’interno della filiera considerata. In altre parole, non contribuisce ad alzare l’asticella neppure di un millimetro. Occorre trovare un altro metodo.

Per inciso, il decisore di Syroežin si muoveva in un Paese dove il lavoro è tutelato, dove non si ricorre a schiavi per la raccolta dei pomodori, e neppure ad autisti altrettanto schiavi da fare trottare con un parco mezzi sempre più scassato quattro, cinque volte al giorno lungo la tangenziale o avanti e indietro dall’aeroporto. Mi dimentico sempre che certe cose non costituiscono un “problema” nel nostro Belpaese, dove non si mangiano i bambini e ognuno è “libero” di scegliere fra un candidato ladro e uno truffatore, dove compriamo le passate senza chiederci quanto siano sporche del sangue sparso per produrle e dove ci aspettiamo che un corriere ci porti il giorno stesso merce appena atterrata in aeroporto, senza pagare una lira in più rispetto a un servizio più “lento” e, anche in questo caso, senza chiederci come ciò sia possibile senza violare i contratti collettivi nazionali e le più elementari leggi di sicurezza sul posto di lavoro.

Torniamo quindi a un Paese “normale”, dove il 9% del PIL del Mezzogiorno non è sottratto dalle mafie28 e dove i problemi di costo del lavoro e reperibilità di risorse non si risolvono con manodopera pagata in nero, con il ricorso al caporalato o, peggio ancora, alla messa in schiavitù di immigrati irregolari (ancora più fragili perché costantemente sotto ricatto, oltre che demonizzati dai media). Nel Paese dei Soviet, Syroežin pronuncia parole importanti: dimostra l’inefficacia di un utilizzo della legge del valore come criterio di equivalenza per l’attività di pianificazione, ovvero al di fuori dell’ambito di applicazione originario di critica della forma merce. Se è vero che tanti chiodi piccoli non è la stessa cosa di pochi chiodi grossi, se è vero che tener ferma una macchina imbottigliatrice per concentrarsi sulla raccolta di pomodori nei campi non è la stessa cosa che scegliere di raccoglierne meno ma non inceppare la filiera produttiva, se è vero che fare la coda in aeroporto a oltranza per ritirare della merce e rinunciare a metà giro il giorno successivo non è la stessa cosa che ritornare il giorno dopo e salvare tutti i ritiri e le consegne in programma, il valore torna allora a essere quello che dovrebbe essere, uno strumento di misura, delimitando l’ambito dell’azione pianificatrice, ma non più determinando l’attività stessa di pianificazione tramite il meccanismo degli equivalenti.

In questo contesto serve uno strumento nuovo, un criterio strutturale di organizzazione dell’economia che agisca sulla composizione organica degli elementi economici che compongono il sistema: in breve, serve uno schema generale (генсхема).

 

Lo schema generale di sviluppo e allocazione delle forze produttive dell’URSS

Era questo un argomento a me nuovo, che ha attirato subito la mia attenzione e stimolato la voglia di approfondire con le risorse disponibili, purtroppo, a chi altro non può che collegarsi sulla rete. In questa pur sommaria attività di ricerca, mi sono imbattuto in dati estremamente importanti, che valgono almeno una cinquantina di metri di corda in più per il nostro assalto alla vetta, tanti quanti sono gli anni che corrono dalla pubblicazione dello Schema generale di sviluppo e allocazione delle forze produttive dell’URSS (Генеральная схема развития и размещения производительных сил СССР) nel lontano 1968. Nessuno in Occidente si è occupato sufficientemente (probabilmente, nessuno si è occupato e basta!) di tale argomento, che rappresenta il primo (e unico) tentativo al mondo in questo senso: mentre, infatti, i “sovietologi” in Occidente erano ancora fermi a Kantorovič e a Novožilov, nella migliore delle ipotesi, e lì si sarebbero fermati (il volume di Boffito, è illuminante a proposito) il Paese dei Soviet, si era imbarcato in un’impresa forse più titanica di quella comandata dal buon Korolëv, citato in apertura capitolo. Vale la pena di riassumerla per sommi capi.

Partiamo dalla fondazione, nel 1930, del Consiglio per lo studio delle Forze Produttive (CFP, Совет по изучению производительных сил, abbr. СОПС “SOPS”), facente capo all’Accademia delle Scienze dell’URSS (Академия наук СССР) e quindi al Gosplan dell’URSS (Госплан СССР, ovvero l’organo deputato alla pianificazione)29.

Già all’inizio degli anni Sessanta, si iniziarono a raccogliere materiali sul potenziale di risorse ed economico di ciascuna regione, con la costituzione sul territorio di collettivi scientifici (научные коллективы) col compito di svolgere ricerche in questo senso. Il SOPS assunse il comando delle operazioni, con un organico a tempo pieno di circa 43 elementi, aventi ciascuno il compito di elaborare tali dati e costruire sulla loro base un metodo di lavoro (методика) per l’elaborazione di un documento prospettico di validità decennale. Nel 1966, dopo anni di lavoro e diverse pubblicazioni preparatorie, fu da lui reso noto e pubblicato il metodo di lavoro per l’elaborazione di uno Schema generale di sviluppo e allocazione delle forze produttive valido per il decennio 1971-198030. Lo scopo sarebbe stato quello di indicare le proporzioni ottimali dei settori economici per ciascuna repubblica e regione all’interno dell’unico complesso socioeconomico sovietico, aumentando l’efficienza della produzione e il benessere della popolazione sulla base di un intervento diretto su una divisione del lavoro e un impiego delle risorse più razionali, nonché di una costruzione pianificata di complessi economici interessanti, per scala dimensionale, intere repubbliche o regioni economiche. Nulla di simile era stato tentato sino ad allora in nessuna parte del pianeta: solo un’economia pianificata a proprietà sociale dei mezzi di produzione poteva essere in grado di farlo.

Il punto di partenza per qualsiasi ragionamento di indirizzo delle attività produttive per quantità e qualità era la valutazione dei bisogni sociali di beni e servizi, in considerazione del progresso scientifico-tecnologico in corso, il tasso di crescita demografico e l’incremento previsto di tali bisogni nel tempo. In misura dei bisogni dei settori direttamente interessati alla produzione di beni di consumo (settore B) e servizi, furono parametrati i dati quantitativi dei settori dediti alla produzione dei mezzi di produzione (settore A). L’analisi dei dati su cui elaborare previsioni e pianificare l’intero complesso delle attività produttive per il decennio dei Settanta, doveva prendere in considerazione le annate 1960, 1965 e 1970, indicative per descrivere l’andamento corrente di tutti i settori. Di ogni settore, era preso in considerazione il consumo di carburante, energia, materie prime, acqua, forza lavoro per unità di prodotto finito. Da questi dati, il passo successivo consistette nel compiere, per ciascun settore di ciascuna repubblica e regione economica:

Nel 1968 il documento era pronto: nato inizialmente come una bozza di 500 pagine, si era espanso sino a ricoprire 50 volumi di cui il primo soltanto era le Tesi fondamentali, mentre gli altri 49 erano tutti di approfondimento, frutto del lavoro di 560 istituti facenti tutti capo al Gosplan e all’Accademia delle Scienze dell’URSS. L’esame da parte del Gosplan terminò nel maggio del 1971 e si concluse con la sua piena ricezione per la successiva attività di pianificazione del decennio successivo. L’ambito della ricerca svolta era totale e si svolgeva lungo queste direttrici:

La ricerca su ciascuna di queste direttrici doveva essere condotta utilizzando la stessa, medesima, metodologia, avvalendosi delle medesime tecniche matematiche di calcolo ed elaborazione dati, grazie all’impiego di calcolatori elettronici. Il seguente elenco, che raggruppa le Questioni fondamentali e cruciali dello Schema (Основные узловые вопросы Схемы) è estremamente indicativo dello sforzo impressionante compiuto:

    1. Base economica di partenza (indicatori dei livelli raggiunti, determinazione delle questioni irrisolte di allocazione razionale dei settori produttivi);

    2. Linee prospettiche di sviluppo nei prossimi 15 anni:

a. indicatori fondamentali di approvvigionamento delle risorse minerarie, di carburante, di terra e acqua, in prospettiva e questioni riguardanti il loro impiego complessivo;

b. quantità di popolazione attesa e risorse lavorative per regione;

c. indicatori fondamentali di aumento della produzione agricola (con varianti), calcolo dei bisogni e dei frutti del raccolto e dell’allevamento;

d. indicatori fondamentali dello sviluppo di un sistema di trasporto nazionale unico;

e. indicatori fondamentali di sviluppo e allocazione della sfera dei servizi;

    1. Schema di sviluppo e allocazione del complesso energetico e di carburante;

    2. Problemi di sviluppo e allocazione della base mineraria e di materie prime dell’industria;

    3. Schema di sviluppo e allocazione dell’industria dell’economia forestale;

    4. Schema di allocazione dei settori fondamentali dell’industria;

    5. Schema di sviluppo dell’economia delle acque;

    6. Schema di sviluppo e allocazione dell’agricoltura;

    7. Schema di sviluppo e di allocazione di un’unico sistema di trasporto.

A rendere ancora più titanica questa impresa avvenuta ormai mezzo secolo fa e, non caso, lasciata volutamente in un dimenticatoio sepolta sotto cumuli di macerie, il fatto che ogni valutazione era espressa in tre varianti a seconda del livello di attuazione: basso, medio, alto. La differenza di gamma fra i dati di minima e di massima era dell’ordine del 30%, ma poteva aumentare a seconda delle tempistiche di previsione considerate. Ciascuna di questa valutazioni, a sua volta, era frutto di diverse ipotesi di lavoro, che consideravano diversi scenari di ripartizione fra i fondi di consumo (фонд потребления) e i fondi di accumulazione (фонд накопления), ovvero diverse quantità di investimenti disponibili. In sostanza, anche in questo caso tre erano gli scenari considerati: fondi di accumulazione in crescita, oppure invariati, oppure in diminuzione. Per ogni ipotesi di lavoro, erano formulate le rispettive quantità di risorse di ogni genere da impiegare. Cruciale era il metodo unitario da impiegare per la razionalizzazione del bilancio di ogni unità produttiva, per la compilazione dei bilanci intersettoriali e dei movimenti fra repubblica e repubblica e regione e regione. Tutto questo era rimodulato per tipologie concrete di prodotti, da cui il titolo, meritato, di “Schema generale”.

Di fatto, tali indicazioni non divennero in tutti i casi obbiettivi di piano realizzati: in alcuni casi imponevano una grande ristrutturazione dell’apparato produttivo che poi non fu completata; in altri casi e settori, invece, costituirono realmente non solo orientamento, ma base di pianificazione e direzione delle attività produttive di quel decennio.

Ciò che a noi importa è, in conclusione, il fatto che il nostro capocordata faccia riferimento a questa esperienza e alla sua influenza sull’attività pianificatrice a lui contemporanea, col senno di poi, giunto al termine del decennio considerato dallo schema generale stesso: un documento che, nelle intenzioni di alcuni ministeri citati, era già divenuto prassi concreta e che lui puntava, tramite un’azione progressiva di riforma e sostituzione delle vecchie strutture amministrative, a far divenire non più documento indicativo, ma norma generale di sviluppo per il Paese dei Soviet. Per farlo, occorreva ripartire da un diverso, più evoluto modello organizzativo. È su quest’ultimo punto che si focalizza ora la sua ricerca.

 

Primi elementi di un modello organizzativo-strutturale del sistema economico

Nello scrivere queste righe, ogni volta penso a come sia stato diverso studiare economia in un’università sovietica: anni, per i ricercatori e gli scienziati decenni, di studi su ciò che da noi è sempre stato messo a tacere in maniera del tutto sommaria, se si eccettua qualche isola-che-non-c’è tipo “Economie comparate” e, in genere, per parlarne poco e male sul rodato stile Vae victis (lo stesso vale oggi per tutte le università cinesi, dove il “marxismo” da loro rivisto, corretto e approvato, ha diritto di cittadinanza ma non l’economia di piano). Ebbene, il nostro Syroežin proprio a questo punto ha ancora l’ardire di elaborare un modello strutturale-organizzativo del sistema economico sovietico senza infrangerne il delicato e complesso ordito. E comincia, con estremo rigore, collocando i processi economici entro tre zone lungo il ciclo di produzione della merce, come da seguente diagramma:

selmi62

Partendo quindi dai bisogni sociali, la zona di destino li soddisfa direttamente, ma ha bisogno dei semilavorati realizzati nella zona intermedia, la quale ha bisogno delle materie prime estratte nella zona di partenza. Il ciclo della merce è quindi rappresentato come catena complessa di soddisfacimento dei vari bisogni che, a cascata, discendono dal bisogno primario che è quello sociale di beni e servizi.

Ciascuna di queste tre zone comprende processi che è possibile raggruppare fra loro seguendo precisi criteri:

1. Zona di partenza: il discrimine è la territorialità; alcuni processi saranno dipendenti dal territorio da cui estraggono risorse e materie prime. Appartengono a questa categoria i processi che coinvolgono i pozzi petroliferi vicino a Baku, piuttosto che le miniere vicino a Doneck. Altri processi, invece saranno possibili a prescindere dalla specificità territoriale: una centrale atomica, piuttosto che un termovalorizzatore o un impianto fotovoltaico.

2. Zona intermedia: in questo caso, il discrimine non sarà più esterno al processo, ma interno al suo funzionamento; pertanto, riguarderà il suo grado di propensione a dinamiche di tipo quantitativo, da un lato, e strutturale, dall’altro. Syroezhin giunge così a distinguere quattro casistiche, ovvero

- processi solo di tipo strutturale: caso degli istituti di ricerca che producono prototipi e determinano il modello da produrre; ovviamente, nulla da produrre – zero libertà di scelta produttiva;

- processi solo di tipo quantitativo: caso degli istituti di pianificazione che prendono il prototipo e ne determinano la produzione su scala industriale; estrema libertà di scelta produttiva su cosa e quanto produrre seguendo l’architettura tracciata nello schema generale;

- processi di tipo sia strutturale, che quantitativo: caso della maggior parte delle aziende e delle unità produttive, che assolvono agli obbiettivi di piano organizzandosi (ovvero, agendo sul piano strutturale) autonomamente su come raggiungere le quantità prefissate; è questo il gruppo più problematico, in quanto retaggio di un passato (il Nostro li chiama senza mezzi termini “relitti”) dove arrangiarsi era necessità, ma dove oggi è impensabile lasciare al libero arbitrio, alla discrezionalità di ogni azienda, la scelta di cosa produrre e quanto produrre per assolvere agli obbiettivi di piano; in prospettiva, i processi coinvolti dovrebbero virare decisamente e totalmente sul piano quantitativo, lasciando quello strutturale ai processi di secondo tipo.

- processi di tipo né strutturale, né quantitativo: caso della riparazione e manutenzione; A parte la manutenzione programmata, tutto il resto assume carattere di emergenza proprio per la natura stessa riparatrice di tali processi.

3. Zona di destino: come all’inizio, il discrimine è la territorialità; fra i processi dipendenti dal territorio, annovereremo la soddisfazione del bisogno di condizionatori a Jalta o a Batumi, così come di cappotti termici nelle case di Novosibirsk o Ekaterinburg. Fra i processi indipendenti dalla specificità territoriale, ci saranno ovviamente i bisogni primari, ma anche quella “dimensione socio-psicologica dei bisogni” (социальный и психологический «фон» потребностей) entro cui si assiste a una continua mobilità (подвижность) di quegli ambiti che ne determinano composizione e struttura.

Chiariti compiti e mansioni e individuate le zone di criticità laddove i processi decisionali si sovrappongono in modo inefficace, è possibile ora per Syroežin creare dei sottogruppi per ciascuna zona, chiamate sfere (сфера) di competenza, entro cui i compiti siano definiti, chiariti così da raggruppare, entro di essi, i processi sopra descritti. In questo organigramma, il suo intervento è volto a migliorare la zona intermedia, quella maggiormente critica, per le problematiche espresse, e cruciale, perché anello di collegamento indispensabile fra risorse e risultati. In particolare, la sua azione si potrebbe riassumere nel “semplice” (a dirsi): a ciascuno il suo. Vale la pena di riportare per intero la sua conclusione:in prospettiva si configureranno tre tipi di unità economiche: quelle che creano prototipi, quelle che decidono quali e quanti farne, quelle che le realizzano. Oggi, nell’economia reale, questi processi sono mescolati fra loro, spesso sovrapposti entro la stessa unità economica o, al contrario, parcellizzati entro diversi elementi strutturali”.

Syroežin parte da un principio che, apparentemente, ha dell’ovvio, ma tanto ovvio non era: per inciso, lo stesso potrebbe valere per qualsiasi, sottolineo qualsiasi, unità produttiva sparsa nel globo… anzi, con un grado ben maggiore di disorganizzazione, spreco e anarchia produttiva, recuperati soltanto premendo ulteriormente sui costi di produzione, stoccaggio e trasporto e trovando qualcuno sempre nuovo da schiavizzare. Egli, invece, nel distinguere chiaramente fra sfera degli investimenti (preposta all’auto-organizzazione del sistema economico, determinante nella decisione del senso di marcia dello sviluppo economico), sfera infrastrutturale (legata all’aspetto quantitativo, cosa e come produrlo) e sfera produttivo-manutentiva (legata alla produzione, alla messa in opera di quanto deciso nei due stadi precedenti), distingue ciò che fino ad allora era mescolato, raggruppa ciò che era disperso, crea un flusso di lavoro coerente, ordinato e ottimizzato per garantire il massimo dell’informazione e dell’efficacia di ogni azione all’interno di ciascuna sfera. Una maggiore razionalizzazione e specializzazione dei processi decisionali e delle attività volte a realizzarli, a livelli impensabili in un modo di produzione decisamente meno evoluto quale quello capitalistico, avrebbe sicuramente portato a:

Ebbene, questo è lo schema finale del suo organigramma:

selmi63

Tratteggiato quello che rappresenta il percorso più razionale dell’intero ciclo di produzione di beni e servizi, il Nostro affronta un nodo tutt’altro che semplice: da un lato, una produzione sempre più massificata e tendente a uniformare i bisogni sociali; dall’altro una differenziazione sempre più netta, una “complicazione”, nel senso di una sempre maggiore complessità, dei bisogni sociali. Come risolvere questa apparente contraddizione? Lo scopriremo nella prossima puntata… nel frattempo, gustiamoci questa anticipazione:

Già sappiamo che tale conflitto fra produzione di massa e sottomissione della stessa ai bisogni, dovrà essere risolto in maniera settoriale. Per fare ciò, occorre definire, all’interno dell’economia sociale, gruppi di processi reali, contigui per funzioni e aree di competenza, che insieme formeranno il cosiddetto blocco primario (первичный блок). Definire la sua composizione, la sua struttura, le sue funzioni, significherà rispondere, finalmente, alla domanda di cosa sia l’oggetto dello sviluppo pianificato in un’economia socialistica.

Cari compagni, buona lettura.

* * * *

Pianificabilità, pianificazione, piano

di Ivan Mikhajlovič Syroežin

I parte - Pianificabilità

 

Capitolo 3 Condizioni strutturali e informative di realizzazione della pianificabilità

 

3.1 Sulla realizzazione della pianificabilità

Nel corso dell’epoca economica precedente, a permettere un’autooorganizzazione economica di tipo quantitativo, fondata unicamente sull’incremento dei volumi produttivi, era lo sviluppo spontaneo della produzione sociale in previsione di una crescita del reddito netto dato da tale produzione. L’andamento del sistema capitalistico procedeva unicamente secondo tale criterio31. Le possibilità economiche erano limitate da un punto di vista sia tecnologico (da una base materiale relativamente semplice e poco sviluppata), sia economico (da un processo di autoorganizzazione economica subordinato alla crescita della ricchezza).

Disfacendosi dei criteri di autoorganizzazione economica di tipo quantitativo, il tipo di movimento impresso al sistema economico cambiò radicalmente. Oggi l’economia si sviluppa secondo un criterio «multidimensionale» (многомерный) che abbraccia l’intera struttura dei bisogni sociali. Le possibilità economiche sono cresciute notevolmente. L’autoregolamentazione economica su un criterio di tipo strutturale non può essere realizzata in modo soddisfacente su basi spontaneistiche. Nasce così la necessità, fondata obbiettivamente, di scegliere coscientemente la traiettoria del processo di riproduzione della merce sulla base di limitazioni date dalla massa di tempo lavoro disponibile alla società. Questo instaura un circolo virtuoso:

Ecco quindi divenire determinanti contenuto e criteri della divisione del lavoro sociale. Gli schemi marxiani relativi alla riproduzione della merce acquistano qui un nuovo portato:

Col passaggio al criterio strutturale di autoorganizzazione dell’economia, a costituirne forza motrice resta sempre la massa di plusvalore. Di conseguenza, l’economia sociale deve avere pieno controllo sulla ripartizione e sull’utilizzo di tale nuovo valore. Pertanto va bene, anzi, è necessario conservare gli schemi tradizione di produzione e riproduzione della merce, ma occorre anche integrarli con un nuovo gruppo di schemi, in grado di collegare ciò che costituisce l’oggetto di una scelta consapevole – la traiettoria dell’economia sociale – con la risultanza ultima, a un apice prefissato dello sviluppo economico.

La società, in qualsiasi stadio del suo sviluppo, dispone sempre di certo ammontare di guadagno netto. Socializzare la proprietà porta tale reddito netto complessivo nelle mani dei nuovi padroni, ovvero della società intera. La creazione di tale reddito, tuttavia, e la sua successiva ripartizione, sono in mano a diversi amministratori di diversi livelli e settori. Realizzare la pianificabilità, ovvero attuare l’impiego cosciente e finalizzato di questa nuova, obbiettiva caratteristica del ciclo di riproduzione della merce, comporta la soluzione del quesito di dove, nelle mani di chi fra questi amministratori, come e quanto, debba finire questo reddito netto forza motrice dell’economia sociale. La risposta a questa domanda ce la darà l’analisi delle coperture strutturali della pianificabilità.

Se si sceglie consapevolmente una struttura, tale per cui si possa dare forma e impiegare un reddito netto che sia conforme ai criteri di autoorganizzazione di cui l’economia sociale stessa si è dotata, allora la pianificabilità si realizzerà con il minimo di intralcio. Oggi invece, per superare i limiti che imbrigliano il nostro sviluppo sociale, scegliamo la strada di una maggiore concentrazione (концентрация) e specializzazione (специализация), entrambe orientati su criteri di tipo quantitativo, intensivo. Il criterio di sviluppo, ovvero interventi di tipo strutturale, di composizione della struttura economica, è lasciato da parte.

Semen Aronovič Hejnman ci fornisce dati sulla contraddizione esistente fra la struttura del processo di riproduzione della merce e la sua declinazione in chiave burocratico-amministrativa:

Continua la dispersione produttiva fra dipartimenti e aziende varie di apparecchiature destinate agli impianti industriali, ai loro servizi ausiliari o alle scorte. Parliamo di inefficienze nella specializzazione produttiva per articoli. 22 fabbriche del Ministero dell’industria pesante producono il 17% dei mezzi di sollevamento e trasporto, il resto è prodotto in 400 fabbriche di 35 ministeri e dipartimenti. 155 fabbriche del Ministero dell’edilizia civile, industriale e stradale realizzano l’82% dell’intera produzione industriale del settore e, il resto, sparpagliato in 400 fabbriche di altri settori. Il Ministero dell’industria chimica produce scambiatori di calore in 14 fabbriche, colonne in 12 e serbatoi in 15. Quasi tutte le fabbriche dell’industria pesante si producono gli ingranaggi per le loro linee da sole, così come il 65% della viteria e della bulloneria è prodotto ‘in casa’. Tutto questo è prodotto in quantità limitate e con un notevole incremento dei costi”32.

La dispersione della produzione in fabbriche “doppioni” disseminate fra le varie suddivisioni amministrative, può essere sicuramente valutata in modo diverso. C’è chi potrebbe affermare che sia, proprio questa burocratizzazione della produzione, la strada giusta per orientare i rapporti socioeconomici verso l’allineamento dei bisogni sociali coi risultati ottenuti. Tuttavia, già solo a un primo sguardo, tale burocratizzazione si presenta sotto la forma inaspettata e carente di una divisione dell’industria pesante in un guazzabuglio di compartimenti stagni.

Parliamo quindi di divisione del lavoro sociale (разделение общественного труда), fenomeno noto sin dalla nascita della prima forma di economia sociale. Esso si sviluppa storicamente in diversi modi e direzioni, assumendo forme specifiche a seconda del grado di sviluppo delle forze produttive e del criterio socioeconomico di conduzione dell’economia. Ciò accade perché la divisione del lavoro è uno dei più importanti mezzi di autoorganizzazione del sistema sociale in qualsiasi società.

Nelle condizioni di autoorganizzazione economico-sociale della società capitalistica, anche al suo stadio di sviluppo più avanzato, permane un criterio di crescita di tipo quantitativo; ciò implica che la divisione del lavoro sociale soggiaccia anch’essa a determinazione quantitativa, da parte della legge fondamentale di tale modo di produzione, ovvero quella del plusvalore; allo stesso tempo, essa è anche subordinata a un meccanismo di scambio degli equivalenti secondo criteri esclusivamente mercantilistici. Sono queste due condizioni a permetterci di chiarire i mutamenti radicali che occorrono in una divisione del lavoro sociale durante la transizione dal capitalismo a un socialismo sviluppato.

Riassumiamo qui brevemente gli aspetti metodologici per un’analisi della divisione sociale del lavoro corrente:

La divisione del lavoro sociale, a prescindere da come avvenga, condurrà necessariamente a una maggiore complicazione dell’economia, alla crescita quantitativa delle interazioni possibili fra i suoi elementi. “La crescita della complessità comporta un aumento numerico di elementi del sistema indispensabili ed eterogenei fra loro, nonché all’incremento delle interazioni fra loro. All’interno del sistema cresce la differenziazione e l’individualizzazione delle sue componenti, a ogni livello… man mano che aumenta quindi tale sviluppo, e ogni elemento sistemico diviene sempre meno intercambiabile, il ruolo dell’informazione diviene sempre più determinante”34.

Per ogni elemento strutturale che partecipa alla definizione della traiettoria di sviluppo economico, esiste un’informazione molto specifica che acquista sempre più valore: quella relativa al proprio ruolo nella crescente differenziazione economica del sistema. In quest’ottica, anche le interazioni e i flussi di informazioni sono sempre più differenziati. Questo ci obbliga a considerare in modo più approfondito la categoria di lavoro produttivo (производительный труд) nel socialismo.

Si dice produttivo quel lavoro che contribuisce ad alterare la determinazione quantitativa della legge fondamentale di sviluppo di un dato ordinamento economico. La legge fondamentale di sviluppo del socialismo si applica per tutta l’intera economia sociale; tale legge avvicina due strutture: quella dei risultati e quella dei bisogni. Di conseguenza, nel socialismo è produttivo qualsiasi lavoro che modifica la struttura del flusso di beni e servizi, avvicinandola alla struttura dei bisogni.

Qualsiasi mutamento di composizione e rapporto fra volumi produttivi di beni e servizi, è generato da mutamenti di tipo tecnico, organizzativo, tecnologico, economico o sociale, che occorrono in un dato settore dell’economia sociale. Pertanto, il segno distintivo più comune di tale mutamento è proprio la comparsa di una nuova interazione, di una nuova reciprocità all’interno del sistema economico. A sua volta, tale novità sarebbe impossibile, se fra gli elementi economici non vi fossero condizioni favorevoli per una certa libertà di scelta operativa da parte degli agenti economici che in tali elementi agiscono. In altre parole, libertà di scelta significa che in un dato elemento economico, le persone ivi presenti possono esse stesse scegliere (sia pur non totalmente) la composizione, l’ordine, la successione e la durata temporale delle operazioni lavorative, ovvero produttrici di quell’utilità sociale alla base di nozione stessa di lavoro. È chiaro che la squadra di assemblatrici di una catena di montaggio di orologi non avrà la medesima libertà di scelta della squadra di tecnici e costruttori della stessa fabbrica, dedita alla ricerca e sviluppo di nuovi modelli. Da ciò discende che il lavoro delle assemblatrici di quella fabbrica influisce sull’andamento della struttura dei risultati economici in maniera più debole, rispetto al lavoro dei tecnici e progettisti.

Ecco quindi come, secondo questa rappresentazione, sia possibile comparare (соизмерить) diversi tipi di attività fra loro, e ridurli a un minimo comune multiplo.

Stiamo parlando, in questo caso, di una nuova forma di equivalente (эквивалент). In economia, i prodotti del lavoro di due diversi elementi strutturali si diranno equivalenti quando la loro creazione modificherà allo stesso modo il rapporto fra il flusso complessivo delle strutture di beni e servizi e il flusso complessivo delle strutture di bisogni sociali. Occorre subito chiarire che il tempo lavorato, espresso nella sua forma più semplice (ridotta alla quantità di ore lavoro), non necessariamente coinciderà per tali prodotti; anzi, ciò costituirà un’eccezione. È altrettanto chiaro che tale equivalente solo in via del tutto eccezionale costituirà metro di scambio fra due controparti direttamente coinvolte35.

Ne consegue che, nella misura in cui la libertà di scelta fa da fondamento oggettivo dell’equivalenza fra i vari prodotti delle attività sociali, è proprio il lavoro creativo a diventare pietra angolare dell’intero sistema di rapporti economici. In tale rappresentazione i classificatori (классификаторы), chiamati a descrivere la divisione del lavoro sociale, sono determinati dal contenuto e dalle condizioni del processo decisionale economico. Da essi, anzi tutto, discende peraltro la determinazione del grado di maturità economica (экономическая зрелость) dei prodotti del lavoro36.

Il grado di maturità economica di un risultato economico dato determina la tecnologia della scelta, compiuta in modo consapevole, della traiettoria dell’andamento economico (технология сознательного выбора траектории движения). Per tecnologia della scelta si intende l’insieme delle tecniche di elaborazione e coordinamento decisionali che occorrono in tutte le sfere dell’economia socialistica.

Il meccanismo tradizionale di pianificazione nella nostra economia si formò fra gli anni Trenta e i Cinquanta37, ma già alla fine dei Sessanta cominciò a generare risultati sempre più inattesi rispetto alle decisioni intraprese. La comparsa e l’impiego sempre più diffuso della pianificazione orientata a obbiettivi specifici (программно-целевое планирование)38 è sintomo di una voglia di trovare, nella nostra economia, nuove tecnologie di elaborazione e realizzazione di decisioni pianificate. Tuttavia, in questo caso noi ci stiamo occupando soltanto di questioni parziali, senza risolvere quelle generali. Finché l’intera struttura dell’economia sociale non sarà rispondente alla divisione del lavoro sociale oggettivamente esistente, ovvero all’andamento reale della nostra legge economica fondamentale, noi ci troveremo sempre di fronte alle complicazioni dovute alla mancata armonizzazione di questi due meccanismi di pianificazione che ora corrono in parallelo e che si cerca, attualmente, di unire.

Se il momento iniziale per la definizione della traiettoria di sviluppo economico è dato dalla struttura dei bisogni originatisi nella società, allora occorre anzi tutto considerare che “il volume di questi bisogni è differente quantitativamente, e c’è un legame intimo che concatena in un sistema spontaneo e naturale le differenti masse di bisogni”39. Giusto questo sistema dei bisogni (система потребностей ) deve essere il punto di partenza per suddividere l’economia sociale in aggregati, o blocchi (блок), che compiano la scelta pianificata della traiettoria. Aspetti importanti, al fine dell’organizzazione di una scelta consapevole di traiettoria, sono i suoi ambiti spaziale e temporale.

Risorse materiali accumulate e situazione demografica sono da tenere nella dovuta considerazione nelle questioni riguardanti la divisione sociale del lavoro. Non da ultimo, un importante aspetto per una scelta consapevole della traiettoria di sviluppo, è la stabilità nel tempo che deve caratterizzare in modo duraturo e positivo l’andamento del processo innescato dalla scelta; assolutamente sono da evitare cambiamenti arbitrari, in questo o quell’elemento interessato dal processo di pianificazione, che rischino di compromettere il compimento della traiettoria scelta.

Ad alcuni sembra che, a questo punto, un ruolo chiave sia giocato anche da un sistema di incentivi che consenta la messa in opera della traiettoria scelta e la realizzazione della pianificabilità nel sistema. A scanso di equivoci, l’unica incentivazione (стимулирование) concepibile è quella per spingere tutti gli elementi del sistema a partecipare al processo di scelta.

3.2 I rami strutturali dell’economia sociale

Nelle condizioni di rapporti economici, diretti a ricostruire la struttura del flusso di beni e servizi, definiamo economicamente maturo quel risultato, relativo all’attività di qualsiasi elemento della struttura economica, che sia frutto di una piena, consapevole, ed efficace libertà di scelta da parte dei decisori. Consideriamo un caso semplice: la produzione e trasformazione industriale dei pomodori.

Dalle valutazioni correntemente impiegate per una sempre maggiore specializzazione e risultanza economica, abbiamo che l’ambito considerato dal bilancio economico (ovvero i confini entro cui considerare la maturità economica dei vari risultati), deve abbracciare in un unico ramo strutturale (структурное подразделение) l’intero ciclo di lavorazione, dalla preparazione del terreno per la semina fino alla trasformazione e distribuzione del prodotto finito sia crudo, che sotto conserva. In effetti, entro tale forma organizzata è più comodo e semplice massimizzare la quantità di valore aggiunto per ogni unità prodotta. Tuttavia, le fasi di questa filiera non sono tutte a pari intensità di lavoro (трудоёмкость): la fase di raccolta, per esempio, è quella a maggiore intensità. Pertanto, se aumentiamo la specializzazione produttiva senza modificare i rapporti di incidenza del lavoro fisico sulle varie fasi, abbiamo una situazione tipo apparentemente paradossale, dove all’aumento di specializzazione corrispondere una maggiore dispersione di energie e un aumento della merce non raccolta.

Ciò, tuttavia, è il contrario di quanto ci si aspetta dalle migliorie apportate: infatti, dal punto di vista della legge economica fondamentale del socialismo, la risultanza economica per tutte le attività legate alla coltivazione e alla trasformazione del pomodoro sarà infatti tanto maggiore, quanto maggiore sarà il raccolto biologico e minori le perdite subite sulla strada verso il consumatore. Partiamo quindi da questo principio e individuiamo, dal punto di vista della maturità economica rispetto alla produzione e alla trasformazione e distribuzione del pomodoro, le due fasi cruciali per il risultato finale: il conseguimento di un buon raccolto e la sua lavorazione.

La prima fase ha i suoi criteri e linee guida per il migliore impiego della libertà di scelta. Caratteristiche economiche saranno, in questo caso, la quantità di raccolto e il grafico dei tempi di maturazione del pomodoro. Manovrando assortimenti, tecnologia agricola, tempi di preparazione e aratura dei terreni, ecc., è possibile entro certi limiti gestire tutti questi parametri interrelati fra loro. La seconda tappa ha altri criteri e caratteristiche entro cui condurre il margine di manovra della libertà di scelta decisionale. La gente opererà con un regime di lavoro decisamente diverso dal precedente, così come anche le decisioni intraprese saranno profondamente diverse. Tuttavia, la squadra, il collettivo di lavoro sarà lo stesso a gestire entrambe le fasi. Ecco allora che il decisore si troverà a dover scegliere il giusto «compromesso» (компромисс) fra la perdita di quella parte di raccolto che sarà purtroppo lasciata a terra e non si riuscirà a portare in lavorazione, e il costo derivato dall’immissione di manodopera aggiuntiva da altri reparti della stessa filiera per completare quel lavoro, rallentando o bloccando gli altri settori in cui era dislocata. Il fatto che tale decisione non possa essere altro che un compromesso è supportato teoricamente, da un punto di vista di teoria marxistica del valore, dalla semplice constatazione che il processo di creazione del valore del pomodoro prodotto finito non si ferma al raccolto e, pertanto non tutte le risorse possono essere coinvolte in tale fase del processo produttivo.

La categoria di valore riflette correttamente un determinato ambito di rapporti socio-economici. Nella dialettica dello sviluppo dei rapporti fra quell’ambito e gli altri tale categoria non può restare costante: a cambiare è il peso del ruolo che ricopre, il fardello che porta sulle sue spalle nelle condizioni di un’economia socialistica matura (в условиях зрелой социалистической экономики). Pertanto, essa non può più fungere da criterio di autoorganizzazione del sistema economico e può soltanto indicarne i limiti di parametro. In altre parole, il valore torna a essere uno strumento di misura, delimita l’ambito dell’azione pianificatrice, ma non più l’attività stessa di pianificazione tramite il meccanismo degli equivalenti. L’esempio dei pomodori mostra chiaramente come la maturità economica di un risultato, relativo a ciascuna attività, debba essere di altro tipo. Il lavoro di raccolta dei pomodori, apre a tutto un ciclo di lavori che lo sottoporranno a valutazioni di bilancio economico (хозрасчёт). Contestualmente, occorrerà anche individuare nuove forme organizzate che gestiscano tale attività.

Il cambio di criterio di autoorganizzazione dell’economia sociale non può non influire anche sulla sua struttura. La teoria dei sistemi economici ha consentito di elaborare i tratti concettuali di uno schema generale (генсхема) dell’economia socialistica, in grado di rispondere alla nuova configurazione creatasi, in una società socialistica matura, della divisione del lavoro sociale. I fondamenti classificatori dello schema generale furono testati su singole parti dell’economia reale. Furono così creati schemi generali di sviluppo del Ministero della flotta marittima, del Ministero dell’industria delle telecomunicazioni e del Ministero dell’industria leggera della Repubblica Socialista Sovietica di Estonia. L’esperienza di questi lavori ha, tuttavia, dimostrato che ogni miglioramento degli schemi generali negli specifici settori di applicazione resta, a un certo punto, bloccato dalla mancanza di uno schema generale di sviluppo dell’economia sociale, intesa nel suo complesso. Gli strumenti che andremo ad esaminare per una migliore divisione del lavoro nel socialismo e i classificatori propri della teoria dei sistemi economici ci consentiranno di descrivere questa concezione di schema generale.

L’economia sociale si può suddividere in tre grandi zone (зоны) strutturali:

1. zona di partenza (исходная зона), dove gli elementi strutturali soddisfano il bisogno di «estrazione» (извлечение) degli oggetti della natura necessari all’attività vitale della società;

2. zona di destino (замыкающая зона), dove gli elementi strutturali soddisfano direttamente i bisogni sociali di beni e servizi, anche extra-economici;

3. zona intermedia (промежуточная зона), dove gli elementi strutturali trasformano i risultati delle attività dell’area di partenza nei presupposti per le attività della zona di destino .

Gli elementi strutturali di ciascuna zona sono raggruppabili fra loro secondo la condizione prevalente che ne condiziona la formazione e l’attuazione pratica degli interessi economici. Per esempio, nella zona di partenza saranno i fattori naturali e climatici, piuttosto che geologici e geografici. Gli elementi strutturali di questa zona incidono sull’economia più o meno «in profondità» (вглубь), a seconda di quanto i rapporti economici siano più o meno dipendenti dai fattori naturali e ambientali. Allo stesso modo, la zona di destino dovrà fare i conti con elementi strutturali che rimanderanno ai bisogni sociali, alla loro mobilità (подвижность), allo «sfondo» sociale e psicologico (социальный и психологический «фон») della loro origine e, in termini concreti, alle dimensioni della platea di consumatori, alla loro composizione, alle loro domande di beni e servizi. Più complesso è determinare i tratti dominanti della zona intermedia. È qui che si collocano gli elementi strutturali avanguardia dello sviluppo scientifico-teconologico. Tuttavia, il loro impiego, ovvero la loro precisa collocazione e funzione nello schema generale, dipende sia dalla disposizione degli elementi strutturali della zona di partenza che dalla disposizione degli elementi strutturali della zona di destino; entrambe queste disposizioni, a loro volta, dipendono da fattori che chiamiamo ambiente economico (среда хозяйства).

Il passo successivo per disegnare una mappa concettuale dello schema generale, sarà quello di distinguere le sfere (сфера) economiche per ciascuna zona. Prima, però, occorre meglio definire gli elementi distintivi del funzionamento di ciascuna zona. Il discrimine per i processi riguardanti le zone di partenza e di destino è la specificità territoriale entro cui si intraprendono e attuano le decisioni. Circa la zona di destino è evidente, per esempio, che sarà diversa da luogo a luogo l’elaborazione di piani di sviluppo per il miglioramento delle condizioni di vita, perché alcuni loro tratti saranno rimodulati secondo specifiche locali concrete. Avremo quindi due sfere, in queste zone: una indipendente dalla territorialità e una invece strettamente da lei dipendente.

La zona intermedia è invece, come già accennato, più complessa, in quanto non possono essere i fattori esterni il discrimine fra le diverse sfere di attività. In questo caso, i vari tipi di processo di trasformazione si distinguono in base a come e quanto incidono sul funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Ogni processo economico di questa zona, infatti, in quanto afferente a tutte quelle attività vitali che costituiscono le unità strutturali di una società, sarà correlato al lato quantitativo o a quello quello strutturale di questo grande meccanismo di trasformazione delle risorse e delle conoscenze in bisogni sociali soddisfatti. Sulla base di questo criterio, possiamo distinguere quattro tipi fondamentali di processi:

I. Il processo influisce soltanto sul lato strutturale del funzionamento economico. È il caso dell’attività degli istituti di ricerca, che scoprono nuove tecniche e producono prototipi (образцы) di nuovi macchinari, beni o servizi.

II. Il processo influisce soltanto sul lato quantitativo del funzionamento economico. È il caso dell’attività degli organi di pianificazione, il cui compito è stabilire la quantità (тираж) da mettere in produzione di un dato prototipo o di un altro per ciascuna unità produttiva, per ciascun aggregato economico, e per tutto il loro insieme.

III. Il processo influisce contemporaneamente sia sul lato strutturale, che su quello quantitativo del funzionamento economico. Tale fenomeno accade, ancora oggi, in tutte le unità produttive del Paese. Si tratta di un retaggio di antiche pratiche socio-economiche che risalgono alla notte dei tempi, quando scienza, arte, e capacità produttive di base erano bagaglio obbligato di ciascun individuo. Anche nel nostro modo di produzione, quando era ancora orientato da metodi prevalentemente quantitativi, sopravvivevano forme ibride dove le unità produttive sceglievano ancora cosa mettere sulle linee e quanto produrne per completare il piano. Ancora oggi, nella maggior parte delle aziende e delle unità produttive, sono loro stesse a scegliere i modelli da mettere in produzione e a determinarne le quantità, ovvero realizzano questi processi di terzo tipo. Aumentando la complessità del processo di sviluppo, questi processi di terzo tipo, «relitti» (реликты) che ancora oggi costituiscono la maggior parte dei casi nel nostro Paese, devono essere necessariamente e progressivamente soppiantati dai processi di secondo tipo, per evitare sprechi e inefficienze. Il progresso scientifico-tecnologico (processi di primo tipo), è in continua crescita e sviluppo. Il modo socialistico di produzione, che per sua stessa natura non è orientato al profitto, mette in condivisione immediata queste scoperte e innovazioni: è in questo crogiolo che si formano, si rafforzano e continuano a crescere gli elementi strutturali che compongono quella infrastruttura regolatrice (регулирующая инфраструктура) entro cui saranno poi i pianificatori (processi di secondo tipo) a determinare la parte quantitativa del processo.

IV. Il processo non influisce sul lato strutturale, su quello quantitativo del funzionamento economico. È il caso, per esempio, dei lavori di manutenzione e riparazione operanti su base nota e standardizzata.

Dal punto di vista della libertà di scelta produttiva, i processi di primo tipo sono chiaramente esclusi, in quanto la prototipia è, per definizione, estranea a criteri di tipo quantitativo. Restano attualmente in campo i processi di secondo, terzo e quarto tipo. Esclusi questi ultimi, la cui libertà di scelta, a parte la manutenzione programmata, non può essere vincolata da piano per ovvi motivi di incertezza e casualità dei tempi e delle entità dei guasti, notiamo come la prospettiva debba essere la progressiva, drastica riduzione dei processi di terzo tipo e l’appannaggio sempre più esclusivo del cosa e del quanto produrre ai processi di secondo tipo. Di fatto, quanto accennato è ancora tutt’altro che un dato di fatto: è un percorso che è stato da poco imboccato e che porterà progressivamente a una concentrazione e cristallizzazione (кристаллизация) dei processi produttivi entro queste quattro forme. La necessità di un cambio di passo nel criterio di sviluppo della nostra economia socialistica, in favore di un suo essere sempre più orientato al soddisfacimento immediato dei bisogni sociali, è iniziato, secondo le nostre stime, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta. L’inerzia del passato (инерция прошлого) si è dimostrata particolarmente forte laddove le risorse, a partire dalla loro individuazione fino alla loro disposizione, sono ancora pesantemente gestite a livello burocratico-amministrativo. È per questo che la divisione dei processi in sfere di competenza, necessaria proprio per ovviare a queste distorsioni, è riferibile a una struttura economica di prospettiva (перспективная структура хозяйства).

Siamo giunti quindi alla definizione di sfera, intesa come sottocategoria di zona, alla cui individuazione siamo arrivati suddividendo l’economia nel suo complesso secondo un criterio strutturale di autoorganizzazione economica che tenesse conto delle diverse modalità di formazione e realizzazione dei rapporti stessi. Tali differenze non possono che riflettersi sui meccanismi di funzionamento interno delle diverse sfere di ogni zona, ed è in base alle stesse quindi che si provvederà a isolarle e a definirle. Nelle zone di partenza e di destino il discrimine sarà essenzialmente di natura territoriale: avremo quindi una sfera di processi influenzati dalla territorialità di un dato luogo e una sfera di processi invece indipendenti da tale fattore. Nella zona intermedia, invece, il criterio sarà l’afferenza di tali processi a un ambito quantitativo o a un ambito strutturale, piuttosto che a entrambi. A tale scopo, è possibile unire i processi di terzo e di quarto tipo in un’unica sfera.

Ricapitolando:

  1. Sfera che unisce quei processi di trasformazione di risorse e conoscenze collegati all’aspetto strutturale del funzionamento economico; è la sfera preposta al criterio di autoorganizzazione dell’economia socialistica; è la sfera che esercita un’influenza diretta ed esclusiva sul senso assunto da tale criterio; la chiameremo la sfera degli investimenti (инвестиционная сфера);

  2. Sfera che unisce quei processi collegati all’aspetto quantitativo del funzionamento economico; le unità che compongono questa sfera determinano la scala e la frequenza delle interazioni fra tutti gli elementi della struttura; la chiameremo pertanto sfera infrastrutturale (инфраструктурная сфера);

  3. Sfera dei processi del terzo e del quarto tipo, che attualmente unisce i «relitti» di un tempo che fu, ibridi di una primitiva mescolanza fra i due aspetti, strutturale e quantitativo; la chiameremo sfera produttivo-manutentiva (производственно-эксплуатационная сфера). In una struttura ideale di sistema economico, dove a ciascuna sfera è assegnato un compito preciso, l’attività ibrida della terza sfera dovrà col tempo scomparire.

Pertanto, in prospettiva si configureranno tre tipi di unità economiche: quelle che creano prototipi, quelle che decidono quali e quanti farne, quelle che le realizzano. Oggi, nell’economia reale, questi processi sono mescolati fra loro, spesso sovrapposti entro la stessa unità economica o, al contrario, parcellizzati entro diversi elementi strutturali.

È tempo ora di rispondere a una contraddizione nota e, finora, irrisolta: da un lato, la tendenza alla produzione su larga scala, la standardizzazione di parti e componenti, l’incremento sempre maggiore della specializzazione produttiva di ogni settore (mezzi indispensabili per eliminare tutte quelle limitazioni strutturali date dall’aumento produttivo imposto dall’aumento dei bisogni sociali) e, dall’altro, la tendenza alla personalizzazione dei beni e servizi, alla subordinazione di tutte e ciascuna attività ai bisogni dei consumatori (mezzi indispensabili per alzare il livello qualitativo dei beni e servizi, ovvero avvicinare le strutture dei risultati economici a quelle dei bisogni sociali).

Ebbene, già sappiamo che tale conflitto fra produzione di massa e sottomissione della stessa ai bisogni, dovrà essere risolto in maniera settoriale. Per fare ciò, occorre definire, all’interno dell’economia sociale, gruppi di processi reali, contigui per funzioni e aree di competenza, che insieme formeranno il cosiddetto blocco primario (первичный блок). Definire la sua composizione, la sua struttura, le sue funzioni, significherà rispondere, finalmente, alla domanda di cosa sia l’oggetto dello sviluppo pianificato in un’economia socialistica.

Continua.

Qui il primo capitolo, qui il secondo.

Note
1В настоящее время нет единого, достаточно хорошо продуманного и технически обеспеченного плана работ по космосу. Между тем имеются крупные, обладающие большим опытом производственные базы и кооперации. Есть много новых и прогрессивных научных и технических идей и предложений. Наряду с этим есть еще отдельные вопросы и участки крайне слабо развитые, без производственной базы, без перспективы их развития, что сильно тормозит нормальный ход работ. В целом можно сказать, что у нас отсутствует правильная и рациональная организация работ по космосу.
На протяжении последних лет не выработано и единой технической политики по космосу, и главным образом потому, что любое вносимое техническое предложение принимается, как правило, волевым порядком либо обсуждается не всесторонне, а в кругу авторов, и научный фронт работ слишком расширяется. Призванные для решения именно этих вопросов научные советы и организации бездействуют. Немаловажное и отрицательное значение имеют отдельные факты неделового соревнования между коллективами разработчиков, между заводами, которые могли бы быть разумно использованы (но не используются). В недавнем прошлом все это имело место даже в масштабе комитетов и ведомств.
Почему-то существует мнение, что даже на данном этапе ракетно-космической техники полезным является дублирование и соревнование по одним и тем же темам между разными коллективами. Это грубая и принципиальная ошибка. Правильной является хорошая организация всех работ по единому плану, для того чтобы победить в соревновании с США. Нельзя также не отметить, что именно в области ракетной техники имеет место расходование весьма крупных средств, а полезная отдача и уровень производительности труда зачастую отстают. И наконец, несмотря на все сказанное выше, хочется с чувством глубокого удовлетворения все же отметить, что именно в области космоса немало сделано всеми организациями и коллективами, которые так самоотверженно трудились в эти годы. V. B. Raušenbach (a cura di), S. P. Korolëv e la sua missione. Luci e ombre nella storia della cosmonautica. («С.П.Королёв и его дело. Свет и тени в истории космонавтики») Moskva, Nauka, 1998, pp. 517-518
2Cfr. http://www.pentaconsix.com/italia.htm
3http://www.bibliotecamarxista.org/collet%20urss/Economia%20Politica%20Manuale%20Capitolo%20XI.pdf
4Carlo Boffito, Efficienza e rapporti sociali di produzione : contributo alla critica della concezione tradizionale dell'economia comunista, Torino, Einaudi, 1979
5Ibidem, p. 67
6Ibidem, p. 71.
7Ibidem, p. 64.
8Ibidem, p. 65-6.
9Op. Cit. p. 230.
10Herbert S. Levine, “Introduzione”, John P. Hardt, Marvin Hoffenberg, Norman Kaplan, Herbert S. Levine (a cura di), Matematica e calcolatori nella pianificazione dell’Unione Sovietica, Milano, il Saggiatore di Alberto Mondadori Editore, 1969, p. 18.
11La prima Zenit a otturatore elettronico, N.d.T.
12Здравствуйте, товарищи красногорцы, Хотелось бы поделиться своими соображениями по поводу аппаратов «Зенит». На вашем заводе начинается освоение новых моделей: «Зенит-20, 21, 22, 14, автомат». Конечно, «Зенит-автомат» — это хорошо. Но электроника есть электроника. Она капризна: зависит и от источников питания, и от погоды. А любителям хотелось бы иметь простую механическую камеру с широким диапазоном выдержек (от 1 секунды до 1/1000 секунды), с хорошим видоискателем. Почему бы вам не создать такую камеру? С уважением, К. Малышев. (http://www.zenitcamera.com/articles/cameras/mechanical-cameras.html)
13Скажу коротко о трудностях, которые не позволяют осуществить рацпредложения [...]. Во-первых, о щитке. Чтобы заменить металлический щиток на пластмассовый, [...] Расчёты же показали, что придется менять не менее 18 деталей [...], что неэкономично, даже если бы технологический процесс позволял нам всё это изменить. Во-вторых, о конструкции шахты. [...] Чтобы в неё вошла единая линза Френеля, он распилил стенки шахты чуть ли не до прозрачности, ввёл дополнительные крепления. Но если даже сделать то, что сделал он [...] это для серийного производства практически невозможно [...] это реконструкция 10–20 деталей, то ясно, что ставить это рацпредложение на серию экономически невыгодно. Ibidem.
14Ovvero alla Associazione Ottico-Meccanica di Leningrado (Ленинградское Oптико-Mеханическое Oбъединение).
15Для того, чтобы фотоконструкторы понимали и близко к сердцу принимали то, о чём мы тут говорим, нужно, чтобы все они, поголовно, независимо от того, администраторы они, инженеры или разработчики, были фотографами, постоянно работали с фотоаппаратом... Чтобы человек, который садится за кульман и начинает что-то разрабатывать, с самого начала знал и понимал, для чего он это делает, чтобы видел перед собой потребителя... Много раз я был на ЛОМО, разговаривал с инженерами, пытался втолковать им, что нужно среднему, без особых претензий профессионалу. Но по их лицам я видел, что они даже не понимают, о чём идет речь... http://www.zenitcamera.com/articles/cameras/what-they-want.html
16Paolo Selmi, FOTOGLAZ – Epopea fotografica sovietica e mutamenti del valore d’uso fotografico, Besnate, SamIzdat, 2016. https://www.academia.edu/23481893/FOTOGLAZ_Epopea_fotografica_sovietica_e_mutamenti_del_valore_d_uso_fotografico
17Peter Hennig, Kiev rangefinders, http://www3.telus.net/public/rpnchbck/zconrfKiev.htm
18omitato statale di statistica dell’URSS, Settant’anni di economia sovietica (Народное хозяйство СССР за 70 лет), Mosca, Finansy i Statistika, 1987, p. 5.
19V. Gusev, K. Naumov, URSS. Breve saggio storico, Mosca, Ed. Progress, 1981, p. 249.
20Ibidem, pp. 249-254.
21Paolo Selmi, Tovarišč Mao Czedun: construction and destruction of Mao’s image in USSR, 2014, pp. 14-15 https://www.academia.edu/6430706/Tovari%C5%A1%C4%8D_Mao_Czedun_construction_and_destruction_of_Maos_image_in_USSR
22Comitato statale di statistica dell’URSS, Op. Cit., p. 192
23Termine spiegato qualche riga dopo. N.d.T.
24Потери заводов в выпуске продукции, связанные только со штурмовщиной, оценивались в свое время примерно в 25% возможного выпуска. Устранение же всей совокупности указанных потерь, в результате применения более совершенной техники планирования и методики экономического расчета, позволило бы в короткий срок, на основе наилучшего использования только существующих возможностей на всех стадиях производетва, увеличить выпуск конечной продукции (национальный доход) на 30—50%. Вот почему задача разработки и внедрения такой методики является исключительно важной и актуальной. Leonid Vital’evič Kantorovič, Il calcolo economico della migliore utilizzazione delle risorse («Экономический расчет наилучшего использования ресурсов»), Moskva, Izd. Akademii Nauk SSSR, 1960, p. 17
25Herbert S. Levine, cit., p. 18.
26G. S. Pospelov, V. A. Irikov, Pianificazione e gestione programmate per obbiettivi, (Программно-целевое планирование и управление), Moskva, Sovetskoe radio, 1976, p. 194.
27Richard W. Judy, “Informazione, controllo, e direzione economica sovietica”, in John P. Hardt, Marvin Hoffenberg, Norman Kaplan, Herbert S. Levine (a cura di), Matematica e calcolatori nella pianificazione dell’Unione Sovietica, Milano, il Saggiatore di Alberto Mondadori Editore, 1969, p. 34.
28https://lacnews24.it/cronaca/ndrangheta-gratteri-interessi-tv-giornali_70233/
29http://lib.znate.ru/docs/index-108756.html?page=4
30http://institutiones.com/general/85-2008-06-12-12-49-44.html , http://olgasmirnova.ru/data/documents/publ2014-az.pdf et https://regionsar.ru/ru/node/51 Sono questi tre saggi le fonti per tutte le informazioni successive riportate in questo paragrafo.
31E procede tutt’ora, visto che a risentirne, e in modo sempre più allarmante, è l’intera biosfera nel suo complesso. [N.d.T.]
32Semen A. Hejnman, “Fattori organizzativo-strutturali della crescita economica” (Организационно-структурные факторы экономического роста), EKO, 1980, n° 5, p. 46.
33Questo è il passaggio cardine, in quanto chiude la strada a qualsiasi movimento determinato dal “mercato”, ovvero da dinamiche fondate sull’accumulazione privata di reddito, quando non vere e proprie capitalistiche. [N.d.T.]
34Aa. Vv., Il futuro della scienza. Edizione annuale (Будущее науки: Международный ежегодник), n° 13, Moskva, Znanie, 1980, pp. 131-132.
35In altre parole, non stiamo parlando di un equivalente di scambio come il denaro o le ore lavoro, ma di un nuovo metro di valutazione riconducibile a tutte le attività per una loro più corretta collocazione, interazione reciproca nella struttura socioeconomica, nonché pianificazione delle stesse, ma non per questo moneta di scambio fra le stesse. È la logica dell’economia socializzata e di piano, come il Nostro si sforza di ripetere praticamente a ogni piè sospinto, a consentire questo tipo di approccio decisamente innovativo rispetto a una valutazione che si continui a basare su un tipo di scambio decisamente più primitivo, elementare e mercantilistico. [N.d.T.]
36Il concetto di maturità economica di un bene o servizio sarà esaminato più dettagliatamente nel prossimo paragrafo.
37Con questo termine l’Autore indica quel sistema formatosi in URSS e consolidatosi come prima esperienza inedita a livello mondiale economia di piano a proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione. Una sintetica esposizione di tale sistema economico è contenuta in Carlo Boffito, Efficienza e rapporti sociali di produzione : contributo alla critica della concezione tradizionale dell'economia comunista, Torino, Einaudi, 1979, p. 66-70.
38Di cui il primo manifestarsi in URSS è datato dicembre 1920 con il piano GOELRO (ГОЭЛРО), ad opera della Commissione statale per l’elettrificazione della Russia (Государственная комиссия по электрификации России). Successivamente indica tutte quelle opere, quei progetti, la cui realizzazione pianificata era trattata a parte, ovvero doveva essere compiuta a prescindere dagli altri obbiettivi di piano seguendo un proprio iter [N.d.T.].
39“Der Umfang dieser Bedürfnisse aber quantitativ verschieden ist und ein innres Band die verschiednen Bedürfnismassen zu einem naturwüchsigen System verkettet”. Karl Marx, Das Kapital, cit., vol. 23, p. 378. L’espressione è tratta dal I libro “Il processo di produzione del capitale”, IV sezione “La produzione del plusvalore relativo”, cap. XII “Divisione del lavoro e manifattura”, e nell’edizione italiana è resa con la frase riportata in corpo testo (Il Capitale, Libro I, Roma, Ed. Riuniti, VII ed., prima ristampa, 1977, p. 399) [N.d.T].
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