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consecutiorerum

Due libri di Silvio Maresca

di Roberto Finelli

Silvio Maresca, Socialtotalitarismo (Armando, Roma 2021) e La doppiezza dell’Occidente (Armando, Roma 2022)

foto decadenzaSocialtotalitarismo e La doppiezza dell’Occidente sono due testi di Silvio Maresca che formano un’endiadi, un percorso cioè che va letto unitariamente, per comprenderne la significativa attualità: non solo quanto a discorso sul presente ma anche, più in generale, sulla natura e sulla destinazione ontologico-storica di ciò che è “modernità”.

In Socialtotalitarismo la riflessione è svolta sulla rivoluzione digitale, sul suo carattere epocale, sui modi profondissimi, che ne vengono conseguendo, di trasformazione dell’esperire individuale e collettivo, di nuovi generi di socialità e di identità personale, di nuove configurazioni nelle istituzioni della democrazia politica.

Riguardo alla scoperta e alla diffusione del digitale Silvio Maresca non è certamente affetto da tecnofobia e da rifiuto verso i nuovi dispositivi inventati dall’informatica e dalla scienza dell’informazione. Egli infatti mostra di essere ben consapevole che il presente vada analizzato senza atteggiamenti tradizionalisti e conservatori e che le nuove tecnologie rappresentano una risorsa, fatta di una strumentazione sorprendente e innovativa, che potrebbe sollecitare ed aiutare l’umanità intera a entrare in una più estesa unificazione ed autocoscienza di sé. Proprio secondo quell’istanza definita da J. Habermas “costellazione postnazionale” che vede kantianamente un processo di nuova teoria e pratica della democrazia attraverso il progressivo allargamento, quanto più esteso possibile, di una “sfera pubblica illuminata”, capace cioè di reciprocità di discorso e di confronto tra le ragioni.

In questo senso Maresca si rende ben conto che il passaggio dall’analogico al digitale ha istituito un nuovo tipo di scrittura, numerico-matematica, che stravolge i modi tradizionali di scrittura e comunicazione, alla pari, quanto a svolta epocale, con quello che è accaduto con l’invenzione della scrittura alfabetica e con l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Nel primo caso, dandosi la possibilità di stringere in poco più di venti/ trenta segni il mare infinito dei linguaggi iconico-geroglifici, e nel secondo potendo sviluppare una diffusione del libro e della cultura incomparabile rispetto alla precedente scrittura amanuense.

Non v’è dubbio alcuno che l’attuale rivoluzione digitale partecipi anch’essa dell’intensità di tali passaggi radicali nella storia dell’umanità e dei suoi sistemi di scrittura e comunicazione, con tutto ciò che ne consegue, quanto a trasformazione, non solo nel campo delle relazioni intersoggettive, ma anche nel campo intrapsichico di una nuova configurazione della mente.

Ma Maresca è del pari consapevole che la rivoluzione digitale, se non elaborata e diretta da un contesto di profonda democrazia, può facilmente cedere a quella mitologia del governo del numero e degli algoritmi, secondo la quale i computer da strumenti della comunicazione umana verrebbero invece celebrati come macchine capaci di giudizi di valore e dunque di direzione tecnico-politica della società umana nel suo complesso.

Laddove per noi una macchina, per quanto intelligente e ricca di circuiti neuronali – anche la pretesa Intelligenza Artificiale – non potrà mai compararsi e sostituirsi a un organismo umano. Basti pensare che mentre qualsiasi meccanismo anche digitale vive dell’assemblaggio di parti, della composizione di elementi più o meno semplici, un organismo vivente, e in primo luogo l’organismo vivente, nasce e si sviluppa a partire da una unica cella (lo zigote), la quale cresce, si nutre, si suddivide e si moltiplica in se stessa, generando progressivamente tutti i tessuti e gli organi della sua individualità. E rimanendo così nella necessità (Hobbes e Spinoza l’avrebbero definita “conatus”) di conservare e riprodurre se stesso il luogo fondamentale del senso, quale punto di vista cioè da cui organizzare, selezionare, gerarchizzare secondo una scala di valori, le relazioni con gli altri esseri viventi e con il mondo-ambiente.

Ora è proprio questa irriducibilità del vivente, e specificamente, del vivente umano all’artefatto meccanico, questa irriducibilità del continuum della vita alla discontinuità del codice binario (0/1) della codificazione informatica, che sollecita Maresca a guardare assai criticamente a tutti gli automatismi dei dispositivi informatici che minacciano di svuotare le soggettività e di consegnarle al potere monopolistico delle grandi imprese del Big Tech, come Facebook, Apple, Microsoft, Amazon, che hanno visto crescere a dismisura la loro importanza nell’ultimo ventennio.

“La parabola di crescita delle Big Tech negli ultimi vent’anni”, scrive Maresca, “è un fenomeno che non ha eguali nella storia del capitalismo” (p. 43). Tale crescita si è accompagnata ad una raccolta sempre più massiccia di Big Data, cioè all’insieme di informazioni su profili personali, gusti culturali, tipologia di scelte economiche che ciascuno operatore digitale consegna, senza saperlo, alle piattaforme che ritiene di utilizzare solo come mezzi e strumenti della propria volontà di ricerca e di comunicazione. Così il fenomeno dei grandi network che si fanno sempre più collettori di dati personali degli utenti è quanto Maresca definisce “Socialtotalitarismo”: ossia la realtà di istituzioni totali che, a muovere dalla raccolta appunto dei Big Data, intervengono a prefigurare e ad anticipare modalità di vita, scelte di consumo, forme di relazione, di ciascuno, in un assoggettamento alle logiche del mercato che è tanto più profondo quanto immediatamente non percepibile e riconoscibile.

In questo senso si potrebbe dire che alla base del “Socialtotalitarismo” vi sia la produzione di un vero proprio “inconscio sociale”, giacché è proprio attraverso un processo di calcolo e di elaborazione di informazioni, che appare in prima istanza del tutto personale e privato, che viene invece generata, per automatismi, la raccolta, secondo programmi predeterminati, di una tale disponibilità di informazioni su ciascuno da giungere a configurarne, indirizzarne e plasmarne l’esistenza.

Per tutto questo secondo l’autore va accesa una decisiva battaglia culturale e sociale sulla non cedibilità dei dati, ossia sul loro maggiore controllo da parte di ogni singolo utente: tanto decisiva da vedere in essa una condizione fondamentale del mantenimento delle nostre democrazie. “È pertanto necessario definire un profilo generale della privacy personale, custodito in condizione di assoluta sicurezza. L’utente deve poter definire un ‘regime personale standard’, che valga verso terzi come scelta generale sul trattamento dei suoi dati, senza necessità di doverla riaffermare a ogni richiesta di consenso. Regimi diversi devono essere previsti per eccezione, con espressione esplicita dell’utente e comunque entro inderogabili limiti di legge. Il regime personale standard deve contenere sempre l’opzione ‘Non concedo la raccolta e il trattamento dei miei dati personali passivi’” (p. 255).

L’esigenza di fondo dell’autore è dunque quella di radicalizzare quanto più possibile istanze di democrazia di contro a quella che sempre più minaccia di costituirsi come una vera e propria “governance del numero”, ossia una gestione autoritaria dei nostri modi di vita, fondata sugli automatismi degli algoritmi, per cui sarà sempre più la raccolta dati con l’elaborazione delle medie statistiche che ne deriva a prescrivere e a programmare la qualità accettabile o meno dei nostri comportamenti, a indirizzare le nostre scelte non solo di consumo ma anche etico e politiche, fino, insomma, alla distinzione di ciò che è bene e di ciò che è male.

Il tutto sempre giustificato dal fatto che le nuove macchine informatiche e l’Intelligenza Artificiale avrebbero una capacità di raccogliere e processare informazioni incomparabilmente più ampia e veloce del cervello umano, per cui da tale gigantesca amplitudine quantitativa non potrebbe che conseguirne una più accurata precisione qualitativa di verità.

Ora è appunto di fronte a questa paradossale tecnocrazia del numero che Maresca eleva la sua critica, argomentando con il massimo vigore che gli unici dati che l’utente dovrebbe poter concedere dovrebbero essere solo quelli attivamente scelti da lui stesso, opponendosi invece a ogni tipo di raccolta passiva che venga effettuata, surrettiziamente, all’insaputa del suo operare.

Ma tutto ciò può essere conseguente solo ad una azione rigorosa di natura collettiva e civile contro i grandi monopoli del web, che ne limitino poteri e dimensioni. Deve essere riconosciuto cioè il carattere di bene comune da attribuire alla rete quale struttura “pubblica”, ormai indispensabile alla comunicazione e al lavoro di tutti, e deve perciò essere portata avanti dagli Stati e in primis dall’Unione Europea una lotta contro la curvatura attuale invece del tutto privatistica che governa ancora oggi i grandi Social Network.

In tal senso Maresca cita positivamente la proposta avanzata dalla Commissione Europea di un Digital-Act che dovrebbe delineare anche una configurazione e un’obbligazione etica delle piattaforme digitali, per denunciarne però al tempo stesso i limiti quanto all’intervento assai modesto di contrasto alla raccolta e al trattamento delle informazioni. Si tratta insomma di porre all’ordine del giorno, in primo luogo dell’Unione Europea, la questione di una vera e propria sovranità digitale che dovrebbe essere una riconiugazione odierna e un approfondimento del concetto di sovranità popolare, ripensata e rivista nel contesto del nuovo orizzonte informatico.

Altrimenti dovremo continuare ad assistere ad una sorta di nuova dia- lettica dell’illuminismo, dato che quello che all’inizio del digitale sembrava atteggiarsi come l’apertura di una comunicazione/informazione quanto più possibile trasparente ed accessibile per tutti s’è venuta via via rovesciando nel contrario di una gestione dell’informazione condotta in modo privatistico per giganteschi profitti da parte di aziende monopolistiche il cui fine non è certamente quello di una integrazione, la più ampia possibile, dell’umanità con sé medesima.

Anche perché questa è la tesi di fondo che percorre l’altro testo pubblicato da Maresca nel 2022, La doppiezza dell’Occidente (con prefazione di Francesco Fistetti): che nel cuore dell’Occidente e del suo modello di civiltà alberghi una costante tensione di opposti.

Da un lato, cioè, la ricerca di un progresso senza limiti e senza fine, che prova a superare costantemente, nel suo ottimismo razionalistico e scientifico, il male, il dolore e la negatività del vivere. E dall’altro il costante riproporsi, nello sviluppo e nello svolgimento della modernità, di quel male e di quella negatività che, ineliminabile, torna a riproporsi come una sorte di ritorno del rimosso. Perché la pretesa di uno sviluppo senza limiti è così estrema, e nel suo estremismo così violenta, che non può non rovesciare il suo preteso razionalismo in una estenuazione del vivente, che concerne sia il genere umano che l’intero ambito naturale.

Ma questa, sottolinea l’autore, è proprio la natura intrinsecamente dialettica, quanto a transito di un opposto nell’altro, della civilizzazione occidentale ed è ciò che maggiormente ne fonda e ne sostiene l’andamento. Perché l’illuminismo e il progresso in tanto hanno ragione di essere in quanto sono in grado costantemente di confrontarsi e di lottare con una passività del vivere civile, con una negatività regressiva che si ripropone in forme sempre nuove. Nell’alternanza di un divenire che è, appunto, ciclicamente caratterizzato dalla provvisorietà del bene e delle conquiste raggiunte. Tanto che, com’è evidente, anche l’attuale globalizzazione economica, con la rivoluzione digitale su cui si istituisce, ha prodotto profondissime polarizzazioni e diseguaglianze, esasperando ingiustizie e differenze che finiscono col rovesciare i valori fondativi della modernità.

Ma di nuovo, continua a sostenere Maresca, solo una radicalizzazione di umanesimo e di democrazia, solo una dimensione sempre più conviviale e dialogica della democrazia, possono valere come strumenti validi a contenere gli eccessi e le estenuazioni di vita del modello occidentale. Solo l’ideale kantiano di una umanità che abbia come primo valore quello di una accessibilità quanto più possibile estesa alla comunicazione e alle pratiche disserenti – solo un modo cioè ulteriore e ben più articolato di concepire le pratiche e le istituzioni democratiche – può dare limite all’illimite e far sì che la polarità del positivo possa prevalere sull’inesauribilità del negativo.

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