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moneta e credito

Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti

Recensione di Stefano Lucarelli*

Zanini A. (2022), Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973), Bologna: Il Mulino, pp. 567, ISBN: 9788815294746.

postmodernismo reggia di caserta 1 1024x793Nonostante l’ordoliberalismo sia un sistema di pensiero che ha origine in una precisa area culturale - la scuola di Friburgo -, soprattutto nel nostro paese la conoscenza dei concetti che hanno caratterizzato la storia di questa dottrina non appare scevra da imprecisioni e incomprensioni. Non lo era certamente durante la costituzione della Unione Europea quando il modello tedesco di economia sociale di mercato veniva presentato all’opinione pubblica come una alternativa all’economia di mercato rilanciata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dalla rivoluzione conservatrice di Ronald Reagan e di Margareth Tatcher.1 In altri termini, la Soziale Marktwirtschaft, per usare l’espressione originaria coniata da Alfred Muller-Armack, veniva presentata come qualcosa di distante dal neoliberismo. Questa parola-guida della scuola di Friburgo si ritrova nell’articolo 3 del Trattato di Maastricht (1992), che, al comma 3, stabilisce che l’Unione Europea “si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, e [proprio] su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva”, modello in cui l’aggettivo “sociale”, secondo von Hayek, è un pleonasmo grazie al quale “alcuni miei amici tedeschi (e ultimamente anche inglesi) sembrano essere riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di ordine sociale che io difendo” (cfr. von Hayek, cit. in Cavallaro, 2020, pp. 33-34). Un ordine sociale, quello hayekiano, che indica un sistema ordinato di regole incorporato nel processo di evoluzione del sistema di mercato, cioè nella forma di norme di comportamento interiorizzate, e non nella forma della programmazione statuale.2

Questa opaca comprensione di uno dei concetti basilari su cui l’Unione Europea è stata istituita, si intreccia con le vicende non sempre trasparenti che hanno condotto alla costruzione delle istituzioni europee. A tal riguardo nel luglio 2000, a otto anni dal Trattato di Maastricht lo stesso Giuliano Amato, allora Presidente del Consiglio per la seconda volta (la prima esperienza coincide con il periodo immediatamente precedente l’entrata in vigore del Trattato) aveva dichiarato: “Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace - che dà agli Stati una tranquillità non ansiogena nel momento in cui li spoglia dei poteri - con i grandi salti istituzionali [...]. Quindi preferisco andare piano, sbriciolare a poco a poco i pezzi di sovranità, evitare bruschi passaggi dai poteri nazionali a poteri federali” (cfr. Spinelli, 2000, p. 3). La lentezza con cui sono stati sbriciolati i pezzi di sovranità dei paesi membri si è accompagnata con l’abilità dei politici tedeschi, i quali hanno probabilmente realizzato un assetto istituzionale in cui i concetti basilari dell’ordoliberalismo risultano centrali.3

Le brevi considerazioni sinora esposte dimostrano la rilevanza di una serie di questioni: quali sono le relazioni fra “ordoliberalismo” ed “economia sociale di mercato”? I contributi degli studiosi che si raccolsero attorno alla rivista Ordo, fondata nel 1936 a Friburgo da Walter Eucken, tracciano davvero i contorni di un’unica dottrina ordoliberale in grado di fondare anche delle precise politiche sociali funzionali al mercato? È legittimo sottovalutare il peso del contesto storico, politico e filosofico che marca le differenze fra le prime elaborazioni dell’ordoliberalismo - avvenute all’interno della Scuola di Friburgo durante il nazionalsocialismo -, il lavoro condotto a partire dal 1948 dal consiglio scientifico organizzato da Ludwig Erhard - prima Direttore dell’amministrazione dell’economia per il settore anglo­americano della Germania occupata poi Ministro dell’Economia di Adenauer -, la declinazione dei principi del modello tedesco al momento della riunificazione fra Repubblica Federale Tedesca e Repubblica Democratica Tedesca, infine le influenze ordoliberali sui Trattati europei? Quanto può considerarsi stabile una “economia sociale di mercato” nata per uno Stato-nazione in un mondo che ha fattivamente rimesso in discussione i poteri nazionali?

Il libro di Adelino Zanini affronta con determinazione queste domande e rappresenta uno sforzo considerevole per mettere a disposizione degli studiosi - soprattutto coloro che non conoscono il tedesco - una guida completa alle linee di ricerca dei padri dell’ordoliberalismo, tema indubbiamente rilevante se si ha a cuore la reale comprensione dei modelli di economia sociale di mercato al centro del dibattito sulla politica economica europea.

Zanini traccia un percorso preciso e si concentra prima di tutto sul concetto di “piena concorrenza”, la Wettbewerbsordnung introdotta da Eucken per sottoporre a critica il principio del laissez-faire tipico del liberalismo classico: l’ordinamento concorrenziale non avrebbe potuto essere il frutto di una armonia spontanea, poiché la concorrenza rappresenta un risultato politico da preservare tenendo a bada le dinamiche corporative retrostanti al processo di concentrazione che rappresenta l’esito più frequente della dinamica competitiva tipica di una economia industrializzata. “Piena concorrenza” come principio costitutivo, dunque, di un intervento pubblico per il mercato, che abbisogna pertanto di una specifica costruzione giuridica. Da qui nasce l’idea di una vera e propria costituzione economica. Zanini dà una certa rilevanza al modo in cui questa forma giuridica fondamentale emerga come concetto fondativo de primo ordoliberalismo (pp. 54-55):

Giunta alla conoscenza dell’ordinamento economico e del processo economico - entità da tenersi logicamente distinte - l’economia teorica sarebbe stata finalmente in grado di affrontare il compito propositivamente più arduo e complesso: quello rappresentato dalla politica economica, in un’epoca in cui l’industrializzazione rapida e diffusa aveva dissolto tutti gli ordinamenti tradizionali. Rispetto a tale economia industrializzata sarebbe stato perciò necessario definire un ordinamento funzionale, durevole, degno dell’uomo, che prevedesse anzitutto il superamento dell’oppressione conseguente alla scarsità dei beni che attanagliava molte famiglie e rendesse progressivamente possibile una condotta di vita che fosse responsabile di se stessa. Ciò richiedeva la concezione di un’idonea costituzione economica [...]. Qui si ponevano per Eucken i problemi economico-politico-costituzionali (wirtschaftsverfassungspolitische Probleme): la questione dell’elaborazione concettuale delle future costituzioni economiche, per la quale la conoscenza delle “forme” economiche ideali, pure, sarebbe stata imprescindibile.

Un mercato di concorrenza piena è quindi cosa ben diversa da un mercato di concorrenza perfetta, e, in questa prospettiva, le indicazioni di politica economica cui la Scuola di Friburgo perviene sono caratterizzate da una certa originalità, che si riscontra non tanto negli esiti cui si vuol giungere quanto nelle procedure da seguire per pervenire a quegli esiti. L’ordo è il risultato.4 Per dirla con Foucault, il cui Corso al Collège de France del 1978-1979 è mantenuto sullo sfondo dell’intero libro di Zanini,5 “[la concorrenza] non potrà essere altro che un obiettivo, il quale a sua volta presuppone, pertanto, una politica indefinitamente attiva” (Foucault, 2005, p. 112). Come far sì che nessun agente economico sia price maker? Come sottolinea il giurista Franz Bohm - cui Zanini dedica la seconda parte della sua opera - il potere privato in una società libera

conduce necessariamente all’altra questione di come sia fatto l’ordinamento di un’economia libera. Da qui si perviene alla questione di quali tipi e possibilità di ordinamenti economici vi siano in generale, di quale ruolo ricopra in essi di volta in volta il potere e, precisamente, sia il potere di governo che il potere di persone private e di gruppi privati, e di quali perturbazioni dell’ordinamento si verifichino quando all’interno dello stato e della società si forma una distribuzione del potere diversa da quella che è conforme all’ordinamento del singolo sistema economico (Bohm, 1960, p. 162, cit. in Berti, 2006, p. 112).

Le riflessioni che Zanini dedica a Bohm conducono a fare emergere la centralità che per il giurista di Friburgo assume il diritto privato in quanto ordinamento di base delle relazioni fra individui e pertanto come principio costitutivo del “sociale”. Tuttavia, a ben vedere, l’attribuzione delle funzioni politico-sociali agli istituti giuridici privatistici e il riconoscimento del fatto che siano essi a costituire i presupposti di un ordinamento economico non sottoposto a dominio, lascia aperta la possibilità che il regolatore - cioè lo Stato - sia influenzabile da specifici gruppi di interesse, quanto meno nell’ambito delle politiche sociali, cioè nella definizione degli interventi redistributivi che pur sono ammessi per esempio da Eucken. Perché se è vero che lo Stato dovrebbe comunque “di per sé essere una potenza ordinatrice” in grado di “smantellare i gruppi economici di potere” (p. 143), è anche vero che questo starker Staat dovrebbe prima identificare chi siano questi gruppi di potere, e diverrebbe altresì necessario chiedersi se la limitazione delle funzioni di certi gruppi di potere non conduca ad avvantaggiarne altri. L’autorevolezza formale dello Stato non è messa in discussione dalla Scuola di Friburgo, che riconosce legittima persino la preservazione del ruolo guida che esso deve mantenere, esprimendo questo concetto con un termine, Fuhrertum (p. 141), in uso anche nella teoria nazionalsocialista dello Stato.6 Ci vuole in effetti qualcosa di più della semplice autorevolezza per ergersi a custode dell’ordinamento concorrenziale e del benessere sociale che esso dovrebbe garantire. In altri termini resta da chiarire come questa specifica concezione della concorrenza renda possibile il progetto politico di una economia sociale di mercato, dove il “sociale” non sia ridotto a pleonasmo. E in effetti, si potrebbe dire che anche il “sociale” rappresenti un risultato, sebbene qui si avverta una cesura, che Zanini sottolinea, fra l’ordoliberalismo di Eucken e Bohm da una parte, e l’economia sociale di mercato così come è definita nell’opera di Muller-Armack, dall’altra. Tuttavia, lavorando a partire dalle intuizioni presenti nei corsi al Collége de France di Foucault, il “sociale” può assumere un preciso senso a partire dal tipo di società che si ha in mente. Gli attori sociali cui Eucken e soprattutto Bohm alludono sono di fatto imprese. In questa prospettiva ben si comprendono le parole di Foucault a proposito dell’unica “politica sociale” possibile nel contesto ordoliberalista; “una politica sociale” che è in realtà una politica per la società tant’è che il filosofo francese la indica con la parola tedesca Gesellshaftspolitik e non con l’ambigua espressione coniata da Muller-Armack, Soziale Marktwirtschaft. E vale la pena considerare che al di là della nota dicotomia fra Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società) proposta da Tonnies, e delle considerazioni di Weber a proposito del fatto che le relazioni basate sulla Gesellschaft sono strutturate in accordi razionali di mutuo consenso, nel tedesco giuridico la parola traduce il termine anglosassone company, che in italiano rendiamo con società, ma nell’accezione di azienda.

la Gesellshaftspolitik deve [...] annullare non tanto gli effetti anti-sociali della concorrenza quanto i meccanismi anticoncorrenziali che la società potrebbe creare [...]. [Per] dare un contenuto a questa Gesellshaftspolitik, credo che ci siano due grandi assi sui quali gli ordoliberali hanno insistito: da un lato la formalizzazione della società sul modello dell’impresa [.]. Il secondo aspetto [.] è la ridefinizione dell’istituzione giuridica e delle regole di diritto che sono necessarie in una società regolata a partire e in funzione dell’economia concorrenziale di mercato: in breve, il problema del diritto (Foucault, 2005, p. 134).

È pur vero che Muller-Armack, il protagonista della terza e ultima parte del libro di Zanini, sembrerebbe smentire, o quanto meno complicare, questo quadro interpretativo, quando definisce un’economia sociale di mercato, “un’economia che opera secondo le regole del mercato, ma è dotata di integrazioni sociali e di garanzie” (p. 435). Ciò che a questo punto occorrerebbe verificare sono le effettive integrazioni sociali e garanzie che hanno costituito il nerbo delle politiche sociali nella Bundesrepublik Deutschland durante gli anni (1951-1968) in cui Muller-Armack lavorò presso il Ministero degli Affari Economici sotto la guida di Ludwig Erhard. Non è questa la scelta di Zanini che decide invece di non scendere sul piano dell’analisi delle effettive politiche economiche proposte e realizzate in un contesto culturale profondamente influenzato dai concetti ordoliberali. L’autore resta invece sul piano della critica dei concetti e delle categorie politiche facendo tesoro di un metodo più filosofico che politico. Con le parole ponderate, e tuttavia enigmatiche, del filosofo, nelle pagine conclusive dell’opera, Zanini lascia agli altri scienziati sociali il compito di verificare una tesi di grande rilevanza (pp. 477-478):

Più che a una tradizione, a me pare ci si debba riferire tuttavia, prima ancora, alla trasformazione epocale che ha caratterizzato - non in senso unilaterale peraltro - la crisi avviatasi nei primi anni Settanta del Novecento. La quale, certo, ha trovato, dopo, una sponda importante in un modo più definito e sperimentato d’intendere l’Europa a trazione tedesca e quindi in una concezione neoliberale che di fatto faceva perno su una tradizione forte, a sua volta costretta, però, a fronteggiare dapprima resistenze considerevoli, e poi a mediare - insisto - tra residualità costitutive, perché durature e molteplici. Uno scenario da cui uscirono ribaditi il suo impossibile inveramento e la sua ineludibile ibridazione a livello europeo.

Il cultore della politica economica europea, sorretto dalla conoscenza della storia del pensiero economico, potrebbe sciogliere l’enigma proponendo un programma di ricerca volto a mostrare che laddove effettivamente l’ordoliberalismo si fosse tradotto in Germania in una Soziale Marktwirtschaft capace di realizzare le opportune integrazioni sociali compatibili con la massimizzazione del benessere sociale, tuttavia esso non sarebbe in grado di estendersi al di fuori dei confini nazionali. Cosicché la pretesa di definire una economia sociale di mercato europea fortemente competitiva su basi ordoliberali si tradurrebbe in vincoli stringenti per i late comers, soprattutto se l’ordine economico e sociale del paese con il più avanzato modello di Soziale Marktwirtschaft fosse fondato su un modello di crescita trainata dalle esportazioni (cfr. Lucarelli e Perone, 2020). E mi pare infatti significativo che nessuno dei pensatori annoverati in questa tradizione di pensiero, per quanto attraversata da trasformazioni epocali, ha mai segnalato l’incompatibilità fra il neomercantilismo e la concezione ordoliberale dell’economia, della società e del loro governo.


Tratto da vol. 75 n. 300 (dicembre 2022)

* Università degli Studi di Bergamo
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Riferimenti bibliografici
Albert M. (1991), Capitalisme contre Capitalisme, Parigi: Éditions du Seuil.
Berti L. (2006), Il mercato oltre le ideologie, prefazione di Michele Grillo, Milano: EGEA, Università Bocconi Editore. Besomi D. e Rampa G. (2000), Dal liberalismo al liberismo. Stato e mercato nella storia delle idee e nell’analisi degli economisti, Torino: Giappichelli.
Cavallaro L. (2020), Una sentenza memorabile, Bari: Cacucci Editore.
Chignola S. (2022), “A proposito di Adelino Zanini, Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973),
Bologna, Il Mulino, 2022”, Scienza e Politica, 34 (66), pp. 143-146.
Foucault M. ([1978-79], 2005), Nascita della biopolitica. Corso al Còllege de France (1978-1979), Milano: Feltrinelli. Hayek F.A. von (1966), “The Principles of a Liberal Social Order”, Il Politico, 31 (4), pp. 601-618.
Lucarelli S. e Perone G. (2020), “Quando la produttività è limitata dalla bilancia dei pagamenti. Una riflessione sulle relazioni fra centro e periferia nell’Unione Monetaria Europea a partire dall’equazione della produttività di Sylos Labini”, Moneta e Credito, 73 (292), pp. 325-353.
Sapelli G. (2020), Nella Storia mondiale. Stati Mercati Guerre, Milano: Guerini e Associati.
Spinelli B. (2000), “Amato. All’Europa non serve un sovrano”, La Stampa, 13 luglio.
Valli B. (1992), “Il modello tedesco che sfida l’America”, La Repubblica, 10 gennaio.
Zanini A. (2010), L’ordine del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di governo in Michel Foucault, Verona: ombre corte.

Note
1 Si veda ad esempio l’articolo di Bernardo Valli (1992) che sottolinea la rilevanza che aveva negli anni Novanta il libro di Michel Albert (1991): Un libro-guida, irritante e illuminante, che in questa stagione si trova spesso sui tavoli dei dirigenti europei. Il fallimento comunista ha affrettato, precipitato la ricomposizione della nazione tedesca e al tempo stesso messo in evidenza il contrasto tra i due modelli di capitalismo. Quello neo-americano, fondato sul successo individuale e il profitto finanziario a breve termine, più incline al credito che al risparmio, ha dominato e domina la scena mondiale perché si identifica con gli Stati Uniti, santuario del libero scambio e della proprietà privata, sola superpotenza sopravvissuta e quindi simbolo concreto della vittoria incruenta sulla degenerata utopia marxista. Ma il secondo, il modello capitalistico renano, che valorizza la riuscita collettiva, il consenso, che punta di preferenza sul lungo termine, che privilegia la banca e diffida della borsa, è quello a cui si pensa spesso a Varsavia, a Budapest, a Praga ed ora a Mosca, quando si stringe la cinghia sognando il futuro benessere.
2 Cfr. von Hayek (1966), ma vedi anche Besomi e Rampa (2000, pp. 207-212).
3 Secondo Sapelli per esempio “[la] filosofia politica, non economica, che governa oggi l’Europa trova le sue basi nell’opera Die Grundlagen der Nationaloconomie (Le basi dell’economia nazionale) di Walter Eucken, che è il manifesto dell’ordoliberalismo, una scuola di pensiero che vedeva nella politica economica di Hitler una degenerazione del pensiero keynesiano, perché il Fuhrer aveva retto il suo governo con la spesa pubblica” (Sapelli, 2020, p. 235).
4 Si veda su questo anche Chignola (2022).
5 D’altro canto, Zanini aveva già prestato una grande attenzione ai Corsi che Foucault dedica alla genealogia del paradigma neoliberale (cfr. Zanini, 2010, pp. 67-123).
6 In tal senso, per gli studiosi raccolti nella scuola di Friburgo, il nazismo potrebbe non essere stato semplicemente “ciò che ha permesso loro di definire [.] il campo di avversità che dovevano delimitare e attraversare per raggiungere il loro obiettivo” come invece scrive Foucault (2005, p. 98). È interessante quanto Zanini riporta a proposito del giovane Alfred Muller-Armack “il quale [in Staatsidee und Wirtschaftsordnung im neuen Reich (1933)] non aveva avuto problemi nel richiamare il Mein Kampf per sottolineare come il carattere nazionale non si fondasse sullo Stato bensì sul Volk” (p. 317).

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