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manifesto

Appunti dal terremoto del divenire

Roberto Ciccarelli

«Conversazioni» di Gilles Deleuze e Claire Parnet (ombre corte). Un dialogo sulla crisi della modernità che prende le distanze dai cultori del frammento a favore di un'«altra rivoluzione»

deleuzeChiunque legga i Dialogues di Gilles Deleuze e Claire Parnet (Conversazioni, Ombre Corte, pp.174, euro 14) capirà quale grande ingiustizia sia stata quella di affibbiare a Deleuze la patente di «postmoderno». In realtà, quella di postmoderno sarebbe una categoria tutta da ridefinire, proprio dai fondamenti, in un momento in cui testi, proclami e manifestazioni coniugano l'elogio delle virtù divine con la difesa della modernità sgomitando per conquistare i titoli dei giornali. Non esiste nulla di più ironicamente postmoderno, infatti, che la mescolanza degli stili realizzata dagli «atei devoti», o dai teologi politici, che scompaginano il senso comune novecentesco con il colorato patchwork dei loro ibridi ideologici.

 
Il potere del pensiero

Al di là di questi paradossi, il cosiddetto «postmoderno» ha registrato tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, la crisi della fiducia nell'universalità del pensiero. Di quella crisi ne ha fatto la chiave di volta per teorizzare, da un lato, l'impossibilità di ridurre la realtà ad una matrice unica, dall'altro l'apologia della complessità e dell'estetica del frammento e della citazione. Di solito, quando si parla di postmoderno, si preferisce la seconda strada, quella più «debole» e compiaciuta.

Ma si ignora la prima, che è quella maestra. I Dialogues lo fanno e rivendicano la necessaria finitezza storica di ogni stile filosofico. Il pensiero, nell'epoca della post-modernità, non si riduce dunque alla pura e semplice liquidazione della «Storia», come pervicacemente si continua a ripetere, ma mette alla prova, sperimenta, i sistemi di pensiero e ne svela i meccanismi di potere che spesso costituiscono i contenuti storici di tali sistemi.

I Dialogues tra Deleuze e Carnet sono, a questo proposito, il taccuino di viaggio che, dalla prima all'ultima pagina, ripete che non esiste un sapere che detiene il segreto dell'Essere. Ma i Dialogues sono anche una mappa precisa dei conflitti in corso all'epoca della loro pubblicazione. La battaglia fu dura, senza esclusioni di colpi. Non ci andarono leggeri, ad esempio, i difensori dell'«autentica e razionale modernità». Nel 1977, quando i Dialogues uscirono in Francia, Deleuze fu accusato assieme a Guattari di «irrazionalismo amoralistico» indotto da una società senza norma e senza valori in cui agiscono soggetti mossi da un desiderio anarchico. L'obiettivo attribuito (in maniera unilaterale) al pensiero di Deleuze era quello della formulazione di una «metafisica del desiderio» al servizio dell'individualismo e del consumismo, con la conseguente assunzione dell'arbitrio a norma della prassi etica e politica. Lo schema da difendere era invece un altro: la razionalità che sovrintende alla vita dei singoli, come a quella dello stato, e governa tanto le strategie di resistenza degli uni, quanto l'organizzazione sistemica dell'altro. Con il rischio, spesso, di sovrapporli.

Deleuze replicò che era truccato il gioco di quegli accusatori, che parlavano di un «padrone» supremamente maligno e scaltro - lo stato - per poi presentarsi come pensatori rigorosi, incorruttibili e «pessimisti», gli unici capaci di governare i mille piani della riorganizzazione globale del capitale e di valorizzare le lotte che si opponevano ad esso, sempre in nome della razionalità che dettava i tempi ad entrambi. Ma quella razionalità non vedeva le lotte che finivano per essere soffocate e battute dalla ragionevolezza del «padrone». Si trattava, in altre parole, di sottrarre al «soggetto» le due parti in commedia: quella che crea il piano dello sfruttamento e quella di opporsi ad esso. La proposta di Deleuze fu dunque all'insegna di uno sperimentalismo teorico e politico che liquidava il dramma hegeliano dello schiavo e del padrone. C'era semmai da valorizzare un «divenire minoritario» delle lotte da non identificare solo con gli agenti classici della politica.  
L'autore multiplo del rifiuto


«Una nuova rivoluzione sta per diventare possibile», così si chiudono i Dialogues. Con Claire Parnet, con la quale realizzerà pochi anni dopo l'intervista filmata Abecedario (pubblicata in Italia da DeriveApprodi), Deleuze prova ad analizzarla in tre campi: la letteratura (anglo-americana), la psicoanalisi e la politica. Lo stile di questo libro è già un problema per i filosofi, ma anche per i lettori. Perché, a dispetto del titolo del libro, non è possibile capire chi fa le domande e chi risponde. Chi parla con chi. Non c'è l'«autore». Deleuze-Parnet sono quasi del tutto indistinguibili nel testo. Così come lo sono Deleuze-Guattari in altri. Sono un tutt'uno popolato da una molteplicità di soggettività, ciascuna delle quali parla a partire da un proprio piano discorsivo. Da qui il grande risalto dato al «divenire donna» della politica.

Quella dei Dialogues non è un'alleanza stabilita a tavolino, né un programma-manifesto da appaltare a qualche partito. Deleuze-Parnet rifiutano l'idea di avanguardia, inventano piuttosto nuovi piani di pensiero immanenti alla vita. Parlano di divenire reciproco, come espressione di nuove ragioni per esistere, e pensano la gioia anonima delle proprie ed altrui vite moltiplicate.

Ciò che rende preziosa ancora oggi la lettura dei Dialogues non è quindi solo lo spirito ricapitolativo del pensiero deleuziano, che in un certo senso li attraversa, ma la proposta di un'etica della scrittura. «La scrittura - scrivono Deleuze e Parnet - s'incontra sempre con una minoranza che non scrive, e non si incarica di scrivere per questa minoranza, ovvero al suo posto». David Lawrence e Henry Miller, ad esempio, sono stati spesso stigmatizzati come fallocrati, eppure la scrittura li ha trascinati, affermao i partecipanti al dialogo - in un divenire donna. La stessa cosa vale per il divenire-negro o il divenire-indiano, come ha registrato buona parte della letteratura postcoloniale. Sperimentare nuovi divenire, non definire identità fisse, dunque. È questo lo spirito del presente al quale ci introducono i Dialogues.

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