L’ipotesi sul tavolo

Palazzo Chigi punta a usare i risultati per entrare all’università

L’idea a cui stanno lavorando i consiglieri della presidenza del Consiglio parte dal presupposto che le prove nazionali Invalsi sono prove obbligatorie, e ormai sono test rodati.

di Claudio Tucci

(Imagoeconomica)

2' di lettura

Al momento, è uno dei tanti dossier aperti a palazzo Chigi. Ma il graduale ritorno alla normalità della scuola italiana sta facendo tornare in pista, nei ragionamenti dei tecnici del governo, l’idea di utilizzare le prove standardizzate Invalsi anche per l’ammissione all’università. Seppure in misura minima e graduale. Il tema non è nuovo; sono almeno 10-15 anni che si ragiona di come armonizzare l’uscita dalla scuola secondaria (oggi l’esame di maturità costa circa 150 milioni di euro) e le verifiche richieste dagli atenei due/tre mesi dopo (anche se alcune realtà accademiche anticipano ai mesi precedenti se non addirittura all’anno prima) ai fini delle iscrizioni ai propri corsi di laurea.

La proposta

L’idea a cui stanno lavorando i consiglieri della presidenza del Consiglio parte dal presupposto che le prove nazionali Invalsi sono prove obbligatorie, e ormai sono test rodati, nonostante le annuali polemiche e scioperi indetti da una fetta di docenti e sindacati (ma che hanno sempre raggiunto percentuali bassissime). In più, gli esiti di questi test sono certificati dall’Invalsi. A ciascuno studente, infatti, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, invia apposite credenziali ai ragazzi per scaricare la certificazione delle prove svolte con open badge. La certificazione è composta da quattro parti, con i risultati in italiano, matematica, inglese lettura, inglese ascolto. Si tratta quindi di “pezzi di carta” che lo studente già possiede, e che, prendiamo ad esempio l’inglese, sono poi richiesti nuovamente all’università: ad esempio, nelle triennali è richiesto un livello di inglese B1 mentre per le magistrali si sale a B2.

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L’utilizzo delle certificazioni Invalsi

Il passo successivo, nel ragionamento degli esperti del governo, è far sì che queste certificazioni (che, come noto, riguardano anche l’italiano e la matematica) inizino a essere utilizzate, gradualmente, dagli atenei. Per ora dal ragionamento sono esclusi i corsi ad accesso programmato nazionale che seguono un loro percorso disciplinato da leggi e decreti ministeriali (e che, a partire dall’anno prossimo, sono in procinto di subire un restyling approfondito attraverso l’istituzione di un Tolc gestito dal consorzio Cisia per medicina e un percorso di autovalutazione online a partire dalla quarta superiore). Potrebbero invece essere inclusi i test di ingresso disposti dai singoli atenei per le facoltà a numero chiuso locale.

La partenza graduale

La materia è scivolosa e i precedenti non aiutano. Perciò si ipotizza una partenza estremamente soft. Ad esempio utilizzando le certificazioni Invalsi per gli Ofa, vale a dire gli Obblighi formativi aggiuntivi che vengono assegnati agli studenti che si iscrivono al primo anno di un corso di laurea di primo livello ad accesso libero della preparazione iniziale oppure sono fissati come soglia d’asticella per accedere a un determinato esame. Così da rendere anche più agevole una trattativa con i due ministeri competenti (Istruzione e Università).

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