Il testo offre spunti per riflettere sul Pnrr per il Mezzogiorno. Riprende dalla letteratura grigia i discorsi e le «mentalità» di analisti e pianificatori e mostra, oltre «Ripresa» e «Resilienza», le nuove logiche di dipendenza fra i territori «centrali» e i territori «periferici», ovvero la solita e nota «logica dello sviluppo capitalistico»
Gloria del disteso mezzogiorno quand'ombra non rendono gli alberi, e più e più si mostrano d'attorno per troppa luce, le parvenze, falbe.
il sole, in alto, - e un secco greto.
1. I versi di Eugenio Montale, tratti dall’opera Ossi di Seppia, descrivono il tempo del mezzogiorno: ci potremmo trovare ovunque ma troveremmo in alto il sole e intorno un «secco greto», e ancora e soprattutto «parvenze falbe» a causa della troppa luce. Quell’aggettivo, «falbo», indica il giallo scuro e si è soliti riferirlo al manto degli animali, dei cavalli in particolare.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il Mezzogiorno può in effetti apparire come un sole, ma potrebbe proprio essere il sole accecante del poeta, una luce che si risolve in parvenze, in arsura.
E cominciamo allora dalle parvenze, che sembrerebbero al centro dell’immaginario del PNRR che si ramifica nelle mente di alcuni analisti. Facciamo un esercizio utile a mostrare qual è lo stato d’animo – la mentalità comune emergente – che sembra prevalere a riguardo: digitiamo in uno dei motori di ricerca più utilizzati sul web le parole «PNRR», «Mezzogiorno», «Sud». Nello scorrere i risultati della ricerca, anche limitandosi ai titoli dei documenti, c’è una significativa ricorrenza delle parole «occasione», «opportunità», «svolta», in una convivenza fra il timore della inadeguatezza e l’eccitazione per l’ammontare delle risorse che giungeranno.
S’intende da sé, che per poter combattere, in generale, la classe operaia si deve organizzare nel proprio paese, in casa propria, come classe, e che l’interno di ogni paese è il campo immediato della sua lotta. Per questo la sua lotta di classe è nazionale, come dice il Manifesto comunista, non per il contenuto, ma “per la forma”. Ma “l’ambito dell’odierno Stato nazionale”, per esempio del Reich tedesco, si trova, a sua volta, economicamente “nell’ambito” del mercato mondiale, politicamente “nell’ambito” del sistema degli Stati. […] E a che cosa il Partito operaio tedesco riduce il suo internazionalismo? Alla coscienza che il risultato del suo sforzo “sarà l’affratellamento internazionale dei popoli“, – frase presa a prestito dalla Lega borghese della libertà e della pace, e che deve passare come equivalente dell’affratellamento internazionale delle classi operaie, nella lotta comune contro le classi dominanti e i loro governi. K. Marx, Critica del programma di Gotha, 1875
L’operaio che pone l’unione politica con la borghesia della «propria» nazione al di sopra dell’unità completa con i proletari di tutte le nazioni agisce quindi contro i propri interessi, contro gli interessi del socialismo e della democrazia. Lenin, Tesi sulla questione nazionale, 1913
Fino a poche ore prima dello scoppio del conflitto in Ucraina, nessuna delle varie organizzazioni o gruppi che si richiamano all’internazionalismo proletario aveva nulla da eccepire sulla definizione della guerra in arrivo come guerra imperialista, su entrambi i fronti. Sono bastati pochi giorni di intensa, pervasiva, totale e violenta propaganda di guerra da parte dei media delle potenze imperialistiche occidentali per far emergere perplessità, ripensamenti più o meno dichiarati, emendamenti o sofisticazioni a proposito della caratterizzazione del conflitto in corso e dei compiti dei rivoluzionari internazionalisti.
In questa prima parte sintetizzo con la massima brevità i punti essenziali dall’operazione di guerra psicologica condotta dall’Occidente nell’ambito delle ostilità tra Russia e Ucraina, volta alla creazione di una vera e propria Realtà Parallela; operazione disinformativa di una vastità, capillarità, radicalità senza precedenti storici. Elenco gli snodi essenziali della “narrativa” occidentale, e li metto a confronto con le realtà fattuali e documentali che essi distorcono e occultano.
Nella seconda parte analizzerò i fondamenti culturali e ideologici sui quali la campagna di guerra psicologica fa leva e aggiungerò alcune considerazioni.
1. Dall’inizio delle ostilità in Ucraina l’Occidente ha organizzato una vastissima, capillare, radicale campagna di guerra psicologica volta alla creazione di una Realtà Parallela.
2. Che cos’è una Realtà Parallela? Quale caratteristica essenziale la distingue dalla realtà? La Realtà Parallela è dove muoiono solo gli altri. La realtà è dove muori anche tu, dove muoio anche io. Come il desiderio, la Realtà Parallela non ha limiti. La realtà è ciò che impone limiti al desiderio.
3. A creare la Realtà Parallela è lo sforzo internazionale di circa 150 aziende di Pubbliche Relazioni, coordinate da Nicky Regazzoni, cofondatore di PR Network[1] e Francis Ingham[2], un esperto di pubbliche relazioni strettamente legato al governo britannico. Nell’articolo di Dan Cohen linkato in calce, abbondanti informazioni e documentazione in merito[3].
4. Gli snodi narrativi fondamentali della Realtà Parallela sono:
Rilanciamo questo lungo e approfondito articolo del generale Fabio Mini pubblicato sul Fatto Quotidiano il 23 marzo. Per chiunque voglia disintossicarsi dei media con l'elmetto e comprendere bene che cosa realmente stia rischiando l'Italia con la decisione di inviare armi in Ucraina, divenendo di fatto co-belligerante nel conflitto, non vi può essere lettura migliore
La cortina fumogena. Kiev, esercito allo sbando: mani libere ai paramilitari. Rifornirli aumenta ancora i rischi per la popolazione
Sembravano teorie del complotto o fantasie dei “filo putiniani”, le valutazioni che fin da prima dell’attacco confutavano la narrazione fornita dall’Ucraina, ma orchestrata e preparata dall’esterno. Alle voci dubbiose di alcuni storici ed esperti occidentali, compresi quelli americani, subito tacciati di filoputinismo, si sono aggiunte in questi giorni voci inaspettate, oltre alla nostra: il bollettino n.27 di Jacques Baud , il colonnello dell’intelligence svizzera, ora analista internazionale di professione con un attivo di decine di libri e rapporti su questioni militari diventati dei “must read” in Europa e nel mondo e il Financial Times del 20 marzo con le molte altre voci di esperti europei raccolte da Sam Jones da Zurigo e John Paul Rathbone da Londra.
Genesi e operazioni
A parte la provocazione della Nato nei confronti della Russia iniziata nel 1997 con l’espansione a est, secondo Baud la questione russo-ucraina non è sorta a causa del separatismo o indipendentismo del Donbass. Il conflitto nasce invece da fenomeni interni all’Ucraina e l’Occidente, non la Russia, ha fatto in modo che esso si ampliasse e degenerasse. Dal 2014, con i fatti di Maidan e i massacri in Donbass e Odessa, si dimostra la debolezza delle forze armate ucraine, succube di regimi che non si fidano di esse, che deliberatamente le abbandonano e si rivolgono alla componente paramilitare per l’ordine interno.
A qualche giorno di distanza, la decisione russa di far pagare in rubli ai “paesi ostili” le esportazioni di gas e petrolio, anziché in dollari o euro, appare decisamente meno bislacca o “ricattatoria” di quanto scritto dai propagandisti neoliberisti.
Per quanto motivata da un’esigenza “politico-militare” – la necessità di sottrarre le entrate russe all’erosione del valore di cambio di una moneta “paria”, che nessuno accetta (o accetterebbe) più – questa mossa dice molto su come sta cambiando il sistema internazionale.
Ci facciamo aiutare ancora una volta dalle acute osservazioni di Guido Salerno Aletta, in un editoriale di TeleBorsa, che centrano il punto.
Abbiamo scritto spesso che l’economia occidentale degli ultimi venti o trenta anni è stata segnata dal prevalere assoluto della finanziarizzazione, ossia dalla centralità delle attività finanziarie su quelle dell’economia reale, sulla produzione di merci fisiche, servizi, beni “immateriali” ma concretissimi come il software, ecc.
Con un’immagine efficace, è il prevalere dell’economia di carta su quella fisica.
Di questa prevalenza, monete come il dollaro, e in misura minore euro-sterlina-yen, sono state il pilastro fondamentale, visto che anche che il sistema dei pagamenti internazionali (lo Swift) è sotto controllo paramilitare degli Stati Uniti. Le “sanzioni”, detto altrimenti, sono effettive solo per questo motivo, perché vengono impediti gli scambi con una serie di account sospesi o cancellati.
Chi controlla questo mondo virtuale, da decenni, può permettersi l’enorme privilegio di pagare con “carta” stampata a volontà merci e beni che vengono prodotti-estratti con fatica e sudore.
In un’intervista Larry C. Johnson, un ex ufficiale della CIA, sostiene che la Russia ha già vinto la guerra e che rimane solo il lavoro di pulizia. Johnson ha addestrato i commando delle operazioni speciali dell’esercito americano per 24 anni e poi ha lavorato nell’ufficio antiterrorismo del Dipartimento di Stato.
* * * *
Può spiegare perché pensa che la Russia stia vincendo la guerra in Ucraina?
Nelle prime 24 ore dell’operazione militare russa in Ucraina, tutte le capacità ucraine di intercettazione radar a terra sono state distrutte. Senza questi radar, la forza aerea ucraina ha perso la sua capacità di interdizione aria-aria. Per le tre settimane successive, la Russia ha stabilito una no-fly zone de facto sull’Ucraina.
Anche se ancora vulnerabile ai missili terra-aria [Manpad] forniti agli ucraini dagli Stati Uniti e dalla NATO, non vi è alcuna indicazione che la Russia abbia dovuto ridimensionare le sue operazioni aeree di combattimento.
Mi ha colpito anche l’arrivo della Russia a Kiev tre giorni dopo l’invasione. Ho ricordato che i nazisti hanno impiegato sette settimane per raggiungere Kiev durante l’operazione Barbarossa [1941] e altre sette settimane per sottomettere la città.
I nazisti avevano il vantaggio di non risparmiare nessuno sforzo per evitare vittime civili ed erano ansiosi di distruggere le infrastrutture essenziali. Tuttavia, molti cosiddetti esperti militari americani hanno affermato che la Russia era impantanata.
L’aggressione russa all’Ucraina, qualunque sia il suo esito sul campo, ha dato l’impulso a un terremoto riarmista in Europa, con epicentro in Germania, che sconvolgerà l’assetto del continente e mondiale molto più di quanto possa fare l’avanzata dei carri armati russi su Kiev.
La Germania del socialdemocratico Scholz, mentre si toglie la foglia di fico del divieto di esportare armi in teatri di guerra (è già il quarto esportatore mondiale di armi), abbandona anche la linea adottata per 50 anni del Wandel durch Handel, il cambiamento mediante il commercio, per riprendere la strada militarista già tragicamente perseguita nel suo passato. Infatti, oltre ad inviare grandi quantità di armi al governo dell’Ucraina, e ad adottare le pesanti sanzioni finanziarie contro la Russia, il governo di Bonn ha annunciato che la Germania aumenterà la propria presenza militare all’Est: truppe in Lituania, ricognizioni aeree in Romania, costituzione di unità NATO in Slovacchia, rafforzamento del pattugliamento navale nel Baltico, Mare del Nord, Mediterraneo, difesa dello spazio aereo dei membri orientali della NATO con missili antiaerei. Infine, tra gli scroscianti applausi tanto dei deputati della maggioranza quanto dei deputati democristiani al Bundestag, Scholz ha annunciato che il governo si dota di un fondo speciale di 100 miliardi per il riarmo, portando la spesa militare oltre il 2% del PIL. Ciò significa un balzo enorme, di almeno il 50% in più, degli investimenti in armamenti. Serviranno tra l’altro per “costruire la nuova generazione di aerei da combattimento e carri armati qui in Europa insieme ai partner europei, e in particolare la Francia”, oltre agli eurodroni e a un nuovo aereo con capacità nucleare che succederà al Tornado.
Riarmo europeo a guida tedesca? Dalla “green economy” al business della morte. In Borsa le azioni di Fincantieri e Leonardo, i campioni del complesso militare industriale italiano, sono immediatamente balzate in alto del 20% e del 15%; e l’italiana Oto Melara del gruppo Leonardo si è prontamente candidata a partecipare alla costruzione del carro armato europeo insieme a tedeschi e francesi.
I tentativi di Gobaciov, i contraccolpi sull’economia russa della fine dell’Urss, la nascita degli oligarchi, l’arrivo di Putin e le due fasi della sua politica economica. Per capire le interdipendenze e i possibili esiti della sanzioni
Con le note che seguono cerchiamo di fotografare solo molto schematicamente alcuni aspetti dei grandi mutamenti dell’economia russa nel periodo che va dagli ultimi anni dell’Unione Sovietica sino ai nostri giorni, sottolineando come la realtà dei fatti sia certamente più complessa di quanto si possa rappresentare in scarne note.
Antefatto
Nel 1988 è capitato a chi scrive, per le bizzarrie del caso, di partecipare, insieme ad una cinquantina di economisti dell’Est e dell’Ovest (c’era nel gruppo anche un ben noto studioso italiano), ad un progetto “segreto” di riforma dell’economia sovietica. Il progetto era sponsorizzato da Gorbaciov e dal suo primo ministro Ivanov da una parte, dalla fondazione “Open society” di George Soros dall’altra. Le riunioni del gruppo si sono svolte a suo tempo tra Mosca e Londra.
Durante lo svolgimento dei lavori, fummo colpiti dal fatto che il sistema economico di allora era in grado di offrire alla popolazione i prodotti ed i servizi di base – certo con differenziazioni tra città e campagna e tra le varie aree del paese – e, sul piano del lavoro, la sostanziale piena occupazione, ma poco di più. I privilegi delle classi dirigenti, che pure esistevano, erano ridotti se pensiamo alla situazione delle società occidentali di allora e di oggi e l’indice di Gini, che misura i livelli di diseguaglianza economica nei vari paesi, era allora tra i più bassi del pianeta. Incidentalmente, a parere di chi scrive, alcune delle conquiste del periodo andrebbero perlomeno ristudiate.
Da alcuni anni, a livello internazionale, una teoria economica (di stampo istituzionalista e, in parte, post-keynesiano), dal nome Modern Money Theory (MMT d’ora in avanti), si è fatta strada su più fronti, da quello del dibattito pubblico e politico a quello del dibattito accademico ed istituzionale, da quello della ricerca scientifica a quello dell’insegnamento universitario. Rappresentanti politici, comuni cittadini-lavoratori, imprenditori, investitori dei mercati finanziari, banchieri centrali, giornalisti, studenti e docenti universitari, in molti si sono interessati alla MMT, prova ne è l’intenso dibattito che si ha da alcuni anni in più parti e contesti del mondo.
Negli USA la MMT è diventata una teoria da prendere in seria considerazione come uno degli strumenti-guida delle decisioni di politica economica e delle decisioni riguardanti le riforme istituzionali e sociali da attuare alla luce degli obiettivi e delle sfide future che interessano la società americana (e non solo). La professoressa Stephanie Kelton, una delle principali esponenti accademiche della MMT, nonché autrice dell’ultimo libro Il mito del deficit, è stata capo economista per i democratici nella commissione Bilancio del Senato e consigliera di Sanders e di Biden. Lo stesso Mario Draghi, verso la fine del suo mandato da governatore della BCE, dichiarò che fosse necessario o comunque auspicabile aprirsi a nuovi approcci alla teoria economica come quelli appartenenti alla MMT, ed iniziare a tenere in seria considerazione la teoria qui menzionata.
L’Italia è uno dei Paesi in cui la MMT ha avuto grande rilevanza culturale sin dal lontano 2012 con la formazione di diverse associazioni civiche e culturali di divulgazione della MMT.
Partiamo da due votazioni all'ONU che sono una significativa introduzione al discorso che segue.
24 novembre 2014.
All'ONU la Russia propone una condanna del nazismo. Ucraina, USA e Canada votano contro. L'Italia (governo Monti) si astiene, assieme alla UE. L'Occidente era coerente: come faccio a condannare il nazismo se in Ucraina devo sostenere Settore Destro, Svoboda e banderisti e nazisti assortiti? Non si può.
18 novembre 2021.
La Terza Commissione dell’ONU approva una risoluzione che vieta la glorificazione del nazismo con 125 voti a favore, 53 astenuti (tra cui l'Italia, governo Draghi) e i voti contrari di Stati Uniti e Ucraina. Stesso copione. Come faccio a votare a favore quando so che devo glorificare i nazisti ucraini del battaglione Azov e del battaglione Donbass assieme ai volontari nazisti provenienti da mezzo mondo? Non si può.
Durante la prima settimana di guerra, in Russia c'era sconcerto e preoccupazione. Poi la situazione è cambiata. Non a causa di leggi restrittive (che sono giunte dopo - e in Ucraina è anche peggio: 11 partiti di fatto fuorilegge e la TV sotto legge marziale), non a causa di imponenti campagne di PR, di informazione o disinformazione, sia perché i mezzi per attuarle sono in mano occidentale, sia perché i Russi, al contrario degli occidentali, comunque non sono capaci di farle; a parte qualche barlume creativo sono rimasti fermi all'Unione Sovietica, sono grezzi (poco più di un burocratico briefing ministeriale, niente di psicologicamente sofisticato, capacità di marketing politico e di public relations a livelli elementari).
[…] La gerarchia, che si basava sul dare ordini, diventa ora una gerarchia di responsabilità […] La delega di responsabilità non comporta quindi una dissoluzione della gerarchia, ma un cambiamento della sua funzione e del suo significato.
J.Chapoutot, Nazismo e management
Il fratello di mia nonna costruiva case. Non ha voluto prendere la tessera del fascio e non ha più potuto lavorare fino alla fine della guerra. I miei zii erano partigiani sulle montagne della Carnia e siccome i tedeschi non li trovavano sono andati a casa e hanno trascinato via mio nonno e mia zia. Nessuno ha saputo dove fossero finiti fino a quando i tedeschi sono scappati e i partigiani li hanno liberati. Erano nel carcere di Palmanova e sono stati fortunati perché la guarnigione tedesca se n’è andata lasciando tutti i prigionieri chiusi dentro. In altre prigioni li hanno tutti ammazzati prima di scappare. Mia madre si alterava sempre quando mi raccontava che alla liberazione tutto il paese era in piazza con il fazzoletto rosso al collo mentre i partigiani e chi si era opposto al fascismo si contavano sulle dita di una mano e mi diceva che alle sue rimostranze le rispondevano <non sapevo, non credevo, non pensavo>. E invece sapevano tutto. Erano stati indifferenti, avevano coltivato i loro orticelli, i loro interessi o erano stati pavidi o erano convinti che tutto sommato il fascismo era ordine e legalità e andava bene e chi si opponeva era un mestatore, un sobillatore o, peggio, un comunista.
Kiev, esercito allo sbando: mani libere ai paramilitari. Rifornirli aumenta ancora i rischi per la popolazione
Sembravano teorie del complotto o fantasie dei “filo putiniani”, le valutazioni che fin da prima dell’attacco confutavano la narrazione fornita dall’Ucraina, ma orchestrata e preparata dall’esterno. Alle voci dubbiose di alcuni storici ed esperti occidentali, compresi quelli americani, subito tacciati di filoputinismo, si sono aggiunte in questi giorni voci inaspettate, oltre alla nostra: il bollettino n.27 di Jacques Baud , il colonnello dell’intelligence svizzera, ora analista internazionale di professione con un attivo di decine di libri e rapporti su questioni militari diventati dei “must read” in Europa e nel mondo e il Financial Times del 20 marzo con le molte altre voci di esperti europei raccolte da Sam Jones da Zurigo e John Paul Rathbone da Londra.
Genesi e operazioni
A parte la provocazione della Nato nei confronti della Russia iniziata nel 1997 con l’espansione a est, secondo Baud la questione russo-ucraina non è sorta a causa del separatismo o indipendentismo del Donbass. Il conflitto nasce invece da fenomeni interni all’Ucraina e l’Occidente, non la Russia, ha fatto in modo che esso si ampliasse e degenerasse. Dal 2014, con i fatti di Maidan e i massacri in Donbass e Odessa, si dimostra la debolezza delle forze armate ucraine, succube di regimi che non si fidano di esse, che deliberatamente le abbandonano e si rivolgono alla componente paramilitare per l’ordine interno. L’esercito ucraino, teoricamente forte di quasi trecentomila uomini, era in uno stato disastroso.
Antefatto
Mario Draghi è stato chiamato a governare l’Italia il 3 febbraio 2021 e ha prestato giuramento il 13 dello stesso mese. In soli 380 giorni è riuscito a fare tutto questo:
1. Ha fatto registrare il peggior risultato nel contenimento della pandemia a livello europeo recuperando posizioni su posizioni, raggiungendo il secondo posto in classifica generale, dietro la Polonia, con 2,6 morti ogni mille abitanti. A livello mondiale si piazza al 5° posto dietro Brasile, Argentina e Stati Uniti. Per nascondere questi dati inconfutabili e il poco onorevole risultato la propaganda ha scatenato il gota dei propri esperti per propinare al popolo una serie di giustificazioni: 1) la popolazione italiana è la più anziana; 2) non si possono confrontare paesi con caratteristiche diverse; 3) è tutta colpa dei Novax; 4) esistono infinite variabili che incidono sul risultato che non possono essere escluse dal complesso calcolo dei risultati. Tutto falso: 1) il Giappone ha una popolazione più anziana e ha registrato 0,15 decessi ogni mille abitanti; il Brasile con un’età media nettamente più bassa ha raggiunto il peggior risultato al mondo. 2) L’Italia risulta al secondo posto nel confronto europeo, cioè proprio con i paesi dalle caratteristiche simili, scende al 5° se vengono inseriti paesi dissimili. 3) L’Italia ha realizzato una delle migliori campagne vaccinali al mondo, rilevatasi completamente inutile. L’Ucraina, ora al centro dell’attenzione, ha vaccinato solo il 35% della propria popolazione raggiungendo un risultato leggermente migliore del nostro (2,41 decessi per 1000 abitanti). 4) Il giudizio sul risultato ottenuto scaturisce proprio dalla capacità di un governo di gestire le variabili pandemiche che caratterizzano il proprio paese. Una buona gestione fa registrare meno casi e meno decessi, una cattiva fa crescere i numeri. La Cina è stata capace di gestire in maniera ottimale le proprie variabili ottenendo così uno dei tassi di mortalità più bassi (0,34). Questo nonostante il paese, responsabile di aver generato la pandemia, sia stato il primo ad essere aggredito dal virus, abbia una capacità sanitaria inferiore alla nostra, un territorio immenso, una campagna vaccinale più bassa della nostra etc.
L’invasione
Lo scorso dicembre, passando dalla Puglia, ho fatto una visita a Waddah Al Fayed, il direttore della fotografia del film “L’Urlo” di cui sono regista. Siriano, in Italia da 5 anni, prezioso sodale sul confine tra Tunisia e Libia, dove il film è stato girato, Waddah ha studiato cinema a San Pietroburgo ed era rientrato giusto in tempo in Siria per viversi la guerra dalle sue prime battute.
Anti Green Pass, alle prese con una società italiana sempre più autoritaria e discriminante, mi pose in quei giorni dello scorso dicembre una domanda solenne: “Come credi che andranno le cose?”.
Gli risposi: “Mah, la propaganda in questi ultimi 2 anni è stata asfissiante, ha usato un linguaggio militaresco del tutto fuori luogo, ma al tempo stesso congeniale ai tempi che ci stiamo vivendo. Sì, credo che stiamo andando verso una guerra di grande portata, una di quelle che possono cambiare la faccia del mondo, che possono riscrivere gli equilibri tra Stati e macro-aree geografiche. E come sai, tutto inizierà dall’Ucraina”.
In questi giorni ho ricevuto una foto di Waddah dall’Amazzonia, con una baracca di legno alle sue spalle, folta vegetazione e un sorriso smagliante.
E’ partito a metà febbraio. Appena in tempo.
Nei due mesi successivi gli analisti ci spiegavano che l’invasione dell’Ucraina non ci sarebbe stata, proprio perché tutta la propaganda occidentale al contrario lo sosteneva.
Io mi sono tenuto la sensazione per me. Tutt’al più l’ho condivisa con qualche altro amico stretto.
Iperrealtà quotidiana
Come in un montaggio hollywoodiano, l’inquadratura in campo lungo sulla “guerra al Covid” ha lasciato spazio a un primo piano sulla “guerra ucraina”, senza che lo spettatore si accorgesse di alcuno stacco. Nel frattempo, Vladimir Putin ha sostituito Virus nelle vesti di nemico pubblico numero uno. Se il passaggio di testimone era prevedibile, la tempistica è risultata fin troppo perfetta. Sono allora intervenuti, come al solito, i coreografi creativi dei media aziendali, assicurandoci da subito una rappresentazione tipicamente unidimensionale della “guerra di Putin” – non lesinando neppure effetti speciali tratti da videogiochi come War Thunder, Arma 3 e Digital Combat Simulator; o il riciclo di vecchie clip di altri disastri. Al cospetto di tanta potenza di fuoco, persino i filmati apocalittici dei cinesi che cadevano come birilli a Wuhan City nel gennaio 2020 appaiono ora decisamente amatoriali.
Quando Jean Baudrillard scrisse che la ‘Guerra del Golfo non ha avuto luogo,’ intendeva dire che il dramma di quella guerra era stato sovrascritto da uno spettacolo mediatico talmente pervasivo da renderla iperreale: qualcosa di così inesorabilmente “vero” da eliminare l’intrinseca opacità del referente. Covid e invasione russa sono prepotenti esplosioni di iperrealtà, da cui diventa quasi impossibile prendere le distanze. La sovraesposizione all’ossessiva rappresentazione uni-dimensionale della guerra (il suo simulacro) elimina qualsiasi possibilità di relazionarsi all’originale, di cui non rimane traccia. Come è successo con il Covid, la realtà viene sostituita da un modello preconfezionato di false opposizioni binarie: sano/malato, vero/falso, democratico/fascista, Bene/Male.
Toh, c’è la speculazione. Ma chi l’avrebbe mai detto!
Dice che c’è la speculazione. Chi l’avrebbe mai detto! Dopo sforzi di settimane, gli scienziatoni del “governo dei migliori” hanno dunque scoperto l’acqua calda. Che dire, meglio tardi che mai! Roberto Cingolani, l’uomo tutto nucleare e digitalizzazione, ha reso la sua confessione spontanea al Senato della Repubblica. Naturalmente, una confessione a metà e senza trarne le dovute conseguenze. Ma, si sa, la scienza governativa ha i suoi tempi…
Ma che ha detto il Cingolani di così importante? E, soprattutto, cosa invece non ha voluto dire? Eh già, perché in questo fritto misto di ammissioni e reticenze, bugie e mezze verità, c’è il rischio di non cogliere la sostanza del problema.
Partiamo dalle sue affermazioni:
«Non c’è qualcuno in Italia che sta facendo qualcosa di sbagliato. Il problema è la grande speculazione in certi hub in cui si scambiano certificati e future: il Ttf a livello europeo e il Psv italiano».
In questa dichiarazione c’è una verità (la speculazione nella borsa del gas), un’omissione (chi sono questi famosi speculatori) ed una bugia, quella secondo cui in Italia nessuno starebbe facendo «qualcosa di sbagliato».
Chiariamo allora questi tre punti.
La speculazione sul mercato del gas
La presenza di laboratori di ricerca biologici in Ukraina è stata recentemente ammessa pubblicamente da Victoria Nuland, ex assistant secretary of state degli Stati Uniti. Non è stato detto che questi laboratori erano dedicati alla fabbricazione di armi biologiche, ma questa storia ha rinfocolato la discussione sulle armi biologiche e, di riflesso, sull’origine del virus SARS-Cov2.
Nell’articolo che vi traduco, qui di seguito, ne parla il prof. Chuck Pezeshki dell’Università di Washington. Chuck (lo conosco bene, e ci diamo del tu) è un ingegnere con una vasta esperienza in molti campi, incluso la politica internazionale, con in più una grande capacità (del resto tipica degli ingegneri) di analizzare le cose senza farsi fuorviare dalla politica o dai ragionamenti “di pancia.”
Anche per persone competenti, comunque, l’analisi della situazione con i virus e i vaccini non è cosa facile. Siamo a parlare di cose “top secret” per le quali abbiamo soltanto brandelli di dati che emergono in qualche modo dal silenzio ufficiale. Vi ricordate come, all’inizio, dire che il virus era un’arma biologica era considerata un’ovvia scemenza di complottisti/terrapiattisti. Col tempo, tuttavia, sono venuti fuori molti dettagli quantomeno sospetti. Più che altro, ci siamo resi conto che la “guerra biologica” è qualcosa che i governi delle potenze mondiali considerano molto seriamente.
Ora, ovviamente, se il SARS-Cov2 era un’arma biologica, è stato un flop colossale. Con tutta la buona volontà, che razza di arma è una che uccide lo 0.1% dei bersagli, come è successo in Italia? (Contati come “con Covid”, quelli veramente uccisi “dal Covid” sono sicuramente di meno). Eppure, non è impossibile che questo virus fosse stato concepito come un arma – semplicemente potrebbe non aver funzionato come i suoi creatori pensavano che funzionasse.
Un’analisi delle oligarchie che esercitano un’influenza sulle strategie di politica estera Usa e come queste dinamiche di potere si sono sviluppate rispetto alla crisi attuale, determinando il consolidamento del dominio Usa sulla Germania
Il mio vecchio capo Herman Kahn, con il quale lavoravo all’Hudson Institute negli anni ’70, aveva un discorso già pronto per i suoi incontri pubblici, in cui diceva che quando frequentava il liceo a Los Angeles, i suoi insegnanti erano soliti dire ciò che la maggior parte dei progressisti dicevano negli anni ’40 e ’50: “Le guerre non hanno mai risolto nulla”. E se davvero non hanno mai portato ad alcun cambiamento, in pratica non si devono fare.
Herman non era d’accordo e aveva pronta una lista con ogni sorta di cose che le guerre avevano risolto, o almeno cambiato, nella storia del mondo. Aveva ragione, e ovviamente questo è l’obiettivo di entrambe le parti nell’attuale scontro della Nuova Guerra Fredda in Ucraina.
La domanda da porsi è cosa stia cercando di cambiare o “risolvere” la Nuova Guerra Fredda di oggi. Per rispondere a questa domanda, è sempre utile chiedersi chi sia davvero a iniziare la guerra. Ci sono sempre due parti: l’attaccante e l’attaccato. L’attaccante si propone determinate conseguenze e l’attaccato cerca di trarre vantaggio da eventuali conseguenze non volute. In questo caso, entrambe le parti si scambiano reciprocamente colpi che spaziano fra conseguenze volute e interessi speciali.
È dal 1991 che gli Stati Uniti fanno uso attivo della forza militare e aggrediscono. Rifiutando il disarmo reciproco dei paesi del Patto di Varsavia e della Nato, è venuto a mancare qualsiasi “dividendo di pace”.
Al contrario, la politica statunitense intrapresa dall’amministrazione Clinton e dalle successive di attuare una nuova espansione militare attraverso la Nato ha pagato un dividendo di 30 anni, riuscendo a deviare la politica estera dell’Europa occidentale e di altri alleati americani dalla loro sfera politica interna all’esclusivo blob di “sicurezza nazionale” orientato dagli Stati Uniti (uso questo termine per indicare gli speciali interessi che non si possono nominare). La Nato è diventata l’organismo europeo di politica estera, fino al punto da dominarne gli interessi economici interni.
Nel suo discorso alla nazione in cui spiegava le ragioni del ritiro dopo venti anni dalla guerra in Afghanistan, Biden condensò la ragione dicendo che gli Stati Uniti non dovevano più esaurirsi nel gestire i problemi del 2001 (11 settembre), perché dovevano concentrarsi su quelli del 2021. Diede solo un sintetico ragguaglio su questo nuovo scenario: Russia e Cina.
La Russia è il principale competitor militare degli USA sebbene tra i due ci sia una certa distanza in termini di complessiva forza militare, la supposta “parità atomica” funge da deterrente a scalare i pioli di un possibile conflitto diretto. Abbiamo detto “supposta” parità atomica perché se in termini di testate è certa, in termini di capacità di lancio ed intercetto nessuno può sapere davvero come stanno le cose. Non foss’altro perché i sistemi d’arma spaziali (satelliti) sfuggono ad ogni reale rilevazione da parte degli analisti che si occupano di queste cose. L’aggiornamento dell’arsenale nucleare è stato, con qualche zigzag, praticamente costante negli ultimi settanta anni. La ricerca della preminenza ipotetica che sarebbe la facoltà di un “first strike” annichilente o la ricerca sul come annichilire la risposta avversaria, sono fini in sé. Lo sono per alimentare in continuità il sistema “ricerca e produzione” in un campo che altrimenti non consuma mai il suo prodotto. Lo sono per il fall out tecnologico che questa ricerca produce, fall out che può riversarsi non solo sul campo militare. Lo sono perché obbliga lo e gli avversari a sfinirsi in una continua distrazione di ricchezza su investimenti militari e non civili. Sebbene sia sbagliato dare a questa ultima dinamica ruoli eccessivi, nelle analisi sui perché del crollo sovietico, c’è stata anche una sottolineatura di come questa continua riconcorsa abbia fiaccato -nel tempo- l’economia sovietica, in molte analisi dei principali studiosi in materia.
«Ci stiamo mettendo all’angolo soli. Dobbiamo utilizzare l’energia per riallacciare un dialogo, non per un ricatto». Demostenes Floros, senior energy economist CER, Centro Europa Ricerche, il centro studi fondato negli anni ‘80 da personalità quali Giorgio Ruffolo e Luigi Spaventa, oggi di proprietà Sator S.p.A e Rekeep S.p.A e autore di Guerra e Pace dell’Energia, non ha dubbi.
È quanto mai urgente riallacciare un dialogo con la Federazione Russa. Ma a quale prezzo? «Abbiamo una certezza – spiega il ricercatore – con questi prezzi del gas il 60% della manifattura tedesca e il 70% di quella italiana rischia di chiudere. Noi europei dobbiamo sederci ad un tavolo e trattare. Diversamente abbiamo di fronte la stagflazione. Nessuna crescita e un’inflazione da anni ’70».
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Dottor Floros, in questi giorni drammatici sono tornati in voga termini che pensavamo aver relegato alla storia: dazi, autarchia, divieto all’export. A suo avviso siamo di fronte a un “disaccoppiamento” del mondo tra est e ovest?
«In realtà è già da diversi anni che gli Stati adottano misure protezionistiche. Credo che la globalizzazione stia lasciando posto ad una “regionalizzazione” del mondo, cioè ad una suddivisione in aree economiche integrate al loro interno in cui avanzano processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali. Da un punto di vista geopolitico accanto al blocco euroatlantico stiamo così assistendo alla nascita di un blocco euroasiatico a guida Russo-Cinese».
“L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). È un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale”. [1] È questa la retorica che lo stesso Mario Draghi pone a premessa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ovvero del Recovery Plan, approntato dal suo governo nell’aprile scorso e approvato dalla Commissione Europea nel giugno scorso. Attraverso tale Piano si dovrebbe definire la destinazione dei 191,5 miliardi di euro stanziati dall’Ue per il nostro paese nel cosiddetto Recovery Fund e cioè nell’ambito del programma Next Generation Eu, di cui 122,6 miliardi di prestiti e 68,9 di sovvenzioni, da spalmare tra il 2021 e 2026, secondo le previsioni di bilancio elaborate dagli organi europei. A fianco del Pnrr, viene attivato anche il Fondo React Eu, sempre parte del programma Next Generation Eu, ma attingente ai tradizionali fondi di politiche sociali e di coesione dell’Ue (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di aiuti europei agli indigenti).
Effettivamente, come afferma Draghi, si tratta di un passaggio inedito nella storia dell’aggregato imperialista europeo: un ulteriore meccanismo di centralizzazione finanziaria dell’Unione rispetto ai singoli Stati, basato sull’emissione, per la prima volta, di titoli di debito europei, i cosiddetti Eurobond, come avviene da inizio estate 2021.
Per fare la pace bisogna ovviamente volerlo; e lo devono volere tutti i soggetti in campo. La domanda è dunque se essi vogliano effettivamente fare la pace. A questo punto bisogna ulteriormente chiedersi chi sono gli attori in campo.
Per rispondere è necessario da subito mettere da parte tutta la retorica diritto-umanista: parlare della questione accettando questo terreno di confronto significa da subito omettere le cause reali, gli obiettivi reali, le strategie reali. Del resto tutti i soggetti in causa hanno dato ampia dimostrazione in un passato recente e remoto di quanto stiano loro a cuore i diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli: sono tutti delle belve sanguinarie.
Ma chi sono? Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra. Chi sono coinvolti? Cina e Stati Europei ricchi.
Qual è l’oggetto del contendere? Prima ancora della concretezza geopolitica, lo sfondo su cui tutto ciò accade è la difficile valorizzazione del capitale tipica del capitalismo crepuscolare.
Grandi Stati Europei, Russia e soprattutto Cina stanno da anni sviluppando delle importanti convergenze di sviluppo economico. Il grande progetto della via della seta prospetta all’orizzonte un’integrazione di sistema che va dalla Spagna alla Cina e passa anche dall’Africa dove gli interessi cinesi sono crescenti. I cinesi non arrivano con i carri armati, ma con una montagna di investimenti, coi soldi, insomma: comprano per produrre ricchezza. La loro è un’egemonia strutturale che si insinua con una rete capillare possibile solo grazie al sistema di investimento che include la collaborazione tra grande capitale pubblico e privato che agiscono in maniera coordinata.
di coniarerivolta
Mentre infuriano i venti di guerra e si consumano le conseguenti tragedie umane, si iniziano a palesare con evidenza le conseguenze indirette sull’economia europea (e non solo), legate ai micidiali aumenti dei prezzi delle materie prime e alla correlata spirale al rialzo di tutti i prezzi che, in assenza di interventi decisi sui salari dei lavoratori, comportano e comporteranno gravi effetti sulle tasche della maggioranza delle persone acuendo povertà e disuguaglianze sociali. Come la crisi pandemica ha avuto, oltre ai suoi nefasti effetti sanitari, drammatiche conseguenze socio-economiche, con una crescita sostenuta della povertà, l’attuale crisi internazionale sta già scatenando i suoi effetti indiretti sulle classi sociali subalterne e sui lavoratori di gran parte del mondo.
Si tratta dell’ennesima mazzata a collettività che, in Italia come altrove, subiscono da anni le conseguenze di politiche economiche restrittive e crisi che stanno dilaniando il corpo sociale acuendo le disuguaglianze e la povertà.
Il rapporto OXFAM sulle disuguaglianze
Ogni anno la benemerita organizzazione OXFAM (Oxford Committee for Famine Relief), confederazione di ONG dedite alla lotta alla povertà in tutto il mondo, pubblica un rapporto sulle disuguaglianze. Ed ogni anno il rapporto, impietoso, registra il drammatico e inesorabile deterioramento del quadro sia in relazione ai livelli di povertà assoluta e relativa sia rispetto all’allargamento del divario tra ricchi e poveri.
Nel cuore della tragedia pandemica – ha osservato il filosofo della scienza Etienne Klein (Vita e pensiero, n. 1, 2021) –, vi è stata l’opportunità rara di svolgere un’opera di divulgazione sulle procedure della metodologia scientifica. Al di sotto del baccano assordante di tanti dibattiti, qualche voce accorta ha cercato di chiarire cosa fossero un esperimento a doppio cieco o randomizzato, quale fosse la differenza fra una correlazione e una relazione di causa-effetto, ha spiegato come fare buon uso delle statistiche. Sforzi tanto più meritevoli nel nostro paese, dove il preoccupante analfabetismo di ritorno si allea talvolta con l’atavica diffidenza verso il sapere scientifico (anche negli ambienti “culturali”).
Nell’esplorare l’ignoto o il poco noto, la ricerca scientifica, soprattutto in ambito terapeutico, richiede un lungo e paziente lavoro di analisi, di sperimentazioni e controlli; confronti serrati e critiche severe devono (dovrebbero) intrecciarsi fra ricercatori di molteplici laboratori, nel lavoro collettivo che si svolge all’interno della comunità o della città scientifica, come la chiamava Gaston Bachelard. Quel che abbiamo sperimentato in questi due anni è che la ricerca del vaccino anti-Covid può restare a lungo immersa nel chiaroscuro delle incertezze, conoscere tentennamenti ed errori. E non sempre si tratta degli errori “giusti” che, come vorrebbe l’epistemologia popperiana, confutando le prime congetture riorientano la ricerca verso strade più proficue.
Purtroppo anche qualche esperto ha dimenticato che la temporalità della ricerca scientifica non obbedisce alla logica implacabile dell’immediato, cara ai media e ai social network, all’impazienza di massa che attende risposte rassicuranti.
Dopo aver analizzato la nozione di tempo nel pensiero di Aristotele, Franco Piperno si rivolge ora a un'indagine sullo sviluppo del rapporto tra tempo e lavoro nelle opere di Marx
I) Cento anni dopo
A più di un secolo dalla morte, Marx viene trattato, tanto nell’opinione quanto nell’accademia, come «un cane morto». La situazione è quindi ottima per riprendere lo studio dei suoi testi, per rifare i conti con lui. Procedere su questa strada, comporta,in primo luogo, sgombrare il terreno dall’ovvio, rifiutare la relazione di causalità tra l’attuale discredito di cui gode il Nostro e il crollo del socialismo di stato nell’Europa dell’Est. L’inconsistenza logica della dottrina marxista, così come la cattiva astrazione sulla quale si fondava la legittimità dei regimi socialistici, erano nascoste solo agli occhi di chi non voleva vedere. Tutto era chiaro già da prima, da molto prima. A testimonianza che il senso comune non ha atteso il crollo del muro di Berlino per formulare un giudizio sulla teoria del socialismo scientifico e sulla natura del socialismo di stato riproponiamo, qui di seguito,un breve commento a riguardo, scritto nel 1983, in occasione del centenario della morte di Marx, quando il Paese dei Soviet esisteva ancora[1]:
La celebrazione di K. Marx, nel centenario della morte, costituisce quel piccolo dettaglio più illuminante che un intero discorso. Innanzi, tutto chi celebra chi? Giacche’ bisognerà bene augurarsi che esista qualche differenza tra il Marx celebrato dal compagno Andropov, attuale primo ministro sovietico ed ex-capo del K.G.B.; e quello di cui si ricorda il militante dell’Autonomia nelle prigioni italiane. Non che ci siano celebrazioni illegittime; è solo che, forse, Marx, il nostro Marx, non merita d’essere celebrato[2] né dagli agenti segreti,né dai professori universitari e nemmeno dai militanti di Autonomia.
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