Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

La battaglia per il Quirinale e il Piano Draghi

di Fulvio Winthrop Bellini

Premessa: le due linee politiche

IMMAGINE SECONDO PEZZO SEZIONE POLITICA E TEORIA articolo BelliniSi sono svolte le elezioni del Presidente della Repubblica che hanno visto la conferma di Sergio Mattarella, risultato per nulla scontato. Questo avvenimento ci dà la possibilità di fare alcune importanti riflessioni con una premessa di ordine generale necessaria. In questo articolo non si farà il “tifo” per nessuno. Ci si occuperà del mondo reale, per quello che la politica è e non per quello che dovrebbe essere, baderemo quindi alla “verità effettuale” come ci viene insegnata nel XV capitolo del Principe di Machiavelli. Emergerà un giudizio politico finale circa l’esito delle elezioni che sarà il frutto di un percorso fatto oltre il velo delle ovvietà, delle frasi fatte, degli stereotipi che a bella posta vengono innalzati dai mass media di regime, i quali, come abbiamo sempre ribadito, non hanno il compito di narrare i fatti nel modo più onesto possibile, ma hanno l’incombenza di raccontare la storia scritta secondo i desideri dei “Poteri economici sovranazionali”, come definiti dallo stesso Mattarella, spesso senza curarsi neppure della verosimiglianza di quello che dicono. In una elezione rappresentata come un caos di opinioni contrastanti dove non è apparso alcun disegno da parte dei leader di partito, cercheremo di dimostrare che è vero esattamente il contrario: sotto una confusione apparente si sono scontrate due linee politiche, e se una avesse vinto le conseguenze sarebbero state fatali per il futuro di questo disgraziato paese. Partendo quindi dalla vulgata dei mass media: caos dei partiti che non hanno più saputo cosa fare, e per questo hanno chiesto a Sergio Mattarella di accettare la rielezione, giungeremo a dimostrare la nostra tesi: c’è stato un durissimo scontro tra due precise strategie.

 

La reale figura del Capo dello Stato

In passati articoli ci siamo soffermati sulla vera o presunta modifica della figura del Presidente della Repubblica negli anni. Abbiamo sempre smentito il luogo comune che descrive il Capo dello Stato come una sorta di notaio, una figura neutra che prende atto delle decisioni di governo e parlamento. Non è mai stato così, e la storia degli ultimi inquilini del Quirinale ha mostrato questa carica assomigliare a quella di “magistrato supremo della repubblica”, non nel senso di figura legata al potere giudiziario, bensì erede della storia repubblicana dell’antica Roma. Il Capo dello Stato nomina e revoca i ministri, controfirma le leggi, è il capo della magistratura ed è il comandante supremo delle forze armate. A differenza del Presidente del Consiglio, una sorta di “primus inter pares” con i suoi ministri, il Presidente della Repubblica è una classica carica monocratica. Due sono le caratteristiche che rendono l’inquilino del Quirinale “supremo magistrato” e che gli conferiscono un ruolo politico preminente rispetto alle altre cariche apicali dello Stato: Presidente del Senato, della Camera, del Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica è inamovibile per tutta la durata del mandato (al di là della remotissima possibilità di impeachment da parte del Parlamento) ed avendo il potere di sciogliere le camere può privare le altre cariche menzionate del loro presupposto di legittimazione.

Questo è il nocciolo della questione. Facciamo una veloce verifica soffermandoci sugli ultimi due Presidenti: Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. Sotto la presidenza Napolitano dal 15 maggio 2006 al 14 gennaio 2015 (due mandati) si sono succeduti quattro Presidenti del Consiglio (Prodi, Berlusconi, Letta e Renzi) e tre legislature (quindi tre diversi presidenti di camera e senato). Sotto la presidenza di Sergio Mattarella dal 3 febbraio 2015 si sono succeduti altrettanti quattro presidenti del consiglio (Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi) e due legislature (quindi due diversi presidenti di camera e senato). Per questa semplice ragione, agli occhi delle istituzioni e dei diversi poteri dello stato, ed agli occhi delle cancellerie internazionali, al di là della formale considerazione dovuta a governo e parlamento, la Presidenza della Repubblica rappresenta politicamente il principale punto di riferimento in quanto istituzione stabile per un lungo periodo di tempo, oltre che per i suoi importanti ed effettivi poteri costituzionali. Nella prassi consolidata dei rapporti tra i vertici dello Stato, inoltre, la formazione dei governi viene fatta di concerto con la Presidenza della Repubblica, che in passato si è anche rifiutata di convalidare figure sgradite, come nel caso di Paolo Savona che non fu nominato da Mattarella in occasione della formazione del primo gabinetto Conte datato 2018. In generale, tutte le principali leggi emanate dal parlamento sono viste dagli uffici legislativi del Quirinale, ed in sede di redazione degli articolati vengono spesso recepiti i rilievi del Quirinale.

Insomma, ben lungi da essere una figura di mera rappresentanza, la carica di Capo dello Stato esercita effettivi poteri diretti, quelli previsti dalla costituzione, ed indiretti essendo istituzione che si è trasformata negli anni per far fronte al crescente indebolimento degli altri organi istituzionali: Governo e soprattutto Parlamento. Ecco perché, sempre contrariamente a quanto ci raccontano tv e giornali, l’elezione a capo dello stato è ambitissima, le strategie adottate dai contendenti sono di rara finezza, largheggiando con la simulazione e la dissimulazione e con tutti gli altri artifici di cui la classe politica italiana è famosa fin dai tempi del Rinascimento. Infine, non dobbiamo assolutamente credere ad un’altra favola che ci è stata propinata durante i giorni delle elezioni: le strategie per vincere la corsa al Quirinale non sono iniziate qualche giorno prima dell’inizio delle votazioni del 24 gennaio, ma mesi prima.

 

Il rito della parola

Per nascondere all’opinione pubblica come sia terribile lo scontro politico e ricco di colpi bassi di ogni sorta, come fosse una liturgia i giorni precedenti la convocazione dei Grandi Elettori assistiamo al tradizionale “rito della parola”, cioè alla proposta da parte di intellettuali, più o meno in buona fede, di personalità ritenute degne di diventare Presidente della Repubblica, come se fosse una carica appunto di mera rappresentanza, la quale non necessita di alcuna preparazione specifica conferita o meno dalla propria storia politica. Vanno quindi bene professori di diritto costituzionale, premi Nobel, illustri personaggi dell’intellighenzia, ma soprattutto vanno bene le donne, a prescindere se politiche oppure no. Titola il Fatto Quotidiano del 4 dicembre 2021 “Quirinale, la petizione online per avere Capo di Stato donna: “La leadership al femminile è caratterizzata dal valore della cura”. La petizione si intitolava “Una donna al Quirinale” ed era sostenuta dall’associazione AIDDA e dal quotidiano La Nazione. Altre voci si sono levate a favore di una Donna al Quirinale, come quella di Dacia Maraini, come titola Huffpost del 3 gennaio: “Dacia Maraini e le altre. “Tempo di una donna al Quirinale”. L’articolo è interessante perché dà resoconto di quante illustri personalità si sono levate a favore di una di loro eletta Presidente, attraverso un’altra petizione a firma d’innumerevoli esponenti del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo. Luciana Castellina, che riconosce invece l’importanza di avere un curriculum politico adeguato, vedrebbe bene al Quirinale: “Rosy Bindi: è bene che sia qualcuno che ha lavorato per un partito, che ha esperienza politica sul territorio”.

A questo punto una domanda ci sorge spontanea. Che fine hanno fatto questi movimenti d’idee e di opinioni nella fatidica settimana dal 24 al 29 gennaio? Di donne si è parlato in quella settimana, spesso sfruttando la spinta proveniente dalle petizioni, ma è difficile ricondurre tali figure a quelle ideali descritte in modo altisonante nei dibattiti. Abbiamo assistito alla corsa di Maria Elisabetta Alberti Casellati in trance agonistica quando è stata chiamata in causa venerdì 28 gennaio, e poi la “misteriosa” figura di Elisabetta Belloni, diplomatico di lungo corso ma soprattutto Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza nominata direttamente da Mario Draghi nel maggio 2021, figura che torneremo ad analizzare per le sue importanti implicazioni.

Sulle donne in politica, però, occorre fare una riflessione ispirata alla “verità effettuale”. Quando si pensa alla loro promozione viene spontaneo guardare “a sinistra”, presumendo che sia quest’area a sostenere il ruolo delle donne in politica, e che a loro volta il “cuore” del gentil sesso batta a sinistra. Purtroppo si tratta di favole che i Radical Chic propinano ai gonzi che li votano. In Europa, ad esempio, le donne sono già arrivate al vertice della UE con figure come Ursula von der Layen e Christine Lagarde (alle quali andava aggiunta Angela Merkel fino ad un paio di mesi fa), ma non si può certamente affermare che la politica comunitaria sia meno liberista e filo americana rispetto ad una ipotetica direzione maschile. In Italia, poi, sono i partiti di centro destra a dare maggiore spazio effettivo alle donne: Forza Italia esprime il presidente del Senato (Casellati) e 2 ministri (Gelmini e Carfagna) e la Lega ha una sua ministra (Stefani); è donna il segretario nazionale di Fratelli d’Italia (Giorgia Meloni), partito in predicato di diventare maggioranza relativa nel Paese. Al contrario, nello schieramento di centro sinistra non vi sono ministri donne espresse dal PD né tanto meno dai partitini della sinistra borghese ex LEU, si registra un solo ministro donna del Movimento 5Stelle (Dadone), ed uno in quota Italia Viva (Bonetti); non vi sono segretari di partito donne ed il presidente della Camera espresso dai 5 Stelle è un uomo. E con questa constatazione si spera di smentire definitivamente certi stucchevoli luoghi comuni.

Soffermiamoci, invece, sulla figura del Presidente del Senato per segnalare che se era lei il modello femminile adatto al Quirinale, non ci si deve poi lamentare se alla prova dei fatti il risultato di simili candidature, di altro profilo solo perché donne, sia stato fallimentare. Sulla caratura morale della candidata è sufficiente citare il seguente articolo del Fatto Quotidiano del 28 aprile 2021: “Voli di Stato, “l’aereo blu di Casellati usato 124 volte in 11 mesi”… La Repubblica cita il registro di volo del Falcon 900 a disposizione della presidente del Senato: da maggio 2020 ad aprile si è alzato in volo 97 volte per coprire la tratta Roma-Venezia (a Padova risiede la famiglia), ma anche verso la Sardegna ad agosto. Fonti di Palazzo Madama spiegano che la ragione è la tutela della salute. Da inizio 2021 il presidente della Camera Fico ha usato un volo di Stato tre volte”. Per quanto riguarda invece lo stile ed il garbo col quale il Presidente del Senato ha giocato la propria candidatura venerdì 28 gennaio, va detto che dopo aver bersagliato leader e maggiorenti dei partiti con l’ordine perentorio “votatemi!” per tutta la notte, essersi assisa accanto al Presidente della Camera per sorvegliare arcigna i voti a suo favore, deleghiamo il racconto del risultato alla Repubblica del 29 gennaio: “Elezione presidente, lo schianto dell’avvocatessa Casellati che si vedeva già al Quirinale… I messaggi notturni ai parlamentari della presidente del Senato, la creazione in extremis di un gruppo di ex 5S. E dopo il flop pensava di ripresentarsi allo scrutinio successivo”. È noto come la speranza sia l’ultima a morire: quella delle Casellati e quelle dei circoli Radical Chic che immancabilmente si animano alla vigilia delle elezioni quirinalizie per poi dissolversi magicamente in un profumato svolazzo di “Chanel numero 5”.

 

Il Piano Draghi

Mario Draghi è un uomo potente, le sue relazioni sono al massimo livello in tutto il mondo e la terribile battaglia che è riuscito ad allestire per conquistare il Quirinale deve essere stata d’intensità ben superiore a quella che i mass media, quasi tutti schierati con lui e “guidati” dal TG de La7 in veste di vero e proprio tifoso ultras, sono stati costretti di malavoglia a far percepire. Questa battaglia ha mostrato anche ai meno attenti alcuni tratti del carattere dell’uomo: una smodata ambizione rafforzata dalla totale assenza di scrupoli e da quel freddo cinismo tipico del funzionario di banca che, utilizzando numeri, leggi e regole, condanna un debitore che si potrebbe salvare alla rovina personale. Mario Draghi è un novello Dorian Gray: educato, forbito, quasi aristocratico nei modi, ma capace di assumere con leggerezza d’animo decisioni che peserebbero sulla coscienza di qualsiasi dittatore. Esemplare fu la sua politica nei confronti della Grecia nel 2015 come ci ricorda il Sole 24Ore del 28 giugno di quell’anno: “Grecia, banche chiuse per sei giorni. Tetto di 60 euro sui prelievi”.

Vale la pena ricordare alcuni passaggi della fase acuta di quella crisi provocata ad arte dall’allora Presidente della BCE, Mario Draghi appunto, allo scopo di indurre i greci ad approvare le richieste della Troika sottoposte a referendum dall’allora capo del governo Tsipras. Perché ricordare quel momento? Semplice, è uno scenario replicabile in Italia in qualsiasi momento e dalla medesima persona: “In un’Atene apparentemente tranquilla domenica sera è arrivata la notizia che tutti temevano. La decisione della Bce di non aumentare il limite di 89 miliardi di euro dei prestiti di emergenza (Ela) alle banche greche già sotto pressione da giorni ha fatto decidere il governo Tsipras, con un decreto sulla «chiusura delle banche a breve termine», ovvero fino a lunedì 6 luglio (il giorno dopo il referendum sulla proposta dei creditori). I bancomat riaprono a mezzogiorno di lunedì con un limite di ritiro massimo di 60 euro, tranne che per gli stranieri o di chi è in possesso di carte di credito emesse da istituti non ellenici… Il premier Alexis Tsipras ha annunciato domenica sera… la chiusura delle banche e della borsa. Il primo ministro ha parlato al termine di una riunione dell’esecutivo mentre in piazza si svolgeva in una tensione crescente una manifestazione dei sindacati a favore del “no” al referendum previsto per il 5 luglio sulle proposte dei creditori… Era molto fondato il rischio di un assalto agli sportelli lunedì, tale da far fallire gli istituti di credito ellenici… E Tsipras ha accusato di questo la Bce”. La decisione di respingere la richiesta greca «per una breve estensione del programma», rileva, «è un atto senza precedenti per gli standard europei e mette in questione il diritto di un popolo sovrano di decidere».

Questa vicenda ci fornisce anche un’idea abbastanza esaustiva del concetto di democrazia che, al di là delle chiacchiere, alberga nella mente di Draghi. Tuttavia il potere del Presidente del Consiglio non gli appartiene, è delegato da altri e questo aspetto è importante per comprendere la sconfitta patita: il suo potere personale deriva da un lato dalla funzione, ovviamente non ufficiale e per questo quanto mai reale, di Pro Console degli Stati Uniti in l’Italia, e massimo rappresentante degli interessi USA nell’Unione Europea; dall’altro lato discende dall’appoggio “condizionato” del grande capitale finanziario internazionale in quanto ex vice Presidente e storico “amico” della banca d’affari Goldman Sachs, ed in quanto padre di Giacomo Draghi, trader finanziario presso la banca d’affari Morgan Stanley fino al 2017, dove si era occupato di strumenti derivati, per poi passare alla LMR, fondo hedge basato a Londra e Hong Kong che gestisce 2,5 miliardi di dollari. Abbiamo sottolineato il termine “condizionato” per indicare un elemento di contraddizione che ha minato la corsa di Draghi al Quirinale: se il capo del governo aveva incassato il sì convinto della Casa Bianca (AdnKronos del 19 gennaio 2022 “Quirinale, fonti Usa: “Draghi al Colle? Con Biden grandissima sintonia”), e quindi l’appoggio dell’ambasciata USA di Roma nel suo tradizionale lavoro d’influenza dei grandi elettori, Goldman Sachs rimaneva invece dell’opinione che Draghi dovesse rimanere al suo posto a garanzia del proprio ruolo e di quello delle altre grandi banche d’affari angloamericane nella gestione dei soldi del PNRR italiano. Italia Oggi del 27 gennaio 2022 riporta l’opinione della grande banca d’affari: “Filippo Taddei, ex responsabile per l’economia del Pd (sic), e che oggi è a Goldman Sachs, dice: Draghi è meglio che resti premier”. Questa frattura nel fronte dei sostenitori di Draghi ha contribuito a fargli perdere la corsa al Quirinale a favore di Mattarella.

Tuttavia, quando un uomo è così potente, ha una stima di sé elevata, un profondo disprezzo sia della classe politica, sia dei giornalisti a lui asserviti e che tratta da portalettere (AdnKronos del 10 gennaio “Draghi e la postilla: “Non risponderò a domande sul Quirinale”), ed infine un malcelato fastidio nei confronti del becero popolo italiano, capita che compia l’errore di sottovalutare gli avversari. L’eccesso di sicurezza del Capo del governo si è chiamata Elisabetta Belloni, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, funzionario a capo dei servizi d’intelligence italiani i quali, come noto, hanno l’importante compito di raccogliere dossier su tutti coloro che hanno a che fare con la politica in questo paese. Alla Belloni, il presidente del Consiglio aveva affidato il compito di coordinare il suo partito trasversale, fatto d’importanti esponenti distribuiti in vari partiti: da Luigi di Maio (Il Fatto Quotidiano del 1° febbraio “Di Maio incontra Raggi e poi va a pranzo con Belloni) a Giancarlo Giorgetti a gran parte dei cosiddetti “centristi”, e pure esponenti di vertice di PD e Fratelli d’Italia. L’ingresso sulla scena della Belloni ha subito allarmato tutti i leader di partito. Matteo Renzi, esperto dell’argomento “servizi d’intelligence”, si è fatto subito portavoce di tale preoccupazione: “Non voterò Belloni, il capo dei servizi segreti non può andare al Colle”. Ma nel piano Draghi la candidatura della direttrice dei servizi segreti doveva fungere da apri pista a quella del premier allo scopo di creare un tandem di “tecnici” formato da Draghi al Quirinale e Belloni a Palazzo Chigi. Un uomo potente, libero da ogni legame con la classe politica, inamovibile e protetto dalla somma carica dello stato avrebbe eterodiretto un capo di governo capace di rinverdire la tradizione “giolittiana” di gestire non solo l’agenda del governo ma pure gli stessi esponenti politici a colpi di dossier. Anche un trasgressore seriale della Costituzione come Roberto Speranza non sarebbe arrivato a tanto. Per tutti i capi politici sarebbe stata la notte, imbelli spettatori della peggiore deriva sudamericana, e pure messi alla gogna dell’opinione pubblica come responsabili di scelte fatte da altri in loro nome.

 

I poteri esterni e l’intervista di Mario Monti

Abbiamo visto che il potere di Mario Draghi è del tutto esterno al sistema dei partiti e degli uomini che lo animano. Gli Stati Uniti e le grandi banche d’affari sono alle spalle del capo del governo italiano e si sono palesate durante la settimana delle elezioni. Sono queste le uniche influenze esterne che hanno giocato un ruolo nella corsa al Quirinale? Certamente no. Vediamo quali altri attori hanno avuto un ruolo.

Innanzitutto il cosiddetto “partito dello Stato”, massimamente interessato all’elezione del Presidente della Repubblica perché figura istituzionale di raccordo con le altre istituzioni meramente politiche. Il Capo dello Stato è anche Presidente del Consiglio superiore della magistratura, quindi i giudici sono interessati alla figura dell’eletto; il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa e detiene il comando delle forze armate italiane, anche gli ufficiali apicali delle quattro armi sono attenti al prescelto; in generale tutti i vertici burocratici dello Stato, dai direttori generali dei ministeri ai prefetti, ai vertici dei servizi segreti sono assolutamente interessati alla corsa al Quirinale. Sono spettatori passivi? Un altro potere meno forte ma molto interessato è stata Confindustria, il cui corto respiro si è ridotto all’ottenimento della garanzia che poteva dare il tandem Draghi-Belloni sotto il profilo dell’uso dei miliardi del PNRR a loro quasi esclusivo vantaggio.

Chi non ha ricoperto il ruolo di spettatore passivo, invece, è stato il Vaticano, che tradizionalmente presta grande attenzione alla figura del Presidente della Repubblica italiana per le ragioni che abbiamo già espresso. Il ruolo della Chiesa è stato probabilmente decisivo nell’opposizione all’elezione di Mario Draghi. Nel suggerire, consigliare e persuadere la politica sull’inopportunità della figura di Draghi a capo dello stato, il coinvolgimento dei partiti e dei grandi elettori è stato determinante, al contrario dello stile freddo ed impositivo assunto dal presidente del Consiglio nelle sue numerose telefonate ai leader di partito. I vertici della curia romana, forti della loro millenaria tradizione di analisi politica, hanno compiuto un’attenta valutazione del “Piano Draghi”, ed a conclusione della stessa gli si sono rizzati i capelli da sotto lo zucchetto. Quali gravi pericoli hanno visto gli alti prelati tanto d’adottare una strategia d’emergenza che descriveremo nel prossimo capitolo? E soprattutto, è stata un’analisi condivisa con altre personalità che orbitano intorno alla Curia? Sembrerebbe di sì se diamo la giusta importanza, tra i commenti spesso superficiali e fuorvianti del dopo elezioni, all’intervista fatta nella trasmissione “In Onda” suLa7 del 30 gennaio 2022 da un importante, fine ed influente fiduciario del sionismo internazionale in Italia, Paolo Mieli, coadiuvato da una corte di giornalisti minori, e il Senatore a vita Mario Monti. In questa intervista Mieli, tra il dispiaciuto e il piccato, desiderava accomunare la sorte del suo bistrattato campione Mario Draghi alla vicenda politica di Mario Monti: due bravi tecnici chiamati a salvare l’Italia e che, dopo un solo anno di positiva attività di governo, hanno ricevuto il ben servito da una classe politica vile ed ingrata.

La sorprendente risposta del Senatore, invece, ci ha svelato un interessante scenario sulle ragioni della mancata elezione del “migliore dei migliori”. Monti è chiaro nel suo stile garbato: “Io non ho abbandonato la presidenza del Consiglio dopo un anno e mezzo, fino alla fine della legislatura… Non mi è nemmeno venuto in mente neanche per un attimo di lasciare quando la popolarità del governo scendeva perché si avvicinavano le elezioni e i partiti andavano per la loro strada… Il presidente Mattarella, legittimamente, in modo naturale e comprensibile, ha fatto sapere che sette anni andavano bene e di più no. Il presidente Draghi, altrettanto legittimamente, in modo forse meno chiaro, ha fatto capire una cosa diversa dal naturale atteggiamento di un presidente del Consiglio in carica ben lontano da finire il mandato, ossia che sarebbe andato ben volentieri al Quirinale … Tutto il resto è conseguenza di questo… Avere quell’ambizione è stato destabilizzante perché, negli ultimi mesi, aveva rallentato l’incisività dell’azione di governo… Bisognava cercare soluzioni che andassero bene anche al presidente del Consiglio, quasi come se dovesse sceglierlo lui … Occorreva qui che nascesse una soluzione politica, come poi è stata quella di Mattarella, perché anche ipotesi che sono circolate: due tecnici uno alla presidenza del Consiglio (Belloni n.d.r.) e l’altro alla presidenza della Repubblica (Draghi n.d.r.) mi sembravano del tutto anomale … Ma è chiaro che i capi dei partiti erano in fibrillazione totale perché trattavano del Quirinale ma trattavano anche delle loro poltrone a Palazzo Chigi … Questo lo dico perché non vorrei che alla fine, quando si tireranno i conti, si dica questo sistema è da gettare completamente e si vada alla repubblica presidenziale … Io ho molte riserve sulla repubblica presidenziale … Non vorrei in sostanza che si addebitasse al cento per cento alla politica la pessima prova data questa volta che ha avuto delle origini anche insospettabili e non appartenenti alla politica”.

Disamina perfetta ed esaustiva. A chi si riferisce quando il senatore parla di “origini anche insospettabili e non appartenenti alla politica” viene in mente spontaneamente. Considerando, inoltre, con una certa attenzione le ultime parole di Monti possiamo scorgere quella fine analisi che si è fatta nei palazzi del Vaticano, magari sfogliando antichi oppure recentissimi rapporti di nunzi provenienti da varie cancellerie della cristianità. Se il piano del Presidente del Consiglio fosse andato in porto e cioè: lui stesso fosse andato al Quirinale e la sua sodale Belloni a Palazzo Chigi; due personalità non politiche, rigorosamente elette da nessuno ma: il primo in potere di una carica monocratica ed indipendente e la seconda in possesso di informazioni riservate praticamente su chiunque conti in questo Paese, ad esempio capi di partito ed esponenti del Parlamento che avessero qualcosa da obiettare al Piano Draghi, quale differenza ci sarebbe stata tra un disegno simile ed un colpo di Stato?

 

Mattarella versus Draghi

La nostra analisi ci ha quindi portato ad un punto che, a prima vista, sembrerebbe eccessivo. Tuttavia le parole del professor Monti ci hanno disvelato uno scenario ben diverso dalla storia che ci hanno raccontato i mass media di regime da un anno e mezzo a questa parte. Ricordiamoci di questa storia perché nelle sue incongruenze con la realtà potremo apprezzare quanto frutto di fantasia essa sia, ma soprattutto per quale ragione si è giunti alla riconferma di Sergio Mattarella. Per una ragione mai chiarita veramente, il governo di Giuseppe Conte non era stato più ritenuto adatto a guidare l’Italia, superata però la fase acuta della pandemia nel 2020 e presentato la prima versione del PNRR alla Commissione europea.

Il Presidente Mattarella, motu proprio, quasi sollevato dall’uscita di scena dell’apprendista stregone Conte e del ruolo esorbitante del Movimento 5Stelle, chiama per l’incarico Mario Draghi, la personalità di maggior prestigio in campo internazionale. I partiti sono talmente onorati di avere un simile capo del governo da accettare quasi tutti, tranne Fratelli d’Italia, di sostenere una tale personalità, condividendo che vi fossero nel gabinetto eccellenti tecnici scelti direttamente dal presidente incaricato e dando a loro volta i migliori uomini tratti dalle rispettive compagini. Si forma quindi una coalizione d’unità nazionale, come si sarebbe detto una volta. Il governo Draghi, per ovvia conseguenza mediatica, è ritenuto popolarissimo e stimatissimo tra gli italiani. Indaghiamo una evidente incongruenza del racconto con la realtà: se Mario Draghi fosse veramente un valore così inestimabile per la politica, perché nessun partito gli ha mai offerto un posto di deputato nelle varie elezioni suppletive alla Camera avutesi durante il suo mandato? Ve ne sono state ben tre: Collegio Toscana – 12 in data 3 e 4 ottobre 2021 che hanno visto l’elezione di Enrico Letta, e in questo caso si poteva obiettare che la presenza del segretario PD sconsigliava la candidatura di Draghi; contemporaneamente vi è stata l’elezione nel collegio Lazio 1 – 11 che ha visto la vittoria di una personalità di secondo piano come Andrea Casu; nessuno avrebbe avuto da ridire se il romano Mario Draghi fosse stato eletto nella sua città, magari come indipendente sostenuto da tutta la sua maggioranza. Supponiamo che il capo del governo non avesse tempo, allora perché non cogliere l’occasione dell’elezione suppletiva del 16 gennaio 2022 sempre in un collegio romano e che ha visto l’elezione di Cecilia D’Elia con soli 11% dei votanti, persona rispettabilissima ma non certamente Mario Draghi, che se fosse stato eletto in quel momento sarebbe diventato anche Grande Elettore da lì ad una settimana.

Nessun partito si è nemmeno sognato di offrire due occasioni di una facile elezione al migliore dei migliori. Nella sua intervista, Mario Monti ci ha informato di aver votato sette volte scheda bianca e solo l’ottava volta Sergio Mattarella, perché gli sembrava “sleale e poco serio votare Mattarella fin dall’inizio”. La conduttrice De Gregorio chiede giustamente: sleale nei confronti di chi, e il senatore a vita risponde serafico: nei confronti di Sergio Mattarella stesso. Monti ricorda che il capo dello Stato aveva dichiarato in ogni occasione possibile che non si sarebbe più reso disponibile per un secondo mandato, e per ribadire a tutti la propria determinazione aveva anche iniziato il trasloco dalla sua casa di Palermo ad un appartamento a Roma per poter seguire i suoi futuri impegni parlamentari di senatore a vita. Chi ha potuto far cambiare idea a Mattarella e per quali ragioni? Va premesso che la richiesta di disponibilità e la sua accettazione è arrivata prima dell’inizio delle votazioni, altrimenti non si spiegherebbe il rigido silenzio avuto durante tutta la settimana anche quando il nome di Mattarella aveva cominciato a prendere decisamente quota da giovedì in poi: in fondo era sufficiente ricordare garbatamente e velatamente la propria indisponibilità. Chi l’ha convinto a cambiare idea e ad esporsi anche alle probabili critiche d’incoerenza? Sono stati i capi partito? Improbabile, in quanto di “prestigio non sufficiente”. È stato Mario Draghi? Impossibile vista la sua intenzione e ambizione. Sono stati gli americani? No, abbiamo visto che Biden aveva già dato il suo benestare convinto a Draghi. La “telefonata” oppure gli “emissari” per essere seriamente ascoltati da uno dei più stimati Presidenti della Repubblica degli ultimi decenni potevano venire solo dal colle Vaticano, condividendo l’analisi che abbiamo tentato di tratteggiare, e paventando il pericolo che la Repubblica stava correndo con l’elezione del “migliore”.

Le ragioni per le quali Mattarella ha accettato sono invece note, basta leggere il suo discorso d’insediamento di giovedì 3 febbraio, con la chiave di lettura data dalla nostra analisi. Il discorso di Mattarella è stato interrotto 55 volte dagli applausi del Parlamento, che si è comportato come se fosse stato salvato da un incubo incombente. In un bel discorso d’insediamento, Mattarella introduce un tema apparentemente fuori posto: “Poteri economici sovranazionali, tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico”. A chi si riferisce? La risposta non è difficile se si guardano i vari curriculum degli esponenti politici e di governo. Era quindi Draghi l’incubo incombente? Se ripensiamo alla standing ovation che il Capo del Governo ha ricevuto in Confindustria il 23 settembre 2021 raccontando quanto denaro avrebbero beneficiato le aziende grazie al PNRR, come va interpretato il passaggio del discorso del Presidente della Repubblica: “Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali … La pari dignità sociale è un caposaldo di uno sviluppo giusto ed effettivo. Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita”. Se si pensa poi alle qualità decisioniste, scarsamente comunicative e quindi poco condivise che sono riconosciute al capo del governo, come va inteso il seguente passaggio: “Per questo è cruciale il ruolo del Parlamento, come luogo della partecipazione. Il luogo dove si costruisce il consenso attorno alle decisioni che si assumono. Il luogo dove la politica riconosce, valorizza e immette nelle istituzioni ciò che di vivo cresce nella società civile… Senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso”. Chi può aver infervorato, allora, la rinascita dei valori democratici e sociali nel cuore dei deputati che ascoltavano il loro “salvatore”; chi può aver convinto l’uomo Mattarella alla “nuova chiamata – inattesa – alla responsabilità; alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi”? È lo stesso Capo dello Stato a dircelo: “A Papa Francesco, al cui magistero l’Italia guarda con grande rispetto, rivolgo i sentimenti di gratitudine del popolo italiano”. Perché il popolo italiano dovrebbe essere grato nei confronti del Pontefice in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, avvenimento che non avrebbe nulla a che vedere con i rapporti con la Santa Sede? Abbiamo capito, invece, che ha avuto molto a che vedere.

 

Conclusioni: la rinascita della democrazia cristiana preludio al ritorno delle famiglie politiche

Alla fine di questa analisi abbiamo capito che c’è ben poco di vero circa la storia che ci hanno raccontato su Draghi e Mattarella. I due non sono alleati, probabilmente si stimano molto meno di quello che pensiamo, sono a capo di due schieramenti politici nemici tra loro e trasversali ai partiti, associazioni e sindacati. Il primo rappresenta gli Stati Uniti, le banche d’affari, gli interessi di Confindustria ed è sorretto dalla grande maggioranza di tv e giornali. Draghi è il “migliore dei cattivi”, la sua mentalità è plasmata dall’oligarchia apolide del denaro che lo rende del tutto insensibile anche ai minimi sentimenti di amor patrio oppure di cura della comunità nazionale. Draghi rappresenta una classe sociale ben determinata la cui visione del mondo e dell’Italia è quella descritta, ad esempio, nel report di Oxfam 2022 “La Pandemia della diseguaglianza … Non solo il nostro sistema economico si è trovato impreparato a tutelare i diritti delle persone più vulnerabili ed emarginate quando la pandemia ha colpito; ma ha attivamente favorito coloro che sono già estremamente facoltosi… La pandemia da coronavirus si è abbattuta su un’Italia profondamente disuguale e il nostro Paese rischia di veder peggiorato nel medio periodo il profilo delle disparità multidimensionali preesistenti”. L’altro partito è quello democristiano ed è guidato da Sergio Mattarella che ha rialzato il vessillo della dottrina sociale della chiesa. Come i sostenitori di Draghi, anche i democristiani sono sparsi in tutti i partiti, e Letta e Conte sono gli esponenti maggiormente in evidenza, e sono stati i veri guastatori della candidatura del “migliore”. La loro azione politica discende da un ragionamento superiore, che merita di essere approfondito in altra sede, e che qui possiamo riassumere nell’assunto: la politica non ammette vuoti.

Se una nazione, poniamo l’Italia, ha passato gli ultimi trent’anni della sua storia a distruggere le sue tradizioni politiche a prescindere se condivisibili o meno: quella democristiana, quella comunista, quella socialista, quella fascista, non può meravigliarsi se ad un certo punto della sua storia arriva un signore eletto da nessuno che tenta di “sbancare il tavolo” del potere. Qual è l’antidoto al virus Draghi? Ricostruire le famiglie politiche della prima repubblica: quella democristiana che c’è già, quella neofascista che di fatto è pronta, mancano all’appello quella socialista e quella comunista. Questo è il significato politico del tentativo di tornare al sistema elettorale proporzionale ed al probabile sforzo, assai arduo a dire il vero, che i partiti faranno di sbarazzarsi di Mario Draghi e dei suoi terrificanti accoliti dalla vita politica di questo paese prima delle prossime elezioni politiche. Ma il tempo scarseggia, sono rimasti solo sette anni, e se in questo tempo non si ricreeranno le famiglie politiche della storia repubblicana al prossimo giro un Mario Draghi potrebbe salire al Quirinale ed una Elisabetta Belloni potrebbe andare a Palazzo Chigi. (Articolo del 04/02/2022)

Add comment

Submit