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voltairenet

Gli ultimi rantoli del fascismo ebraico

di Thierry Meyssan

220536 c5213.jpgChiunque in buona fede si rende conto che l’uccisione di 30 mila innocenti non può essere il prezzo per eliminare Hamas.

Per cui l’operazione Spade di Ferro si rivela per quello che è: una copertura per realizzare il vecchio sogno dei fascisti ebrei, da Jabotinsky a Netanyahu: espellere la popolazione araba dalla Palestina. Questo crimine di massa, commesso per la prima volta in diretta tivù, sconvolge lo scacchiere politico mondiale. Sentendosi minacciati, i suprematisti ebrei minacciano a loro volta gli Stati Uniti. E questi, intenzionati a rimanere i padroni del «mondo libero», si preparano a far cadere i suprematisti ebrei.

* * * *

L’amministrazione Biden assiste paralizzata alla reazione di Israele all’attacco della Resistenza palestinese – comprensiva di Hamas – denominata Diluvio di Al Aqsa (7 ottobre). L’operazione Spade di Ferro inizia con il bombardamento a tappeto della città di Gaza, d’intensità mai vista nel mondo e nella storia, nemmeno durante le due guerre mondiali. Il 27 ottobre, ai bombardamenti, si aggiungono l’intervento di terra, i saccheggi e le torture di migliaia di civili di Gaza. In cinque mesi i civili uccisi o scomparsi sono 37.534, di cui 13.430 bambini e 8.900 donne, 364 tra medici e personale sanitario, e 132 giornalisti [1].

Inizialmente Washington reagisce sostenendo senza esitazioni «il diritto di Israele a difendersi», minacciando di opporre il veto a ogni richiesta di cessate-il-fuoco e fornendo le bombe necessarie alla distruzione generalizzata dell’enclave palestinese. Gli Stati Uniti non possono infatti permettersi un’altra sconfitta, dopo quelle di Siria e Ucraina. Ma sui cellulari gli statunitensi assistono in diretta agli orrori compiuti da Israele.

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lafionda

Uno sguardo di sintesi sulle relazioni Italia/UE-Cina

di Alberto Bradanini

Italia cina.jpgPer comprendere oltre alla forma anche la sostanza delle relazioni Cina-Italia/Europa è cruciale acquisire consapevolezza dei pilastri della soggettività statuale dei due protagonisti, tenendo in conto che le caratteristiche istituzionali, politiche e ideologiche delle due nazioni, risultato di una distinta traiettoria storica, modellano anche le relazioni bilaterali e la rispettiva agibilità internazionale.

La Cina, innanzitutto: la Repubblica Popolare è un paese sovrano, espressione di una potenza economica e politica in crescita accelerata e palpabile in ogni angolo del pianeta. Al centro delle sue istituzioni è collocato il Partito Comunista, che garantisce stabilità e indipendenza alle scelte di politica interna e internazionale della Repubblica Popolare. Il pieno esercizio della sovranità, essenza costitutiva di ogni statualità degna di questo nome, ha rappresentato la prassi strategica che ha consentito alla Cina di riscattare il secolo dell’umiliazione nazionale (1839-1949), generando un benessere inedito per una popolazione che nella storia aveva conosciuto solo povertà ed emarginazione, divenendo in poco più di quarant’anni una potenza economica mondiale.

La gerarchia dei paesi che contano per Pechino vede al primo posto gli Stati Uniti – per i quali la Cina, a seconda dei casi, costituisce un partner, un concorrente o un insidioso rivale strategico – seguiti a distanza dalla Russia (per ragioni economiche/energetiche e di comune interesse a contenere l’egemonismo americano), dal Giappone (con cui vige una pace fredda, economia bollente, politica gelida), dai paesi produttori di petrolio e materie prime, e via via tutti gli altri.

Al centro di un mondo sempre più plurale – i cui principali gruppi di riferimento sono i Brics+[1], la Sco[2], la Rcep[3] e altre aggregazioni regionali esterne all’Occidente a guida Usa – si situa la Repubblica Popolare.

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lantidiplomatico

Guerra russo-ucraina: ultimo atto?

di Giacomo Gabellini

720x410c50mkijhbgfew.jpgGiorni bui per l’Ucraina. Sul piano di sostegno collettivo da 106 miliardi di dollari predisposto lo scorso ottobre dall’amministrazione Biden, comprensivo di stanziamenti per 61,4 miliardi all’Ucraina, permane a tutt’oggi il veto del Congresso, nonostante gli avvertimenti formulati dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan. Secondo cui il mancato sblocco del programma di sostegno all’ucraina avrebbe prodotto «gravi conseguenze», in quanto «ogni settimana che passa, la nostra capacità di finanziare completamente ciò che riteniamo necessario per permettere all’Ucraina di difendere il suo territorio e fare progressi sul campo si riduce costantemente. Per noi, la finestra si sta chiudendo». La compagine “trumpiana” al Congresso è tuttavia rimasta sui suoi passi, in omaggio a un evidente calcolo pre-elettorale, ma anche nella convinzione che il governo non disponga di una vera strategia per l’Ucraina. Nonché per i crescenti timori che parte assai considerevole degli aiuti verrebbe risucchiata nel vortice della corruzione, come si evince – da ultimo – dall’incremento del numero dei milionari registrato in Ucraina dal 2022.

Lo scorso novembre, il generale Valerij Zalužnyj, allora capo di Stato Maggiore dell’esercito ucraino,  aveva scritto un articolo sull’«Economist» arricchito da un’intervista rilasciata sempre alla nota rivista britannica. La sue esternazioni hanno con ogni probabilità concorso a portare i preesistenti dissidi con Zelens’kyj oltre la soglia critica, poiché dal quadro dipinto dal generale emergeva con chiarezza cristallina che la controffensiva avviata nella tarda primavera del 2023 dalle forze armate ucraine non aveva raggiunto alcuno degli obiettivi perseguiti dal governo di Kiev e dai suoi sponsor occidentali. Di lì a qualche mese, Zalužnyj è stato rimosso dall’incarico e nominato ambasciatore ucraino in Gran Bretagna; una “promozione” utile a tenerlo a distanza da Kiev.

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intelligence for the people

Ucraina: colta da improvviso panico, l’Europa flirta con ipotesi futili quanto avventate

di Roberto Iannuzzi

Dalla Francia di Macron alla Germania di Scholz, l’Europa a fari spenti di fronte a scelte chiave per il futuro della stabilità continentale

e42ddc42 3b3c 4cbc 9fe8 d2b9e64ece67 2048x1365Isteria e allarmismo dominano il dibattito europeo sulla crisi ucraina e sullo scontro con la Russia. “Ciò che guida la politica europea in questo momento è la paura”, ha scritto recentemente il Telegraph in un articolo che tradiva tanto la russofobia britannica quanto l’irritazione di Londra nei confronti della Germania e del suo cancelliere Olaf Scholz.

I dissapori fra le varie capitali europee sono tuttavia conseguenza di un improvviso “risveglio”. Dopo essere cadute vittima della loro stessa propaganda, le élite politiche europee si stanno riavendo dalla sbornia, per scoprire che Kiev sta effettivamente perdendo la guerra.

“La guerra è persa ma i nostri governi rifiutano di ammetterlo. Invece, fingono che si possa ancora vincere – anzi, bisogna vincere per evitare che “Putin” marci verso la Finlandia, la Svezia, gli Stati baltici, e infine Berlino. Due anni fa ci fu promesso che oggi al più tardi la Russia sarebbe stata completamente sconfitta, economicamente, militarmente e politicamente. Ma le sanzioni si sono rivelate un boomerang, e i carri armati Leopard II non erano sufficienti…”

A scrivere queste parole è Wolfgang Streeck, direttore emerito dell’Istituto Max Planck di Colonia. Il quale prosegue:

“È ora di chiedersi chi ha messo gli ucraini in questo pasticcio – chi ha detto all’estrema destra ucraina che la Crimea sarebbe tornata in mano loro? Per evitare tali domande, la classe politica europea è disposta a lasciare che il massacro continui sulla linea congelata del fronte ucraino – cinque anni, dieci anni – nessun problema, tanto saranno solo gli ucraini a combattere. Ma cosa succederà se si rifiuteranno di stare al gioco e di morire per i “nostri valori”?

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Via della Seta e nuovo multilateralismo: una prospettiva globale

di Gianmarco Pisa*

foto articolo rotte energetiche.jpgLa dimensione multilaterale è una chiave di volta della risoluzione dei conflitti, a partire dall’eguaglianza tra le nazioni, la non-ingerenza e l’autodeterminazione, sulla base di un approccio politico e diplomatico. Nuovi sistemi di relazione, alternativi all’imperialismo e alle sue guerre, possono aprire nuovi spazi per la cooperazione internazionale, e fornire un contributo rilevante per lo sviluppo e per la pace.

Le rotte energetiche internazionali (la rete internazionale dei gasdotti e degli oleodotti) e in generale l’insieme delle rotte mercantili rappresentano, da sempre, uno strumento di lettura della dinamica internazionale, una misura dell’andamento delle relazioni strategiche e, per quanto riguarda l’aspetto specificamente geopolitico, un punto di vista, interessante per quanto non esaustivo, circa gli sviluppi sui diversi scacchieri geopolitici, sui rapporti di alleanze, sull’emergenza di nuovi attori e di nuovi interessi nei diversi quadranti. Per quello che riguarda la stagione storica e politica a noi più vicina, sotto questo aspetto, due date meritano di essere segnalate per la loro importanza: perché indicano dei passaggi di fase significativi e perché addensano al proprio interno una serie di eventi particolarmente rilevanti per la loro portata e per le loro conseguenze.

La prima di queste è senza dubbio il 1999.

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lantidiplomatico

Cosa succede in Transnistria?

di Fabrizio Verde

720x410c50i87uhv.jpgCosa succede in Transnistria? Ha fatto molto rumore a livello internazionale la richiesta di aiuto alla Russia che si è alzata da Tiraspol, capitale della Repubblica non riconosciuta. Il presidente Vadim Krasnoselsky durante il suo intervento al Congresso ha dichiarato che contro la Transnistria si sta applicando una politica di genocidio. Il riferimento è alle politiche della Moldavia miranti allo strangolamento economico, distruzione fisica di una parte del popolo, negazione della difesa legale, tentativo di imporre con la forza la lingua. "La voce dei transnistriani deve essere ascoltata. Dobbiamo parlare delle nostre libertà, dei nostri diritti, della nostra libera attività economica, del processo negoziale e, in ultima analisi, della pace in Transnistria", ha denunciato Vadim Krasnoselsky.

A tal proposito le autorità di Tiraspol hanno approvato una risoluzione dove si rileva che la Moldavia “ha essenzialmente lanciato una guerra economica contro la Transnistria, creando deliberatamente i presupposti per un deficit di bilancio multimilionario”. I deputati hanno affermato che la Moldavia sta bloccando la fornitura di medicinali e attrezzature mediche. Quindi Tiraspol chiede alla Russia di tenere conto del fatto che “più di 220mila cittadini russi hanno la residenza permanente sul territorio della Repubblica Moldava Pridnestroviana e l’esperienza positiva unica del mantenimento della pace russo sul Dniester, così come lo status di garante e mediatore nel processo negoziale” e attuare misure per proteggere la Transnistria in condizioni di crescente pressione da parte della Moldavia.

Come già riferito, la richiesta di aiuto alla Russia ha ottenuto grandissima risonanza all’estero. In passato sono stati adottati molti appelli di questo tipo e nel 2006 è stato addirittura indetto un referendum dove l’esplicito quesito era: "Sostenete il corso dell'indipendenza della Repubblica moldava di Transnistria e la successiva libera adesione della Transnistria alla Federazione Russa?".

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sinistra

Guerra russo-ucraina: l’alluvione

Il “mondo Z” compie due anni

di Big Serge - bigserge.substack.com 

Traduzione di Antonio Gisoldi

bigserge1.jpgMentre il calendario piomba in un altro anno e scorriamo i giorni di febbraio, gli anniversari importanti vengono evidenziati in successione. Siamo ormai al 22/02/2022 +2: due anni dal discorso di Putin sullo status storico delle regioni di Donetsk e Luganski, seguito il 24/02/2022 dall’inizio dell’operazione militare speciale e dallo spettacolare ritorno della Storia.

La natura della guerra è cambiata radicalmente dopo una fase di apertura cinetica e mobile. Con il fallimento del processo negoziale (grazie o meno a Boris Johnson), è diventato chiaro che l’unica via d’uscita dal conflitto sarebbe stata la sconfitta strategica di una delle parti da parte dell’altra. Grazie ad aiuti occidentali (sotto forma di materiale, sostegno finanziario, ISRii e supporto all’individuazione dei bersagli) che hanno consentito all’Ucraina di andare oltre la sua economia di guerra indigena che stava rapidamente andando in fumo, è diventato chiaro che questa sarebbe stata una guerra di attrito industriale, piuttosto che di manovra rapida e annientamento. La Russia ha iniziato a mobilitare risorse per questo tipo di guerra d’attrito nell’autunno del 2022, e da allora la guerra ha raggiunto la sua qualità attuale - quella di uno scontro di posizione ad alta intensità di potenza di fuoco ma relativamente statica.

La natura di questa guerra d’attrito-di posizione si presta all’ambiguità in ambito d’analisi, perché nega i segni più attraenti ed evidenti di vittoria e sconfitta che hanno a che fare coi grandi cambiamenti nel controllo del territorio. Invece, bisogna farsi bastare un’ampia varietà di analisi posizionali di tipo aneddotico, su piccola scala, e dati nebulosi, e tutto questo può essere facilmente mal interpretato o frainteso.

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megachip

Il problema russo non è sconfiggere l’Occidente ma cosa farne dopo

Intervista a Rostislav Ishchenko* a cura di Aleksey Peskov

scacchista.jpgQuesta intervista al politologo Ishchenko dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello. La Russia potrebbe dover affrontare le stesse questioni che gli USA hanno affrontato al momento del crollo dell’URSS. Traduciamo un’intervista al politologo Rostislav Ishchenko che dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello di responsabilità globali.

Alla data del 24 febbraio, si sono compiuti esattamente due anni dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale (SVO). Allora sembrava a tutti che, anche se ci sarebbero state difficoltà, queste non sarebbero durate a lungo, gli aeroporti “intorno all’Ucraina” sarebbero rimasti chiusi inizialmente solo per una settimana. Si sbagliavano.

Poi intervennero i paesi occidentali, e anche lì l’orizzonte della pianificazione era calcolato in settimane, al massimo mesi: armiamo l’Ucraina, colpiamo la Russia con sanzioni, e tutto lì crollerà come un castello di carte. Ma si sbagliavano anche loro.

In due anni, la Russia ha potenziato i muscoli e allenato il cervello, mentre l’Occidente sta vivendo dissidi interni e gravi problemi economici. E a qualcuno viene l’idea, in questo momento, che ci convenga prolungare il conflitto, tipo: “aspettiamo – e l’Occidente crollerà da solo”. Sarebbe bello, giusto? Ma le speranze che, non appena i paesi occidentali si siano rotti, tutti i problemi della Russia finiscano all’istante, sono state dissipate nel corso di una conversazione con «Svobodnaya Pressa» («Stampa Libera») dal politologo, commentatore di MIA “Russia Today”, Rostislav Ishchenko…

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Stati Uniti e Cina allo scontro globale

Intervista a Raffaele Sciortino

asterios.jpgDal n. 6 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” in uscita nei prossimi giorni  pubblichiamo in anteprima questa intervista a Raffaele Sciortino.

Per l’edizione inglese, in uscita in questi giorni, ha scritto un capitolo di aggiornamento che tiene conto degli sviluppi nel frattempo intervenuti.

Gli abbiamo rivolto alcune domande che cercano di cogliere i dati essenziali del mutamento di quadro, a partire ovviamente dal conflitto Russo-Ucraino e dalla situazione in Medio Oriente.

* * * *

Collegamenti: Dopo due anni di conflitto l’Occidente collettivo sembra avviato ad un serio scacco in Ucraina, per quanto gli obiettivi che perseguiva l’Amministrazione Biden siano nel complesso raggiunti: logoramento della Russia, compattamento della Nato, subordinazione dell’Europa, postura minacciosa verso la Cina. Possiamo aspettarci una svolta da qui alle elezioni Usa?

 

Bella domanda. Direi di no se per svolta si intende qualcosa che possa assomigliare anche alla lontana a un serio percorso negoziale voluto e condotto dall’attore decisivo, Washington. Non solo: neppure un’eventuale vittoria di Trump porterebbe probabilmente a una svolta effettiva, semmai a qualche mossa politica dal valore simbolico. La mostruosa macchina statale statunitense si è oramai sintonizzata sulla modalità guerra – che è riduttivo definire per procura – in quel quadrante strategico.

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Il Medio-Oriente nel mondo multipolare

L’analisi di Saïd Boumama

di Said Boumama*

4d7b047f bfe6 41e5 99eb 6687c3113117.jpegPer comprendere la portata del genocidio in corso a Gaza e l’incondizionato sostegno europeo e degli Stati Uniti a Israele, dobbiamo collocarlo nel contesto globale del rapporto di forza tra BRICS e i paesi occidentali, che si riflette nella frenetica volontà di questi ultimi a contenere i primi e a frenarne lo sviluppo.

Il giornalista Richard Medhurst riassume questo contesto globale come segue:

Questa è una delle principali ragioni geopolitiche del massacro di Israele a Gaza. Gli Stati Uniti, principale sostenitore di Israele, sono alla disperata ricerca di un modo per cercare di contenere i BRICS, e, più in particolare, di contrastare la Nuova Via della Seta cinese. La costruzione di un corridoio rivale conterrebbe in un sol colpo Cina, Iran e Siria e aiuterebbe Israele e gli Stati Uniti a mantenere il loro dominio economico e politico contro un mondo multipolare”.

Per contrastare l’immenso progetto cinese di infrastrutture di trasporto della Via della Seta, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sviluppato un progetto concorrente che richiede il controllo di Gaza.

Annunciato al vertice del G20 a settembre 2023, questo progetto chiamato “Corridoio India-Europa-Medio Oriente” e presentato come segue da una nota informativa della Casa Bianca del 9 settembre:

Oggi noi dirigenti di Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Italia e Unione Europea abbiamo annunciato un memorandum d’intesa in cui ci impegniamo a lavorare insieme per stabilire un nuovo corridoio economico IndiaMedio OrienteEuropa.

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lantidiplomatico

Le cause finanziarie e valutarie del conflitto

di Carla Filosa

1200x630c50.jpgDato l’attuale perdurare dello stato di guerra, proprio di questo sistema economico in crisi irresolubile, sembra fondamentale precisare anche sul piano concettuale cosa sia il denaro, per cui occultamente in vario modo si combatte, cosa si intenda per valuta, e conseguentemente per conflitto valutario. Il richiamo e ripristino di contenuti reali di un’apparente autonomia della sola misurazione tra forze militari, deve servire a spostare sul piano conoscitivo e cioè cosciente, l’indignazione e l’orrore per la distruzione e le inesauribili morti altrui. Non è una novità che le cause delle guerre vadano ricercate in ambito economico, sin dall’antichità ne parlò Tucidide (460 a.C. circa). La specificità delle guerre nel sistema di capitale, è però qualcosa che la grandezza dello storico greco non poteva ovviamente immaginare, come purtroppo molti osservatori, nostri contemporanei, per lo più distolti o distratti dalle narrazioni accademiche e mediatiche manipolate dai poteri che le gestiscono.

Sulle cause della guerra in Ucraina molto è stato già detto, e a queste si rinvia. Data però la rilevazione di obiettivi politici legati alla disgregazione territoriale degli assetti attuali, ma anche e soprattutto di egemonia valutaria e in particolare quest’ultima da parte del dollaro statunitense, è bene rammentare il contesto storico che in questo aspetto del confliggere si è sviluppato, per comprendere meglio l’importanza internazionale legata alla portata sociale. Contro la propaganda mainstream, quindi, che semplifica le date di inizio delle ultime guerre al 7 ottobre o al 24 febbraio ‘23, qui si farà cenno del lungo processo temporale in cui sono stati predisposti i vari conflitti da intraprendere, proprio per non perdere la memoria dei vantaggi agognati.

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intelligence for the people

Due anni di conflitto ucraino: la sconfitta dell’Europa

di Roberto Iannuzzi

La prospettiva di un’Europa teatro di una nuova guerra fredda con la Russia, sebbene al prezzo di diventare più insicura e impoverita, è quanto si augurano gli strateghi americani

93cf8cd3 768e 4961 ba7c 3a1ca2404fa5 3000x2001Mentre si chiude il secondo anno di guerra in Ucraina, l’apparente stallo che caratterizza questo sfibrante conflitto di logoramento nasconde cambiamenti decisivi sul campo di battaglia e nel panorama internazionale.

Mosca ha riorganizzato le proprie forze, mobilitato nuovi uomini e mezzi, e preme su diversi punti del fronte. Dopo un estenuante assedio, la cittadina di Avdeevka, nell’oblast di Donetsk, è caduta in mani russe. Gli ucraini, fiaccati dalla carenza di soldati e munizioni, sono ormai nettamente sulla difensiva.

Nel frattempo, il fardello del sostegno economico e militare all’Ucraina è passato dagli Stati Uniti all’Europa. Tra aiuti finanziari e fornitura di armi, il contributo europeo è ormai il doppio di quello americano.

Complessivamente, però, l’appoggio occidentale mostra evidenti crepe. Chiare divisioni sono emerse nell’establishment statunitense, ma anche fra i diversi stati europei, e nel governo di Kiev.

Dopo mesi, il Congresso USA non ha ancora approvato il promesso pacchetto di 60 miliardi di dollari in aiuti militari. E in ogni caso, l’industria occidentale della difesa non è in grado di tenere il passo con l’intensità dello scontro bellico in Ucraina.

Da Washington giungono chiaramente pressioni, dirette e indirette, verso l’Europa affinché si assuma responsabilità ancora maggiori nella guerra, dando ossigeno finanziario a Kiev e aumentando le spese militari.

La zavorra del conflitto, e della riconfigurazione degli scambi commerciali e delle fonti di approvvigionamento energetico, dovuta alla rottura dei rapporti con Mosca, ha tuttavia inciso pesantemente sulle economie europee, in evidente difficoltà.

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sinistra

Palestina–Ucraina: il realismo imperialista e le assurdità di certe compagnerie a sinistra

di Algamica*

Schermata 2023 09 25 alle 09.46.35Diviene necessario dover affrontare alcune questioni teoriche e politiche con la dovuta chiarezza con risvolti che sembreranno come pugni nello stomaco a chi aspira a una alternativa di sistema ideale attraverso i fantasmi ideologici di quel che rimane della sinistra occidentale incapace di considerare i processi materiali reali e il saldo della storia. Non tenerne conto – a essere buoni – porta lì dove non si pensa di arrivare.

Proprio perché la storia è il vero giudice inappellabile siamo obbligati a cercare di separare il grano dal loglio, o la farina dalla crusca, in modo particolare in una fase come quella attuale, cioè di crisi generale del modo di produzione capitalistico, mostrando la pericolosità di certe posizioni teorico-politiche nella prospettiva di una decomposizione generale del modo di produzione capitalistico.

È buona abitudine chiamare a testimoniare sempre i fatti per essere credibili e ci riferiamo, perciò, a chi usa lo stesso metodo nel campo avverso, cioè non di parlare a vuoto o di mestare in ideologia, per capire in che direzione si sta andando. Ci riferiamo a quanto sta accadendo in Palestina e in Ucraina ultimamente.

Chiediamo perciò pazienza al lettore se citiamo anche lunghi strali di quello che scriveva il 19 febbraio 2024 Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera in modo schietto e chiaro come lui sa fare.

«[…] una merce sempre assai rara è il realismo: cioè la conoscenza dei fatti e della loro storia, l’analisi obiettiva degli interessi in gioco» prendano bene nota le varie compagnerie «la valutazione delle soluzioni concretamente possibili fondata sui due fattori ora detti.

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machina

La porta delle lacrime, le risa del capitale e l'inflazione. Riflessioni amare sulla crisi del Mar Rosso

di Andrea Pannone

Nel testo odierno, Andrea Pannone riflette sulle conseguenze economiche del conflitto in Medio Oriente e delle azioni del gruppo yemenita Houthi.

È un testo molto utile perché spiega i maggiori beneficiari delle tensioni belliche, gli interessi materiali sul campo e dunque le contraddizioni tra gli attori della guerra

Schermata del 2024 02 21 10 47 28.pngLa guerra nello stretto e le conseguenze sul commercio mondiale

Come ci ricorda il National Geographic Magazine, Bab el-Mandeb, in arabo la Porta delle lacrime, è una piccola strozzatura geografica nel Mar Rosso che ha un'influenza enorme sull’economia mondiale: è un punto chiave per il controllo di quasi tutte le spedizioni tra l'Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez[1]. Da lì, come ormai noto, passa quasi il 15% del commercio marittimo globale, compreso l’8% del commercio mondiale di cereali, il 12% del petrolio commercializzato via mare e l’8% del commercio totale di gas naturale liquefatto.

Da circa due mesi alcune navi che transitano in quel tratto sono prese di mira dai droni e dai missili del movimento yemenita Houthi, da anni sostenuto dall’Iran. Alcune navi, non tutte però. Solo le navi mercantili che navigano al largo delle coste dello Yemen e che hanno collegamenti con Israele. Gli stessi Houthi presentano gli attacchi come una risposta alla mancata condanna da parte dell’occidente al massacro che il governo di Netanyahu sta compiendo a Gaza. In realtà, si potrebbe a buon diritto sostenere (come fa ad esempio Emiliano Brancaccio nell’articolo Lo stretto necessario, il Manifesto, 23 gennaio 2024) che le azioni degli Houthi, sicuramente ben note a Teheran, vadano a vantaggio di un progetto antitetico a quello dell’Occidente che mira a contrastare, anche con l’imposizione di barriere commerciali e finanziarie, la crescente sfida dei competitor cinesi e russi al dominio economico degli Stati Uniti e al loro storico ruolo guida delle relazioni geopolitiche.

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sollevazione2

Terza guerra mondiale

di Leonardo Mazzei

linee del fronte.jpgParlare di “Terza Guerra Mondiale” è impegnativo, ma necessario. E’ impegnativo perché può sembrare esagerato, è necessario perché è l’immagine che meglio rende l’attuale situazione.

In questo inizio 2024 c’è in giro una pericolosa illusione. Secondo molti la guerra d’Ucraina starebbe per finire, o quantomeno per spegnersi per poi congelarsi magari in una “soluzione” alla coreana. Secondo questa visione, qualcosa del genere dovrebbe accadere pure in Medio Oriente, con l’allentarsi della presa di Israele su Gaza, cui seguirebbe non si sa bene che cosa.

Sfortunatamente le cose sono molto, ma molto più complicate.

 

Cosa vuol dire “Terza Guerra Mondiale”?

Questo articolo non ha lo scopo di affrontare l’insieme delle questioni geopolitiche che si stanno avviluppando davanti ai nostri occhi. Quel che qui ci interessa è fissare un dirimente punto di analisi. La “Guerra Grande” (copyright Lucio Caracciolo) ha la sua origine nella scelta occidentale, dunque in buona sostanza americana, di non cedere l’attuale supremazia su scala planetaria. Una supremazia messa in discussione dall’emergere della Cina, dallo sviluppo dei Brics, dal minor peso economico dell’Occidente complessivo, dall’evidente tendenza generale al multipolarismo, dall’insostenibilità di un sistema monetario dollaro-centrico.

A Washington hanno da tempo deciso di lottare per impedire il passaggio dal “nuovo secolo americano”, teorizzato venti anni fa, a un sistema policentrico in cui dover ricontrattare i nuovi equilibri di potenza.