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lanatra di vaucan

La scomparsa della circolazione e la logica del capitale

di Robert Kurz e Samuele Cerea

money.jpgIl seguente testo è solo una parte di un lungo saggio di Robert Kurz dal titolo Geld ohne Wert [it: “Denaro senza valore”] (Horlemann Verlag, 2012). Esso rappresenta il lascito teorico e l’ultimo contributo organico dell’autore nella direzione di un notevole tentativo (iniziato già a metà degli anni Ottanta) di ricostruire la critica dell’economia politica e di formulare una teoria radicale della crisi del capitalismo. Ci limitiamo qui a fornire alcune succinte coordinate.

Il fulcro della trattazione è naturalmente la questione del denaro e del suo valore, sapientemente declinata attraverso un confronto con l’antichità e l’età medioevale in cui il denaro non aveva affatto il ruolo centrale che riveste nella modernità con la sua universalizzazione del capitalismo e delle relative categorie. Sottolineando la natura storicamente e logicamente differente del denaro nella modernità capitalistica rispetto alle epoche premoderne, Kurz imposta la questione della sua funzione sociale negli ultimi secoli e ne mette in luce gli elementi di crisi.

In secondo luogo, l’accento viene posto sulla necessità di analizzare la società capitalistica come un intero. Di conseguenza Kurz conduce una critica serrata al cosiddetto “individualismo metodologico”1 che caratterizza l’approccio utilizzato da Marx ne Il capitale ma anche e soprattutto le correnti neo-marxiste più recenti (in particolare la cosiddetta Neue-Marx-Lektüre di Michael Heinrich).

Nello specifico il testo che presentiamo prende in esame la categoria della “circolazione” mettendone in luce la natura illusoria. Se intesa come uno scambio generalizzato di merci prodotte da produttori indipendenti con la mediazione dal denaro, essa non ha mai avuto luogo storicamente; infatti nelle società premoderne non vi era alcuna produzione universale di merci mentre nella modernità capitalistica il denaro non media affatto lo scambio di merci differenti ma costituisce un fine in sé, in ossequio alla logica fondamentale del sistema. Questa idea ha piuttosto il suo luogo d’elezione nella visione ideologica della teoria economica ufficiale (quella del “velo del denaro”). Nella realtà le merci vengono realizzate, vendute e consumate ma non “circolano”.

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sinistra

Critica dell’economia politica e strategia della rivoluzione socialista nel pensiero di Lenin

di Eros Barone

Lenin bandiera.jpgQuando trionferemo su scala mondiale utilizzeremo l’oro per edificare pubbliche latrine nelle vie di alcune delle più grandi città del mondo. Questo sarebbe l’impiego più «giusto» e più evidentemente edificante che si possa fare dell’oro per le generazioni che non hanno scordato come per l’oro furono massacrati dieci milioni di uomini e altri trenta furono storpiati nella «grande» guerra «liberatrice» del 1914-1918… Chi vive tra i lupi impara a ululare. E in quanto a sterminare tutti i lupi, come converrebbe in una società umana ragionevole, ci atterremo al saggio proverbio russo: «Non vantarti quando parti per la guerra ma quando ne ritorni»…

V. I. Lenin, L’importanza dell’oro oggi e dopo la vittoria completa del socialismo, 6-7 novembre 1921.

 

1. La specificità del capitalismo russo

Parlare della teoria economica di Lenin può apparire un po’ singolare se si considera la sterminata letteratura concernente il grande rivoluzionario russo. Lenin è infatti assai più noto come politico e come filosofo, che non come economista, e i motivi di questa differenza non sono certamente addebitabili al fatto che la produzione di scritti economici sia di minor valore, ma nascono dal segno più marcato che egli impresse in certi settori, anziché in altri: è il caso per Lenin, ovviamente, della politica. Eppure Lenin aveva esordito proprio come economista e nella sua produzione pubblicistica i primi dieci anni di lavoro intellettuale furono largamente dominati dagli studi economici. Sennonché la ragione del tardivo riconoscimento tributato agli scritti economici sembra quanto mai significativa: si è scambiata l’analisi dell’economia russa, che occupa un posto centrale in quegli scritti, per una indagine di storia locale con scarsi addentellati teorici generali. È vero, invece, proprio il contrario: quell’analisi costituisce la parte scientificamente più robusta dell’intera opera di Lenin, quella in cui, soprattutto, opera con gran forza una metodologia scientifica.

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blackblog

La "Critica del Programma Gotha": un manifesto 2.0 !!

di Gabriel Teles

ndowvusjNel 1875, Karl Marx scrisse un documento unico. Non si trattava di un trattato filosofico o di un saggio giornalistico,bensì di una critica approfondita, chirurgica, schietta e, ancora oggi, rimasta spesso trascurata. Mi riferisco alla "Critica del programma di Gotha", scritta come fosse una lettera-commento al progetto di unificazione, dei socialisti tedeschi, attorno a un programma comune. A prima vista, potrebbe sembrare quasi un episodio minore nella traiettoria del pensiero marxiano. Tuttavia, come sostiene il marxista indiano Paresh Chattopadhyay, si tratta di un vero e proprio «secondo Manifesto del Partito Comunista»: più maturo, meno pamphlet, ma non per questo meno rivoluzionario. Per comprendere la portata di questa formulazione, è necessario tornare al contesto. Nel 1875, i seguaci di Marx e i seguaci di Ferdinand Lassalle - una figura centrale dello Stato tedesco e del socialismo riformista - cercarono di fondere le loro organizzazioni nel neonato Partito Socialista Operaio di Germania (in seguito SPD, acronimo di Partito Socialdemocratico di Germania). Il programma che avrebbe sintetizzato questa fusione, era stato scritto per lo più da dei lassalliani, e recava in sé profondi segni di un socialismo statalista, legalista e conciliante. Marx, dopo aver letto il testo, rispose con la "Critica del programma di Gotha", inviato tramite una lettera a Wilhelm Bracke, ma che non venne mai pubblicato integralmente per tutto il corso della sua vita, e venne reso noto pubblicamente soltanto nel 1891. Ciò che Marx offriva in quel testo, non era solo una critica congiunturale.

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antropocenejpg

Comuni socialiste e antimperialismo: l'approccio marxista

di Chris Gilbert

 "La Comune fu l'antitesi diretta dell'Impero.”
- Karl Marx, La guerra civile in Francia

MR ago25.jpg«Quando una comune socialista è antimperialista?» La risposta di Chris Gilbert a questa domanda segue la linea di pensiero di Karl Marx, esaminando il suo approccio alla 'comune': dai Grundrisse fino ai suoi ultimi appunti e lettere sulle comuni rurali. Dopo aver ricostruito la strategia comunitaria marxista, Gilbert sostiene che i recenti progetti reali in Venezuela, Bolivia e Brasile sono conformi all'approccio marxista, unificando la costruzione comunitaria con una spinta antimperialista per la liberazione nazionale.

* * * *

La guerra genocida di Israele contro Gaza, che è andata di pari passo con spietati attacchi alla Cisgiordania, al Libano, all'Iran, allo Yemen e alla Siria, tutti sostenuti e finanziati con entusiasmo dagli Stati Uniti, rappresenta un campanello d'allarme per i popoli di tutto il mondo sugli effetti devastanti dell'imperialismo. Portato avanti con la complicità di tutti i governi occidentali, il genocidio dovrebbe anche aprirci gli occhi sul più ampio sistema imperialista guidato dagli Stati Uniti. Questo sistema, anche quando non conduce una guerra totale contro i paesi del Sud globale, pone la maggior parte di essi sotto una sorta di assedio generalizzato, a volte attraverso sanzioni (ad esempio, Venezuela, Cuba, Nicaragua, Cina e Iran) o circondandoli con basi militari (come nel caso di Cina, Corea del Nord e Venezuela, tra gli altri), per non parlare del sistematico drenaggio di valore e di risorse materiali da parte dell'imperialismo in tali paesi, che ha effetti sociali e ambientali devastanti.

Dato questo contesto, in cui l’imperialismo contrapposto alle nazioni e ai popoli oppressi rappresenta inequivocabilmente la principale contraddizione, ci si potrebbe interrogare sull’importanza di una comune socialista.

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ilcomunista

Marx incostituzionale

di Nicolò Monti*

AVvXsEjp2vFXcjA1SCiO7oz2ZFNGUT68E kQgaoSSO4aRSembrava una vittoria storica quella del “Forum serale Marxista per la politica e la cultura”, abbreviato Masch, nei confronti dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, ma le motivazioni della sentenza del Tribunale di Amburgo hanno spazzato via il già molto cauto ottimismo. L’8 Marzo scorso l’associazione, che aveva citato in giudizio lo Stato per essere stata classificata come associazione di “estrema sinistra”, togliendole lo status di organizzazione no profit, ha ottenuto la riabilitazione e il proprio status. In un clima così fortemente anticomunista, questa sembrava davvero una bella notizia per le associazioni e le organizzazioni marxiste tedesche.

Come sappiamo però, ogni tribunale che emette una sentenza ne pubblica dopo un certo lasso di tempo le motivazioni per la quali è stata emessa. Il 6 Agosto sono arrivate e non suonano affatto come una vittoria politica, anzi. Per il Tribunale infatti l’unico motivo che ha portato a dar ragione a Marsch è stato che i membri non avevano un "atteggiamento attivo e combattivo" tale da essere pericoloso per la Costituzione. Insomma, per i giudici i militanti di Masch sono “poco attivi” per poter essere considerati una minaccia, per il momento. Oltre ciò, che già di suo farebbe sorridere se non fossero così maledettamente seri, le motivazioni arrivano al nocciolo della questione.

Prima di fare la disamina delle stesse però è necessario spiegare cosa sia Masch. L’organizzazione nasce nel 1981 ad Amburgo affiliata al DKP, Partito Comunista Tedesco, che nell’allora Germania Ovest era messo al bando e vittima di persecuzioni. Lo scopo di Masch è la formazione marxista tramite conferenze, corsi e lezioni e riprende le caratteristiche delle scuole operaie nate nel 1925 in Germania. La loro importanza negli anni 20 e 30 era tale che tra insegnanti e partecipanti ai corsi vi si poteva leggere nomi del calibro di Bertolt Brecht. Oggi continua la sua opera di formazione politica e culturale marxista, ma con una ampia autonomia dal DKP.

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sinistra

La Passione durevole e Costanzo Preve

di Salvatore Bravo

hqdefault.jpgCi sono testi che svelano e rilevano in modo indiretto il problema onto-metafisico in cui siamo implicati. Uomini senza passione governano il pianeta, il potere e il senso di onnipotenza con operazioni di guerra valutate in modo autoreferenziale ”spettacolari” (Trump) sono il segno del vuoto di senso dell’Occidente. Lo spettacolo minaccia di condurci verso uno scontro atomico senza ritorno, nel frattempo circa un migliaio di esseri umani hanno perso la vita nello scontro tra Israele-USA e Iran, mente a Gaza il genocidio continua a consumarsi nel silenzio mediatico abbagliato, è il caso di dire, dalle operazioni militari in Iran. La politica, passione sociale ed etica, è stata sostituita con il suo surrogato più squallido: la logica del dominio che diventa aggressività nichilistica incapace di “pensare le conseguenze” sociali, politiche e ambientali della guerra divenuta “spettacolo”. Non c’è progettualità e dinanzi alla fine della potenza economica capitalistica si reagisce con la violenza, in quanto la dimensione della politica si è inabissata nell’irrazionalità del pan-economicismo oligarchico. Uomini senza passione per l’umano e senza amore per il proprio popolo governano il pianeta. A questi uomini che Nietzsche definì “ultimi uomini”, si contrappone la resistenza silenziosa degli uomini dalla “passione durevole”. Costanzo Preve ne fu un esempio intramontabile. Egli dedicò un testo alla Passione durevole, che non è un semplice testo, ma è l’oggettivazione della vita nel senso alto e nobile della parola.

La Passione durevole di Costanzo Preve è molto più che un semplice saggio di filosofia. Ne “La passione durevole” c’è l’anima carnale del “filosofo e di ogni essere umano che non si piega fatalmente alla società dello spettacolo” e che non reagisce alle congiunture della storia, ma che agisce su di esse mediante il bilancio critico dell’esperienza comunista sporgendosi, così, verso il “nuovo”. La passione durevole è vocazione filosofica che attraversa le intemperie della storia e delle vicissitudini personali senza disperdersi in inutili “giri e raggiri di vuote parole”.

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Marx e la società comunitaria

di John Bellamy Foster

In questo studio, John Bellamy Foster entra nel vivo degli scritti di Marx sulle società comunitarie, un aspetto spesso trascurato dell'opera marxiana, nonostante la sua importanza per il progetto socialista. Collegando gli studi di Marx all'antropologia, alla storia e all'etnologia, J.B. Foster fa luce sulla centralità del comunitarismo nella critica generale di Marx alle società di classe

MR lug ago25.jpg«In definitiva, il comunismo è l'unica cosa importante del pensiero di [Karl] Marx», osservava nel 1983 il teorico politico ungherese R. N. Berki.[1] Anche se si trattava di un'esagerazione, è innegabile che l'ampia concezione di Marx della società comunitaria/comunismo costituisse la base della sua intera critica della società divisa in classi e della sua visione di un futuro sostenibile per l'umanità. Tuttavia, ci sono stati pochi tentativi di affrontare sistematicamente lo sviluppo di questo aspetto del pensiero di Marx, così come è emerso nel corso della sua vita, a causa della complessità del suo approccio alla questione della produzione comunitaria nella storia, e delle sfide filosofiche, antropologiche e politico-economiche che questo ha presentato fino ai nostri giorni. Tuttavia, l'approccio di Marx alla società comunitaria è di reale importanza non solo per comprendere complessivamente il suo pensiero, ma anche per aiutare l'umanità a superare la gabbia d'acciaio della società capitalista. Oltre a presentare un'antropologia filosofica del comunismo, Marx ha approfondito la storia e l'etnologia delle attuali formazioni sociali comunitarie. Ciò ha portato a indagini concrete sulla produzione e sullo scambio comunitari. Tutto ciò ha contribuito alla sua concezione del comunismo del futuro come società di produttori associati.[2]

Nel nostro tempo, la produzione e lo scambio comunitari e gli elementi di uno Stato comunitario sono stati sviluppati, con diversi gradi di successo, in un certo numero di società socialiste successive alle rivoluzioni, in particolare in Unione Sovietica, Cina, Cuba, Venezuela e altrove nel mondo. La comprensione di Marx della storia, della filosofia, dell'antropologia e dell'economia politica della società comunitaria/collettiva è quindi un'importante fonte di intuizione e di visione, non solo per quanto riguarda il passato, ma anche per il presente e il futuro.

 

L'ontologia sociale della produzione comunitaria

Marx fu, fin dalla prima età, un prodotto dell'Illuminismo radicale, influenzato in questo senso sia dal padre, Heinrich Marx, sia dal suo mentore e futuro suocero, Ludwig von Westphalen.

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collettivolegauche

Natura, Materialismo, Socialismo. Il Marx verde di Foster

di Collettivo le Gauche

marx verde cbe57719John Bellamy Foster in Marx’s Ecology: Materialism and Nature si propone di esplorare le radici del pensiero ecologico moderno attraverso un’analisi del materialismo scientifico sviluppatosi tra il XVII e il XIX secolo, con particolare attenzione alle figure di Charles Darwin e Karl Marx. Contrariamente alle interpretazioni ambientaliste contemporanee che spesso vedono il materialismo e la scienza come forze antagoniste rispetto a una presunta armonia premoderna con la natura, Foster sostiene che furono proprio il materialismo e il progresso scientifico a rendere possibile una visione ecologica della realtà. Il nucleo dell’argomentazione ruota attorno alla concezione marxiana della relazione tra uomo e natura che non è un dato immutabile ma il prodotto di un processo storico, caratterizzato da contraddizioni e alienazione. Marx, influenzato dalla filosofia materialista di Epicuro, sviluppò una critica radicale alla separazione tra l’uomo e le condizioni naturali della sua esistenza, una separazione che raggiunge la sua massima espressione nel capitalismo, dove il lavoro salariato e il dominio del capitale trasformano la natura in una mera risorsa da sfruttare. A differenza dell’idealismo hegeliano, che subordinava la materia allo sviluppo dello Spirito, Marx elaborò un materialismo dialettico che riconosceva la priorità ontologica della natura ma ne sottolineava anche la trasformazione attraverso la prassi umana. Questo approccio gli permise di superare sia il determinismo meccanicistico sia le astrazioni spiritualiste, proponendo invece una visione dinamica in cui l’uomo, pur essendo parte della natura, la modifica attraverso il lavoro e l’organizzazione sociale. Un aspetto cruciale del pensiero di Marx è la sua insistenza sul metabolismo sociale, ovvero lo scambio organico tra l’uomo e l’ambiente, che nel capitalismo viene interrotto da un rapporto di sfruttamento e degradazione. Questa intuizione, sviluppata attraverso lo studio di scienziati come Justus von Liebig (pioniere della chimica agraria) e Charles Darwin (la cui teoria evoluzionista fornì a Marx una base naturalistica per la sua critica storica), anticipa temi centrali dell’ecologia moderna, come la sostenibilità e l’interdipendenza degli ecosistemi. Nonostante ciò Marx è stato spesso accusato di prometeismo tecnologico, ovvero di aver celebrato il dominio umano sulla natura senza considerarne i limiti.

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poliscritture

Il comunismo nel buio (7)

Il Che fare? della cultura nell’epoca delle “passioni tristi”

di Eros Barone

adorno marx 2Per il metodo dialettico, è soprattutto importante, non già ciò che, a un dato momento, sembra stabile, ma comincia già a deperire; bensì ciò che nasce e si sviluppa, anche se, nel momento dato, sembra instabile, poiché, per il metodo dialettico solo ciò che nasce e si sviluppa è invincibile.

Giuseppe Stalin

1. Il capovolgimento di Hegel: paradigma per ogni pratica materialistica della filosofia e della politica

Nel nostro confronto/scontro (un po’ come accade nella suggestiva evocazione dell’Operetta leopardiana intitolata Dialogo della natura e di un islandese, allorché quest’ultimo, “andando per l’interiore dell’Affrica, e passando sotto la linea equinoziale”, “ebbe un caso simile a quello che intervenne a Vasco di Gama”, e cioè che “il Capo di Buona Speranza, guardiano dei mari australi, gli si fece incontro, sotto forma di gigante, per distorlo dal tentare quelle nuove acque”) si è affacciata, finalmente, una questione che “fa tremare le vene e i polsi”, e dalla quale anche noi, quale che sia il nostro grado di competenza, non ci faremo “distorcere”: il rapporto tra la filosofia hegeliana e il materialismo storico-dialettico di Marx e di Engels. Consapevole del carattere inevitabilmente stenografico, e perciò riduttivo, delle considerazioni che seguiranno, ritengo tuttavia necessario, nel confrontarmi con una replica, quale è quella di Ennio Abate, sostanzialmente evasiva e, nondimeno, protesa a contestare frontalmente le mie Tesi sul comunismo senza alcun supplemento di analisi, ma soprattutto senza la minima ammissione autocritica e senza alcuna concessione alle istanze marxiste-leniniste che le caratterizzano, prendere le mosse dalla classica formulazione di Lenin, secondo cui l’idealismo tedesco è una delle “tre componenti e fonti integranti del marxismo” (le altre, come è noto, sono l’economia politica classica e la rivoluzione francese).

In particolare, l’idealismo tedesco, la cui più alta espressione è rappresentata dalla filosofia di Hegel, è il motore del materialismo dialettico, che della teoria marx-engelsiana costituisce il nerbo. Soltanto Hegel, infatti, ha elaborato un sistema filosofico che è capace di rispecchiare l’intero processo storico, fino alla costruzione dello spirito assoluto, il quale include in sé tutte le filosofie del passato.

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collettivolegauche

Comunismo della decrescita: soluzione o scorciatoia?

di Collettivo Le Gauche

DECRESCITA FELICE Comportamento de consumoKhoei Saito in Il capitale nell’Antropocene critica duramente gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite paragonandoli all’oppio dei popoli di marxiana memoria poiché distolgono l’attenzione dalla reale crisi climatica con soluzioni superficiali come l’uso di borse riutilizzabili o borracce che fungono da greenwashing senza affrontare il problema alla radice. Saito sostiene che queste azioni individuali, sebbene ben intenzionate, rischiano di assolvere la coscienza delle persone, impedendo un cambiamento radicale necessario per contrastare il riscaldamento globale. La situazione ambientale è descritta come irreparabile, con l’uomo che ha alterato profondamente il pianeta, tanto da far coniare il termine Antropocene per indicare l’era geologica dominata dall’impatto umano. Viene citato Paul Crutzen, premio Nobel per la Chimica, per sottolineare come le attività economiche abbiano modificato l’ambiente, con un’enorme diffusione di microplastiche negli oceani e un aumento senza precedenti della CO₂ atmosferica, passata da 280 ppm prima della Rivoluzione Industriale a oltre 400 ppm nel 2016. Questo incremento, paragonabile a livelli risalenti a quattro milioni di anni fa, potrebbe portare a un innalzamento catastrofico del livello dei mari e a un clima simile a quello del Pliocene. La crisi climatica minaccia la sopravvivenza stessa della civiltà umana, con le disuguaglianze sociali che si acuiscono. I ricchi potrebbero mantenere il loro stile di vita ma la maggior parte della popolazione sarà costretta a lottare per la sopravvivenza. Per Saito la vera causa della crisi climatica è nel capitalismo stesso, il cui sviluppo dalla Rivoluzione Industriale ha coinciso con l’aumento delle emissioni di CO₂. Per trovare una via d’uscita propone di rileggere Marx in modo innovativo, analizzando le connessioni tra capitale, società e natura nell’Antropocene non per riproporre un marxismo dogmatico ma per riscoprire aspetti del suo pensiero finora trascurati, nella speranza di immaginare una società più giusta e sostenibile.

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poliscritture

Il comunismo nel buio (6)

di Ennio Abate

Stalin Joseph 1930 640x420 1Tra anni’60 e ’70, la storia ha spinto alcune generazioni, che pareva potessero intendersi e cooperare, su posizioni politicamente diverse e spesso in forte opposizione. È andata così e ne subiamo tuttora le conseguenze. Le separazioni spesso non si ricompongono più e al massimo si sopportano come brutte cicatrici. Al dunque, i dissensi, irrisolti e probabilmente irrisolvibili nel tempo che ancora ci resta da vivere, restano. Dialogare da dove siamo finiti (o forse eravamo già in quegli anni più luminosi) è arduo.Per il peso della sconfitta e senza più la speranza di un comune progetto. Possiamo, però, circoscrivere i nostri dissensi; e continuare a ragionarci sopra. Questo tento di fare replicando con questi appunti a Eros Barone, Beppe Corlito e Ezio Partesana . Comincio dall’intervento di Eros (qui).

@ Eros Barone

1. C’è un primo ostacolo al nostro dialogo: tu omaggi Fortini («con tutto il rispetto che si deve ai “maggiori”») ma subito dopo lo accantoni e salti a piè pari il suo scritto del 1989 (qui), dal quale io pensavo potesse partire questa riflessione sul comunismo. E con quale argomento?

Cito: «mi sembra importante prendere le distanze per il forte sapore di idealismo, di sconfitta e di potenziale opportunismo che quella definizione non sempre chiara e persuasiva, elaborata a ridosso degli eventi epocali del 1991, contiene e diffonde».

Non spieghi in cosa consista, nella definizione fortiniana di comunismo, il forte sapore d’idealismo, dove essa non sia chiara, perché non convinca e se la sconfitta sia stata reale o solo “sapore”.

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rete dei com

Programmazione ed ecologia in Marx

di Francesco Bugli – RdC Rimini

3114731507 e3e7025d73 k 2.jpgL’obbiettivo del presente intervento è quello di portare a tema la questione della programmazione ecologica in Marx (accennando in apertura anche alla concezione di Engels). All’interno del primo (1867) e del terzo libro del Capitale (1894) Marx va elaborando una risposta al tema della distruzione capitalistica della natura umana ed extra umana, a partire dal governo razionale e pianificato dello Stoffwechsel (metabolismo) tra uomo e natura. In Engels il tema della programmazione economica è affrontato nell’opera Antidüring (1878), dove sulla scia di Marx, egli allude al piano come una forma di produzione sociale in cui i lavori privati divengono immediatamente sociali e in cui viene superato il sistema di produzione basato sulla merce, sulla logica del valore e del lavoro astratto [1] . Il tema in Marx si lega direttamente all’idea di superamento del mercato come nesso sociale che regola la società capitalistica che, come tale, è un rapporto che avviene alle spalle degli attori sociali, in cui domina il feticismo dove i rapporti sociali tra persone vengono mediati da oggetti particolari: le merci [2] .

La critica dell’economia politica marxiana ha come bersaglio la concezione gli economisti classici, ancorati all’analisi del prezzo di mercato. Alcuni di loro, come ad esempio Ricardo, riconoscono il valore-lavoro e lo ancorano a un prezzo naturale. Per Marx essi compiono «una tarda scoperta scientifica: che i prodotti del lavoro, in quanto lavori, non sono che espressioni materiali del lavoro umano speso nella loro produzione»; tale scoperta è per Marx epocale [3] . Tuttavia, gli economisti classici sono le prime vittime del feticismo del capitale, non comprendendo la differenza sostanziale tra l’immaterialità dei valori come tempo di lavoro socialmente necessario e la loro espressione sotto la forma della merce-denaro. Qui Marx bersaglia l’a storicità di tali posizioni, che non comprendono l’immanenza della legge del valore al solo modo di produzione capitalistico ma la estendono a ogni epoca della produzione umana. L’incomprensione si origina a partire dalla mancata cognizione di come il feticismo impatti sugli attori sociali, a cui sfugge il nesso complessivo della società in cui vivono.

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poliscritture

Il comunismo nel buio[1]

di Eros Barone

buio su comunismo.jpg«Dopo il 2017 il dibattito sul comunismo (o anche sulla “crisi del marxismo”) è andato scemando e pare oggi cancellato. Nessuno è più disposto a portare questo Anchise sulle spalle». Questa la conclusione cui sono giunto in «Nei dintorni di Franco Fortini» (gennaio 2025), dove ho riassunto i principali interventi della “Conferenza di Roma sul co­munismo” (18/22 gennaio 2017)1 e gli scambi avvenuti, sempre nel 2017, nella redazione di Poliscritture dopo la pubblicazione di un mio commento ‘Comunismo’ (1989) di Fortini.2 Da allora il silenzio. E ora, in questo buio presente di guerre, ha senso ancora parlarne? Come? Con chi? Eros Barone, che il tema non l’ha abbandonato, propone queste sue «Tesi sul comunismo». Sono lontane e in aperto contrasto con la posizione di Fortini, per me ancora punto di riferimento e da lui omaggiata ma subito accantonata. e pure con la mia esigenza di un ripensamento non scolastico o da epigoni. Le pubblico, tuttavia, ringraziandolo, perché i rendiconti che da vecchi facciamo delle nostre esperienze vissute e rielaborate vanno rispettati e meditati, anche se non dovessero essere ripresi da altri o servire poco a cercare altre strade. [ E. A.]

* * * *

L’amico e compagno Ennio Abate mi ha chiesto di rilanciare il dibattito sul significato del comunismo e della lotta per il comunismo, prendendo le mosse da un dibattito promosso e sviluppato intorno a questi temi otto anni fa proprio su questa stessa rivista. Al centro di quel dibattito vi era la definizione del comunismo e della lotta per il comunismo, formulata da Franco Fortini: definizione dalla quale, pur con tutto il rispetto che si deve ai “maggiori”, mi sembra importante prendere le distanze per il forte sapore di idealismo, di sconfitta e di potenziale opportunismo che quella definizione non sempre chiara e persuasiva, elaborata a ridosso degli eventi epocali del 1991, contiene e diffonde.

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sinistra

Sulla rivoluzione russa di Rosa Luxemburg

luxemburg sfondo giallo.pngdi Salvatore Bravo

Rosa Luxemburg nel 1918 scrisse un breve testo Sulla rivoluzione russa, era in prigione, e si informava, ciò malgrado, sugli avvenimenti che scuotevano la Russia e rimettevano in moto la storia. Paul Levi militante comunista andò a trovarla in carcere e le sconsigliò la pubblicazione, in quanto il testo era ancora in embrione. Dopo la sua tragica morte nel 1919, Jogiches e Clara Zetkin ritrovarono nell’appartamento della rivoluzionaria devastato dai Freikorps il breve scritto costituito da fogli sparsi e da frasi talvolta incomplete. Nel 1922 Paul Levi ruppe con il partito e pubblicò il testo “completandolo”. Nel testo, malgrado le manipolazioni, emergono in modo chiaro le distanze della rivoluzionaria dal bolscevismo. Le osservazioni critiche che Rosa Luxemburg muove al bolscevismo sono per noi attuali. La rivoluzionaria profetizzò mediante il senso critico che mai l’abbandonò il pericolo che la rivoluzione bolscevica fallisse per l’isolamento internazionale e per lo scollamento autoritario tra burocrazia e popolo. Il partito dei burocrati avrebbe alla fine prosciugato la spinta rivoluzionaria del popolo mediante la compressione delle libertà e con la gestione dispotica del potere. La scissione tra partito e potere avrebbe gradualmente trasformato la rivoluzione in conservazione di equilibri antichi. Il potere sarebbe tornato a gravare sul popolo e i “compagni” si sarebbero ritrovati ancora una volta “sudditi”. Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente il 18 gennaio 1918 fu la premessa di una deriva che avrebbe condotto la rivoluzione al suo fallimento.

Rivoluzione è democrazia consiliare senza la quale nessuna conquista può essere definita “rivoluzionaria”. I rilievi politici che la Luxemburg mosse al bolscevismo e a Lenin hanno il limite di non considerare le condizioni storiche, in cui il comunismo nascente si trovava. Era assediato dalle potenze capitalistiche ed era in corso la Guerra civile.

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sinistra

La teoria del valore-lavoro nel capitalismo e nel socialismo/comunismo

di Eros Barone

6872c3893ac5058b505224cac9dd8089 XL.jpgDi fatto, il venditore della forza-lavoro realizza il suo valore di scambio e aliena il suo valore d’uso, come il venditore di qualsiasi altra merce. Non può ottenere l’uno senza cedere l’altro. Il valore d’uso della forza-lavoro, il lavoro stesso, non appartiene affatto al venditore di essa, come al negoziante d’olio non appartiene il valore d’uso dell’olio da lui venduto. Il possessore del denaro ha pagato il valore giornaliero della forza-lavoro; quindi a lui appartiene l’uso di essa durante la giornata, il lavoro di tutt’un giorno. La circostanza che il mantenimento giornaliero della forza-lavoro costa soltanto una mezza giornata lavorativa, benché la forza-lavoro possa operare, cioè lavorare, per tutta una giornata, e che quindi il valore creato durante una giornata dall’uso di essa superi del doppio il suo proprio valore giornaliero, è una fortuna particolare per il compratore, ma non è affatto un’ingiustizia verso il venditore.
Karl Marx, Il Capitale, libro I.

Quanto più ci addentriamo nel processo di valorizzazione del capitale, tanto più il rapporto capitalistico apparirà mistificato e tanto meno si scoprirà il segreto del suo intrinseco organismo.
K. Marx, Il Capitale, libro III.

 

1. Plusvalore e profitto: l’autoriflessione del capitale

«Nel primo Libro si sono analizzati i fenomeni che il processo di produzione capitalistico, preso in sé, presenta come processo di produzione immediato, astraendo ancora da tutte le influenze secondarie di circostanze a esso estranee. Ma questo processo di produzione immediato non esaurisce il corso dell’esistenza del capitale. Esso, nel mondo della realtà, viene completato dal processo di circolazione, il quale ha costituito oggetto delle indagini del secondo Libro.

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maggiofil

Il pianeta Marx meticolosamente illustrato. 1. Farsi l’idea di un fatto

Cronache marXZiane n. 17

di Giorgio Gattei

01cult1 f01 marx ansa«Perché? – Perché l’universo non è una favola».
(Cixin Liu, Nella quarta dimensione, 2018)

1. A questo punto devo dar conto del significato d’esistenza di quel “pianeta Marx” che sto lentamente esplorando e descrivendo in queste mie Cronache. Ho già detto altrove che, dopo Nietzsche, siamo consapevoli che ci sono i fatti ma pure le loro interpretazioni e che noi, che viviamo nei fatti, ci muoviamo secondo le interpretazioni che ce ne facciamo. Abitiamo così in due ambiti simultanei di esistenza: quello delle esperienze concrete (che rimangono personali e indicibili, dato che soltanto noi sappiamo quanto è veramente accaduto), ma pure dentro quei concreti di pensiero di cui ha detto Karl Marx nelle uniche pagine sul metodo che ha lasciato nella Introduzione alla critica della economia politica (1857) contrapponendo al “concreto fuori di noi”, che è «sintesi di molte determinazioni, cioè unità del molteplice», un “concreto dentro di noi” che altro non è se non «la riproduzione del concreto lungo il cammino del pensiero» come lo riflette il cervello, «come un tutto del pensiero che è un prodotto dal cervello che pensa e che si appropria del mondo nell’unico modo a lui possibile, almeno fino a quando il soggetto si comporta solo speculativamente, solo teoricamente». Certamente sono i fatti che inducono al pensiero (se nulla accade, nemmeno nulla si pensa), però su quei fatti noi ci facciamo dei penseri e sono questi che indirizzano il nostro comportamento nel confronto di quei fatti.

Ma ciascuno di noi si fa una rappresentazione di quanto gli accade non soltanto per sé, ma pure per comunicarla agli altri con la parola, lo scritto o con i gesti (che sono i “comportamenti non verbali”), ma per arrivare a questo bisogna inserire il “concreto di pensiero” dentro un ordine del discorso che possiede delle regole di costruzione proprie (mentre le regole della realtà restano fuori dalla porta), dovendosi scontare con gli altri una comunanza di linguaggio, di scrittura o di gestualità, perché altrimenti non ci si capirebbe.

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La concezione dialettica dell’errore e degli opposti: una via verso la conoscenza della verità

 di Eros Barone

rishabh dharmani IvfAs3Qk64M unsplash.jpgLa verità e il mattino si rischiarano a poco a poco.

Proverbio tedesco

1. Il concetto di errore in un contesto marxista e la tradizione occidentale

Il concetto di errore può essere discusso con maggiore chiarezza in un contesto marxista, in quanto il marxismo è un sistema teorico esplicitamente finalizzato – si pensi alla definizione engelsiana del marxismo come “guida per l’azione”, ripresa da tutti gli altri classici del socialismo scientifico - in cui ci si propone sia di operare dal punto di vista del proletariato, che esprime l’interesse generale di tutta l’umanità, sia di acquisire la comprensione del mondo per modificarlo. In questo senso, il marxismo, inserendo i fenomeni in un contesto complessivo, dispone di una base esplicita per decidere scientificamente quale tipo e grado di conoscenza siano necessari per attuare i cambiamenti verso cui tende.

D’altronde, vi sono certi aspetti dell’epistemologia occidentale attualmente dominante che vanno criticati in quanto agiscono come veri e propri ‘ostacoli epistemologici’, ossia come fallacie che generano errori. Una di queste fallacie, che qui non è possibile discutere, è, ad esempio, la definizione di conoscenza ‘oggettiva’ come conoscenza indipendente dal contesto e disinteressata, laddove la scissione tra conoscenza ‘pura’ e applicazioni pratiche trova riscontro nella scissione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, così come tra concezione ed esecuzione, che sempre più caratterizza ogni sorta di attività. Anche se le radici di tale scissione si possono individuare nella Grecia classica e altrove, non è necessario spingersi così lontano nel tempo giacché la forma oggi dominante risale all’Europa del Seicento. Si pensi a Descartes, il quale fa immediatamente seguire alla dimostrazione della sua stessa esistenza – ‘cogito, ergo sum’ – una prova dell’esistenza di Dio, cioè dell’Altro, laddove l’opposizione ‘sé/Altro’ diviene il modello per tutta una serie di polarità dualistiche: ‘anima/corpo’, ‘mente/materia’, ‘uomo/natura’, ‘individuo/società’, ‘soggettività/oggettività’, ‘organismo/ambiente’, ‘noi/loro’ ecc.

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Rileggendo Marx. Appunti sui libri II e III del Capitale

di Carlo Formenti

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5. Crisi, centralizzazione, caduta del saggio del profitto

Analizzerò il contributo di Marx all’analisi delle crisi capitalistiche partendo dal seguente presupposto: dal Capitale non è a mio avviso possibile derivare un modello monocausale del fenomeno, benché si sia tentato di farlo imputando, di volta in volta, la caduta del saggio di profitto, la sovrapproduzione, il sottoconsumo, le turbolenze finanziarie, ecc. La mia tesi è che, mentre i motivi delle crisi variano a seconda del periodo storico in cui si sono verificate, esse sono tutte associate a due caratteristiche strutturali del modo di produzione capitalistico che stanno “a monte” delle cause contingenti: il carattere “anarchico” di tale modo di produzione, cioè l’assenza di una programmazione razionale del processo complessivo di riproduzione sociale, e la necessità di garantire a ogni costo la continuità del ciclo complessivo del capitale, pena la rovina.

Inizio da quest’ultimo argomento, che Marx tratta nei primi quattro capitoli del Libro II (“Il ciclo del capitale denaro”, “Il ciclo del capitale produttivo”, “Il ciclo del capitale merce”, “Le tre figure del processo ciclico”). A pagina 83 del capitolo I leggiamo (le sottolineature sono mie): “Il processo ciclico del capitale è quindi unità di circolazione e produzione; include l’una e l’altra. In quanto le fasi D-M, M’-D’ sono atti circolatori, la circolazione del capitale fa parte della circolazione generale delle merci; ma, in quanto sono sezioni funzionalmente determinate, stadi del ciclo del capitale che appartiene non soltanto alla sfera di circolazione, ma anche alla sfera di produzione, il capitale [denaro] descrive entro la circolazione generale delle merci un ciclo suo proprio. Nel primo stadio, la circolazione generale delle merci gli permette di rivestire la forma nella quale potrà funzionare come capitale produttivo; nel secondo gli permette di spogliarsi della sua funzione di merce, in cui non può rinnovare il proprio ciclo, e nello stesso tempo gli apre la possibilità di separare il suo proprio ciclo di capitale dalla circolazione del plusvalore a esso concresciuto.

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Rileggendo Marx. Appunti sui libri II e III del Capitale

di Carlo Formenti

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4. Processo di socializzazione e transizione socialista

Avvertenza. Proseguendo nel lavoro di riflessione critica su alcuni nodi teorici che Marx tratta nei Libri II e III del Capitale, mi sono reso conto dell'opportunità di apportare un paio di varianti al progetto iniziale: 1) in questa quarta parte ho inserito un cenno alla integrazione della classe operaia nel capitale, argomento che inizialmente avevo pensato di discutere in una sesta parte dedicata alla “de-naturalizzazione” di lavoro e terra. Ciò perché mi sono reso conto che non avrei potuto scriverne senza studiare a fondo la questione della rendita fondiaria, il che, al momento, mi è impossibile, per cui la sesta parte è stata esclusa dal progetto; 2) quanto all’annunciata appendice sulle critiche della Luxemburg agli schemi marxiani dell’accumulazione allargata, sarà integrata nella quinta e ultima parte su centralizzazione del capitale, caduta del saggio di profitto e crisi. Colgo infine l’occasione per chiarire (ove ve ne fosse bisogno) che con questi cinque testi non intendo offrire niente più che un elenco di dubbi e problemi relativi alla misura in cui certe categorie marxiane appaiono applicabili ai giorni nostri (un lavoro sistematico sulla seconda e terza sezione del Capitale avrebbe richiesto ben altre dimensioni). Quanto agli autori citati, oltre a Marx ed Engels, si tratta di mie personalissime scelte, per cui mi scuso in anticipo con tutti coloro che mi rimprovereranno di avere trascurato questa o quella voce dell’immane bibliografia che la tradizione marxista (e non solo) ha sfornato su queste questioni.

I brani del Capitale in cui Marx mette in evidenza il peso determinante del fattore sociale nel modo di produzione capitalistico sono talmente frequenti e numerosi che, a volerli citare tutti, si accumulerebbe una quantità di pagine non molto inferiore a quelle del Capitale stesso. Ecco perché le citazioni seguenti non hanno la pretesa di essere esaustive dell’argomento, ma rappresentano una scelta inevitabilmente limitata e arbitraria.

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Rileggendo Marx. Appunti sui libri II e III del Capitale

di Carlo Formenti

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3. Capitale commerciale e capitale finanziario. Lavoro produttivo e lavoro improduttivo

“[Nella misura in cui la produzione capitalistica si impadronisce della produzione sociale] le altre specie di capitale...non gli vengono solo subordinate e modificate nel meccanismo delle loro funzioni, ma non si muovono più che sulle sue basi...capitale denaro e capitale merce (in quanto esponenti di rami di affari propri) non sono ormai più che modi di esistere...delle diverse forme di funzionamento che il capitale industriale ora riveste e ora depone nella sfera della circolazione” (Libro II, p. 79).

Inauguro la terza tappa del viaggio attraverso i Libri II e III del Capitale con questo passaggio, già citato nella tappa precedente, perché ben chiarisce il punto di vista di Marx sulla posizione che capitale merce e capitale denaro occupano nella gerarchia fra le diverse modalità di esistenza del capitale in generale: nel suo modello teorico, queste due forme svolgono la funzione di “ancelle” del capitale industriale. Si tratta di un punto di vista cruciale ai fini della distinzione fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Al tempo stesso, si tratta di un punto di vista che, nella fase storica caratterizzata dal grande capitale monopolistico, terziarizzato e finanziarizzato, è al centro di critiche anche in campo marxista ma, prima di analizzare tali critiche, è opportuno approfondire il pensiero di Marx sull’argomento.

L’incapacità del capitalista (e degli economisti volgari) di comprendere il “mistero” del plusvalore, cioè del fatto che esso scaturisce dal tempo di lavoro non retribuito, argomenta Marx, fa sì che costoro attribuiscano alla sfera del commercio la capacità di creare ricchezza: “Al capitalista l’eccedenza del valore, o plusvalore, realizzata con la vendita della merce appare come eccedenza del suo prezzo di vendita sul suo valore, anziché come eccedenza del suo valore sul suo prezzo di costo, per cui il plusvalore annidato nella merce non si realizza mediante (sottolineatura mia) la vendita di questa, ma scaturisce dalla (idem) vendita stessa (Libro III, p. 63).

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Rileggendo Marx. Appunti sui libri II e III del Capitale

di Carlo Formenti

COVER SITO Leggere i Grundrisse.jpg2. Sui rapporti fra il modo di produzione capitalistico e le altre forme sociali

Avvertenza: le parentesi quadre contengono chiarimenti o aggiunte del sottoscritto. Viceversa i termini in corsivo sono degli autori citati, salvo eccezioni esplicitamente segnalate.

Secondo Marx, la forma di merce che i prodotti del lavoro umano tendono ad assumere a mano a mano che le forze produttive si sviluppano, tanto da generare una eccedenza rispetto alle esigenze del consumo immediato, e le relazioni sociali (scambio mercantile) che ne derivano, non vanno classificati solo fra i presupposti della nascita del modo di produzione capitalista, ma rappresentano anche e soprattutto gli agenti che consentono a quest’ultimo di assimilare-integrare tutte le forme sociali con cui esso viene a contatto. Entrambe queste funzioni sono ampiamente discusse sia nel Libro II che nel Libro III del Capitale.

Nel capitolo XX del III Libro leggiamo: “Qualunque sia il modo di produzione sulla cui base si producono i prodotti che entrano come merci nella circolazione – la comunità primigenia o la produzione schiavistica, la produzione a opera di piccoli contadini e piccoli artigiani o la produzione capitalistica -, ciò nulla cambia al loro carattere di merci; e come merci essi devono attraversare il processo di scambio e i mutamenti di forma [cioè M-D e D-M] che lo accompagnano” (pp. 411-412).

Il medesimo concetto è spiegato in modo più ampio e dettagliato nel capitolo IV del II Libro: “il ciclo del capitale industriale, vuoi in quanto capitale denaro, vuoi in quanto capitale merce, si incrocia con la circolazione di merci dei più svariati modi di produzione sociale, nei limiti in cui questa è nello stesso tempo produzione di merci.

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Engels e la condizione operaia

di Salvatore Bravo

abbrutimento operaiF. Engels nel 1845, a soli 24 anni, descrisse la condizione di sfruttamento della classe operaia in Inghilterra con un testo La situazione della classe operaia in Inghilterra che nel nostro tempo andrebbe riletto per la sua attualità. L’indagine empirica e razionale coniuga l’oggettività dei dati con il giudizio etico. L’indagine di Engels è oggi, ancora viva e vera, poiché lo sfruttamento generalizzato è tornato a essere l’ordinaria normalità del nostro quotidiano. Il capitalismo neoliberale, mentre volge lo sguardo verso il transumanesimo e l’I.A, mostra il “suo cuore di pietra”, senza equivoci e fraintendimenti come nell’Ottocento. Lo sguardo libero dagli abbagli degli slogan ci restituisce la verità sulla condizione lavorativa e umana di tanti. Contingenze storiche e una sinistra liberale complice consentono al capitale di mostrarsi nella sua verità regressiva e disumana senza infingimenti: lo sfruttamento è diventato un “dato di fatto” ormai naturalizzato, per cui lo si accetta al punto che, malgrado la sua evidenza, non pochi lo ignorano. Vi è un nucleo del capitalismo che resta sempre eguale nella sua lunga storia, esso resta inalterato, poiché è la sostanza che lo muove e lo nutre. La descrizione-denuncia di Engels lo mostra con rara chiarezza e, pertanto, il tempo che ci separa dal pensatore tedesco, ci permette di ritrovare ciò che nel nostro tempo il capitale in modo sempre più manifesto produce con i suoi effetti letali. Il capitalismo non è semplice sfruttamento, ma esso disumanizza lo sfruttato riducendolo a mezzo per la produzione del plusvalore. Allora come oggi i nuovi proletari vivono processi di alienazione che li offendono nella psiche come nel corpo. La violenza è il carattere dominante ed eterno del capitalismo; è la sua verità che Engels visse e denunciò , ed è ancora fra noi in forme antiche e nuove. Allo sfruttamento di tanti corrisponde una ristretta oligarchia che governa con la violenza legalizzata. La legalità scissa dalla giustizia è il volto “legale” del capitalismo che convive con forme di illegalità, sempre più diffuse e ignorate, orientate verso il “consumo di esseri umani e di risorse”:

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Introduzione [a Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale]

di Nicolas Tertulian

I testi: Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale. Questioni di principio di un’ontologia oggi divenuta possibile, Guerini e Associati, Milano, 1990

download 2.jpgProlegomeni all’Ontologia dell’essere sociale possiedono il valore di un testamento, per il fatto di essere l’ultimo grande testo filosofico di Lukács. Vennero infatti redatti poco prima della sua morte.

Sapendolo impegnato nella redazione dell’Ontologia, opera molto attesa da tutti coloro che erano interessati al suo pensiero, in una lettera spedita da Parigi, dove ci trovavamo per tenere alcune conferenze sulla sua Estetica, gli avevamo chiesto notizie intorno al suo lavoro. Il 14 gennaio 1971 egli ci mandò questa breve risposta, che permette di datare la nascita dei Prolegomeni: «Con l’Ontologia procede assai lentamente. In autunno ho messo giù la prima stesura di un prolegomenon (circa 300-400 pagine). Ho ancora il problema della revisione e della eventuale rielaborazione. (Purtroppo ho avuto nel frattempo una [parola indecifrabile] leggera influenza; alla mia età però la capacità di lavorare ritorna assai lentamente)».

Quando poi, due mesi dopo, gli facemmo visita a Budapest, il filosofo non aveva ancora rivisto il testo: era in corso il lavoro di decifrazione e la battitura a macchina. La «leggera influenza» di cui aveva parlato nella lettera (probabilmente un sintomo del male che doveva portarselo via il 4 giugno seguente) gli lasciò il tempo di stendere qualche appunto autobiografico, pubblicato sotto il titolo di Gelebtes Denken, ma non quello di rivedere il testo dei Prolegomeni. La morte venne a interrompere la realizzazione di un grande progetto i cui lavori preparatori risalivano al maggio 1960 – vale a dire esattamente al momento in cui egli aveva messo il punto finale al voluminoso manoscritto dell’Estetica[1]  – e nel quale l’Ontologia dell’essere sociale appariva come il preludio necessario di un’Etica. Fino agli ultimi momenti della propria vita il filosofo nutrì la speranza di realizzare questo progetto, di dare cioè un séguito logico alla sua Ontologia, séguito che doveva essere costituito dall’Etica, come testimonia una lettera del 30 dicembre 1970 indirizzata a Ernst Bloch.

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Rileggendo Marx. Appunti sui libri II e III del Capitale

di Carlo Formenti

COVER SITO Leggere i Grundrisse.jpg1. Presentazione del percorso di ricerca

Studiare il Libro I del Capitale è impresa meno astrusa di quanto affermino i detrattori di Marx. Sia perché svela gli arcani dell’economia capitalistica in modo chiaro e comprensibile anche ai non addetti ai lavori, sia perché la riflessione teorica si alterna a incisi letterariamente godibili, nei quali analisi, racconto storico, battute e citazioni “classiche - non di rado bibliche, come evidenziato da un noto teologo della liberazione (1) – ravvivano la lettura. Lo stesso non vale per i Libri II e III che, al pari di certe parti dei Grundrisse, impongono al lettore uno sforzo di comprensione (e spesso di pazienza, soprattutto nelle pagine ricche di schemi e formule matematiche) assai maggiore.

Non a caso, quando un esponente di qualche partito o movimento che si proclama marxista (anche se appartiene alla cerchia dei più acculturati, o persino degli intellettuali di professione) dichiara di avere studiato il Capitale, è lecito sospettare che la sua affermazione si riferisca al Libro I e, nella migliore delle ipotesi, ad alcune parti del II e del III. Mentirei se non ammettessi che quanto appena detto vale anche per il sottoscritto: fino a non molto tempo fa, i miei propositi di esaurire nella sua interezza lo studio dell’opera fondamentale di Marx, si erano quasi sempre scontrati con la difficoltà di strappare ad altri impegni il tempo e le energie necessari.

Sono stato infine indotto a tamponare questa falla, da un lato, dalla necessità di comprendere meglio le dinamiche della crisi che il capitalismo mondiale sta vivendo dall’inizio del Duemila (in realtà dai Settanta del Novecento, ma con modalità meno chiare ed evidenti delle attuali) e i suoi effetti geopolitici (a partire dal rischio incombente di una Terza guerra mondiale), dall’altro lato, dalle critiche a certi dogmi incistati nel corredo ideologico della tradizione marxista (in primis occidentale). Mi riferisco, in particolare, a quelle avanzate dall'ultimo Lukacs che, come ho scritto più volte (2), considero il più grande filosofo marxista del Novecento, e da diversi altri autori, spesso esponenti di culture del Sud del mondo, ma non solo (nominarli tutti sarebbe dispersivo, per cui rinvio al sintetico elenco in nota) (3).

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Karl Marx, critico della “crescita”

di Michele Cangiani

b8 83.jpgLa mercificazione ai fini della valorizzazione del capitale invade nuovi campi della vita sociale: le public utilities, i beni comuni, le scienze, la formazione dell’opinione pubblica, il “tempo libero”. La politica tende a sparire – nel suo significato proprio di organizzazione democratica della società ai fini del benessere dei suoi membri. È la decadenza della democrazia, cioè della libertà “positiva”: della capacità politica degli individui, cioè della loro consapevolezza e della loro possibilità di contare. La devastazione dell’ambiente umano comporta ovviamente una diminuita capacità di percepire, spiegare e contrastare la devastazione dell’ambiente naturale.

Tramontata la politica dell’economia del benessere, è in auge quella del benessere dell’economia: una politica asservita al fine della valorizzazione capitalistica, la quale, tuttavia, non cessa di essere compromessa dalle sue stesse contraddizioni e da un ambiente – umano e naturale – gravemente danneggiato e potenzialmente ostile. La guerra è parte integrante di questo quadro. Le guerre sono tanto confacenti alla “crescita” quanto disastrose per l’ambiente.

Sommario: L’ecologia nel materialismo di Marx, Adattamento o collasso, La società del denaro, Marx nell’epoca neoliberale

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L’ecologia nel materialismo di Marx

La questione ecologica – cioè il problema del rapporto fra l’esistenza umana socialmente organizzata e l’ambiente naturale – s’impone ai nostri giorni in modo sempre più evidente.