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lantidiplomatico

Trumpeggiando in Latinoamerica

Bolivia, Ecuador e Perù, fatto. Venezuela e Colombia, da fare

di Fulvio Grimaldi

nofieiii65Bolivia, suicidio assistito dal padre della patria

Nel giro di vent’anni salvatore e affossatore della patria. Il percorso di Evo Morales, fondatore del Movimento al Socialismo (MAS), presidente della Bolivia dal 2006 al 20019 culmina nell’autodafè della rivoluzione. Nel secolo fattosi largo all’insegna del riscatto latinoamericano con il Venezuela di Chavez, l’Ecuador di Correa, l’Argentina dei Kirchner, il Messico di Obrador, in continuità con i padrini Cuba e Nicaragua, la Bolivia rappresentava uno degli esempi più riusciti di socialismo alla bolivariana. Il che rende tanto più incomprensibile e doloroso un declino iniziato qualche anno fa e che culmina in quel rogo di conquiste e speranza, alimentato eminentemente dal suo stesso taumaturgo.

Le mie frequenti visite nel paese che, non per nulla, ha vissuto e tradotto in realtà la liberazione tentata dal Che Guevara, mi offrivano l’esperienza di un ininterrotto cammino di emancipazione: la riforma agraria, l’acqua sottratta alle multinazionali USA, la nazionalizzazione delle risorse, dal gas al litio e la conseguente equa distribuzione della ricchezza, lo Stato binazionale nel quale gli indigeni erano assurti a protagonisti del progresso, l’antimperialismo propagandato e operato a livello domestico e internazionale.

Una crepa si apre nel 2019. Il dettaglio di questo processo involutivo l’ho già raccontato sull’AntiDiplomatico. Qui parliamo di come è andata a finire.

Evo Morales, con alle spalle tre mandati presidenziali, sfida il divieto della costituzione e rivendica la candidatura al quarto. Un referendum glielo nega. Lui insiste. Degli smarrimenti e delle contraddizioni così innescate approfitta il settore dei grandi terratenientes e imprenditori industriali, nostalgici di regimi autocratici che, insieme al padrinaggio degli USA, gli garantivano libertà di manovra economica fondata sull’emarginazione e sullo sfruttamento soprattutto dei nativi Quechua e Aymara. Il colpo di Stato del novembre 2019, che portò al potere la parlamentare conservatrice Jeanine Anez, fu spazzato via da una sollevazione popolare che, resistita a una sanguinosa repressione con decine di vittime, ha potuto imporre, l’anno dopo, nuove elezioni e la travolgente vittoria del MAS.

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perunsocialismodelXXI

Arlacchi spiega la Cina all'Occidente

Ma l'Occidente è disposto ad ascoltare?

di Carlo Formenti

mao nel 49.jpgDeputato, senatore e parlamentare europeo, il sociologo Pino Arlacchi è noto, oltre che per i suoi libri, per la lunga attività pubblica e istituzionale contro la criminalità organizzata (è stato vicesegretario generale del programma antidroga e anticrimine dell’ONU). Meno conosciuti sono i suoi rapporti con il mondo politico e accademico cinese. Arlacchi presiede, fra le altre cose, il Forum internazionale di criminologia e diritto penale che ha sede a Pechino, il che gli ha consentito, da un lato, di incontrare e discutere, oltre che con i colleghi cinesi, con esponenti dei vertici del Partito Comunista e dello Stato, dall’altro lato di acquisire un ampio repertorio di conoscenze sulla storia antica e recente del grande Paese asiatico, nonché sul suo sistema politico e istituzionale e sulla società cinese contemporanea. Questo vasto materiale è la fonte da cui scaturisce “La Cina spiegata all’Occidente”, cinquecento pagine fitte di analisi e informazioni appena uscite per i tipi di Fazi.

Prima di riassumere quelli che considero i contributi più interessanti di quest’opera alla conoscenza della realtà cinese, premetto i miei dubbi in merito al fatto che essa possa scalfire il muro di pregiudizi, malafede e arroganza eurocentrica dietro il quale si trincera la larga maggioranza dei membri di un mondo politico, accademico e mediatico occidentale sempre più ripiegato su sé stesso. Spero almeno che riesca a suscitare la curiosità e i dubbi del lettore comune, ma soprattutto a far riflettere quegli ambienti di sinistra in cui circolano idiozie sulla Cina come Paese capitalista, imperialista, totalitario e aggressivo (paradossalmente, le destre neoliberali, mentre condividono con le sinistre gli ultimi tre stereotipi, confessano di temere la Cina in quanto esempio della superiorità del suo sistema socialista rispetto all’economia tardo capitalista, timore evidenziato dalle accuse di statalismo, concorrenza sleale, furto di know how, ecc. rivolte alle imprese cinesi).

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Come funziona la guerra cognitiva degli USA?

di OttolinaTV

hq720.jpg“La più efficace delle politiche imperialistiche non consiste nella conquista di territori o nel controllo di rotte economiche, ma nella conquista e nel controllo della mente degli uomini”; a dichiararlo non è un filosofo hippie dopo aver visto l’ennesimo remake di Matrix, ma nientepopodimeno che lui: Hans Morgenthau, il padre nobile della scuola Realista. Ed è proprio al controllo della mente che è dedicato questo importante libro bianco prodotto dal think tank ufficiale della più importante agenzia di stampa governativa cinese: sulla scia della seconda guerra mondiale, ricostruisce il rapporto, i movimenti di liberazione nazionale si diffusero in tutto il mondo a macchia d’olio; una imponente prima grande decolonizzazione durante la quale il sistema coloniale globale messo in piedi dalle potenze europee venne radicalmente stravolto. Gli Stati Uniti si resero conto che, in questo nuovo contesto, imporre nuove forme di dominio coloniale tradizionali era impensabile e decise saggiamente di investire tutto in forme di dominio più sottili e sofisticate: nasce, così, l’idea di Soft Power (che è meno soft di quanto si pensi).

Il punto è che i nascenti Stati nazionali, nati dalla lotta di liberazione, per consolidarsi avevano bisogno di costruire anche un’idea di nazione che, a partire dalla valorizzazione delle culture indigene, fosse in grado di creare una nuova identità condivisa; lo scopo dell’apparato egemonico dell’Impero è ostacolare questo processo e, facendo leva sull’”enorme disparità nelle posizioni di potere”, “impiantare forzatamente i valori della potenza egemone nella nazione in questione, sradicando selettivamente culture indigene e ideologie alternative”. L’egemone cerca di impedire il consolidamento di un’autentica cultura nazionale coltivando massicciamente alcune fazioni e minando quella che il libro bianco definisce “l’autonomia filosofica delle popolazioni bersagliate”: le “esportazioni ideologiche e culturali” dell’egemone, insiste il paper, vengono confezionate in modo ragionevole e accattivante attorno a parole d’ordine apparentemente neutre come progresso della civiltà o concetti avanzati, e con questo packaging inoffensivo si procede all’”infiltrazione per influenzare la cognizione di alcuni gruppi mirati specifici attraverso prodotti culturali, sistemi educativi, scambi accademici e altri canali subdoli”; un lavoro a lungo termine perché “i cambiamenti intellettuali e cognitivi sono graduali e incrementali”.

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sbilanciamoci

Dialogo sulla Cina post globalizzazione

Kunling Zhang intervista Pompeo Della Posta

ciii.jpegKunling Zhang, un economista della Beijing Normal University, intervista Pompeo Della Posta, già professore di economia all’Università di Pisa. Il dialogo affronta i nodi dei rapporti tra Europa e Cina nella nuova fase di deglobalizzazione.

* * * *

Kunling Zhang: La deglobalizzazione non è una novità di oggi. Alcuni sostengono che i suoi primi segnali possono essere fatti risalire alla crisi finanziaria globale del 2008/09, con la contrazione del commercio mondiale e l’escalation durante la pandemia COVID-19. In base alle tue osservazioni, quali sono i fatti, i modelli e le tendenze nello sviluppo della deglobalizzazione? E quali sono le sue motivazioni?

Pompeo Della Posta: “La crisi finanziaria globale che cominciò nel 2008 può essere considerata senz’altro come uno dei possibili spartiacque che hanno segnato l’inizio del declino del processo di globalizzazione economica e, naturalmente, la pandemia COVID-19 ha ulteriormente chiuso i mercati internazionali e limitato il commercio internazionale. La guerra fra Russia e Ucraina ha poi alimentato il senso di insicurezza in molti Paesi europei (ad esempio riguardo all’approvvigionamento delle fonti energetiche), contribuendo così a deteriorare ulteriormente il quadro della globalizzazione. La differenza con l’attuale fase di slowbalization (come alcuni osservatori, probabilmente ottimisti, preferiscono definirla, piuttosto che deglobalizzazione) è che mentre quegli eventi hanno ridotto (drasticamente, nel caso del COVID-19) la possibilità stessa di intraprendere il commercio internazionale, nella situazione attuale questo è il risultato di una scelta deliberata, operata da governi populisti, solitamente di destra. Questo dimostra chiaramente che la globalizzazione non è inevitabile, come invece diceva Margaret Thatcher proponendo il suo famoso acronimo “TINA” (There Is No Alternative). Questo ci porta alla seconda parte della tua domanda.

I fattori economici hanno certamente giocato un ruolo nel determinare il cambiamento di direzione del mondo.

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machina

Colonialismo accelerato: un piano contro la Palestina

di Alberto Toscano

0e99dc 438b3d7d09ef4dbe9ce92b17cb5ea573mv2Qual è la logica del piano Trump su Gaza? La costruzione di spazio meticolosamente controllato e depoliticizzato, cioè pacificato, per la circolazione, il consumo e la produzione del capitale. Come spiega Alberto Toscano nell'articolo che pubblichiamo oggi, la creazione della «Nuova Gaza» servirebbe a trasformare la Striscia nel «centro dell’architettura regionale filoamericana», assicurando potere economico, politico e militare sul flusso di energia, capitale e merci. Un'operazione che integra il genocidio in corso in un disegno neocoloniale più ampio e lo rende funzionale al nuovo regime di accumulazione primitiva.

Così, per Trump, Netanyahu e Blair, «a Gaza si può costruire una riviera solo sulle ossa dei morti».

* * * *

Questi predoni del mondo, dopo aver distrutto la terra con le loro devastazioni, stanno ora saccheggiando l’oceano: spinti dall’avidità, se il loro nemico è ricco; dall’ambizione, se è povero; insaziabili tanto verso l’Oriente quanto verso l’Occidente: l’unico popolo che contempla la ricchezza e la miseria con la stessa bramosia. Saccheggiare, massacrare, usurpare con falsi titoli — questo lo chiamano impero; e dove fanno un deserto, lo chiamano pace.

Tacito, Agricola

Ciò che è bello di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono. Nulla la distrae; nulla le toglie il pugno dalla faccia del nemico. Non le forme dello Stato palestinese che costruiremo, fosse anche sul lato orientale della luna o sul lato occidentale di Marte, quando sarà esplorato.

Mahmoud Darwish, Silence for Gaza

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lantidiplomatico

Stato palestinese, dove? “Piano di pace": Gaza a me, Cisgiordania a te?

di Fulvio Grimaldi

cmlzkdndkg.jpg“Tu ucciderai tutti gli uomini, tutte le donne, tutti i bambini, tutte le bestie” (Libro di Giosuè 6:21, relativamente a Gerico, oggi Cisgiordania)

Va premesso un dato incontrovertibile. Quello della misura in cui alla sedicente comunità internazionale festante (celebrano un deserto e lo chiamano pace) gliene freghi del popolo palestinese. Lo dimostra la grottesca e oscena farsa di un Piano di Pace che quel popolo di 15 milioni non lo prende minimamente in considerazione.

Primo, con riguardo all’irrisolto peccato d’origine dello Stato ebraico, stragista, espropriatore, razzista, che ne esce rafforzato; secondo, per la totale cancellazione dalla scena della Cisgiordania, con i suoi 2,5 milioni, e dei cinque milioni di profughi. Ciò che resta sono: un frammento di Palestina dalle grandi prospettive immobiliariste e petrolifere, affidato a Trump, Blair e BP; e un altro frammento, premio di consolazione allo Stato ebraico che ne faccia la base di partenza per il Grande Israele.

 

Primum, inventarsi qualcosa che tolga di mezzo flottiglie e milioni in piazza

9 ottobre, sono passati tre giorni dalla proclamazione della” pace” a Gaza e, a detta di Trump, in tutta la regione. Pace in primis per tagliare le gambe a quella che, con flottiglie, milioni in piazza e riemersione dello Stato Palestinese, era diventata un intralcio di portata mondiale. Pace, peraltro, celebrata da Israele con la continuità delle bombe e della fame e che trova una sua particolare interpretazione anche in Cisgiordania. Per esempio, con quei coloni che il 9 ottobre scendono dal loro insediamento, come tutti i sacrosanti giorni dal 1967, per praticare la convivenza con chi c’era prima e ancora insiste a star lì. A forza di devastazioni, incendi, omicidi.

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VENEZUELA. Machado premio Nobel

Le voci dal Paese sotto assedio

di Geraldina Colotti 

Screenshot 2025 10 13 062401.pngUn operaio italiano di grande esperienza, che vede le cose “dall’alto” perché, da scalatore professionista, fa lavori in quota, ha commentato l’attribuzione del Nobel alla golpista venezuelana, Maria Corina Machado, servendosi di un proverbio turco: “E gli alberi votarono ancora per l’ascia, perché l’ascia era furba e li aveva convinti che era una di loro, in quanto aveva il manico di legno” .

Identica saggezza si riscontra anche “dal basso”, qui in Venezuela: fermo restando che il termine “dal basso”, riferito alle classi popolari, farebbe inorridire gli storici che si dedicano al recupero della “historia insurgente”, intesa come scontro materialistico di interessi di classe, soggetta a vittorie e sconfitte, ma non al confinamento di chi produce la ricchezza nella categoria rassegnata di quelli “che stanno in basso”, giacché lottano per farsi potere popolare.

A certe latitudini dove i “dannati della terra” hanno la pretesa di governare, non è una sottigliezza ideologica: qui, una scure è una scure. Lo sanno i lavoratori argentini, che cercano di rovesciare la “motosega” calata sui diritti dal trumpista Milei. E lo sanno i lavoratori venezuelani, che ben intendono il programma politico della trumpista Machado, ammiratrice di Netanyahu, al quale ha pubblicamente chiesto di fare contro i chavisti, “lo stesso lavoro che ha fatto a Gaza”. Infatti, si sa che le bombe distinguono tra i bambini dei chavisti e quelli di opposizione, che si devono preservare…

E, infatti, il popolo identifica Machado, che da anni chiede e organizza violenze e “sanzioni”, con il personaggio della Sayona, una delle figure più famose e terrificanti del folklore venezuelano. Un’apparizione spettrale che fa parte delle leggende metropolitane e rurali del paese, rievocata a ogni apparizione di Machado sui palcoscenici internazionali per chiedere ai suoi padrini occidentali: “Più sanzioni”. Ovvero, più sofferenze da infliggere al popolo venezuelano per spingerlo a rinnegare il socialismo, a cui rinnova la fiducia da 26 anni.

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transform

L’Europa e la giungla

di Carlos X. Blanco

Proponiamo la traduzione in italiano del’articolo di Carlos X. Blanco, pubblicato originariamente in spagnolo sul numero 452 della rivista El Viejo Topo-

roma4ott3.jpgI paesi occidentali dormono, e questo sonno è il pisolino che precede la notte più lunga: la notte dell’estinzione.

Dormono, il che significa disconnessione dalla realtà. Il pisolino è profondo, poiché quasi tutti si trovano di fronte a immagini che soppiantano la realtà, immagini che assomigliano a “una” realtà ma che in ultima analisi li allontanano da essa. Ma soprattutto, molte minacce e molti pericoli incombono su di loro.

I paesi occidentali si sono addormentati con la tranquillità che deriva dalla consapevolezza che qualcuno veglia su di loro. Quel qualcuno, l’Impero della Bandiera Stellata con le Strisce, non ha mai protetto noi europei in nessun momento. Quell’impero è nato rubando terre, attaccando paesi e massacrando popoli [vedi A. Scassellati, El Imperio Oculto: El expansionismo criminal estadounidense, Ratzel, 2025, anche in italiano qui]. Soltanto l’alienazione dei popoli sconfitti e colonizzati, e diversi decenni di propaganda e di violazione delle menti, spiegano perché la sorveglianza armata e la protezione dei “vecchi europei” furono interpretate come ciò che in realtà significava occupazione militare e subordinazione in tutti gli altri ambiti (politici, economici e culturali).

Quindi, il lettore mi permetterà di continuare con la metafora. Forse i paesi d’Europa, ormai convertiti all'”Occidente”, in senso stretto, non si sono addormentati? Forse è meglio svegliarsi e verificare cosa è realmente accaduto: che qualcuno ci ha versato un narcotico nel bicchiere.

L’Europa turbolenta e criminale delle “potenze” è andata in pezzi nella lunga guerra civile del 1914-1945. Gli imperi europei hanno sprecato milioni di vite e rovinato la gioventù di diverse generazioni in trincee e campi di battaglia, lande desolate e cimiteri dove il nazionalismo è diventato un sostituto mortale della religione.

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La bolla dell’intelligenza artificiale sta per scoppiare

di Andrea Daniele Signorelli

bollaAi.png“Siamo entrati in una fase in cui gli investitori, nel complesso, sono eccessivamente entusiasti nei confronti dell’intelligenza artificiale? Secondo me, assolutamente sì”, ha affermato il fondatore di OpenAI Sam Altman. Parole non dissimili sono arrivate da Mark Zuckerberg, secondo il quale “è certamente una possibilità” che si stia formando una grande bolla speculativa. Da ultimo, anche Jeff Bezos ha rilasciato dichiarazioni simili.

Quando le stesse persone che, tramite le loro risorse, stanno favorendo lo sviluppo e la diffusione di una tecnologia si preoccupano della situazione finanziaria, significa che il rischio, come minimo, è concreto – anche perché le loro aziende risentirebbero più di ogni altra dei rovesci causati dallo scoppio di una bolla.

D’altra parte, basta osservare i numeri: per il momento le immense quantità di denaro che sono state investite per l’addestramento e la gestione dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM – Large Language Model) non stanno producendo risultati economici degni di nota. Peggio ancora: non è per niente chiaro quale possa essere un modello di business sostenibile per ChatGPT e i suoi compagni, e ci sono anche parecchi segnali che indicano come tutto l’hype (non solo finanziario) nei confronti dell’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi una colossale delusione (come indicano le ricerche secondo cui le aziende che hanno integrato l’intelligenza artificiale non hanno visto praticamente alcun effetto positivo).

Se le cose andassero così, all’orizzonte non ci sarebbe solo lo scoppio di una gigantesca bolla speculativa, ma la fine – o almeno il drastico ridimensionamento – di una grande promessa tecnologica, che fino a questo momento non sembra essere sul punto di lanciare una “nuova rivoluzione industriale”.

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laboratorio

Israele, l'ultimo stato colonialista europeo

di Domenico Moro

Ragazzini 1.jpgDi fronte al genocidio del popolo di Gaza in diretta televisiva mondiale ormai da due anni, accompagnato dalla violenza e dagli espropri contro i palestinesi in Cisgiordania, l’opinione pubblica mondiale ha espresso un’ampia condanna. Non è soltanto l’opinione pubblica dei paesi musulmani e del Sud del mondo a esprimere condanna nei confronti di Israele, ma anche, sempre di più, quella del Nord, a partire da quegli stati che hanno sempre appoggiato Israele, come gli Usa e l’Europa occidentale. Ne sono esempi emblematici le mobilitazioni degli atenei statunitensi di qualche mese fa e, da ultime, le grandi mobilitazioni popolari a favore dei palestinesi, avvenute in Italia tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre.

Per quasi due anni rimasti praticamente inerti dinanzi ai massacri e consapevoli del pericolo di perdere il loro residuo prestigio nei confronti non solo del mondo musulmano ma anche del proprio elettorato, diversi governi dell’Occidente si sono decisi almeno a riconoscere lo Stato di Palestina. All’interno dell’Occidente si è così determinata una spaccatura: da una parte Francia, Regno Unito, Canada, Spagna, Australia e altri ancora, che riconoscono lo Stato palestinese, da un’altra parte Stati Uniti, Germania, Italia e altri che rifiutano di farlo. Ad oggi sono 150 su 193 gli stati dell’Onu che hanno riconosciuto la Palestina, certificando il sempre più marcato isolamento internazionale di Israele.

Certamente il riconoscimento ha un valore soprattutto simbolico, dinanzi ai bombardamenti e al blocco dei rifornimenti alimentari. Inoltre, è tardivo, giungendo in un momento in cui ulteriore territorio palestinese della Cisgiordana è annesso da parte di Israele, e il piano cosiddetto di “pace” di Trump prevede l’istaurazione di una sorta di “mandato coloniale” su Gaza. Inoltre, è una misura debole, in quanto, con la parziale eccezione della Spagna, non è accompagnato da adeguate sanzioni e dal blocco delle relazioni commerciali, a partire da quelle che riguardano la compravendita di armamenti. Nonostante ciò, i virulenti attacchi da parte di Israele contro i paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese dimostrano che tale riconoscimento non è del tutto inutile.

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manifesto

Roger Waters, al cuore

Fabrizio Rostelli intervista Roger Waters

Intervista esclusiva con Il musicista inglese, storico componente dei Pink Floyd, interviene sulla Palestina, sulla Flotilla e sulla fase politica che stiamo attraversando

roger waters conferenza stampa roma copyright photo fabrizio rostelli ritoccataIl suo ultimo tour «This is not a drill» è forse la sintesi più alta e senza compromessi della sua creatività artistica e del suo impegno politico. Un concerto in cui l’estasi musicale accompagna il bombardamento visivo di immagini di denuncia sociale e di resistenza al capitalismo e al fascismo. «Se siete fra quelli che amano i Pink Floyd, ma non sopportano le prese di posizione politiche di Roger, potete andarvene a fanculo al bar», questo l’annuncio a inizio concerto. Roger Waters ha la libertà di mirare al cuore, senza fronzoli. Da anni in prima fila per il sostegno al popolo palestinese, ha portato la guerra nei suoi show mostrando il video «collateral murder» nel mondo. Waters, da intellettuale, ha scelto di esporsi e prendere posizione. Dall’impegno nella campagna per la liberazione di Assange, al supporto delle comunità native contro l’oleodotto in Dakota, fino all’appello per la riapertura dell’ospedale calabrese di Cariati raccolto nel film sulla sanità pubblica C’era una volta in Italia di Greco e Melchiorre.

 * * * *

La Global Sumud Flotilla ha iniziato la navigazione verso Gaza per consegnare aiuti umanitari. Diverse barche sono già state attaccate da droni probabilmente israeliani. Cosa accadrà?

È molto improbabile che una qualsiasi delle imbarcazioni della flotilla riesca a consegnare cibo, latte per neonati e medicinali a Gaza, perché gli israeliani le intercetteranno tutte.

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sinistra

L'intuizione di Alexander Dugin. Il 3 settembre e il Morto Occidente

di Carlos X. Blanco

225819513 99e9b3ba 780c 45a8 8ebc 4e6623f3e65a.jpgC'è una solida intuizione nel pensiero di Alexander Dugin: la Russia, pur essendo una parte essenziale dell'Europa, non ha altra scelta che rivolgersi all'Asia e unirsi a essa.

Chi può negare l'idea che la Russia faccia parte dell'Europa? Chi confuterà che l'Europa non è nulla e non sarebbe mai stata nulla senza la nazione russa?

L'ho spesso espresso nei miei scritti, ad esempio nel mio articolo "I due imperi", scritto come prologo all'opera classica di Walter Schubart, L'Europa e l'anima dell'Oriente (Fides, Tarragona, 2019). A Occidente, la Spagna ha trattenuto le orde afro-asiatiche che cercavano di sprofondare l'Occidente cristiano in un'ecumene esclusivamente islamica. La Spagna è stata il baluardo contro l'Islam per più di dieci secoli (otto di Reconquista e almeno altri due di sorveglianza nel Mar Mediterraneo). Ciò che il Regno delle Asturie e León fece dal 722 in poi. Si espanse geograficamente con l'Impero asburgico spagnolo nell'età moderna: una difesa o katechon (un concetto biblico, che ha origine nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, e che descrive una forza o un potere che trattiene l'uomo dal peccato e dal trionfo finale del male, ritardando così l'Apocalisse e la fine del mondo) contro l'atroce e inarrestabile ascesa dell'eresia protestante, che non fu altro che il preludio al liberalismo, al nichilismo e al capitalismo odierni, ideologie e forme materiali di dissoluzione della cultura classica, cattolica e umanista. E una difesa contro il Turco.

Il katechon spagnolo in Occidente era simmetrico allo stesso katechon russo in Oriente. Ciò che passò da Roma a Oviedo, León e Madrid, lo spirito di un Impero di contenimento di fronte al Male, era analogo allo spirito di Bisanzio (la Seconda Roma), che passò anch'esso a Mosca (la Terza Roma). La sostanza spirituale trasmessa era quella di un Impero katechonico che pose fine alle orde turche o tartare e allo stesso tempo salvò la cultura classica, il cristianesimo (ortodosso) e l'umanesimo, adattandoli ai popoli slavi e alle altre popolazioni asiatiche circostanti.

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lantidiplomatico

"Così ci prepariamo a resistere"

Intervista esclusiva all'analista politica venezuelana Carolina Escarrá

a cura di Carlos Aznárez, Geraldina Colotti

mnfpòsihh5gtNel nostro programma settimanale, “Abre Brecha Venezuela”, abbiamo avuto il piacere di ospitare Carolina Escarrá, un'intellettuale venezuelana con un curriculum impressionante che include una vasta esperienza in ambito accademico, diplomatico e giornalistico. Oltre a insegnare in diverse università, Carolina è parte del vicerettorato di ricerca della UICOM, l'Università Internazionale della Comunicazione diretta dalla rettrice Tania Díaz. Politologa e consulente per diverse istituzioni, è attualmente la direttrice della Scuola di Formazione Integrale Dottor Carlos Escarrá Malavé dell'Assemblea Nazionale (EFICEM), una scuola dedicata a suo padre, un eminente giurista venezuelano. Ecco la versione ampliata dell'intervista.

 * * * *

Benvenuta, Carolina, ad "Abre Brecha". Come sai, questo è un programma il cui obiettivo principale è difendere la Rivoluzione Bolivariana e, soprattutto, renderla visibile in questi momenti così difficili, non solo per il Venezuela ma per il mondo intero. Volevamo iniziare chiedendoti, alla luce della grande aggressione che il Venezuela sta subendo da parte degli Stati Uniti, come vedi la risposta del popolo venezuelano e della sua direzione rivoluzionaria, che non ha perso tempo nel "prendere il toro per le corna" e affrontare l'aggressione per quello che è realmente: una provocazione di grandi dimensioni, nonostante molti cerchino di minimizzare ciò che sta accadendo.

Prima di tutto, grazie per l'invito. È un onore per me partecipare a questo programma.

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contropiano2

Cosa si pensa nel resto del mondo?

Xinhua intervista Vladimir Putin

intervista cinese putin.jpgSe si guarda con un minimo di distacco emotivo il panorama dell’informazione occidente – quella italica è un caso di morte cerebrale ormai conclamato – ci si accorge subito che ciò che accade nel resto del mondo è sostanzialmente ignorato. Almeno fin quando non ci si inciampa sopra.

Peggio ancora, non sappiamo praticamente nulla di quel che si pensa – e come, e perché lo si pensa – al di fuori degli ormai ristretti confini dell’area euro-atlantica.

L’ammissione involontaria arriva dagli stessi gazzettieri-propagandisti che riempiono i media nostrani con titoli come “cosa c’è nella mente di Putin”, “cosa vuole Xi Jinping”, e naturalmente tutti gli altri che preoccupano appena meno.

Non possiamo garantirvi una copertura completa o sistematica, ma cominciamo a darvi qualche informazione in più, grazie in questo caso a Silvana Sale che ha tradotto un’intervista di Xinhua a Vladimir Putin, fatta poco prima della grande parata del 3 settembre per l’80esimo anniversario della vittoria sull’invasore giapponese.

Come dovrebbe esser noto, non è un personaggio che ci stia particolarmente simpatico (è salito ai vertici con Eltsin, quando veniva distrutta l’Unione Sovietica), ma forse è più attendibile sapere cosa pensa detto da lui piuttosto che attendere le invenzioni degli “indovini” spiaggiati nelle redazioni del Corriere o di Repubblica.

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lantidiplomatico

Mai così al centro del mondo la Palestina, mai così in crisi Israele

Una, cento, mille flottiglie

di Fulvio Grimaldi

Come l'AntiDiplomatico annunciamo con grande piacere la ripresa dell'editoriale a settimana di un grande giornalista come Fulvio Grimaldi nel suo spazio "Attenti al Lupo". Pur restando profondamente convinti della nostra trasmissione presente tutti i giovedì sul nostro canale Youtube e aperti a un dibattito onesto e costruttivo sulla tematica, accogliamo con grande rispetto le critiche avanzate nel testo su "Radio Gaza"

AVvXsEhXVX72jishiEbyWl5hNpCTh3F09yUEB2Per suscitare una buona disposizione alla lettura di questo mio testo, lo introduco con un furto indecente alla testata “Sinistrainrete”, dove mi ha colpito una visione davvero originale del fenomeno “Flotilla”, nostro tema ordierno. Ve ne riproduco qui un capoverso. Poi scendiamo ai piani prosaici dell’articolo mio.

Global Sumud Flotilla: eterotopie di contestazione nello spazio liscio, di Paolo Lago

Le navi della flottiglia sono mitiche anche perché si spostano come le navi degli eroi antichi creatrici di storie…. Così, la Flotilla apre il nostro immaginario a un’idea di libertà, scava in profondità nel malato immaginario contemporaneo occidentale incasellato in vuoti e imposti schemi di pensiero dominati dall’indifferenza, colpisce e ferisce nel profondo il pensiero unico dell’Occidente capitalista…  Flotilla è anche questo: un poema che apre nuovi squarci possibili al nostro immaginario, apre varchi di fuga e di resistenza all’irreggimentazione incasellante del pensiero.

Incominciamo. Mi corre l’obbligo… come direbbe colui a cui l’italiano pare bello com’era e come sarebbe senza la fregola di anglicizzarlo, al pari di cent’anni fa quando c’era, per figurare in società, quella di francesizzarlo.

Mi corre l’obbligo di parlare un tantino di me. Ma solo in quanto assurto – o disceso – al ruolo di uno cui è capitato di finire in prima fila, insieme alla sua compagna, in una batracomiomachia che ha imperversato per buona parte della stagione.

L’AntiDiplomatico è stato il campo di battaglia privilegiato in cui si è svolta la disputa, sia perché ospita alcuni dei contendenti più impegnati nella pugna, sia perché, per sue doti di saggezza, equilibrio e lungimiranza, all’un fronte come all’altro ha dato piena libertà di suonare le proprie trombe. Eliminando gli orpelli dialettici, si tratta di chi della Flottiglia Global Sumud ha una buona idea, e chi no; di chi della Palestina e Gaza ritiene di dover evidenziare i tratti umanitari imposti dalla condizione di atroce vittima, e chi ritiene urgente fare emergere l’essenzialità della sua natura politica e di resistenza combattente.