Troppi gli interrogativi sulla strage di carabinieri a Castel D’Azzano
di Antonio Camuso*
Premessa utile è l’esprimere il mio cordoglio e la vicinanza alle vittime, e ai loro famigliari, di questa tragedia che ha colpito uomini in divisa chiamati a fare il loro dovere.
Ricordo i loro nomi: il brigadiere capo Valerio Daprà, il carabiniere scelto Davide Bernardello e il luogotenente Marco Piffari ‘cui si aggiunge una lunga lista di feriti. Il solo numero di vittime tra personale esperto e percentualmente elevato rispetto ai presenti di quel blitz è già una prima conferma delle troppe anomalie in quella che, a denti stretti, si è confessato ai giornalisti, esser stata un’operazione in cui “qualcosa è andata storto”.
La Marina Militare considerava mio padre tra i migliori artificieri che avesse in Puglia ed io, sin da bambino, ho ascoltato i suoi racconti sulle operazioni di sminamento, ricerca esplosivi e di antiterrorismo da lui condotte per un periodo che va dalla seconda guerra mondiale sino all’omicidio di Aldo Moro, nel 1978, anno in cui andò in pensione.
Di quei resoconti ne ho fatto tesoro e l’aver lavorato, a mia volta, nel campo della Sicurezza al Volo, e l’aver condotto alcune inchieste giornalistiche su quell’argomento, fa sì che ritengo di avere il diritto di porre qualche domanda in merito.
In pieno svolgimento dei funerali di Stato ai caduti, i Media non cessano di dipingere i presunti autori o complici della strage, i tre fratelli, come disadattati, aspiranti terroristi e potenziali nemici della quiete e della sicurezza pubblica, in sostanza dei mostri, al fine di giustificare l’intera conduzione di quel blitz notturno, addossando unicamente ai tre fratelli l’intera responsabilità dei fatti.
Grande risalto si sta dando nel dipingere Maria Luisa,la donna rimasta anch’essa gravemente ustionata, al ruolo di matriarca, di plagiatrice dei fratelli, in pratica una strega e forse, tra le righe, c’è più di uno, in questo clima di caccia alle streghe, che rimpiange che non sia deceduta in quella pira funeraria.
Più di un cronista ha affermato che, nonostante fosse gravemente ustionata, non gridasse dal dolore ma si lanciasse in lamentose e incomprensibili cantilene, quasi un racconto medioevale su streghe avvolte dal fuoco, che dal rogo lanciano anatemi e maledizioni.
E in clima di caccia alle streghe s’inserisce la pesante polemica che ha coinvolto la Salis e la Destra. L’europarlamentare ha cercato di spiegare quanto il disagio abitativo e sociale attraversi e coinvolga l’intero territorio nazionale e crei in soggetti particolarmente vulnerabili l’impulso a gesti disperati, ma lei stessa è stata accusata di essere la nuova cattiva maestra di una prossima generazione di aspiranti terroristi kamikaze, reclutabili tra i senza casa, gli occupanti abusivi di case e centri sociali, contro i quali ci difenderà il “working in progress” dei decreti Sicurezza dei quali, questo governo ne ha fatto un cavallo di battaglia elettorale.
Accuse rivolte alla Salis che purtroppo non resusciteranno i tre carabinieri caduti, e che, al contrario, ostacolano la necessaria obiettività e discrezione con cui dovranno muoversi, non solo i magistrati inquirenti, ma anche le inderogabili e necessarie inchieste interne dei diversi corpi dello Stato coinvolti in quell’operazione, su dove si è sbagliato, affinché tali fatti non si ripetano.
Proverò a elencare gli interrogativi su quest’operazione “andata storta”, sulle modalità con cui si è mosso l’imponente “assetto” dispiegato quella notte, sulla catena di comando e sulle disposizioni date dalla autorità giudiziaria che ne aveva richiesto l’impiego.
I primi interrogativi riguardano la necessità di quel blitz in piena notte, e sull’utilità dell’assetto scelto per un’operazione da compiere, non contro un nucleo di spietati terroristi islamici, ma bensì contro tre persone fortemente disturbate negli atteggiamenti, nelle relazioni sociali e viventi in uno stato di disagio che procurava loro una egocentrica e falsa visione della realtà.
I giornali riportano che quella operazione era stata ordinata dal procuratore generale della Repubblica di Verona, Raffaele Tito, e aveva due finalità di carattere legale: quella civile di attuare con la forza un decreto di sgombero e quella penale di perquisire l’abitazione alla ricerca di materiale incendiario compatibile alle presunte bottiglie molotov avvistate da un drone sul tetto casa.
Domanda: Quali le reali ragioni di quel dispiegamento militare, visto che a opporsi a questo decreto di sgombero non vi era una folla in rivolta come nei fatti di San Basilio a Roma e o le storiche “tute bianche” degli autonomi del Leoncavallo, bensì a fronteggiarlo tre anziani contadini usciti fuori da un film western su una comunità di amish o quaccheri americani?
Possibile che contro tre “fuori di testa” occorresse schierare un intero reparto di forze speciali con fucili, scudi ed elmetti per lanciarli in un assalto notturno e invece non scegliere un approccio più soft, con una squadra di negoziatori con il supporto di psicologi e assistenti sociali che, mostrandosi in pieno giorno, avrebbero fatto calare la tensione emotiva?
Nello svolgimento di questa sciagurata operazione duale, civile/penale, a chi era stato affidato il comando? All’autorità di Pubblica sicurezza o a quella militare dei Carabinieri?
In pratica: chi ha dato l’ordine di irruzione manu militari del reparto speciale dei carabinieri in quella cascina che non era Fort Alamo, ma poco più di una stamberga?
Se è vero che si aveva sentore che vi fosse da parte dei “resistenti”(alla forza pubblica) la possibilità di un atto inconsulto con l’utilizzo di gas o materiale incendiario, o esplodente, si era consultato un team di artificieri?
Perché non si è fatto preventivamente intervenire un mezzo meccanico per aprirsi un varco sicuro e il cui solo avvicinarsi avrebbe provocato sì una probabile reazione da parte di questi ultimi, ma generato le contromisure necessarie a tutelare l’incolumità di coloro che sarebbero poi dovuti intervenire?
Vi era necessariamente la necessità di cogliere nel sonno questa pericolosa “setta di kamikaze” nostrani?
Se invece dei poveri tre carabinieri a rimetterci la pelle fossero stati i tre fratelli, oggi per essi si verserebbero le stesse lacrime?
E in quel caso i relativi fascicoli penali si chiuderebbero immediatamente come quelli sulla morte per Taser di spostati, drogati deliranti, o affetti da crisi psichiatriche?
Non voglio offendere la memoria dei carabinieri caduti, ma certe anomalie di questa vicenda mi ricordano tristemente i tanti errori che produssero negli USA, nel 1993, con la strage della setta dei davidiani a Waco.
Ricordo brevemente a tutti come si giunse a essa. L’FBI in collaborazione con la polizia locale aveva organizzato un blitz contro una setta pseudo-religiosa che viveva in una isolata comunità del Texas e accusata di possesso illeggittimo di armi.
Il blitz andò a male procurando la morte di 4 agenti e 8 davidiani. Nonostante la gravità delle circostanze, l’FBI decise un atteggiamento soft, assediando per 51 giorni l’edificio dove si erano asserragliati un centinaio di uomini, donne e bambini. Infine l’FBI decise l’irruzione con un lancio di lacrimogeni che purtroppo provocarono un incendio ed una strage con 81 morti tra i davidiani. Le forti critiche ricevute costrinsero l’FBI a rivedere il suo modus operandi.
Perché la necessità di un assalto muscolare a questi tre “cavernicoli”? Nelle sue motivazioni vi si faceva esplicitamente riferimento al recente decreto Sicurezza ed in particolare al capitolo sgomberi?
In una dichiarazione apparsa in data odierna su Repubblica (18-10-25), il Procuratore della Repubblica, molto scosso, ammette di aver firmato il procedimento esecutivo dell’operazione di sfratto ma di aver delegato ai Carabinieri l’intera fase operativa di esso.
Quel format operativo che vedeva la contemporanea presenza del comandante provinciale dei carabinieri di Verona, oltre che del comandante del reparto operativo (testimoniato dalle cronache giornalistiche locali), era forse un team sperimentale da standardizzare poi se tutto fosse andato OK, per operazioni di sgombero in applicazione al recente decreto sicurezza?
Non è possibile che un brigadiere capo, alla testa del suo reparto speciale sia partito autonomamente all’assalto di quella stamberga, mettendo a rischio, se “qualcosa fosse andato storto”, la sua vita e quella dell’intero plotone al suo comando!
Possibile si addossi l’intera responsabilità dell’annientamento di un intero plotone di Forze Speciali, alla mano di una donna “delirante”, decisa al suicidio piuttosto che cedere un miserabile e isolato casolare di campagna?
E se al suo posto vi fosse stato un terrorista fai-da-te, o peggio ancora un Unabomber che a distanza di sicurezza si fosse compiaciuto di assistere all’esplosione di una trappola esplosiva? E’ inconcepibile leggere sui giornali che un reparto di forze speciali si trovi intrappolato in un ambiente saturo di gas da cucina e cerchi disperatamente di rompere le finestre per evitare di saltare in aria!
Il modello Israeliano
Un capitolo particolare riguarda la standardizzazione operativa tra le maggiori polizie militari in campo occidentale, ove le esperienze degli uni, sono travasate agli altri e dopo un’opportuna verifica sono inserite in nuove regole di ingaggio.
In testa sono le forze speciali Israeliane e il loro modus operativo sta divenendo testo per tutti. Il campo di sperimentazione da decenni è principalmente la Cisgiordania, ove giornalmente i militari Israeliani con assetti di polizia militare compiono continue irruzioni nelle abitazioni di sospetti “terroristi” procedendo spesso all’abbattimento delle case degli stessi.
Operazioni che grazie alla sofisticazione tecnologica hanno sempre più preminenza notturna, al fine di sorprendere i sospetti e contemporaneamente produrre uno stato di insicurezza per l’intera popolazione palestinese. Colpire uno in maniera spettacolare per dare una lezione a tutti a imperitura memoria è l’arte di dimostrare la Forza.
Le nostre Forze speciali si addestrano in ambienti simili a quello ove è avvenuto la strage e sono innumerevoli i filmati pubblicitari/propagandistici che ci vengono riproposti sui media, o addirittura in DVD acclusi a riviste specializzate ove si vedono forze speciali che fanno irruzioni in vecchie case di campagna ormai abbandonate, scardinando porte, e irrompendo negli ambienti.
Se qualcuno voleva passare dal teorico al reale, quel casolare isolato, quei tre smarriti in un mondo tutto loro, ma intenzionati a difendere e perire con esso se necessario, sembrerebbero essere le cavie e l’ambiente perfetto…purtroppo qualcosa è andata storto…
Ma la domanda principale è:
Dietro operazioni come quella sciagurata di Castel d’Azzano, vi sono direttive provenienti dall’alto, in altre parole, dagli organi politici di governo sugli organi di polizia, per una nuova postura contro il disagio, in qualunque forma si esprima?
Si è deciso di metter da parte la competenza e la professionalità messa in campo tante volte dalle stesse forze dell’ordine, polizia, carabinieri, in episodi di cronaca ove riuscivano con la negoziazione alla resa di gente fuori di testa che deteneva interi arsenali in casa e si era barricata in casa e da lì sparacchiava sui passanti e minacciava di far saltare in aria interi condomini?
Quante volte abbiamo visto il maresciallo dei carabinieri del posto o il funzionario di polizia aiutato da psicologi e assistenti sociali venire a capo, senza danni ad alcuno, a vicende che sembravano destinate a finire in tragedie?
Ci auguriamo per tutti, che si traggano, se pur amare, delle lezioni e dei ripensamenti su quanto accaduto, al fine che ciò non si ripeta più.
Ne va della sicurezza pubblica e del rispetto della vita di ognuno, ma innanzitutto la presa d’atto che tutto ciò che coinvolge gli esseri umani ha aspetti profondamente complessi e che non possono essere risolti drasticamente per manu militari, come nelle norme di attuazione del decreto Sicurezza/sgomberi, che, se applicate meccanicisticamente, corrono il rischio di innescare pericolose reazioni individuali.
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